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La devianza delle forze dell'ordine e la teoria del sospetto

31 dicembre 2009, Raffaele Magni

Studiare i meccanismi di funzionamento interni dei corpi di polizia, il modo di pensare o di osservare la criminalità cambia in relazione al soggetto intervistato e alle influenze che subisce. Ciò non equivale certo ad avere individuato un antidoto a soprusi e violenze, ma permette di riflettere sul fatto che non può esistere, almeno sulla carta, una zona d'ombra esclusa dal diritto e dal controllo democratico. Gli ambienti militari fatti di gerarchia e prontezza nell'esecuzione degli ordini hanno un'intrinseca propensione: comprimere i diritti così da compiere inutili soprusi, che manifestandosi principalmente tra gli stessi appartenenti, rischiano di espandersi anche all'esterno con conseguenze che possiamo ben immaginare.

(originariamente pubblicato su ADIR - L'altro diritto, 2009)

Introduzione

La scelta, non dettata dal caso, di effettuare una ricerca etnografica sulla Polizia nasce dalla voglia un po' sopita negli anni di raccontare un mondo che ancora oggi è sconosciuto ai più.

Svolgere una ricerca sulla Polizia, per chi come me è del settore, presenta vantaggi ma inevitabilmente svantaggi. Del resto avvicinare un poliziotto e domandargli come svolge la sua attività di indagine fatta di pedinamenti, intercettazioni, notizie dagli informatori o quali possano essere i tratti somatici di un inafferrabile rapinatore, non è certo cosa facile. Vuoi perché raccontarsi permette di far conoscere ad altri i propri vizi e virtù, vuoi perché l'intervistatore, in questo caso, sa perfettamente distinguere il vero dal falso.

Ecco che allora la ricerca, risentendo anche di questo fattore, è stata svolta in modo informale senza ricorrere ad interviste canoniche riuscendo così a captare il sapere di polizia attraverso momenti e situazioni più disparate.

Non me ne vogliano i miei colleghi, ma l'emozione che coglie il poliziotto dopo l'intervento per una lite in famiglia o dopo aver colto un ladro sul fatto è stato lo strumento ideale per ottenere quelle informazioni necessarie, e vitali, per raccontare la mia attività, alquanto insolita, di etnografo atipico.

Ascoltare e poi scrivere i sentimenti di chi siede accanto a me sulla Volante, e con me divide gioie e dolori, non è stato così semplice. Del resto il sentimento che mi attanaglia mi ha portato, in certe occasioni, a sentire o intuire ciò che il mio "IO" voleva sentirsi raccontare.

Un resoconto che tiene conto anche di una lunga esperienza in quasi tutte le Regioni d'Italia e di diversi modi di lavorare, frutto delle influenze territoriali e sociali autoctone.

Vero è che quelli che vivono accanto a me, e mi somigliano, non potevano certo indurmi a smarrire il significato di una ricerca nella quale mi sono immerso per uno scopo ben preciso. Ma a loro non voglio imputare nessuna responsabilità perché del resto ogni limite o errore nella ricerca è tutta mia.

Etnografia di un mestiere atipico. Il mestiere del poliziotto
Il mondo delle forze dell'ordine in generale, e della Polizia in particolare, risente di un'inevitabile e atavico problema: la resistenza che dall'alto al basso i suoi appartenenti garantiscono, con un generale immobilismo o una certa segretezza, ai compiti d'istituto e ad un mondo che per molto, troppo tempo, è rimasto racchiuso all'interno delle segrete del Viminale.

La letteratura sulla Polizia attiene esclusivamente alle interrelazioni con i fenomeni devianti e le conseguenze che questi hanno sulla società, così da indicare metodi e risorse che lo Stato mette in campo per soluzioni ai problemi della marginalità.

Statistiche e indagini di prospettiva tengono poi conto di dati che in certe occasioni non hanno un reale ed effettivo "controllo". La ricerca etnografica sul campo avrebbe bisogno di dati che ai più sono inaccessibili. Interrogatori, perquisizioni, retate, azioni più o meno violente vengono trasmessi con i caratteri dell'ufficialità così da far trasparire dati privi di un reale significato umano.

Il rispetto dei principi generali del diritto e delle funzioni della pena, l'esecuzione dei provvedimenti o il loro esercizio lasciano inevitabilmente in disparte il lato umano e personalistico dei fatti.

Lo studio del lavoro della Polizia risente poi di molti fattori endogeni ed esogeni, quali potere politico, opinione pubblica, la formazione professionale, le condizioni di vita sociale e familiare e non ultimo i rapporti sindacali.

Da più parti è ritenuto che gli studi sulla Polizia abbiano il compito di aprire le porte su di un potere apparentemente forte ma oscuro (1) così da conferire un aspetto moderno e democratico ad uno spaccato di società più volte etichettato come servo dei padroni e carnefici degli inermi.

A tal proposito, negli ultimi anni si è sviluppata una filmografia (Distretto di Polizia, Carabinieri, Ris ecc.) in grado di offrire uno spaccato della realtà sulle forze di Polizia così da offrire, anche parzialmente, spunti di riflessione sul mondo delle forze dell'ordine e dei suoi appartenenti.

E' evidente che le informazioni sono qui incanalate per una via certa e sicura così da mostrare al cittadino utente ciò che vuole vedere. Egli non vuole certo assistere ai metodi non tanto zelanti di ricerca delle prove o all'azione violenta tesa alla cattura di un pericoloso ricercato. I sui gusti sono diversi.

Con questo non voglio certo dire che le azioni di polizia necessariamente fermentano in un brodo di violenza e brutalità o che il sospetto è l'unico strumento in grado di legare un fatto di reato al suo presunto autore cucendogli addosso un perfetto vestito di illegalità.

Gli uomini e le donne delle forze dell'ordine dimostrano, e lo hanno dimostrato anche in questa ricerca, un forte senso del dovere e di legalità manifestando, non di rado, una propensione al perdono.

Perché rovinare ancora di più un povero disgraziato o un minorenne che ha fatto una sciocchezza da ragazzi, chi da giovane non è andato un po' troppo fuori dalle righe. La nostra fortuna, forse è stata quella che non c'era un poliziotto o un carabiniere pronto all'azione. (poliziotto delle volanti in servizio presso una città del nord Italia)

Una spiegazione è però doverosa. Una ricerca che cerca di spiegare e capire la devianza delle forze dell'ordine e la teoria del sospetto di queste non è certo cosa facile, tanto che si rendono necessarie alcune premesse metodologiche.

Bisogna infatti cercare di capire quale termine dobbiamo assegnare al concetto devianza. Il significato linguistico di un certo termine può mutare venendo a contatto con situazioni o dati reali, e il significato che si attribuisce a quel termine dipende anche dall'uso che se ne fa.

La soluzione è non certo facile ma è di importanza prioritaria, non solo per questioni accademiche, perché il deviante è adesso colui che essendo strumento esecutivo della legge è egli stesso creatore di devianza, porzione di quel processo di etichettamento di beckeriana memoria.

