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Italia condannata per violenza della polizia (Corte EDU, 21759/15)

23 ottobre 2017, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e Nicola Canestrini

Le persone sottoposte a fermo di polizia o che sono semplicemente condotte o invitate a presentarsi a un posto di polizia al fine dell’identificazione o dell’interrogatorio, e ,più in generale, tutte le persone sottoposte al controllo della polizia o di un'analoga autorità, si trovano in una situazione di vulnerabilità e le autorità hanno conseguentemente il dovere di proteggerle.

Qualsiasi indagine relativa a gravi accuse di maltrattamento deve essere approfondita. Ciò significa che le autorità devono sempre compiere un serio tentativo di scoprire che cosa sia accaduto e non devono fare affidamento su conclusioni frettolose o infondate per chiudere le indagini o utilizzarle come base delle loro decisioni.

Osta a ritenere rispettato l'aspetto procedurale dell'art. 3 della Convenzione EDU (esaustività delle indagini) una motivazione estremamente succinta della richiesta di archiviazione del procedimento formulata dal pubblico ministero e della decisione del giudice per le indagini preliminari in tal senso (in paticolare,  richiesta del pubblico ministero redatta in modo standardizzato, decisione del giudice per le indagini preliminari laconica contenente formulazioni generiche).

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA TIZIANA PENNINO c. ITALIA

(Ricorso n. 21759/15)

STRASBURGO

12 ottobre 2017

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Tiziana Pennino c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell'uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

          Linos-Alexandre Sicilianos, Presidente,
          Kristina Pardalos,
          Guido Raimondi,
          Krzysztof Wojtyczek,
          Ksenija Turković,
          Armen Harutyunyan,
          Jovan Ilievski, giudici,
e Abel Campos, cancelliere di Sezione,

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 19 settembre 2017,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

 PROCEDURA

 

1. La causa trae origine da un ricorso (n. 21759/15), proposto contro la Repubblica italiana, con il quale in data 27 aprile 2015 una cittadina italiana, la Sig.ra Tiziana Pennino ("la ricorrente"), ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato A. Mascia, che esercita a Verona e a Strasburgo. Il Governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, Sig.ra P. Accardo.

3. La ricorrente ha sostenuto di essere stata maltrattata dalla polizia e che le autorità non avevano svolto un'indagine efficace su quanto aveva denunciato.

4. Il ricorso è stato comunicato al Governo in data 25 aprile 2016.

IN FATTO

Article I.            LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  La ricorrente è nata nel 1969 e vive a Benevento.

 

Section 1.01   A.  Gli eventi avvenuti il 2 aprile 2013

6.  Il 2 aprile 2013, tra le ore 13 e le 13.15, la ricorrente fu fermata da due agenti della polizia municipale di Benevento mentre era alla guida del suo autoveicolo.

7. La ricorrente ha sostenuto che gli agenti di polizia controllarono la sua patente di guida e il suo libretto automobilistico. La ricorrente e gli agenti ebbero una discussione. La ricorrente ha sostenuto che il suo atteggiamento nervoso e ostile condusse gli agenti a sospettare che fosse in stato di ebbrezza, circostanza che ella negò. Atteso che gli agenti non disponevano dell’attrezzatura necessaria per accertare il tasso alcolemico, chiesero assistenza alla polizia stradale (Polizia Stradale). La ricorrente rientrò nel suo veicolo e, appena lo fece, uno degli agenti aprì lo sportello dell’auto e la strattonò fuori prendendola per il braccio.

8. Dal verbale redatto dagli agenti della Polizia municipale il 3 aprile 2013 risulta che la ricorrente era stata fermata perché guidava in modo bizzarro, frenando improvvisamente e cambiando bruscamente corsia. La ricorrente non sembrava in grado di uscire dal veicolo da sola e aveva dovuto essere assistita da un agente. Gli agenti verbalizzarono che il fiato della donna odorava di alcool e che la stessa non riusciva a stare in piedi. La ricorrente li aveva insultati e minacciati.

9. Alle 13.30 giunsero sul posto agenti della polizia stradale muniti di etilometro.

10. La ricorrente ha affermato di non essere in grado di sottoporsi all’accertamento in quanto era in uno stato di ansia, aggravato da uno degli agenti che le gridava che era ubriaca. Ciò l’aveva fatta tremare e aveva comportato che fosse incapace di tenere in bocca il tubo dell’etilometro. La ricorrente chiese che intervenissero sul posto i carabinieri, ma la richiesta fu respinta.

