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Licenziamento del lavoratore ribelle (Cass., 6581/16)

5 aprile 2016, Cassazione lavoro

Legittimo il licenziamento per giusta causa quando i comportamenti contestati denotino scarsa inclinazione all?attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza,

 

 

Corte di Cassazione, sez. Lavoro

sentenza 13 gennaio ? 5 aprile 2016, n. 6581

Svolgimento dei processo

Con la sentenza n.933/2012, pubblicata il 31.7.2012, la Corte d'appello di Reggio Calabria respingeva l'appello contro la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda proposta da R.S. avverso il licenziamento disciplinare intimatogli da U.S. s.r.l. il 31.12.2005, ritenendo provata la sua responsabilità per rifiuto reiterato di svolgere le mansioni, rifiuto di prestare lo straordinario e per assenza ingiustificata per oltre tre giorni; e considerando la stessa condotta di tale gravità da legittimare la risoluzione del rapporto in quanto volta inequivocabilmente a contestare l'autorità datoriale, volendo il lavoratore dimostrare con essa di potersi definire da sé medesimo le regole del proprio rapporto di lavoro. Avverso detta sentenza R.S. propone ricorso affidando le proprie censure a quattro motivi con i quali chiede la cassazione integrale della sentenza.
Resiste U.S. s.r.l. con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si solleva doglianza per nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.) posto che nell'atto di appello il ricorrente aveva spiegato eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo di primo grado in quanto non notificato col pedissequo decreto di fissazione dell'udienza; aggiunge il ricorrente che alla prima udienza egli era stato rimesso in termini per la notifica con rinvio del procedimento che si era poi ritualmente svolto. Il motivo è destituito di fondamento non solo per carenza di interesse, posto che la nullità non potrebbe essere mai eccepita da chi vi ha data causa (ex art.157 c.p.c.), per come affermato dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria; ma anche perché, prima ancora, nella fattispecie non potrebbe essere pronunciata nullità alcuna una volta avvenuta la rituale rinnovazione della notifica, la regolare instaurazione del contraddittorio ed il normale svolgersi del procedimento (e ciò ai sensi dell'art. 156 ult. comma c.p.c.).
Né, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, può ritenersi applicabile al caso di specie quanto stabilito dalle Sez. Unite di questa Corte con la sentenza n.20604/2008 a proposito dell'improcedibilità dell'appello per inesistenza della notifica effettuata solo dopo la rinnovazione disposta dal giudice. E ciò perché i principi richiamati dalla Corte a fondamento dei decisum (sulla scorta di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo "ex" art. 111, secondo comma, Cost.) non possono essere estesi alla mancata notifica del ricorso di primo grado e cioè ad una fase in cui giudizio non si è ancora svolto ed occorre garantire il diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost. 2.- Col secondo motivo si deduce nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione alla violazione dell'art.112 per aver la sentenza ampliato l'oggetto del giudizio d'appello sino ad introdurre nuovi elementi di indagine non proposti dalle parti; e ciò perché, nonostante il giudice di primo grado avesse affermato che dei tre episodi contestati sotto il profilo disciplinare due di essi (quelli riconducibili al rifiuto di svolgere le mansioni di capo squadra e di effettuare lo straordinario) non potessero, per la loro lievità, essere punite con la sanzione espulsiva; e nonostante che sul punto la datrice di lavoro non avesse promosso appello incidentale, ed avesse anzi prestato espressa acquiescenza; le medesime infrazioni sono state poi inammissibilmente riconsiderate dal giudice d'appello come costitutive di giusta causa, nonostante sulla stessa irrilevanza si fosse formato il giudicato interno; spiazzando così la difesa.
II motivo è infondato posto che, come risulta dalla sentenza, il licenziamento era stato intimato per la complessiva serie di condotte contestate al lavoratore; e ben ha fatto la Corte d'Appello a valutare la legittimità dello stesso licenziamento in conformità alla contestazione che era stata elevata al lavoratore. Non rileva che il giudice di primo grado abbia dichiarato che alcune violazioni disciplinari - pur sussistenti in fatto e in diritto - non potessero, isolatamente considerate, costituire giusta causa. E non rileva perché nella fattispecie esse dovevano essere bensì valutate all'interno di un più ampio contesto qualificatorio, al quale le Corte d'Appello - con valutazione logica e scevra da qualsivoglia vizio - ha attribuito un significato di insubordinazione; in conformità peraltro al contenuto della medesima lettera di licenziamento nella quale si affermava che "i comportamenti contestati altro non sono che l'ennesima infrazione di un globale atteggiamento da Lei posto in essere, di reiterata e ripetuta contestazione della disciplina aziendale, dell'obbligo di fedeltà e diligenza. "
Pertanto, non ha alcun pregio la tesi che sulla stessa affermazione del giudice di primo grado, in mancanza di appello incidentale, si fosse formato un giudicato interno; atteso che la medesima questione (ovvero se le singole infrazioni contestate, in se considerate, potessero o meno essere punite coi licenziamento o con sanzioni più lievi), oltre ad essere irrilevante, non costituiva nemmeno oggetto del contendere.
In ogni caso, non è inibito al giudice di appello, a fronte di una affermazione ultronea dei giudice di primo grado sulla minore gravità di singole condotte, in realtà unitariamente contestate, riqualificare le medesime all'interno del giudizio sulla giusta causa di licenziamento (o sul giustificato motivo soggettivo) che gli è stato legittimamente devoluto in forza dell'appello sulla restante condotta (nel caso di specie, la assenza ingiustificata per oltre tre giorni tale da costituire di per sé sola legittima ragione giustificativa del licenziamento, come più volte messo in luce dalla stessa pronuncia di merito sia di primo che di secondo grado).