Ecco allora che l'obbiettivo della ricerca doveva necessariamente passare attraverso alcune tappe ideali che vanno da una forma di devianza determinata, l'eccesso di zelo, fino all'estremo opposto, espressione di una forma di criminalità atipica, quella delle forze dell'ordine.

Diario etnografico

Raccontare devianza e teoria del sospetto attraverso una ricerca sul campo è stato come annotare, in un immaginario diario di bordo, il viaggio verso una meta. Un viaggio anche introspettivo che inevitabilmente ha subito gli scossoni del il mio "IO" interiore quando anch'egli è stato chiamato in causa.

Una meta non ben definita giacché parlare di un mondo sconosciuto ai più è cosa ardua dato che nell'immaginario collettivo il poliziotto è un soggetto poliedrico e questo gli deriva anche, e soprattutto, dall'immagine che i media ne trasmettono.

Il maresciallo Giraldi detto "er monnezza", La squadra, Distretto di Polizia con tutti i suoi componenti hanno la faccia un po' scanzonata dell'italiano medio con tutti i suoi difetti e virtù.

Ma il poliziotto in certe occasioni assume le vesti di chi non vorremmo mai vedere, il corrotto o il violento che in barba alle leggi morali e degli uomini abbandona il suo giuramento di fedeltà alla Repubblica così da perseguire fini personali o amicali dettati dal Dio denaro o per chissà quale altro fine.

Ecco perché si è reso necessario cercare di distinguere la devianza su diversi piani. Questa può derivare da un'effettiva distorsione dei doveri di tutore dell'ordine ovvero può essere causata da un'etichettamento così che il soggetto definito come deviante alla fine di comporterà come tale. Non mancano poi gli effetti endogeni ed esogeni che influenzano l'appartenente alle forze dell'ordine così da spingerlo verso una deriva fatta di giustizia sommaria dettata dal sospetto e dal senso di inefficienza degli apparati che gli gravitano attorno.

Studiare i meccanismi di funzionamento interni dei corpi di polizia, il modo di pensare o di osservare la criminalità cambia in relazione al soggetto intervistato e alle influenze che subisce. Ciò non equivale certo ad avere individuato un antidoto a soprusi e violenze, ma permette di riflettere sul fatto che non può esistere, almeno sulla carta, una zona d'ombra esclusa dal diritto e dal controllo democratico. Gli ambienti militari fatti di gerarchia e prontezza nell'esecuzione degli ordini hanno un'intrinseca propensione: comprimere i diritti così da compiere inutili soprusi, che manifestandosi principalmente tra gli stessi appartenenti, rischiano di espandersi anche all'esterno con conseguenze che possiamo ben immaginare.

La polizia ha conosciuto, nei primi anni '90 (sebbene oggi vi sia un'inversione di tendenza) un importante cambio generazionale. L'immissione di un altissimo numero di giovani poliziotti, per lo più provenienti dal servizio di leva ha determinato un vistoso cambio di rotta.

Ricordiamo che questi sono anni importanti.

E' la generazione che ha visto le macerie del muro di Berlino, la fine della guerra fredda, Mani Pulite, la morte di Borsellino e Falcone per mano della mafia.

Le emozioni sono forti e inevitabilmente agiscono sulle coscienze degli spettatori che, nel caso del poliziotto, non può e non vuole essere inerme. Egli può e crede di poter fare qualcosa per la collettività.

Quando nasci e vivi per molto tempo in certi quartieri devi prendere una decisione o di qua o di là della barricata. O sei sbirro o sei bandito. Io bandito non mi ci vedevo, sono cresciuto in una famiglia modesta ma con valori e principi forti, non potevo tradire quegli insegnamenti. Loro, i miei amici, che giravano con moto e soldi sempre in tasca hanno fatto una fine. Molti sono morti ammazzati altri sono in galera, di altri ancora non so niente. Vedrai che se cerco negli archivi sono latitanti.
(Poliziotto in servizio presso la Questura di Milano)

Il cambio generazionale è dovuto in parte anche dagli eventi negativi che segnano la Polizia. Lo scossone di mani pulite colpisce, ed è inevitabile, ogni settore della pubblica Amministrazione. Distaccamenti di Polizia stradale o comandi della Guardia di Finanza sono travolti dall'onda delle inchieste sul fenomeno della corruzione oramai radicato e stabilizzato tanto da essere valutato come una pretesa legittima e non un fenomeno criminale.

Quando sono arrivato, dopo gli anni di rafferma come ausiliario, ad un piccolo posto di Polizia, da subito ho capito che l'arrivo dei giovani aveva fatto cambiare certe abitudini. I vecchi ci guardavano con sospetto tanto da limitare i controlli di polizia al minimo indispensabile e comunque senza lasciarci spazi all'iniziativa. Capisci che quelli erano dei marpioni con anni e anni passati sulla strada, non volevano certo farsi fregare da qualche pivello pieno di se e del suo sapere. Non ho mai visto fare niente di losco ma certi atteggiamenti sono inequivocabili. (Poliziotto di pattuglia).

L'esperienza muta poi con il mutare della condizioni geografiche, così da modellarsi, in certe occasioni, al modus operandi della criminalità locale. Un poliziotto in servizio per molto tempo in Sicilia.

Non dimenticherò mai la risata del mio collega anziano. Ero da poco in quell'Ufficio e in Polizia. Lui ferma un autocarro, stava messo male male. Dopo aver controllato i documenti mi dice "il camionista vuole sapere se sabato vuoi mangiare una pizza?". Gli dico: "Ma che ne so da qui a sabato cosa faccio". Ancora ho nelle orecchie le sue risate. Come rideva. Ma ciò che mi ha stupito è come si sono salutati.
Saluta gli amici.
Lo sai cosa significa in certi ambienti criminali? Ha un preciso significato. Non si sfugge, quando sei dentro hai siglato un sodalizio e mica te ne vai così quando sei stanco.

Non sempre la deriva verso forme di illegalità da parte delle forze dell'ordine sono causate da un atteggiamento malavitoso, anzi ad onor del vero tali comportamenti sembrano essere relegati a vicende sporadiche o fenomeni isolati.

Il fenomeno della corruzione è stato debellato anche grazie ad un azione sinergica e forte degli Affari Interni e della Magistratura oltre ad un impegno economico di tutti i Governi che si sono succeduti fino ad oggi.

E' sempre stato un problema quello della corruzione. Qualcuno arriva alla Stradale o agli stranieri (oggi Ufficio Immigrazione n.d.r.) e pensa di essere più furbo degli altri, pensa che i poliziotti onesti abbiano la sveglia al collo. Siamo tutti poliziotti e se una volta fai un favore ad un amico, passi. Ma se poi ti vediamo che cambi macchina o ti atteggi, ci viene il sospetto. Io come sindacalista mi rifiuto di tutelare questi soggetti. E quelli che fanno il loro dovere, che rischiano e magari ci muoiono? A quelli che gli dici?. No va bè collè si sono sbagliati. Va bene, può essere, anzi massima tutela ed aiuto. Ma quando li beccano con le mani nella marmellata che fai li difendi. Io li caccerei via a pedate.
(Sindacalista della Polizia).