11 . Dal verbale della polizia stradale (annotazione di servizio della Polizia Stradale ) risulta che la ricorrente aveva accettato di essere sottoposta all’accertamento del tasso alcolemico, ma non aveva soffiato nel dispositivo nel modo in cui le avevano detto di fare gli agenti e aveva rifiutato di collaborare. A un certo punto aveva gettato il bocchino del dispositivo in faccia a uno degli agenti. È stato riferito che la ricorrente era in uno stato "chiaramente alterato", emanava un forte odore di alcool e barcollava.

12. La ricorrente fu condotta alla stazione della Polizia municipale (Comando di Polizia Municipale ), dove giunse verso le ore 13.50.

13. La ricorrente ha sostenuto che quando giunse al Comando, il tenente in servizio iniziò a redigere un verbale di contestazione per guida sotto l'influenza dell'alcool. Erano presenti anche i due agenti che l'avevano fermata per strada e l’avevano accompagnata al Comando, nonché un altro agente. Ella chiese ripetutamente il permesso di utilizzare un telefono per comunicare ai suoi familiari e al suo difensore il luogo in cui si trovava, ma le sue richieste furono respinte. Quando cercò di sollevare un telefono, un agente la picchiò per farla sedere. Lo stesso agente lo torse le braccia dietro la schiena e la ammanettò, ferendole i polsi. Le compresse successivamente i glutei e le chiese se le manette fossero abbastanza strette. La ricorrente iniziò a urlare forte e l'agente le tolse violentemente le manette. Così facendo fratturò il pollice destro della ricorrente e le causò ulteriori lesioni ai polsi. La diffidò successivamente dal causare ulteriori problemi e la minacciò. La ricorrente lasciò il Comando tra le 14.15 e le 14.30 e procedette a piedi, in quanto il suo veicolo era stato sequestrato.

14. Secondo il verbale congiunto redatto il 3 aprile 2013 dai due agenti della Polizia municipale che l’avevano fermata per strada e dal tenente in servizio presso il Comando di polizia municipale, appena giunta al Comando la ricorrente aveva iniziato a minacciarli e a insultarli. Quando il tenente iniziò a redigere il verbale di contestazione, ella afferrò un telefono da una scrivania e corse in corridoio. Il tenente cercò di fermarla, ma la ricorrente lo spinse violentemente, facendolo cadere. La stessa gettò il telefono dalla finestra. La ricorrente, che era in stato di estrema agitazione, spinse e prese a calci gli altri due agenti, e alla fine essi l’ammanettarono. Quando la ricorrente si calmò, le furono tolte le manette. La ricorrente uscì dalla stazione, dimenticando la borsa e gli oggetti personali. Il suo veicolo e la sua patente erano stati sequestrati a norma della legislazione in materia di circolazione stradale. La notizia di reato(informativa di reato) trasmessa dal comandante della Polizia municipale di Benevento al pubblico ministero di Benevento in data 3 aprile 2013 riporta la medesima descrizione degli avvenimenti.

15. La ricorrente ha affermato che, dopo che ebbe lasciato il Comando,  ottenne un passaggio per il pronto soccorso di un ospedale locale, dove fu visitata.

16. Verso le ore 20 la ricorrente si recò al Commissariato di Pubblica sicurezza e  tentò, senza successo, di sporgere denuncia nei confronti degli agenti della Polizia municipale. Dal verbale redatto dall’agente di turno, emerge che la ricorrente aveva lamentato di essere stata aggredita da agenti della Polizia municipale di Benevento e che le era stato fratturato il dito. Quando l'agente le comunicò che non poteva sporgere denuncia in quanto il Commissariato era chiuso, la ricorrente cominciò a parlare ad alta voce in modo sconnesso. Dati il suo nervosismo e la sua agitazione, l'agente telefonò alla locale questura (il quartier generale della polizia) per avere un supporto. La ricorrente chiese che fosse chiamata un'ambulanza. L'ambulanza giunse alle 20.30 e la ricorrente fu visitata dai medici presenti in essa. Fu condotta a casa con l’ambulanza verso le 21.00.