3.- Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.12 preleggi, artt. 21 comma 1 e 34 commal lett. A CCNL dei lavoratori dei porti, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. , dell'art. 2104 c.c. dell'art. 5 1. 604/1966 ( art. 360 n. 3 c.p.c.) per aver la Corte territoriale ritenuto ingiustificata l'assenza del lavoratore; nonostante fosse provato che il 21.12.2005 il lavoratore, dopo aver avvertito, si fosse allontanato dal posto di lavoro per un malore (che non richiedeva alcun certificato medico); mentre nei successivi giorni contestati come assenza (dal 22 al 26 dicembre) egli fosse rimasto a casa in attesa di essere chiamato per l'impiego al lavoro.
Il motivo è privo di fondamento in quanto la Corte territoriale pur evidenziando che il lavoro portuale in oggetto fosse organizzato in modo flessibile ovvero che esistessero quattro turni di chiamata (di cui due a chiamata definitiva e due con chiamata a preavviso a seconda delle necessità); che i lavoratori non lavorassero tutti i giorni della settimana continuativamente; che l'attività non fosse sempre giornaliera e che il turno in definitiva risentisse in termini di variabilità della richiesta delle navi porta container; ha nondimeno accertato, secondo le prove acquisite nel giudizio, che quando la committente MTC comunicava via fax la necessità di provvedere a predisporre squadre per il giorno successivo, ai lavoratori questa notizia venisse data sul piazzale oppure quando essi telefonavano per informarsi presso B.R., il quale predisponeva i turni; anche perché erano gli stessi lavoratori a dare la disponibilità, avendo interesse a lavorare il più possibile. In altri termini, è rimasto accertato nel giudizio di merito che considerata l'alta variabilità delle richieste di personale, vista l'impossibilità di applicare una programmazione degli avviamenti, la concreta chiamata con l'inserimento nel turno venisse effettuata informando i dipendenti sul piazzale oppure quando il lavoratore, facendosi parte diligente, telefonava per conoscere il proprio turno di lavoro, avendo interesse a lavorare il più possibile.
Nel caso di specie, ciò non è avvenuto, in quanto il R. - in mancanza di plausibile motivo - era rimasto a casa senza presentarsi nel piazzale, senza nulla comunicare all'azienda sulla sua disponibilità a lavorare. Contravvenendo pertanto a quelle che erano le modalità in atto, osservate per la formazione delle squadre dei turnisti e per il concreto avviamento al lavoro presso l'impresa controricorrente. Non solo; ma ciò egli ha fatto, in prosecuzione, dopo l'interruzione dell'espletamento del lavoro per un malore; rafforzando così l'ipotesi di una sua indisponibilità a lavorare che già il silenzio osservato per cinque giorni era di per sé idoneo ad ingenerare.
Nessuna violazione dell'art. 5 I. 604/1966 sussiste dove la Corte ha affermato che, per poter legittimamente confidare che quelli di assenza potessero essere invece giorni di riposo, il lavoratore avrebbe dovuto allegare e documentare di aver svolto doppi e tripli turni. Si tratta di un'affermazione logica e conforme al diritto, posto che al lavoratore era stata contestata l'assenza ingiustificata dal lavoro; talchè il diritto ad assentarsi avrebbe dovuto essere allegato e dimostrato, peraltro in primo grado e non in appello, dal lavoratore medesimo.

4.- Col quarto motivo si denuncia la violazione dell'art.2119 c.c. e degli artt. 1 e 3 della legge 604/1966 e dell'art.2016 (art.360 n.3 c.p.c.) non avendo la Corte motivato sul giudizio di proporzionalità tra infrazione e sanzione ed avendo considerato la questione in maniera astratta. Il motivo è inammissibile perché non censura alcuna specifica affermazione né in fatto né tanto meno alcuna specifica violazione di legge. Si richiede invece alla Cassazione di rifare il giudizio sul merito della proporzionalità che non può essere invece compiuto in questa sede. Peraltro la Corte territoriale sul punto ha ben argomentato, sia in fatto sia in diritto, considerando i fatti nella loro concreta manifestazione e nella loro specifica portata oggettiva e soggettiva; e sostenendo in particolare che i reiterati rifiuti di svolgimento delle mansioni di capo squadra in data 16.12.2005, il rifiuto di svolgimento dello straordinario in data 17.12.2005 con abbandono del posto di lavoro e l'assenza dal lavoro per cinque giorni consecutivi (dal 21 al 26 dicembre 2005) fossero non solo privi di qualsivoglia giustificazione, ma anche dimostrativi di un più generale atteggiamento di insubordinazione del dipendente volto a contestare l'autorità datoriale.
Pertanto quello effettuato sul punto dalla Corte calabrese è un giudizio che si pone sotto tutti i profili in linea con la giurisprudenza di questa Corte la quale ha più volte statuito (ad es. Cass. 2013/2012) che "In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa
scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia de! rapporto medesimo. "

5.- Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare il ricorrente, rimasto soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti di cui al l'art.13,comma 1-quater D.P.R. n.115 del 2002 per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in ? 100 per esborsi ed in ? 3000 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell'art.13,comma 1-quater D.P.R. n.115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.