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MAE deve prevenire bis in idem (Cass. 2959/20)

24 gennaio 2020, Cassazione penale

 Quando la richiesta di consegna nell'ambito di un procedimento MAE sembra riguardare fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, il motivo facoltativo di rifiuto della consegna può configurarsi solo quando risulti già pendente un procedimento penale per il fatto oggetto del mandato di arresto Europeo: intal caso, il conflitto di giurisdizione tra i due Stati membri, ove concretamente ravvisabile, deve trovare la propria soluzione secondo le forme e modalità proprie del meccanismo disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali e dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 (che quello strumento normativo ha recepito nel nostro ordinamento), anche al fine di evitare l'avvio di procedimenti paralleli superflui che potrebbero determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico Europeo-

L'eventuale opposizione del rifiuto della consegna, in tal caso, mira a tutelare effettivamente le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione di un conflitto che è già esistente, e non meramente potenziale, in quanto disvelato dalla effettiva volontà dello Stato di affermare in concreto - con la presenza di attività d'indagine in corso di svolgimento - la propria giurisdizione sul fatto oggetto del m.a.e., in tutto o in parte commesso sul suo territorio.

La normativa Europea, infatti, mira non solo a sollecitare, ma a realizzare una più stretta cooperazione fra le competenti Autorità giudiziarie degli Stati membri, sì da "prevenire situazioni in cui la stessa persona sia oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una decisione definitiva in due o più Stati membri e costituire in tal modo una violazione del principio ne bis in idem" (art. 1, comma 2, lett. a), della decisione quadro 2009/948/GAI).

A sua volta, la nozione di "procedimenti paralleli" è scolpita nell'ordinamento interno dal D.Lgs. cit., art. 2, comma 1, lett. a), che li definisce come "procedimenti penali, sia in fase di indagini preliminari che nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, pendenti in due o più Stati membri per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona".

  

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sent., (ud. 22/01/2020) 24-01-2020, n. 2959

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente -

Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -

Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -

Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere -

Dott. ROSATI Martino - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.V.A., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 23/12/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;

udita la relazione svolta dal Consigliere DE AMICIS GAETANO;

sentite le conclusioni del PG FODARONI MARIA GIUSEPPINA che chiede l'inammissibilità del ricorso in riferimento al MAE ed alla misura cautelare.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 dicembre 2019 la Corte d'appello di Torino ha disposto la consegna della cittadina rumena M.V.A. all'Autorità giudiziaria della Spagna in esecuzione di un m.a.e. emesso il 22 novembre 2019 dalla Corte d'appello di Barcellona, sulla base di una sentenza della stessa Corte d'appello emessa il 6 febbraio 2013, e divenuta ormai definitiva ed eseguibile, che la condannava alla pena di anni undici di reclusione per i reati di traffico di esseri umani e sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, con il residuo di giorni 999 di pena detentiva ancora da scontare.

Con ordinanza emessa in pari data, inoltre, la Corte torinese ha rigettato l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata nei confronti della persona richiesta in consegna.

2. Avverso le su indicate decisioni ha proposto ricorso per cassazione il difensore, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione sia in relazione alla sentenza di consegna che all'ordinanza resa ex art. 299 c.p.p..

2.1. Riguardo alla sentenza la ricorrente ha evidenziato, in primo luogo, il fatto che gran parte dell'azione delittuosa è avvenuta in Italia e che l'A.G. italiana ha avviato al riguardo un procedimento penale - cui lo stesso m.a.e. fa riferimento nel punto 10 lett. e) - per il reato di induzione alla prostituzione ai danni della medesima persona offesa nell'ambito del procedimento penale concluso con la condanna pronunziata dall'A.G. spagnola, con la conseguenza che, allo stato, non potrebbe escludersi un'ipotesi di sovrapponibilità dei reati di sfruttamento, anche in ragione dell'assenza in atti di copia della sentenza di condanna che ha dato luogo alla richiesta di consegna.

Un ulteriore profilo di doglianza mosso dalla ricorrente - che peraltro ha precisato di essere stata identificata tramite passaporto rumeno - investe l'errata valutazione delle circostanze di fatto relative al prospettato radicamento nel territorio italiano, ove tutta la sua famiglia da tempo vive.

2.2. Riguardo alla su menzionata ordinanza cautelare la ricorrente lamenta l'assenza di elementi specifici a sostegno del ritenuto pericolo di fuga e rileva l'assenza in atti dei falsi documenti cui fa riferimento il provvedimento impugnato, laddove i fatti oggetto della sentenza di condanna risalgono ad un'epoca lontana nel tempo (all'anno 2011) e nessuna valutazione è stata dalla Corte d'appello operata in ordine alla idoneità di una misura detentiva domiciliare, se del caso assistita dall'applicazione del braccialetto elettronico.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è parzialmente fondato e va pertanto accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2. Infondate, in primo luogo, devono ritenersi le ragioni di doglianza dalla ricorrente prospettate con riguardo all'ordinanza resa ex art. 299 c.p.p., avendovi la Corte distrettuale esposto, con argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili, le ragioni giustificative della sussistenza del pericolo di fuga e della ritenuta idoneità, allo stato, della misura cautelare adottata, al fine di fronteggiare adeguatamente la ravvisata esigenza cautelare.