B. La denuncia nei confronti degli agenti di polizia e le conseguenti indagini 

17. In data 4 aprile 2013 la ricorrente sporse denuncia nei confronti dei due agenti di polizia che l'avevano fermata per strada il 2 aprile 2013 e degli altri due agenti presenti presso il Comando di Polizia municipale, dei quali non conosceva i nomi, affermando di essere stata aggredita e picchiata, di aver subito lesioni personali, abuso d’ufficio e minacce.

18. Fu avviata un'indagine sulla base della denuncia sporta dalla ricorrente. Furono interrogate sette persone, individuate dalla ricorrente quali testimoni (persone informate sui fatti). Due erano persone che affermavano di aver visto uno degli agenti strattonare la ricorrente fuori dal veicolo. Uno era il proprietario di un bar dove la ricorrente era andata per telefonare al suo ex marito il 2 aprile 2013 dopo aver  lasciato l'ospedale. Un altro era l'ex marito della ricorrente, che dichiarò che l’assunzione di alcool da parte della donna era limitata al consumo durante i pasti. Egli affermò inoltre che a causa di un evento traumatico avvenuto nella sua vita, la ricorrente si agitava, tremava e aveva difficoltà a esprimersi quando era sottoposta a stress. Gli altri tre erano colleghi, che affermarono che il 2 aprile 2013, quando aveva lasciato lo studio, la ricorrente non sembrava in stato di ebbrezza. Gli agenti di polizia che avevano asseritamente inflitto i maltrattamenti non furono interrogati, così come non fu interrogata la ricorrente.

19. Il 17 gennaio 2014 il pubblico ministero chiese l’archiviazione del procedimento. La richiesta era motivata dal fatto che "le accuse contenute nella denuncia non sono confermate dalle deposizioni dei testimoni individuati dalla vittima".

20. Il 27 febbraio 2014 la ricorrente si oppose alla richiesta del pubblico ministero di archiviazione del procedimento. Lamentò il difetto di motivazione della richiesta del pubblico ministero e  sostenne che l'inchiesta non era stata esauriente. A tale proposito, denunciò la "totale assenza" di misure investigative relative agli eventi avvenuti all’interno del Comando di Polizia municipale e chiese al giudice per le indagini preliminari di disporre tali misure senza indugio. La ricorrente lamentò inoltre di non essere stata interrogata e chiese di essere immediatamente interrogata. Chiese inoltre che gli agenti interrogassero la persona che l'aveva condotta in ospedale quando aveva lasciato il Comando di polizia e altre persone. Contestò la credibilità dei verbali redatti dagli agenti di polizia, in quanto in completo contrasto con la sua esposizione degli eventi contestati. 

21. All'udienza del 22 settembre 2014 il difensore della ricorrente ribadì le doglianze e le richieste contenute nell'opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento formulata da pubblico ministero e reiterò, in particolare, la richiesta di indagare sugli eventi avvenuti all’interno del Comando di Polizia municipale.

22. Con decreto del 3 ottobre 2014, notificato alla ricorrente il 27 ottobre 2014, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento dispose l’archiviazione del procedimento. Il decreto dichiarava che le prove raccolte nel corso delle indagini preliminari non erano sufficienti a giustificare il rinvio a giudizio degli agenti, che le accuse formulate dalla vittima non erano state corroborate da prove e che le ulteriori misure investigative, richieste dalla vittima, non avrebbero avuto "alcuna influenza".

C. Il procedimento penale a carico della ricorrente

23. Il 25 ottobre 2013 la ricorrente fu accusata di più reati in relazione agli eventi verificatisi il 2 aprile 2013, tra i quali resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a pubblico ufficiale e guida sotto l'influenza dell'alcool. La ricorrente fu inoltre accusata di aver cagionato lesioni personali a un agente di polizia.

24. In data imprecisata il pubblico ministero e la ricorrente patteggiarono l’imputazione relativa al reato di lesioni personali e chiesero al giudice di procedere all’applicazione della pena (applicazione della pena su richiesta delle parti).

25. Il 21 novembre 2014 il giudice per l’udienza preliminare di Benevento prese atto del patteggiamento e inflisse alla ricorrente la pena, sospesa, di ventotto giorni di reclusione. In pari data, il giudice per l’udienza preliminare sospese il procedimento a carico della ricorrente in ordine alle accuse di resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a pubblico ufficiale e guida sotto l'influenza dell'alcool. La ricorrente fu posta in libertà condizionale con l’obbligo di  svolgere un lavoro di pubblica utilità.