E' stato interessante osservare come il fenomeno della corruzione (2) abbia sviluppato una forma atipica di controllo ed espulsione endogena delle c.d. mele marce . In tal senso tutti coloro che vengono sottoposti a procedimento penale per reati di questa specie sono da subito etichettati come colpevoli. L'eventuale proscioglimento non cancella il fatto e nella maggior parte dei casi resta sempre il dubbio.

Certo che se questa è giustizia. Arrestano i colleghi dicendo che hanno preso i soldi da questo o quello. Arresti, perquisizioni processi, anni di sospensione senza parlare dello sputtanamento. Poi arrivano e assolvono tutti. Possibile che magistrati e polizia giudiziaria si siano sbagliati ai tempi delle indagini?

Ciò invece non avviene per altre tipologie di reati inerenti gli stupefacenti o rari fatti di sangue. Sembra, infatti, che appartenendo a certi uffici investigativi esista il rischio di essere incriminato per reati di spaccio; incriminazione che provenendo molto spesso da collaboratori di giustizia o soggetti tossicodipendenti non hanno molta presa tra la platea delle forze dell'ordine anche qualora vengano adottate misure limitative della libertà personale nei confronti degli indagati.

Quando ero giù (è riferito alle zone meridionali dell'Italia n.d.r.) non passava momento che un pentito veniva fuori con delle fesserie. Tipo mi hanno dato 10.000 € per fare questo o quello così gli sbirri potevano prendersi la roba per loro. Capisci, storie dell'altro mondo. Il più delle volte il P.M buttava tutto nel cestino e non credeva a questo ricottaro. Giù con i Giudici ci parli, loro sono in trincea come noi. Poi vengo qua e vedo colleghi arrestati perché un balordo li ha denunciati per spaccio. E gli credono pure. Ma dai, roba dell'altro mondo!Per me il collè è collè!

Ascoltare resoconti informali su esperienze e modi di concepire la legalità offre un momento di riflessione importante per chi ascolta. Attraverso i molteplici racconti, che in certi casi sembrano quasi delle confessioni o degli sfoghi, ho potuto appurare che in certi casi la devianza può essere causata da patologie psicologiche sviluppatesi a causa di forti stress emotivi cui sono soggetti le forze dell'ordine.

Ben intenso, un criminale rimane tale e non possono essere invocate giustificazioni psico somatiche di Lombroso memoria.

Il lavoro in Polizia è riconosciuto in letteratura come altamente stressante. L'esposizione a eventi stressanti di tipo acuto o cronico, che possono compromettere il benessere psicosociale e la salute fisica, sono inerenti alle mansioni (scontri violenti, incidenti, disastri) e al contesto di lavoro (clima organizzativo, norme culturali).

L'immagine stereotipata del poliziotto come individuo che svolge un lavoro pericoloso e stressante deve essere rivista tenendo in considerazione quanto questo possa essere soddisfacente e appagante.

Gli aspetti positivi più citati risultano il contatto con i cittadini e il fatto di lavorare fra le persone, la percezione di aiuto e utilità per la società, la cooperazione con i colleghi, la libertà/responsabilità. Se però si combinano fattori come la sicurezza del lavoro con il salario, indennità, e disposizioni di pensionamento, questo pacchetto di fattori compensativi risulta, essere il più attraente.

Molti poliziotti lavorano solo perché devono lavorare, per portare i soldi alla moglie a casa. Noi che veniamo da un'altra generazione il lavoro lo facciamo perché siamo poliziotti non solo nelle sei ore, non puoi lavorare guardando l'orario e pensando a cosa farai domenica. Chi lavora in servizi operativi (squadra mobile N.d.R.) non conosce estate o inverno, notte o giorno. Si parte all'improvviso perché il Buscetta (l'informatore N.d.R.) o qualche telefono ha dato la dritta giusta. Io, per esempio, vengo da due divorzi e una convivenza che sta andando in malora. I miei figli li ho visti grandi e adesso che gli dico? Che suo padre ha fatto tutto questo altrimenti come crescevano sani e sicuri? Ma sai quanti pezzi di merda ci sono in giro? Questi appena molli la presa fanno quello che vogliono, Ti entrano in casa, ti rubano la macchina e magari ti violentano anche le figlie.
(Sovrintendente anziano in servizio presso servizi investigativi)

Ma alla dedizione al lavoro, come strumento di affermazione sociale, quasi una missione da compiere, si sostituiscono, in certi casi, aspetti negativi, come orario di lavoro inadeguato, biasimo pubblico (condanna pubblica della Polizia, stereotipi negativi, sfiducia e disapprovazione dei cittadini nei loro confronti), paga inadeguata, rapporti difficili con gli amministratori, i politici o gli avvocati. Il poliziotto centra il suo lavoro sulla lex e sul conseguente principio di autorità che ne discende, ciò rende la sua identità personale e sociale più complessa e articolata sperimentando anche le amarezze di aver speso energie non proporzionali alle ricompense ottenute in cambio.

Io ci ho sempre creduto e ci credo ancora. Ma vedere rapinatori e spacciatori che beneficiano di ogni garanzia mi manda al manicomio. Lo trovi giusto? Dopo l'ultimo episodio di violenza sessuale mi è venuta voglia di andare in pensione. Pensa lo prendiamo in pochissimo tempo e tutto combacia, è lui al 100% ci mancava poco e lo prendevamo nell'atto di rovinare quella poverina. Hai capito, e gli fanno anche il processo a questo qui. Comandassi io lo metterei in cella e butterei le chiavi.
(Ispettore coordinatore delle volanti di Genova).

Per un lungo periodo, quando ero alla squadra mobile, siamo stati dietro a un tipo che ricettava le sim dei telefoni vendendole ai pusher. Avevamo tante di quelle prove da inchiodarlo, sai quante ne ho sentite in sala intercettazioni. Il P. M voleva fare la grossa operazione. E' ancora lì che ci pensa. E intanto il nostro amico è sempre lì che fa e disfà bello nei suoi vestiti eleganti. Quando lo ribecco in giro lo perquisisco, tanto le ha dietro e se mi dice che sono le sue, la mettiamo che lo abbiamo visto in combutta con un extra. Amico è la tua parola contro la nostra. Noi siamo la Polizia.
(Poliziotto di pattuglia).

Il passaggio di ruolo da artefice della legalità e della sicurezza collettiva a costruttore dell'illegalità e dell'insicurezza ha matrici di questo tipo. Posto che è difficile comprendere se le informazioni raccolte abbiano un fondo di verità è emerso che i fattori negativi e la necessità di porre fine a fenomeni di illegalità hanno condotto alcuni appartenenti alle forze dell'ordine ad un uso distorto della legge.

Vedi in certi casi noi sappiamo chi è lo spacciatore o il rapinatore di turno. Tra informatori e esperienza non ci vuole poi tanto a capire chi è stato o chi gli ha dato man forte. Il problema è un altro. Molto spesso questi qua hanno i migliori avvocati e professionisti e noi dobbiamo stare attenti a come cerchiamo le prove perché poi il giudice non convalida gli atti e siamo a punto e a capo. Ecco perché in certi casi forziamo un po' la mano. Guarda ti assicuro che non sono innocenti e se la cosa non è andata proprio così poco ci manca.

