Quando il giudice non ritenga sufficienti ai fini della decisione la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato membro di emissione, può richiedere allo stesso, direttamente o per il tramite del Ministro della giustizia, le informazioni integrative occorrenti: in caso di mancata trasmissione non sempre l’autorità giudiziaria italiana deve respingere l'esecuzione, in quanto la mancata trasmissione della documentazione integrativa richiesta non impedisce a quella autorità di decidere comunque “nel merito” sulla base della documentazione a disposizione.
In tema di mandato d’arresto Europeo, la corte d’appello, nel caso in cui disponga di acquisire documentazione o informazioni integrative dallo Stato membro d’emissione è tenuta a verificare che l’inoltro della relativa richiesta venga eseguito con modalità tali da garantire che la stessa sia effettivamente pervenuta all’autorità giudiziaria straniera, non essendo sufficiente l’impiego di mezzi di comunicazione telematica che facciano solo presumere la ricezione di quella richiesta.
Corte di Cassazione
sez. VI Penale, sentenza 18 giugno – 19 giugno 2020, n. 18711
Presidente Costanzo – Relatore Aprile
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Venezia dichiarava non sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto Europeo processuale emesso il 16 settembre 2019 dal Tribunale ceco di Praga nei confronti del cittadino bulgaro A.A. , in relazione ai reati aggressione e lesioni personali indicati come commessi a (omissis) in danno di tal (omissis) : A. che era stato tratto in arresto in Italia il 19 novembre 2019 e, dopo la convalida, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, i cui effetti con tale sentenza venivano revocati.
Rilevava la Corte territoriale come il mandato di arresto Europeo non contenesse gli elementi di conoscenza necessari per la decisione, ragione per la quale era stata inoltrata all’autorità giudiziaria ceca una richiesta di informazioni integrative, mediante la trasmissione del sottostante provvedimento cautelare nazionale e di una relazione esplicativa delle fonti di prova, istanza che era rimasta inevasa nel termine indicato.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia il quale, con due distinti punti ha dedotto la violazione di legge, in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 16, comma 1, u.p. e art. 6, comma 6, e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere il Collegio territoriale rigetto la richiesta di consegna dando per scontato che l’autorità giudiziaria ceca avesse ricevuto la richiesta di informazioni integrative, che invece era stata solo mandata per email e ricevuta da un sistema informatico automatizzato; nonché per avere fissato un termine molto breve (peraltro “a cavallo” delle festività natalizie) per consentire all’autorità straniera di dare corso a quella sollecitazione istruttoria, senza considerare la possibilità di prorogare l’originario termine fissato dalla legge per la decisione, ai sensi dell’art. 17, comma 2, citata Legge, tenuto conto che l’impossibilità di provvedere doveva ritenersi determinata da una causa di forza maggiore.
Considerato in diritto
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto.
2. La L. n. 69 del 2005, art. 16, comma 1, prevede nella procedura passiva di consegna a seguito del pervenimento in Italia di un mandato di arresto Europeo emesso da altro Stato membro dell’Unione, che "Qualora la Corte di appello non ritenga sufficienti ai fini della decisione la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato membro di emissione, può richiedere allo stesso, direttamente o per il tramite del Ministro della giustizia, le informazioni integrative occorrenti": a tal fine la Corte di appello stabilisce un termine per la ricezione non superiore a trenta giorni, decorso inutilmente il quale si applica la citata Legge, art. 6, comma 6, (che riguarda le sollecitazioni istruttorie adottate dal Ministro nella fase iniziale della procedura), per cui "la Corte di appello respinge la richiesta".
Dalla lettura di tale disciplina parrebbe che l’effetto della mancata trasmissione di quella documentazione ovvero delle informazioni integrative richieste sia ineludibile, nel senso che, in siffatte situazioni, l’autorità giudiziaria italiana sia tenuta sempre e comunque a rifiutare la consegna richiesta da altro Paese dell’Unione Europea.
È ragionevole, tuttavia, ritenere che tale effetto formale non sia sempre “vincolante” per l’autorità giudiziaria italiana, in quanto la mancata trasmissione della documentazione integrativa richiesta non impedisce a quella autorità di decidere comunque “nel merito” sulla base della documentazione a disposizione. Tale principio, più volte enunciato da questa Corte con riferimento ai casi di mandato di arresto Europeo esecutivo, cioè finalizzato a dare esecuzione in Italia ad una sentenza di condanna divenuta irrevocabile (così, da ultimo, Sez. 6, n. 8132 del 18/02/2015, Bertinato, Rv. 262805), deve ritenersi valido anche per la valutazione del mandato di arresto Europeo processuale, adottato cioè nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi all’autorità giudiziaria straniera nel quale l’interessato è solo indagato o imputato.