D. La documentazione medica

(a)      1.  I referti relativi agli eventi verificatisi in data 2 aprile 2013

26.  Il 2 aprile 2013 la ricorrente si recò al Pronto soccorso di un ospedale locale. Alle ore 18.42 fu visitata da un radiologo che constatò la frattura del primo dito della mano destra.

27. Il 3 aprile 2013 la ricorrente tornò al Pronto soccorso. Emerge dal referto clinico che la ricorrente giunse in ospedale in stato di agitazione, lamentando dolori in diverse parti del corpo. Fu visitata da un medico che rilevò la presenza di immobilizzazione in stecca alla mano destra, per pregressa frattura. Il medico rilevò inoltre la presenza di contusioni, causate da lesioni traumatiche (trauma contusivo con ecchimosi) alla coscia destra, alla spalla destra e al polso sinistro.

28. Il 4 aprile 2013 la ricorrente si recò in un altro ospedale. Fu visitata da un ortopedico il quale confermò la frattura del pollice e la presenza di ecchimosi alla coscia sinistra e al dorso. Il medico consigliò un intervento chirurgico per curare la frattura.

(b)     2.  La perizia psicologica presentata dalla ricorrente nel corso del procedimento penale a suo carico (estratti)

 

29. A causa di un evento traumatico avvenuto nella sua vita, la ricorrente soffre di un disturbo cronico da stress post-traumatico, che si è trasformato in un grave disturbo depressivo. Soffre inoltre di un disturbo caratterizzato da alterazioni dell'umore, che sono aggravate, nei momenti di particolare stress, dal consumo di alcool o dall’insonnia. Il disturbo in questione comprende picchi di comportamento maniacale in cui la ricorrente perde il contatto con la realtà e prova un senso di imminente minaccia per la propria sicurezza e per quella di coloro che la circondano. Nel febbraio 2013 sono stati prescritti alla ricorrente farmaci per l’insonnia. La combinazione dei farmaci con quantità di alcool anche modeste può avere gli stessi effetti di un eccessivo consumo di alcool.

IN DIRITTO

Article II.        I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

30. La ricorrente ha lamentato di essere stata maltrattata dalla polizia e che l'indagine relativa alle sue accuse non era stata esauriente né efficace. Ha invocato l'articolo 3 della Convenzione, che recita:

"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

A. Sulla ricevibilità

31. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3, lettera a), della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

B. Sul merito

1. Principi generali

32. I principi generali pertinenti ai casi riguardanti l'aspetto sostanziale dell'articolo 3 concernenti, in particolare, accuse di maltrattamenti da parte di agenti statali, sono stati articolati dalla Grande Camera nella sentenza Bouyid c. Belgio ([GC], n. 23380/09, § 81-90, CEDU 2015).

33. La Corte ribadisce, in particolare, che qualora una persona sia  privata della libertà, o, più in generale, debba affrontare gli agenti delle forze dell'ordine, il ricorso alla forza fisica, che non sia rigorosamente imposto dal comportamento della stessa, svilisce la dignità umana e costituisce una violazione del diritto sancito dall'articolo 3 (ibid., § 88).

34. Le accuse di maltrattamenti contrari all'articolo 3 devono essere corroborate da prove appropriate. Per valutare tali prove la Corte utilizza il criterio della prova "al di là di ogni ragionevole dubbio", ma aggiunge che tale prova può risultare dalla coesistenza di indizi sufficientemente forti, chiari e concordanti o da analoghe presunzioni fattuali non confutate (ibid., § 82).

35. In relazione a quest’ultimo punto la Corte ha spiegato che, qualora gli eventi in questione siano interamente, o in gran parte, di esclusiva conoscenza delle autorità, come nel caso di persone che si trovino in custodia sotto il loro controllo, sorgeranno forti presunzioni fattuali in ordine alle lesioni verificatesi nel corso di tale detenzione. L’onere della prova spetta quindi al Governo, che deve fornire una spiegazione soddisfacente e convincente, producendo prove di accertamento dei fatti che facciano dubitare della esposizione degli eventi fornita dalla ricorrente. In assenza di tale spiegazione, la Corte può trarre conclusioni che possono essere sfavorevoli al Governo. Ciò è giustificato dal fatto che le persone sottoposte a custodia si trovano in una posizione vulnerabile e le autorità hanno il dovere di proteggerle. Nella sentenza Bouyid la Corte ha concluso che valesse lo stesso principio nel corso dell’identificazione all’interno di un commissariato o di un semplice interrogatorio svolto in tale luogo (ibid., § 84).