Questi fenomeni di illegalità non sono sempre pacifici tanto che la storia ci ha mostrato alcuni appartenenti alle forze dell'ordine in veste di giustizieri per un torto subito o per riequilibrare o ristabilire la fiducia istituzionale. Un'applicazione pratica, un po' distorta, della teoria di prevenzione-integrazione.

Sai quante volte mi capita di fermare il pezzo grosso, quello che conta e che ha tutto il codice penale sul groppone. Questo lo fermi e sai che non è li per fare asparagi. Qualcosa ha in mente. Lo guardi, lo ascolti e lui si prende gioco di te. Ti viene una rabbia..A volte i toni si accendono e devi stare zitto altrimenti vanno in Ufficio e con i Funzionari di adesso minimo ti arriva un avviso di garanzia. Ma non finisce mica lì. Tanto io sono sempre in giro e qualche volta lo pizzico che non si mette le cinture. Oppure se mi parte il matto vado di notte sotto a casa sua e gli tiro una mattonata sul cofano. Poi vediamo chi ride. Il carrozziere.

La deriva verso l'illegalità è un fenomeno non trascurabile, sebbene minoritario, e si manifesta maggiormente nei fenomeni di violenza che vedono interessate le forze dell'ordine quando sono chiamate a risolvere diverbi anche accesi. Gli agenti di Polizia molto spesso assomigliano ad una sorta di soldati della guerriglia quotidiana che si svolge nelle nostre città, dove i nemici sono spesso difficili da riconoscere e gli attacchi sono inaspettati. Il poliziotto deve tenersi pronto a lottare in ogni momento percependo un continuo senso di pericolo proveniente da un nemico sconosciuto. Mentre il soldato si trovava in guerra per un periodo breve, il poliziotto alterna la violenza della strada (es. sparatorie, vedendo morti e trattando con bambini abusati) alla normalità quotidiana della vita civile.

In questa «battaglia civile» non mancano certo le aggressioni a danno dei poliziotti che avvengono durante arresti, imprigionamenti o facendo la scorta a soggetti a rischio. Questo stato di pericolo quotidiano instaura una soglia di attenzione molto alta e sensibile così che la forza fisica e morale ha inevitabilmente il sopravvento.

Tutte le volte che vado allo stadio mi domando quante pietre mi tireranno addosso. Negli ultimi anni ad ogni manifestazione c'è sempre il contatto con qualche facinoroso che crede di risolvere i problemi sociali tirandoci addosso di tutto. Anche l'urina. Non capiscono che siamo lavoratori anche noi e adempiamo ad un dovere del nostro ufficio. Siamo padri, mariti e viviamo nel contesto di tutti i giorni. Lo vedi quel muratore che sta faticando? Come pensi reagirebbe se adesso un passante, senza motivo, gli sputasse addosso?
(Sottoufficiale reparto mobile).

Lo chiamano ordine pubblico. La maggior parte delle volte finisce in casino perché al dirigente del Servizio non gli danno retta. Ognuno ci vuol mettere il becco, oppure sono troppo ancorati alla scrivania da capire cos'è la strada, la folla, il delirio che rapisce le menti di chi si trova in un contesto che non è il proprio. E' una vita che combatto sulla strada e con le manifestazioni più o meno violente. Gli anni 70....quelli erano tempi duri. Non passava giorno senza una carica. Botte da orbi. Era diventata quasi una battaglia tra gang, una cosa personale. Noi non rappresentavamo più lo Stato o l'ordine costituito, ma il collega all'ospedale con la testa rotta o peggio. Quelli volevano la nostra pelle. Sai come si dice? Meglio un brutto processo che un bel funerale.
(Sovrintendente in pensione)

Questo continuo filo rosso di violenza scatena e genera altra violenza tanto che la storia recente ci ha mostrato una degenerazione, seppur limitata, che ha condotto a fatti così gravi da aver segnato la vita di tutti noi.

Evitando che il lettore si perda un po' in un andirivieni di racconti e resoconti, ho pensato fosse importante citare due casi storici, con tutti i limiti che una ricerca etnografica comporta, di devianza delle forze dell'ordine.

La vicinanza temporale dei fatti del G8 di Genova e la Banda della uno bianca esprimono due forme di manifestazione criminale istituzionalizzato così da far sentire il macigno che sulla coscienza collettiva ha lasciato un modo di concepire la legalità e l'ordine totalmente avulsi dalla realtà e dai principi del diritto.

I fantasmi del passato, che albergano in noi e ci espongono alle critiche o ai dubbi sul da farsi, sono frutto di questo passato. Da qui dobbiamo allora ripartire iniettando nel contesto delle forze dell'ordine il senso del diritto e il rispetto delle regole, che non debbono essere lo strumento di affermazione logico-giuridica della volontà legislativa, una logica cioè di rigorosa e geometrica corrispondenza tra violazione e pena, perché così facendo si corre il rischio di lasciare in disparte il ruolo della persona fisica del colpevole tanto da renderla una quantité négligeable. (3)

Genova 2001. Il G8
Migliaia di immagini fotografiche, centinaia di videoriprese amatoriali e professionistiche, pagine di atti giudiziari, documenti pubblici, reportage e articoli dei media, hanno scandito gli amari e scellerati atti di quel maledetto luglio. E da tutto quello che è successo sembra restare senza risposta l'interrogativo su quale significato attribuire a tali fatti.

Con l'impossibilità evidente di ricostruire gli eventi e tutto quello che avvenne prima, durante e dopo quei giorni, così da cercare di capire i comportamenti delle forze di polizia, questa indagine etnografica si è sviluppata grazie ad una rete di rapporti amicali e professionali. Partendo da semplici domande è emersa una realtà in certi casi agghiacciante ma doverosa di resoconto.

Analizzare il pensiero di chi è stato attore di quei giorni oppure ha solo partecipato indirettamente al misfatto, è stata impresa ardua; vuoi per una resistenza determinata dal processo penale in essere, vuoi per un senso di vergogna.

Violenze non dissimili da analoghe violenze del passato oppure è stato un capitolo nero e perciò solo da dimenticare scartando, del caso, le mele marce?

Il clima politico istituzionale, i resoconti dei partecipanti e quelli informali delle forze dell'ordine, fanno emergere che la polizia è stata chiamata a confrontarsi contro una popolazione nemica cui era impossibile riconoscere le garanzie giuridiche previste dallo Stato di diritto democratico. Il retaggio degli episodi che si rincorrono prima del grande evento ne sono un po' la matrice.

I fatti di Napoli sono considerati da molti osservatori un vero e proprio prologo dell'evento genovese, sia per la modalità dell'intervento assai violento delle forze di polizia, sia per l'improvvisazione di una sorta di carcere speciale del tutto illegittimo.