Dunque, non è corretta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il rifiuto della consegna dell’A. , nonché la decisione di rigettare la richiesta che, in via subordinata, era stata formulata in udienza dal Procuratore generale presso quella Corte territoriale, di acquisire ulteriore documentazione, sono state giustificate dal mancato rispetto del termine fissato dal citato L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 1.
Nè va trascurato che nella giurisprudenza di legittimità si è già sostenuto che, in tema di mandato d’arresto Europeo, il ritardo nella trasmissione delle informazioni di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 1, non costituisce causa ostativa alla valutazione della pervenuta documentazione e alla successiva consegna (così, ex multis, Sez. 6, n. 53 del 30/12/2014, dep. 2015, Petrescu, Rv. 261804).
3. La questione esaminata nel precedente punto ha finito per diventare in parte irrilevante nel momento in cui la Corte di appello veneziana ha reputato di motivare il rifiuto della consegna anche alla luce della L. n. 69 del 2005, art. 17, comma 4, sulla base della valutazione del materiale informativo a disposizione, ritenendo che lo stesso non fosse idoneo ad evocare a carico del consegnando l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati per i quali lo stesso è imputato nel processo pendente nella Repubblica ceca.
Sotto questo ulteriore e più specifico punto di vista, le doglianze formulate con il ricorso oggi in esame appaiono fondate, laddove il Procuratore generale si è lamentato del fatto che la Corte territoriale avesse deciso sulla base di documentazione incompleta e non avesse atteso la trasmissione di quelle informazioni integrative nè sollecitato l’invio, ritenendo che l’autorità giudiziaria straniera avesse deciso di non dare corso alla iniziativa istruttoria adottata.
Ed infatti, il ricorrente ha dimostrato che la cancelleria della Corte di appello veneta aveva inviato la richiesta di informazioni integrative ad un indirizzo di posta elettronica, formalmente risultante come riferibile al giudice ceco che aveva emesso il mandato di arresto Europeo, ma non aveva poi verificato che quella domanda fosse stata effettivamente ricevuta ovvero fosse stata effettivamente portata a conoscenza del magistrato che aveva adottato il provvedimento contenente la richiesta di consegna. Dagli atti si evince, invece, che la mail della cancelleria italiana era stata “presa in carico” in via automatica dal server del sistema giudiziario di quel Paese ((omissis) ), ma non vi è alcuna prova che la stessa fosse stata concretamente inoltrata al giudice straniero ovvero da questi effettivamente esaminata.
Nel nostro ordinamento esiste una disposizione che prevede che, nel caso di notificazione disposta in via telematica, ai fini della regolarità della notifica sia sufficiente l’accettazione del sistema e la ricezione del messaggio di consegna, ad una determinata data e ora, dell’allegato notificato, senza che occorrano ulteriori verifiche in ordine alla sua effettiva visualizzazione da parte del destinatario, a carico del quale è posto l’impegno ad effettuare ogni intervento tecnico necessario a recepire la notifica ed i relativi allegati. Ma si tratta di una disposizione, contenuta nell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, che, nel consentire che l’autorità giudiziaria possa disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei, fa rinvio alla specifica disciplina delle notificazione telematica a mezzo P.E.C. prevista dalla D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 9, lett. c-bis), convertito dalla L. n. 221 del 2012: norme, queste, di dubbia applicabilità nel caso di specie, nel quale difetta l’adozione di un provvedimento da parte della Corte di appello ai sensi del predetto articolo del codice di rito, nel quale manca l’effettuazione di un sicuro invio del messaggio di posta elettronico certificato a mezzo P.E.C., e soprattutto, in cui è assente l’inserimento dell’indirizzo del destinatario in uno di quei pubblici elenchi, dal quale si fa legislativamente derivare la responsabilità a carico del destinatario in ordine alle conseguenze di non idonea gestione dei propri strumenti informatici.
È possibile, dunque, affermare il seguente principio di diritto: "In tema di mandato d’arresto Europeo, la corte d’appello, nel caso in cui disponga di acquisire documentazione o informazioni integrative dallo Stato membro d’emissione ai sensi della L. n. 69 del 2005, artt. 6 e 16, è tenuta a verificare che l’inoltro della relativa richiesta venga eseguito con modalità tali da garantire che la stessa sia effettivamente pervenuta all’autorità giudiziaria straniera, non essendo sufficiente l’impiego di mezzi di comunicazione telematica che facciano solo presumere la ricezione di quella richiesta".
Ne consegue che la Corte distrettuale, invece che decidere sulla base degli scarni elementi di conoscenza a disposizione, avrebbe dovuto attendere il pervenimento delle informazioni integrative di cui era stata ritenuta necessaria l’acquisizione, se del caso verificando che l’autorità giudiziaria straniera avesse effettivamente ricevuto la copia del relativo provvedimento contenente la richiesta istruttoria ed eventualmente prorogando il termine fissato, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 17, comma 2.
4. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che, nel nuovo giudizio, si atterrà al principio di diritto innanzi indicato.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.