36.  Nella causa El-Masri c Ex Repubblica yugoslava di Macedonia [GC] (n. 39630/09, § 155, CEDU 2012) la Corte ha inoltre sottolineato che, pur avendo riconosciuto di dover essere prudente nell’assumere il ruolo di un tribunale di primo grado, giudice del fatto, qualora ciò non fosse stato imposto inevitabilmente dalle circostanze di un particolare caso (si veda McKerr c. Regno Unito (dec.), n. 28883/95, 4 aprile 2000), essa doveva svolgere un “esame particolarmente approfondito” in caso di accuse relative all’articolo 3 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Ribitsch c. Austria, 4 dicembre 1995, § 32, Serie A n. 336, e Georgiy Bykov c. Russia, n. 24271/03, § 51, 14 ottobre 2010), anche qualora fossero già stati svolti procedimenti e indagini a livello interno (si veda Cobzaru c. Romania, n. 48254/99, § 65, 26 luglio 2007).

37.  Nei casi relativi ad accuse di maltrattamenti, i principi generali che si applicano per determinare se tali indagini siano state efficaci ai fini dell'articolo 3 sono stati riaffermati dalla Grande Camera, inter alia¸ nella causa Mocanu e altri c. Romania ([GC], nn. 10865/09, 45886/07 e 32431/08, § 316-326 CEDU 2014 (estratti)).

38.  In particolare, qualsiasi indagine relativa a gravi accuse di maltrattamento deve essere approfondita. Ciò significa che le autorità devono sempre compiere un serio tentativo di scoprire che cosa sia accaduto e non devono fare affidamento su conclusioni frettolose o infondate per chiudere le indagini o utilizzarle come base delle loro decisioni (si vedano Assenov e altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, § 103, Reports of Judgments and Decisions 1998‑VIII, e Batı e altri c. Turchia, nn. 33097/96 e 57834/00, § 136, CEDU 2004‑IV). Esse devono adottare ogni ragionevole misura di cui dispongono per assicurare le prove relative all’incidente, compreso, inter alia, le deposizioni dei testimoni oculari e le prove medico-legali (si vedano Tanrıkulu c. Turchia [GC], n. 23763/94, § 104, CEDU 1999‑IV, e Gül c. Turchia, n. 22676/93, § 89, 14 dicembre 2000). Qualsiasi carenza delle indagini che comprometta la loro idoneità ad accertare la causa delle lesioni o l'identità delle persone responsabili rischia di non soddisfare tale criterio (si veda Boicenco c. Moldavia, n. 41088/05, § 123, 11 luglio 2006).

2. L’applicazione al caso di specie

39. La Corte osserva innanzitutto che le parti convengono che la polizia abbia usato la forza nei confronti della ricorrente e che in conseguenza di ciò la stessa abbia riportato alcune lesioni, vale a dire delle contusioni e la frattura di un dito. La Corte rileva inoltre che la presenza di alcune lesioni è corroborata da prove mediche (si vedano i paragrafi 26-28). La ricorrente ha sostenuto che il dito era stato fratturato nel corso della sua permanenza presso il Comando di Polizia municipale.

40. La Corte rileva che l'essenza del disaccordo tra le parti concerne le esatte circostanze in cui la ricorrente ha subito le lesioni e la questione di sapere se il ricorso alla forza fisica fosse stato rigorosamente necessario.

41. La Corte ritiene che per il tempo trascorso dalla ricorrente presso il Comando di polizia, la stessa può essere considerata sotto il controllo delle autorità. Pertanto, diversamente dai casi in cui non era possibile stabilire che il ricorrente fosse stato sotto il controllo delle autorità, nel caso di specie la Corte conclude che il Governo ha l'onere di fornire una spiegazione soddisfacente e convincente circa le circostanze in cui sono state subite le lesioni e sulla questione di sapere se la forza fosse stata imposta rigorosamente dal comportamento della ricorrente stessa (si veda Bouyid, sopra citata, §§ 83-84).