Molti mesi prima dell'evento non facevamo altro che andare a Roma e qui in un oceanico numero di colleghi ci esercitavamo a quello che era già nell'aria essere un campo di battaglia. La pressione è stata enorme. Abbiamo ripetuto fino alla nausea le modalità di intervento o l'uso delle attrezzature di difesa così da essere pronti ad ogni intervento. E' stato massacrante. Normalmente quando si va in trasferta, tutto il contesto è basato sulla goliardia, sembra quasi di tornare alle gite del liceo con canti e racconti di vita professionale. Un approccio del genere aiuta a rendere meno pesante le lunghe trasferte o i turni che ci impongono. Il viaggio per Roma era tutt'altra cosa. Il clima che si respirava anche dentro i mezzi di trasporto non faceva sperare per il meglio. Eppure consisteva solo in una trasferta per l'aggiornamento professionale ma tutti noi avevamo il presentimento di cosa poi è successo.

Ciò che emerge con vigore è il fatto che, con analisi obbiettiva dei fatti, le forze, i mezzi e tutto il dispositivo dispiegati a Genova erano più che sufficienti a un controllo minuzioso del territorio, della città e dei dintorni così da garantire interventi tempestivi ovunque.

Chi ha esperienza di ordine pubblico sa bene che nella piazza valgono poche ma essenziali regole. Informazioni chiare e precise che devono provenire da uno solo, quello che comanda e che ha il quadro della situazione. Gli uomini hanno bisogno di ordinativi precisi ed immediati, in questo modo i danni sono sempre limitati e le cariche servono solo per alleggerire la situazione. Se sei costretto a caricare per ore ed ore, oppure non riesci a disperdere i facinorosi vuol dire che qualcosa non funziona. Non è possibile che un gruppo di scemi con le tute nere mettano sotto scacco le istituzioni e possano distruggere una città in modo indisturbato.
(Sottoufficiale Reparto mobile)

Il reparto in ordine pubblico è sotto la direzione di un funzionario di Questura, come prescrive la 121 (4), ma non sempre trovi gente capace. A volte ti affibbiano un funzionario pivello che non ha esperienza oppure fa un lavoro burocratico come gli stranieri o il personale. Il fatto che la maggior parte dei poliziotti al reparto abbiano poca esperienza non è invece un grosso problema e non spaventa mai il capo squadra. Lui ha nel suo gruppo un paio di elementi con molta esperienza che sanno guidare a modo i giovani poliziotti e prima di dare una manganellata ai dimostranti la danno ai colleghi giovani se fanno gli scemi. Devi capire che lo scopo è quello di fare meno danni possibili ed evitare sempre il contatto. Stai tranquillo che io non mando in mezzo al casino i mie colleghi perché la Digos vuole beccare qualcuno e denunciarlo. Se lo vogliono se lo pigliano oppure si guardano i filmati e le foto.
(Sovrintendente reparto mobile)

Tutto ciò non fa altro che aumentare i dubbi sul perché della violenza e delle torture perpetrate nella caserma Bolzaneto e la mattanza alla Diaz. L'interpretazione data dai vertici delle forze di polizia di dover imputare la responsabilità di tutto ciò alle intemperanze di operatori esasperati dallo stress, dalle minacce e dagli attacchi da parte dei manifestanti, oltre che dal mancato coordinamento durante lo svolgimento delle operazioni è riduttivo e fuorviante.

Interviste e resoconti (5) mostrano come gli attacchi da parte delle polizie cominciarono "a freddo" in assenza di legittimità e necessità. Così facendo la Polizia, da strumento di mediazione e con lo scopo di pace sul campo, si è trasformata in bieco autoritarismo e forza distruttrice dei diritti.

Episodi della più vigliacca brutalità nei confronti di vecchi e minorenni, il blitz alla Diaz, le sevizie e le violenze a Bolzaneto decise "a freddo" o costruite in modo maldestro come montatura per giustificare perquisizioni ed arresti (6), hanno calato un velo d'ombra sulle istituzioni tutte e maggiormente su chi al tempo aveva responsabilità di comando e di governo.

Governo che, mancando di autorità ed affetto da smanie di protagonismo e di egemonia, ha fatto passare l'input di dare una "durissima lezione ai no global e rossi" nella sicurezza di poter contare su una totale copertura politica. Una colossale operazione di polizia come quella descritta e montata ad arte prima degli scontri fa pensare ad un esperimento di low intensity war in versione metropolitana, una guerra a bassa intensità sulla scena urbana utilizzando forze militari e di polizia con modalità e comportamenti che escludono la negoziazione pacifica.

E' stato qualcosa di surreale ed inumano prima di tutto verso coloro che lo Stato lo servono e credono nei valori della Costituzione. Imbrigliati in tute pesantissime e in un armatura che ti spaccava le ossa, senza acqua o generi di conforto per ore ed ore. Il caldo era terrificante e dentro ai caschi con le maschere sempre addosso andavamo nei matti. Il fuggi fuggi generale, gli scontri, i lacrimogeni lanciati in continuità e tutta quella gente terrorizzata ti faceva perdere il senso della realtà. Non dimenticherò mai gli occhi di una ragazza, avrà avuto 14/15 anni, gli si leggeva la paura. Sembrava provenire da un viaggio di morte. E poi il sangue e la gente che veniva portata via con l'ambulanza. Non voglio credere che alcuni miei colleghi avessero deliberatamente picchiato i manifestanti, non lo posso credere. Io ne ho viste tante di manifestazioni ma quella non poteva essere chiamata così. Era un gioco al massacro, uno scontro senza confini; ho avuto paura di lasciarci la pelle.
(Funzionario di polizia)

Quale lezione trarre da tutto ciò? Quale idea delle forze di Polizia?

Tralasciando ogni commento sull'omicidio Giuliani, nel rispetto delle considerazioni e delle analisi che l'autorità giudicante ha dedotto (sebbene le vicende successive riguardanti l'imputato Placanica sono assai torbide), i risultati dei processi, le sentenze e tutto il background che gli è proprio appaiono non commisurate da giustizia e proporzionalità. Non solo per gli esecutori materiali delle torture e degli atti di violenza ma anche e soprattutto per coloro che ebbero una responsabilità morale dei fatti e per i quali si è trovato giusto adottare una soluzione pilatesca innovatrice; la promozione a più alti incarichi. A Genova non c'erano solo fanatici assetati di massacrare i rossi, c'erano anche dei moderati e persino qualche democratico. L'uccisione di un ragazzo è forse causa di un azione forse un po' troppo decisa, espressione di un modo di fare e pensare sbagliato.

Dopo quell'esperienza non sapevo più cosa volevo. La polizia mi piaceva fin da bambino e una volta dentro ho acquisito la consapevolezza dell'importanza del mio lavoro. Stare lontano da casa e vivere in una comunità com'è la caserma crea dei legami importanti. Nei giorni seguenti a Bolzaneto si respirava una strana aria. Nessuno si avvicinava alle camere di reclusione, era vietato perché stavano indagando nei confronti della penitenziaria. Sembrava di essere sopravvissuti alle Twin Tower, il ground zero era dentro di noi, le macerie erano nella mia testa. Per molto tempo ho riflettuto se andarmene via dalla Polizia. Mi domando ancora quale immagine abbia la gente di noi.

