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Lanciare oggetti dal cavalcavia è quantomeno tentato omicidio (Cass. 1710/25)

14 gennaio 2025, Cassazione penale

Costituisce tentativo di omicidio il lancio di un oggetto dall'alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale:  seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, la condotta è idonea a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell'agente.

 

Corte di Cassaizone 

sez. I penale, ud. 26 settembre 2024 (dep. 14 gennaio 2025), n. 1710

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello Sezioni Minorenni di Bari, in riforma di quella emessa, in data 3 giugno 2021 dal Tribunale per i minorenni della stessa città, ha dichiarato M.F. responsabile del tentato omicidio di R.L., contro la cui autovettura scagliava una bottiglia in vetro da un cavalcavia situato sulla SS 16bis e l'ha condannato a pena di giustizia.

1.1. Secondo la conforme ricostruzione in fatto svolta dai Giudici di merito, non avversata dal ricorrente, il 20 agosto 2017, R.L. chiedeva l'intervento delle forze dell'ordine presso il cavalcavia situato al km (OMISSIS) della statale 16bis e riferiva che, trovandosi alla guida della sua autovettura mentre stava percorrendo la corsia di sorpasso, aveva notato la presenza su detto cavalcavia di un ragazzo che, pochi istanti dopo, aveva lanciato una bottiglia contro la sua auto, proprio mentre egli stava avvicinandosi al ridetto cavalcavia.

Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che la condotta fosse sussumibile nell'alveo del reato di violenza privata, richiamando un arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui «Integra il delitto di violenza privata il lancio sulla sede stradale di sassi di notevoli dimensioni, perché costringe gli automobilisti in transito a brusche frenate o a sterzate improvvise» (Sez. 5, Sentenza n. 20749 del 13/04/2010, Arienzo, Rv. 247592). Per tale via aveva escluso l'elemento psicologico del dolo diretto di' omicidio «in considerazione del fatto che R.L. era riuscito a evitare con una semplice sterzata l'impatto con la bottiglia lanciata contro la sua auto e che la condotta posta in essere dal reo, anche apprezzata ex ante, non appariva di particolare gravità (si è trattato del lancio di una bottiglia di birra piccola e vuota)».

Riteneva, infine, non pertinenti gli arresti della giurisprudenza di legittimità inerenti al lancio di oggetti da un cavalcavia, a suo avviso riguardanti la diversa ipotesi di lancio di oggetti di notevoli dimensioni, mentre nel caso oggetto di scrutinio era evidente che l'intento dell'autore del lancio fosse solo quello di provocare brusche frenate o sterzate improvvise dell'automobilista, ciò che integrava il delitto di violenza privata.

1.2. Su appello del Pubblico ministero, il Giudice di secondo grado - premessa l'indiscussa riferibilità dell'azione criminosa, sotto il profilo materiale, all'imputato minorenne - quanto all'elemento psicologico ha avversato il percorso argomentativo del primo Giudice che ha ritenuto non persuasivo, giungendo alla diversa qualificazione giuridica della condotta come tentativo di omicidio, ravvisando la configurabilità in capo all'imputato dell'elemento psicologico quam minime del dolo alternativo, pienamente compatibile con l'ipotesi tentata.

2. M.F.. per mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandolo a un unico, articolato motivo.

Il ricorrente lamenta l'erroneità della motivazione del giudice d'appello che ha ritenuto la condotta sorretta da dolo diretto, unico elemento psicologico compatibile con il delitto di tentato omicidio.

Dopo aver ricordato che il Giudice di primo grado aveva ritenuto la condotta sussumibile nell'alveo del reato di violenza privata, coerentemente con un caso analogo deciso dalla Suprema Corte (Rv. 247592), ha censurato il diverso approdo cui era pervenuta la Corte territoriale, non essendovi prova che l'imputato avesse agito con l'intento di uccidere una persona offesa che neppure conosceva, che viaggiava su una strada libera, che riuscì a evitare l'impatto con la bottiglia con una semplice sterzata dell'autovettura, e che, infine, aveva essa stessa dichiarato (all'udienza del 6 ottobre 2023) che riteneva che il lancio della bottiglia fosse avvenuto "per giuoco".