42. Il Governo ha sostenuto nelle sue osservazioni che tutte le lesioni, compresa la frattura del dito, potevano essere spiegate in modo plausibile e convincente dalla resistenza opposta dalla ricorrente alle azioni poste in essere dalla polizia per contenere il suo comportamento sempre più agitato, e talvolta aggressivo. A suo avviso, pertanto, la forza utilizzata dagli agenti di polizia nei confronti della ricorrente era stata imposta rigorosamente dal comportamento della stessa.

43. A sostegno della sua posizione ha citato diversi elementi che attestano lo stato di agitazione e alterazione della ricorrente. Ha osservato  innanzitutto che le dichiarazioni rese dai testimoni sulla sobrietà della  ricorrente precedentemente al fermo per strada non escludevano la possibilità che fosse in stato di ebbrezza quando era al volante della sua autovettura. Ha invocato in secondo luogo la relazione psicologica redatta dal consulente nominato dalla ricorrente nell'ambito del procedimento penale a suo carico e ha sottolineato la parte che afferma che la stessa assumeva medicinali che avrebbero potuto avere il medesimo effetto di un eccessivo consumo di alcool in caso di associazione anche a una minima quantità di alcool (si veda il paragrafo 29 supra). Ha aggiunto che la relazione era stata acquisita agli atti dell’indagine ed era stata esaminata attentamente dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari. Ha inoltre citato il verbale redatto dall'ufficiale di turno presso il Comando di polizia di Benevento dove la ricorrente aveva tentato di sporgere denuncia, che l’ha descritta estremamente agitata (si veda il paragrafo 16 supra). Il Governo ha inoltre sottolineato che l'aggressività della ricorrente era corroborata dal fatto che la stessa aveva spinto uno dei agenti che si trovava nel Comando di Polizia municipale, il quale aveva riportato lesioni in conseguenza di ciò. Il Governo ha inoltre ribadito che era stato instaurato un procedimento  penale a carico della ricorrente per i reati commessi nei confronti degli agenti di polizia, compreso l’oltraggio a pubblico ufficiale, e che il procedimento si era concluso con un patteggiamento.

44 . Il Governo ha sottolineato che l'indagine nazionale, che era stata svolta in modo efficace e approfondito, non aveva stabilito che gli eventi fossero avvenuti nel modo descritto dalla ricorrente, suscitando in tal modo dubbi sulla sua narrazione di quanto accaduto. Secondo il Governo, le informazioni raccolte nel corso degli interrogatori delle persone individuate dalla ricorrente nel corso delle indagini non erano sufficienti a confermare le sue accuse nei confronti degli agenti della Polizia municipale, come confermato dalla decisione del giudice per le indagini preliminari di archiviare il procedimento. Benché i testimoni avessero confermato alcuni fatti descritti dalla ricorrente, la sua narrazione non era stata complessivamente corroborata, in quanto le deposizioni dei testimoni riguardavano questioni secondarie. Il Governo ha inoltre sottolineato la coerenza della relazione effettuata degli agenti di polizia rispetto alle incongruenze che caratterizzano la narrazione della ricorrente. A tale proposito, ha sottolineato che i verbali di polizia avevano fornito una spiegazione plausibile delle lesioni subite dalla ricorrente, mentre il racconto della ricorrente non aveva spiegato le lesioni riportate dall’agente  ed era, a suo avviso, pieno di lacune e contraddizioni.

45. Date le circostanze del caso di specie, prima di esaminare le osservazioni del Governo, la Corte desidera ribadire che le persone sottoposte a fermo di polizia o che sono semplicemente condotte o invitate a presentarsi a un posto di polizia al fine dell’identificazione o dell’interrogatorio, e ,più in generale, tutte le persone sottoposte al controllo della polizia o di un'analoga autorità, si trovano in una situazione di vulnerabilità e le autorità hanno conseguentemente il dovere di proteggerle (si veda Bouyid, sopra citata, § 107). A tale proposito, la Corte ricorda che l'articolo 3 della Convenzione, così come l'articolo 2, stabiliscono l’obbligo positivo dello Stato di formare le proprie forze dell’ordine in modo da garantire un elevato livello di competenza nel loro comportamento professionale, che faccia sì che nessuno sia sottoposto a un trattamento contrastante con tale disposizione (si veda Bouyid, sopra citata, § 108).