La banda della Uno bianca. Quando violenza e sangue sono generati dai tutori dell'ordine
La banda della Uno bianca rappresenta uno spaccato della società Italiana che ha messo a dura prova la credibilità della Polizia nel capoluogo Emiliano per molto tempo. Identificare l'uomo cattivo, quello che uccide per poche lire e punisce soggetti marginali nel Poliziotto della tua città è qualcosa di sconvolgente.

Una vicenda criminale che conclusasi nel 1994 con l'arresto di un gruppo di poliziotti in servizio tra Bologna, Cesena e Rimini è stata archiviata giudizialmente come la storiaccia di un manipolo di rapinatori assassini, ma che nasconde una verità diversa e molto più crudele fatta di "azioni punitive"; espressione queste di una reale devianza.

Teorie più o meno accreditate hanno sollevato dubbi circa la soluzione processuale in una banda di assassini vedendo invece dietro ai fratelli Savi una rete di attività istituzionalizzate volte alla risoluzione dei conflitti in modo anomalo, nel senso di una serie di esecutori che, in un piano allargato e legato al Patto atlantico, fosse in grado di intervenire sul campo allorquando le esigenze lo ritenessero opportuno. Le eventuali perdite o deviazioni erano un rischio eventuale che si poteva correre.

Il numero di armi e munizionamento che ritrovammo dopo la perquisizione era illogico. Qualcosa ci sfuggiva; perché anche se sei poliziotto e hai amici tra le armerie è difficile avere un arsenale di quel tipo. Bisogna poi considerare tutte le armi che non furono trovate perché nascoste in luoghi segreti e da utilizzare in caso estremo o nel caso i bunker principali fossero stati scoperti, come poi è avvenuto. Se a tutto ciò aggiungi poi l'essere stati "coperti" per tutti quegli anni. Solo in certi casi non si giunge alla scoperta dei colpevoli. Se dietro ci sono forze deviate o poteri distorti
(Appartenente al gruppo di indagine sulla Uno bianca)

Molto si è scritto e molto si è detto su uno scorcio di realtà che ha lasciato profonda amarezza e gettato fango sulle istituzioni, ma molto poco si sa del perché di tutto questo. Qual è stato il vero motore che ha spinto un manipolo di uomini a sottomettere le istituzioni e portare paura e terrore nelle città della Romagna?

La contrapposizione tra l'abnegazione alla divisa, lo stoicismo del gruppo di investigatori in grado di fermare la follia omicida e l'infedeltà lascia il ricercatore e tutti coloro che si sono interessati alla vicenda in uno stato di incertezza e di sbandamento.

Inevitabilmente si pongono alcuni interrogativi. Si tratta di un fenomeno isolato oppure esistono cellule dormienti, di appartenenti alle forze dell'ordine, propense a emulare tali gesti?

L'esiguo bottino delle rapine deve far pensare ad una sorta di Rambo il cui unico scopo è quello di epurare la società da "negri, zingari, e tossicodipendenti"?

L'esiguità dei dati raccolti, non solo in questa ricerca ma anche dalle notizie che l'autorità inquirente ha ottenuto in sede dibattimentale, non svela e non risolve i quesiti.

Ma i dati sono incontrovertibili e se analizzati senza i crampi mentali di chi non ha saputo o voluto osservare il fenomeno durante i misfatti, le domande hanno chiare e incontrovertibili risposte.

E io che ci ho fatto pattuglia assieme. Mi vengono i brividi. Certo, atteggiamenti verso certi balordi ci sono sempre stati. Tagliare a zero i capelli o portarli in montagna e lasciarli lì senza scarpe al buio, è sempre stata una forma di giustizia privata. Quando tutti i giorni hai a che fare con i soliti che non la smettono mai di fare casino alla fine non ne puoi più. Allora gli fai capire che con noi non si scherza e c'è poco da fare gli scemi. Ma arrivare a uccidere per eliminare fisicamente il problema è qualcosa di inconcepibile, che non ha senso. Hanno ucciso tre carabinieri, erano dei ragazzi che come me erano a fare il loro lavoro.

Le relazioni tra forze dell'ordine e la criminalità straniera

Una ricerca sulle cause e i motivi della devianza delle forze dell'ordine risulterebbe incompleta senza un cenno ad un fenomeno, del tutto nuovo, figlio dei tempi e delle evoluzioni della società.

Il mondo rimpicciolisce sempre di più con la conseguenza che le barriere fisiche e mentali cedono davanti alla realtà e davanti all'immigrazione, che è poi uno dei motivi che inevitabilmente aziona la querelle sulla devianza delle forze di polizia.

Il nostro paese ha inizialmente reagito, nei confronti dell'immigrazione, con una preoccupante indifferenza per poi rovesciare, sul popolo dei migranti, un sentimento ancora più pericoloso; l'ostilità discriminatrice, così da erigere una barriera quasi invalicabile tra noi e loro.

Gli scossoni politici ed economici che hanno investito, ed investono con regolare quotidianità (7), taluni continenti hanno generato un vero e proprio fenomeno migratorio. L'Italia, anche per la sua particolare posizione geografica, è stata contrassegnata da un'autentica e drammatica epopea dell'immigrazione cosicché il rovesciamento di ruolo e il divenire speranza per i popoli del sud della terra ha delineato una mutazione genetica, antropologica ma anche culturale ed economica.

L'invasione barbarica da parte di Loro, e che la moltitudine degli italiani ha percepito come attacco alla propria incolumità, ha spinto, senza distinzione di sorta, ad una rivisitazione della legislazione sugli stranieri da parte dell'imprenditore morale (8).

Si osservi brevemente come l'attuale legislazione sugli stranieri consti di un numero di modifiche ed integrazioni che molto spesso non fanno altro che complicare la vita agli operatori del diritto. Il clamore di un fatto delittuoso, commesso o imputato ad un cittadino extracomunitario ha spesso indotto il legislatore ad individuare nuove fattispecie di reato ovvero ad un innalzamento delle pene così da cementare la funzione di prevenzione generale nelle coscienza dei consociati.

In questo contesto, fatto di fenomeni criminali che si acutizzano, e di imprenditori morali che non vogliono rimanere disoccupati, si inseriscono inevitabilmente le forze dell'ordine con un'azione di contrasto direttamente proporzionata all'impatto mediatico del fatto di reato.

I poliziotti, dal canto loro, hanno l'indubbia preoccupazione di far rispettare la legge perché il loro dovere non è quello di interessarsi dello scopo o della finalità della legge, ma il rispetto assoluto di quest'ultima così che, in modo acritico, una legge verrà disapplicata o saranno impiegate il massimo delle forze per renderla effettiva, in ragione dello stato d'animo della collettività o dei fatti di cronaca.

I funzionari di polizia, avendo un'indubbia visione pessimistica della realtà, derivante dall'esperienza quotidiana di vicinanza con i criminali e di analisi dei reati commessi, sono indotti ad una selezione dei crimini da perseguire stabilendo priorità e urgenze dando dimostrazione, in tal senso, di una capacità professionale.

Una capacità professionale che molto spesso è influenzata delle statistiche quasi come se queste fossero lo strumento più idoneo per veicolare la carriera della Dirigenza.