Osserva, inoltre, il ricorrente che la condotta attuata, apprezzata ex ante, non apparendo di particolare gravità (poiché si è trattato del lancio di una bottiglia di piccole dimensioni e vuota), imporrebbe di escludere il dolo diretto, anche sotto forma del dolo alternativo, necessario ai fini della configurabilità della fattispecie che - aggiunge - non può essere paragonata a quella del lancio di sassi dal cavalcavia, siccome oggetti di notevoli dimensioni e peso che lasciano invece certamente ritenere sussistente detto coefficiente psicologico.

L'animus superficiale del soggetto agente avrebbe dovuto indurre il giudice di secondo grado a confermare la qualificazione giuridica come delitto di cui all'art. 610 cod. pen.

3. Il Sostituto Procuratore generale, Gianluigi Pratola, intervenuto con requisitoria scritta in data 27 agosto 2024, ha prospettato la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, interamente versato in fatto e che deduce censure infondate, dev'essere rigettato.

1. Com'è reso evidente dal tenore del sunteggiato ricorso, incontestata la ricostruzione dei fatti e la loro ascrivibilità all'imputato, la questione controversa è quella della qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall'imputato.

Non è superfluo preliminarmente evidenziare - sebbene non vi sia stata svolta alcuna censura espressa censura sul punto - che la Corte di assise di appello, nel pervenire alla diversa qualificazione giuridica di tentato omicidio non ha diversamente valutato le prove dichiarative, ma si è attenuta alla ricostruzione della vicenda compiuta dal Tribunale e ha riformato la sentenza di primo grado perché, valutando il medesimo compendio probatorio, ne ha tratto conseguenze divergenti esclusivamente in punto di diritto.

Si è, dunque, correttamente conformata all'orientamento prevalente secondo cui «Il giudice d'appello che procede alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata» (ex multis, Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, Casoppero Cataldo Santo, Rv. 285826 - 01; Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860 - 01; Sez. 4 n. 48523 del 25/10/2023, Servetti n.m.).

2. Osserva, poi, il Collegio come il Giudice di appello sia pervenuto alla riforma della decisione assolutoria assolvendo pienamente all'obbligo di motivazione cd "rafforzata".

E' fermo nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. La Corte ha precisato che l'obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell'Istruttoria, prevista dall'art.603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado compiendo il doveroso e puntuale confronto con la motivazione della decisione di assoluzione e dando contezza esplicita degli evidenti vizi logici che hanno minato la permanente sostenibilità del primo giudizio (da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 - 01; Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272082 - 01; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261).

Nel caso che ci occupa, il Giudice di appello, dopo aver compiuto un confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, ha argomentato in merito alla configurabilità della diversa qualificazione giuridica come l'unica ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici e di inadeguatezze logiche, opportunamente evidenziati, che avevano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio.

Segnatamente, a ragione della configurabilità del tentato omicidio ha valorizzato: i) l'incontestata circostanza secondo cui l'intento del giovane sarebbe stato quello di «provocare brusche frenate o sterzata improvvisa dell'automobilista»; ii) il luogo teatro dei fatti, una strada statale notoriamente trafficata e frequentata da veicoli; iii) l'andatura dell'auto condotta dalla persona offesa che, sebbene non espressa con precisione in k/h, era certamente sostenuta, sebbene auspicabilmente conforme ai limiti previsti per una strada statale (80-90 km/h).

Ha, quindi, osservato che, in un contesto come quello descritto, anche una semplice e improvvisa frenata ovvero una brusca sterzata costituivano grandissimo pericolo per l'incolumità del viaggiatore, a prescindere dalle dimensioni, dalla consistenza e dalla capacità distruttiva del corpo contundente utilizzato per il lancio dal cavalcavia, poiché il rischio di incidente, provocato dal lancio, poteva trovare origine nell'improvvisa manovra di emergenza, attivata dal conducente al fine di evitare l'impatto con il corpo contundente stesso, quale che fosse.