46.  Passando ai rilievi presentati dal Governo, la Corte rileva che essi sono imperniati su un generale affidamento sullo stato di agitazione della ricorrente e su dichiarazioni generiche relative alla necessità di usare la forza per rispondere a tale condotta. Il Governo non ha fornito specifici particolari sulle modalità di svolgimento dei fatti all’interno del Comando di Polizia municipale, ma ha rinviato in termini generali a quanto esposto dagli agenti di polizia, che ha accettato come  plausibile e coerente. Non è stato fatto alcun concreto tentativo per spiegare, e tanto meno per provare, da che cosa sia stata provocata la frattura del dito della ricorrente, nonostante il fatto che il Governo abbia riconosciuto che la lesione era avvenuta in conseguenza dell’uso della forza nei confronti della ricorrente da parte degli agenti.

47.  In tale contesto, la Corte esaminerà successivamente se dalle indagini interne emerga qualche suffragazione delle osservazioni del Governo. A tale proposito, in ordine ai fatti oggetto della presente causa, la Corte ritiene che la fornitura di una spiegazione soddisfacente e convincente sulla necessità dell'uso della forza sia strettamente connessa alla questione di sapere se le autorità interne abbiano condotto un'indagine efficace in grado di accertare le circostanze e il carattere della forza utilizzata (si vedano, mutatis mutandis, Mihhailov c. Estonia, n. 64418/10, § 112, 30 agosto 2016; Hilal Mammadov c. Azerbaigian, n. 81553/12, § 83, 4 febbraio 2016; Balajevs c. Lettonia, n. 8347/07, § 95, 28 aprile 2016; e Cemal Yılmaz c. Turchia, n. 31298/05, § 32, 7 febbraio 2012).

48. La ricorrente ha sostenuto che le autorità inquirenti non avevano compiuto un serio tentativo per scoprire che cosa fosse accaduto, al fine di individuare l'origine delle sue lesioni e le persone responsabili delle stesse. Il Governo ha sostenuto che l'indagine era stata condotta diligentemente, in modo indipendente ed esauriente.

49. Per i motivi esposti in prosieguo, la Corte non è convinta del fatto che l'indagine soddisfacesse il requisito di esaustività imposto dall'articolo 3, nel senso che le autorità avessero compiuto il massimo sforzo per scoprire che cosa fosse accaduto o non avessero fatto affidamento su conclusioni frettolose o infondate per chiudere le indagini, o come base delle loro decisioni (si veda, tra altri precedenti, Alberti c. Italia, n. 15397/11, § 62, 24 giugno 2014).

50. La Corte osserva innanzitutto che il fascicolo delle indagini non dimostra alcuna prova di sforzi investigativi rivolti agli eventi verificatisi all’interno del Comando di Polizia municipale, nonostante il fatto che la ricorrente abbia sostenuto che le lesioni più importanti fossero state inflitte in tale luogo. La Corte rileva inoltre che la ricorrente ha esplicitamente lamentato alle autorità interne l’assenza di misure investigative riguardanti gli eventi avvenuti all’interno del Comando (si veda il paragrafo 20 supra). Gli unici documenti relativi agli eventi avvenuti all’interno del Comando di Polizia municipale sono i verbali redatti dagli agenti della polizia municipale (si veda il paragrafo 14 supra). Tutti gli altri documenti acquisiti all'indagine riguardano gli eventi avvenuti in strada, successivamente al fermo della ricorrente perché sospettata di guida sotto l'influenza dell'alcool.

51. L'attenzione dell'indagine per questi ultimi avvenimenti, piuttosto che per gli eventi verificatisi all’interno del Comando, è rispecchiata anche dal fatto che gli interrogatori dei testimoni sono stati limitati alle persone individuate dalla ricorrente nella sua denuncia, come ha ammesso anche il Governo nelle sue osservazioni. Fatta eccezione per la persona che ha prestato il telefono alla ricorrente dopo che ella aveva lasciato l'ospedale, le persone individuate dalla ricorrente erano collegate agli eventi avvenuti per strada o avevano attestato la sobrietà della ricorrente e le sue condizioni personali (si veda il paragrafo 18 supra). La Corte osserva inoltre che gli agenti di polizia che hanno partecipato agli eventi contestati non sono stati interrogati, così come non è stata interrogata la ricorrente.