Statistiche e presentazioni in power point sono diventati un appendice sempre più importante delle indagini. Inevitabilmente la conclusione di un'importante indagine deve essere accompagnata da statistiche sul numero degli arrestati o i pedinamenti effettuati, senza dimenticare l'importanza di un'ottima presentazione del risultato finale. Sembra di lavorare per un agenzia di marketing più che in un settore investigativo.
Ispettore squadra investigativa.

Ad un occhio attento non sfuggirà, allora, come le statistiche abbiano conosciuto, negli ultimi decenni, un incremento esponenziale dei crimini commessi da cittadini extracomunitari.

Tutto ciò, se condito con l'enfasi di un giornalismo un po' troppo partigiano, conduce inevitabilmente ad una associazione di idee dell'uomo comune, l'uomo della strada, siffatta.

La maggior parte dei reati sono commessi dagli stranieri, nella stragrande maggioranza sono clandestini, i clandestini sono fuorilegge e quindi lo straniero delinque così da essere pericoloso. Una conseguenza logica che ricorda il romanzo di Joseph Heller comma 22 (9).

Questo stato di pericolo percepito dalla popolazione aziona inevitabilmente l'azione delle forze di Polizia che hanno, in questo modo, una possibilità in più di valorizzare il proprio lavoro agli occhi della collettività.

L'introduzione, con la Bossi- Fini, (T.U. sugli stranieri n.d.r.) dell'arresto in flagranza dello straniero che non ottempera all'ordine del Questore ha scatenato, nel primo periodo, una sorta di caccia al clandestino. Incrementare il numero degli arresti e fare piazza pulita degli stranieri che stanno qui senza un reale beneficio per la società era di grande stimolo per tutti. Ben presto però tutti si sono accorti che questo arresto non produceva niente, tanto che questa zazzamaglia non veniva mai espulsa e per noi era solo un carico di carte e di lavoro burocratico in più senza che la società ne avesse un reale beneficio.

Le forze dell'ordine hanno, com'è inevitabile, il contatto con una moltitudine di forme criminali così che il fattore territorio diviene fondamentale. Non si può infatti negare come l'approccio con la criminalità risenta di questo aspetto tanto che il metodo repressivo e di indagine muti con il mutare della provenienza territoriale del criminale.

E in tal senso è importante notare come il cittadino straniero assuma, molto spesso, per le forze dell'ordine, lo status di non persona tanto che questo viene trattato al pari di anello di una catena fatta di burocrazia.

Esempi sono osservabili nei primi contatti con i cittadini stranieri che si materializzano in particolare durante il recupero o lo stazionamento nei centri di permanenza temporanea dove il funzionario si rivolge sempre e comunque con un informale "tu" rispetto al più professionale "Lei".

Tutto ciò è certamente marginale e potrebbe trovare una giustificazione nel tentativo di individuare un metodo rapido ed efficace di comunicazione in una Babele di lingue e dialetti.

Ma per chi ha buona memoria, o ha pazienza di rinverdire la propria cultura cinematografica, può facilmente notare come, nella Barbagia dei primi anni del secolo scorso, i pattuglioni di Carabinieri, intenti a debellare il banditismo sardo, si rivolgessero ai pastori con poco rispetto ricorrendo sempre al pronome personale "tu" forse per annullare qualsiasi forma di resistenza da parte dei locali.

Tralasciando l'aspetto prettamente antropologico è tuttavia interessante notare come l'impatto con le nuove forme di criminalità straniera denoti una certa difficoltà di approccio da parte delle forze dell'ordine. Credenze popolari o un'assenza di approfondimento nello studio di nuove forme di criminalità portano spesso le forze dell'ordine a catalogare, o classificare, taluni reati come realizzati da una certa etnia e non da un'altra.

I primi senegalesi che sono arrivati sono stati accolti dalla cittadinanza abbastanza bene tanto che davano un tocco di folclore alla Piazza (Piazza dei Miracoli di Pisa n.d.r). Anche oggi che hanno invaso tutta la città di griffe false non danno poi tanta noia. Non ti nego che vendere marchi falsi è un reato ma alla fine che male fanno. Mica sfruttano la prostituzione o spacciano stupefacenti!

Questo tipo di approccio denota come le forze dell'ordine si sono trovate impreparate, anche culturalmente, ad una criminalità nuova non tanto per i delitti commessi quanto per i soggetti che li commettono.

Passare dai camorristi agli Albanesi o dalla 'Ndrangheta alla malavita slava necessita di un background culturale che oggi le forze dell'ordine stentano ad avere, salvo una parte ristretta di poliziotti per lo più impiegati in settori investigativi e che non si fermano alle apparenze.

Fin da quando ero una giovane guardia (la guardia era l'odierna qualifica di Agente prima della riforma della Polizia di Stato n.d.r.) ho avuto la fortuna di stare in reparti investigativi. Com'è cambiata la società! La prostituzione era cosa diversa da quello che oggi vedi per la strada. Le donne potevano avere il pappa (il protettore n.d.r.) ma questi era lì solo per proteggerle dai balordi o da chi voleva fare il furbo. Certo aveva il suo bel tornaconto, non faceva certo beneficenza, ma non era come questi bastardi di Albanesi che le rapiscono e le mettono su strada a suon di botte. Molto tempo fa, in una grossa indagine sulla prostituzione che ha interessato molte città d'Italia ho personalmente interrogato una ragazza Albanese che aveva assistito, ed anche subito, il rituale di iniziazione. Dopo averle stuprate a turno questi animali pensano bene di seviziale fisicamente, con mozziconi di sigarette, e psicologicamente minacciando di uccidergli tutta la famiglia. Non solo, quando lo sgarro da parte di queste poverine è grosso e magari hanno cercato di contattare la Polizia, la vendetta è terribile e per impartire una lezione alle altre pensano bene di fargli vedere tutto in diretta. Il resoconto della ragazza mi ha pietrificato, pensare che un essere umano possa violentare, e bruciare viva una ragazza mi ha fatto sentire come inutile. Gli siamo stati dietro un po' ma il protettore lo abbiamo trovato, il 25 di dicembre, e una piccola vendetta personale me la sono presa, non tanto per me, ma per quell'angelo che sta su in cielo.

Il fatto di appartenere ad una certa etnia o la provenienza da un una certa zona del mondo conduce quindi ad un modo superficiale di etichettamento che, se in certe occasioni non produce conseguenze dannose, in altre porta all'immediata incriminazione dello straniero.

L'esempio più calzante, e ricorrente, è con riferimento ai reati di spaccio. In tal senso le statistiche denotano un'altissima incriminazione degli stranieri (soprattutto quelli provenienti dal Nord Africa) per reati di spaccio per quantità modiche, quantità che leggendo le statistiche degli Uffici territoriali del Governo, circa i soggetti sottoposti a procedimento amministrativo per assunzione di sostanze stupefacenti, sono pressoché coincidenti.

Tralasciando in questa sede l'analisi del reato e delle sue forme di manifestazioni emerge dalla ricerca come l'applicazioni di determinati istituti giuridici muti con il mutare dei soggetti destinatari la misura.