Ha ritenuto che proprio tale situazione si fosse concretizzata nel caso oggetto di scrutinio, come era emerso dalla deposizione della parte offesa che, su specifica domanda, aveva puntualizzato che, per evitare la bottiglia lanciata dall'imputato, fu costretto a cambiare repentinamente corsia, rientrando da quella di sorpasso in quella di marcia, senza neppure guardare nello specchietto retrovisore per controllare se sopraggiungessero altri veicoli a tergo.

Sotto altro profilo, il Giudice di secondo grado ha ritenuto prive di sostegno argomentativo le considerazioni formulate nella sentenza di primo grado sull'inidoneità qualità della bottiglia oggetto di lancio («piccola e vuota»), a provocare danni significativi, trattandosi di un oggetto in vetro, rigido e - qualora infranto - anche tagliente, idoneo a scalfire, così da non potersi neppure escludere a priori la possibilità di rottura del parabrezza e intrusione dell'oggetto contundente all'Interno dell'abitacolo dell'autovettura.

Ha, dunque, concluso che - in considerazione dell'oggetto (bottiglia di vetro), lanciato "a candela" dall'altezza da cui il lancio è avvenuto, della velocità certamente non modesta con la quale transitava il veicolo preso di mira, della strada, notoriamente a elevato traffico veicolare - era evidente come l'impatto del corpo contundente lanciato avrebbe potuto produrre come conseguenza anche l'evento morte, sia nel caso in cui penetrando il parabrezza in auto in transito la bottiglia avesse colpito il conducente o qualcuno dei passeggeri, sia nel caso in cui l'effetto sorpresa, ricollegabile all'urto sul parabrezza o all'Impatto della stessa sul conducente avessero provocato lo sbandamento ovvero l'uscita di strada dell'autovettura con concreto rischio di conseguente incidente stradale, coinvolgimento di altri veicoli ed effetti letali per le persone a bordo dei mezzi coinvolti.

3. La motivazione sin qui sunteggiata si pone nell'alveo della più recente giurisprudenza di legittimità, che qui si condivide e riafferma, che - superando la più risalente tesi della configurabilità del delitto di violenza privata (Sez. 5, n. 20749 del 13/04/2010, Arienzo, Rv. 247592 - 01) - ritiene configurabile il dolo omicidiario nelle variegate ipotesi di lancio di oggetti dal cavalcavia.

Già con la pronuncia della Sez. 1, n. 19897 del 25/03/2003, Lenzi, Rv. 224798 - 01 si è affermato che «costituisce tentativo di omicidio plurimo il lancio "a pioggia", dall'alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cocci e simili, in quanto tale azione, seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea - per la non facile avvistabile presenza degli oggetti sulla carreggiata, data anche l'ora notturna, e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada - a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell'agente». Nell'occasione, occupandosi del caso specifico dell'Imputato che aveva scagliato, con un unico gesto, un quantitativo di oggetti (sassi, cocci di terracotta ed una pietra a spigoli vivi, di varie dimensioni fino a cm. 7 x 5), la Corte ha avuto modo di chiarire, quanto all'idoneità degli atti, che vi era pericolo in concreto ravvisabile, con grado di probabilità certamente non trascurabile, pur in presenza di un lancio non mirato, ma "a pioggia", nel momento in cui sopraggiungevano nella carreggiata interessata alcune autovetture. Quanto all'elemento psicologico, ha evidenziato che, «anche volendo considerare non calcolato né prevedibile il transito di alcuni veicoli pressoché in coincidenza con il lancio, il fatto stesso di cagionare la dispersione sulla carreggiata di una molteplicità oggetti non agevolmente avvistabili e capaci di provocare danni ai pneumatici o comunque turbative alla marcia normale delle autovetture su strada destinata a grande traffico ad alta velocità era indubbiamente e univocamente indicativo dell'intento di provocare incidenti con conseguenze potenzialmente letali».