52. Un altro aspetto che la Corte ritiene problematico in ordine all’esaustività delle indagini è la motivazione estremamente succinta della richiesta di archiviazione del procedimento formulata dal pubblico ministero e della decisione del giudice per le indagini preliminari in tal senso (si vedano i paragrafi 19 e 22 supra). La Corte sottolinea a tale riguardo che la richiesta del pubblico ministero appare redatta in modo standardizzato. La decisione del giudice per le indagini preliminari è analogamente laconica. Essa contiene formulazioni generiche secondo le quali le prove raccolte nel corso delle indagini preliminari non erano sufficienti a giustificare il rinvio a giudizio degli agenti e le accuse della vittima non erano state corroborate. La richiesta e la decisione non permettono di ricavare informazioni riguardanti la ricostruzione dei fatti, le possibili cause delle lesioni della ricorrente, il carattere della forza utilizzata o gli elementi su cui hanno fatto affidamento il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari per chiedere e disporre l’archiviazione del procedimento.

53. La Corte rileva inoltre che il giudice per le indagini preliminari non ha motivato il diniego della richiesta della ricorrente di ulteriori atti d’indagine. La decisione contiene un generico rigetto, indicante che  ulteriori misure non avrebbero "alcuna influenza".

54. Tali considerazioni sono sufficienti alla Corte per concludere che le autorità inquirenti non hanno prestato dovuta attenzione alle accuse della ricorrente relative agli eventi verificatisi all’interno del Comando di Polizia municipale, nonostante il carattere degli atti dedotti, che hanno comportato che gli agenti delle forze dell’ordine usassero la forza e cagionassero lesioni a una persona che si trovava sotto il loro controllo. Per effetto delle carenze individuate sopra non si è in pratica fatta luce su importanti aspetti degli eventi contestati, sulle circostanze relative all'uso della forza da parte della polizia nei confronti della ricorrente e, conseguentemente, sulla necessità dell'uso di tale forza.

55. In ordine all'aspetto sostanziale dell’articolo 3, la Corte non è persuasa del fatto che il Governo abbia fornito una spiegazione soddisfacente e convincente del modo in cui avrebbero potuto essere state cagionate le lesioni riportate dalla ricorrente, vale a dire la frattura del dito. In conclusione non può ritenere che il Governo abbia assolto il suo onere della prova, dimostrando che l'uso della forza era rigorosamente necessario.

56. Ne consegue che vi è stata violazione dell'articolo 3, sia sotto il profilo sostanziale che procedurale.

57. In considerazione di queste ultime conclusioni, la Corte non ritiene necessario svolgere una valutazione separata degli eventi precedenti il tempo trascorso dalla ricorrente all’interno del Comando di polizia, né trattare le altre doglianze della ricorrente relative all'efficacia dell'indagine.

Article III.     II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

58.  L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Danno

59. La ricorrente ha chiesto 50.000 euro (EUR) per il danno patrimoniale, derivante dalla perdita reddituale, e 30.000 euro per il danno morale.

60. Il Governo ha sostenuto che la domanda di risarcimento del danno patrimoniale si basava su una tesi altamente speculativa, secondo la quale vi era un nesso di causalità tra la violazione e la perdita reddituale.

61. In ordine alla domanda della ricorrente relativa al risarcimento della perdita reddituale, la Corte concorda con il Governo che non è stato accertato alcun diretto nesso causale tra la dedotta perdita e la violazione dell'articolo 3 della Convenzione constatata da essa; respinge pertanto tale domanda.

62. D'altronde, deliberando in via equitativa, accorda alla ricorrente EUR 12.000 per il danno non patrimoniale.

B. Spese

63. La ricorrente ha chiesto inoltre EUR 2.660 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni ed EUR 11.400 per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

64. Il Governo ha ritenuto che la pretesa della ricorrente fosse eccessiva.

65. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, la Corte ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 8.000 a copertura di tutte le voci delle spese.

Section 3.01   C.  Interessi moratori

66. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1.  Dichiara il ricorso ricevibile;

 2.  Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione sia in ordine ai suoi aspetti procedurali che in ordine a quelli sostanziali;

 3.  Ritiene

a)  che lo Stato convenuto debba versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:

i)  EUR 12.000 (dodicimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;

ii)  EUR 8.000 (ottomila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese;

b)  che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

 4.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione della ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 12 ottobre 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

    Abel Campos                                                       Linos-Alexandre Sicilianos
      Cancelliere                                                                      Presidente