La pericolosità del soggetto o la gravità del fatto sono spesso ancorati al fatto che lo straniero, per la sua stessa condizione di clandestino, è portatore di criminalità e di insicurezza collettiva, oggi più che mai (10), così che la detenzione di una modica quantità di sostanza stupefacente induce a ritenere il soggetto non come assuntore ma come spacciatore. Si crea quindi il c.d. effetto tunnel tanto che ogni elemento raccolto viene letto come circostanza aggravante del fatto, intendendo questa in senso atecnico.

E' chiaro che se trovi uno straniero irregolare con qualche pezzo da 20 euro e magari hai la fortuna di trovargli una pallina di roba il gioco è fatto. Entrambe sono circostanze che inducono a ritenerlo uno spacciatore e non certo un consumatore anche perché mi devi spiegare dove ha trovato i soldi visto che è arrivato qui con il gommone e non ha né arte né parte.
Addetto all'Ufficio Immigrazione.

La specializzazione etnica dei crimini, con sicura individuazione dei colpevoli, più come provenienza geografica che per individuazione soggettiva, ha condotto molto spesso le forze dell'ordine a vanificare mesi di indagini per aver percorso una cosiddetta pista investigativa, poi rivelatasi errata.

Il fenomeno delle rapine in villa, settore criminale di proprietà della malavita slava e dell'Est (11), ha mostrato, in certe occasioni, l'interessamento da parte di altri gruppi criminali oppure sono servite per celare o coprire moventi di altro tipo (12).

Scendendo di intensità, si assiste sempre più a pattuglioni o raid, da parte delle forze dell'ordine, in casolari abbandonati così da individuare stranieri clandestini o stranieri nell'atto di confezionare sostanze stupefacenti.

Marocchini o tunisini hanno in mano il piccolo spaccio così da aver conquistato, anche a colpi di coltello, il mercato degli stupefacenti. Se vedi un tunsi (13) che fa il vago, stai tranquillo che qualcosa sta per fare o ha già fatto. Molti di loro dicono di fare muratori o lavori di fatica mostrando le mani callose e le dita consumate. Lo sai perché hanno le dita consumate? A forza di girare la stagnola per fare le palline (le micro dosi di eroina cocaina sono contenute in involucri di plastica e stagnola n.d.r) si consumano le dita.

Lo studio della devianza delle forze dell'ordine quando attiene al fenomeno dell'immigrazione ha dimostrato caratteristiche e peculiarità difficilmente riscontrabili con altre forme criminali.

Dal primo contatto nei centri di permanenza temporanea, che necessiterebbero una ricerca tutta propria, fino alla consegna del documento di soggiorno, il cittadino straniero è davanti ad un calvario che lo identifica sempre più spesso come una non persona (14).

Passare da uno stato di clandestinità e di illegalità, ad una situazione di apparente legalità attraverso il tanto agognato permesso di soggiorno, non muta nella sostanza la condizione dello straniero. Egli cambia il proprio status giuridico ma in ogni momento la situazione potrebbe modificarsi così da ricondurlo nel calvario della clandestinità.

La perdita del lavoro, che in situazioni economiche come le attuali è un rischio continuo, e l'impossibilità di garantire il proprio sostentamento, induce l'apparato amministrativo ad una sicura e certa espulsione.

Se ci fermiamo a riflettere tutto ciò è allarmante generando insicurezze e poca fiducia verso il futuro per lo straniero. Trovarsi perennemente in uno stato di non persona perché imbrigliati in una nazionalità e non in un'altra dovrebbe condurre tutti noi ad una riflessione e ad interrogarci su di una politica di criminalizzazione degli stranieri. Essere schiavo di una nazionalità per coloro che vivono accanto a noi, parlano la nostra lingua e magari dividono con noi la gioia del primo giorno di scuola dei figli dovrebbe allarmarci perché le norme non cadono dal cielo e non si materializzano a noi come la manna per Mosè, ma scaturiscono dalla realtà quotidiana della società in cui viviamo.

 

(originariamente pubblicato su ADIR - L'altro diritto, 2009)

Bibliografia
A. Dal Lago, R. De Biasi, Un certo sguardo. Introduzione all'etnografia sociale, Laterza, 2006
A. Dal Lago, E. Quadrelli, La città e le ombre, Crimini, criminali, cittadini, Feltrinelli, 2003
D. Matza, Come si diventa devianti, Il Mulino, 1982
S. Palidda, Polizia Postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, 2000

(originariamente pubblicato su ADIR - L'altro diritto, 2009)


Note
1. A. Dal Lago, R. De Biasi, Un certo sguardo. Introduzione all'etnografia sociale, Laterza, Milano 2006 p. 221.

2. Il termine corruzione è qui inteso in senso atecnico ricomprendendo tutte le fattispecie contenute nel titolo II "Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione" i c.d. reati propri non esclusivi ove la qualità personale del soggetto attivo modifica il disvalore di un fatto già costituente reato.

3. F. Palazzo, Corso di diritto Penale. Parte generale, Giappichelli, Torino 2008 pag. 21 e ss.

4. L.121/82 è la legge di smilitarizzazione della Polizia di Stato.

5. Sul punto interessante è il resoconto di Alessandro Pillotto, poliziotto in servizio presso il VI Reparto Mobile di Genova che nel luglio 2001 era in Piazza assistendo ad una profezia che si era auto avverata Marcello Zinola, Ripensare la polizia, Fratelli Frilli Editori.

6. Tutto ciò emerge con vigore dagli atti giudiziari dei processi da poco conclusi e dalle richieste di condanna del P.M della città ligure.

7. Stati Africani e Sudamericani conosco da sempre una naturale propensione ad essere governati da dittatori.

8. Becker, H.S., Outsiders: studies in the sociology of deviance, 1973, tr.it. Gruppo Abele, 1987 Saggi di sociologia della devianza.

9. A. Dal Lago, Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, pp 49 ss.

10. Legge 15 Luglio 2009 nr. 94 c.d. Pacchetto sicurezza che introduce l'art 10 bis ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato.

11. Con il termine Est si fa riferimento ad una criminalità ex URSS o della Ex Jugoslavia con soggetti per lo più ex appartenti a corpi militari o di Polizia. Importanti indagini hanno permesso di individuare gli autori di questi crimini grazie al modus operandi tipico di corpi militari addestrati.

12. Qualche tempo fa fece scalpore l'omicidio di marito e moglie entrambi Avvocati, non tanto per la sottrazione dei valori o del denaro custodito in una villa quanto per le violenze e lo scempio sui cadaveri. Un primo filone di indagini, che ha portato al fermo di una banda di rom, si è poi rivelata infondata tanto che solo un fatto del tutto accidentale ha portato alla scoperta del reale autore. Un italiano assistito dai coniugi e di questi non soddisfatto per il risultato processuale (M. Spezi, Inviato dal Carcere).

13. Il Tunsi è per le forze dell'ordine un modo per chiamare tutti coloro che provengono dal Magrheb. Molto spesso vengono poi chiamati anche con altri soprannomi esotici che in qualche modo richiamano i paesi di origine. Cammelli, camosci, bonghi sono solo un brevissimo elenco di modi e tecniche per etichettare la criminalità straniera.

14. Sul punto A. Dal Lago, Non persone, cit.