Del pari, si è ritenuto di individuare il dolo diretto nella condotta dell'agente che, sforzandosi di superare un'alta rete metallica protettiva, aveva lanciato un sasso di rilevante massa (ndr di circa tre chilogrammi) in corrispondenza della corsia di scorrimento delle macchine su un'autostrada, notoriamente molto trafficata in determinate ore del giorno, da un punto di un cavalcavia da cui non sia possibile vedere le auto che transitano in basso (Sez. 1, n. 5436 del 25/01/2005, Marangon, Rv. 230813 - 01). Nel caso di specie la Corte, riprendendo i principi espressi nella sentenza Lezzi, quanto alla configurabilità dell' elemento psicologico, ha puntualizzato che integra il dolo diretto il lancio di sassi anche quando tale azione non è diretta a colpire gli autoveicoli, ma è idonea - per la non facile avvistabilità degli oggetti che cadono o già caduti mentre i conducenti sono impegnati nella guida e transitano a velocità elevata - a creare il concreto pericolo di incidenti stradali anche mortali, al cui verificarsi deve intendersi diretta la volontà dell'agente. Si è, poi, valorizzato il dato della non completa visuale nel senso che l'agente non poteva escludere, al momento del lancio, che stessero transitando auto, ciò che ha ritenuto dimostrativo dell'indifferenza verso la vita delle persone che era prevedibile che transitassero su quel tratto di strada.

In Sez. 1, n. 29611 del 30/03/2022, L., Rv. 283375, si è, infine, affermato che «In tema di tentato omicidio, è configurabile il dolo diretto nella condotta dell'agente che, dopo aver superato la rete metallica posta a protezione di un cavalcavia autostradale, lanci in immediata successione due sassi di rilevante massa sulla carreggiata al momento del passaggio di un'autovettura, ben visibile dall'alto».

4. Sulla scorta delle indicate premesse ermeneutiche, non è manifestamente illogica la motivazione del Giudice di appello che - sulla scorta della puntuale deposizione della persona offesa - ha ritenuto che il giovane autore del lancio avesse realizzato un vero e proprio "tiro al bersaglio” sull'auto in transito lungo la strada sottostante al cavalcavia dove si era strategicamente appostato, poiché - come riferito dal conducente del mezzo - egli attese l'arrivo del veicolo in prossimità del cavalcavia per far cadere il corpo contundente.

Circostanza, questa, che ha ritenuto confermativa del fatto che, lungi dal mero divertimento di lanciare a caso oggetti sulla strada sottostante, l'intento criminoso dell'imputato fosse proprio quello di colpire il veicolo, possibilmente nel suo punto più vulnerabile (parabrezza), così da provocare il massimo danno possibile, nelle varie modalità di manifestazione, già sopra analiticamente ricostruite.

A fronte di tale motivazione, il ricorso si limita a riproporre l'opzione interpretativa del primo Giudice, che riproduce graficamente nell'atto, senza introdurre elementi a reale confutazione.

5. Il ricorso, come preannunciato, dev'essere, pertanto respinto.

A detta pronuncia non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, trattandosi di imputato minorenne.

La previsione di cui all'art. 29 del D.L.G. 28.7.1989 n.272 che, derogando al generale principio della soccombenza del condannato in tema di pagamento delle spese del processo e di custodia cautelare, stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti di persona minore di età non comporta detto obbligo, si inserisce, infatti, nel quadro della disciplina del processo minorile, strutturalmente finalizzato alla ripresa o al recupero del percorso educativo del minore.

La ratio cui è ispirata la norma è quella di esonerare il minore dalle negative conseguenze che gli deriverebbero dall'applicazione della anzidetta regola della soccombenza, e ciò - ha più volte sottolineato questa Corte - vale sia in relazione al giudizio di merito che a quello di legittimità, dovendosi pertanto escludere una interpretazione del predetto art. 29 in base alla quale l'esonero può operare soltanto con riferimento alla definizione dei procedimenti di merito e non anche in sede di legittimità (così già sez. 4, n. 11194 del 1.6.1999, Milanovic P., rv. 214385).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, poi, definitivamente affermato che «Il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende (Sez. U, n. 15 del 31.5.2000, Radulovic, Rv. 216704).

In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.