Entro tale prospettiva, invero, il provvedimento impugnato ha valorizzato una serie di circostanze di fatto univocamente sintomatiche ai fini della configurabilità del su menzionato periculum libertatis, e coerentemente desunte dallo stesso contenuto del mandato di arresto Europeo, là dove ha fatto riferimento sia alla capacità della persona richiesta in consegna di muoversi agevolmente sul territorio Europeo fra l'Italia e la Spagna - servendosi, per sfruttare la prostituzione della persona offesa minorenne, di un passaporto intestato ad altra familiare - sia alla sua capacità di far perdere le tracce nello Stato di emissione, sottraendosi al provvedimento di revoca della libertà condizionale dopo aver scontato solo una parte della rilevante condanna a pena detentiva irrogatale per le gravi fattispecie di reato oggetto della sentenza di condanna definitiva posta alla base del m.a.e..

3. Parimenti infondato, inoltre, deve ritenersi il profilo di doglianza che investe l'apprezzamento dell'evocato motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), avendone la Corte territoriale correttamente escluso la configurabilità là dove ha posto in rilievo l'inidoneità della prodotta documentazione al fine di comprovare un effettivo e non estemporaneo radicamento sul territorio dello Stato, avuto riguardo al fatto che la richiesta di residenza presentata presso il Comune di Alessandria è assai recente e risale al dicembre 2019, mentre l'inizio di un rapporto di lavoro a tempo determinato è collocato alla data del 30 novembre 2019, ossia proprio in concomitanza con l'avvio della procedura di emissione del m.a.e..

Sotto tale profilo, dunque, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del quadro di principii al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui la nozione di "residenza" che viene in considerazione per l'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali (ex multis v. Sez. 6, n. 49992 del 30/10/2018, Anton Robert, Rv. 274313).

Parametri di riferimento, quelli teste indicati, necessariamente concorrenti e globalmente apprezzabili, della cui oggettiva ricorrenza, tuttavia, la ricorrente non ha offerto significativa traccia nel caso qui considerato.

4. Fondate, di contro, devono ritenersi le doglianze dalla ricorrente mosse in ordine all'apprezzamento del motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, lett. b), - motivo non più obbligatorio, ma divenuto ormai facoltativo a seguito della interpolazione operata sul testo della L. n. 69 del 2005, art. 18 dalla L. 4 ottobre 2019, n. 117, art. 6, comma 5, lett. b), recante delega al Governo per il recepimento delle direttive Europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione Europea - Legge di delegazione Europea 2018, che ha previsto l'inserimento, all'interno di una nuova, specifica, disposizione normativa, di tre motivi facoltativi di rifiuto della consegna, tra i quali, giustappunto, quello di cui alla menzionata lett. b) del nuovo art. 18-bis - avendone la sentenza impugnata illogicamente escluso la configurabilità là dove ha omesso di valutare le implicazioni sottese alla indicazione di un dato di fatto chiaramente emergente dallo stesso contenuto del mandato di arresto Europeo (segnatamente nel punto 10, lett. e), riguardo alla instaurazione, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, di un procedimento penale nei confronti della consegnanda (n. 35688/2010) per fatti relativi allo sfruttamento, nel territorio italiano, della prostituzione della medesima persona offesa, la quale sarebbe stata poi condotta dall'Italia alla Spagna servendosi a tal fine di documenti d'identità intestati ad altra persona.

Aspetto, questo, assai rilevante, che la sentenza impugnata, tuttavia, non ha approfondito, poichè si è limitata erroneamente a desumere da un dato di fatto non significativo al fine qui considerato - e comunque del tutto neutro, quale quello attinente alla mera presa d'atto della richiesta di consegna formulata dal P.G. all'esito della discussione avvenuta nella relativa udienza camerale - l'assenza di un effettivo interesse dello Stato richiesto al perseguimento della richiamata ipotesi di reato, pur evidenziando, al contempo, l'astratta configurabilità della causa ostativa delineata dall'art. 18-bis legge cit.

4.1. Ora, i presupposti di configurabilità di tale motivo di rifiuto sono pacificamente individuati nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che al riguardo ha stabilito il principio secondo cui siffatta condizione ostativa deve emergere con certezza dagli atti (Sez. 6, n. 27825 del 30/06/2015, Ignat, Rv. 264055) ed è ravvisabile quando una parte della condotta, anche minima e consistente in frammenti privi dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, purchè preordinata al raggiungimento dell'obiettivo criminoso, si sia verificata nel territorio italiano (ex multis v. Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, P., Rv. 274121; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, Manco, Rv. 272198; Sez. 6, n. 13455 del 18/03/2014, Maligi, Rv. 261097).

La realizzazione del reato nel territorio italiano deve risultare con certezza in ragione di un quadro fattuale desumibile in modo non controvertibile dagli stessi elementi offerti dall'Autorità di emissione o da quelli forniti in sede di integrazione ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16 (Sez. 6, n. 45669 del 29/12/2010, Llanaj, Rv. 24897), non essendo a tal fine sufficiente la mera ipotesi che il reato si sia in tutto o in parte realizzato nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 17704 del 18/04/2014, Araujo Gomez, Rv. 259345).

Siffatta condizione ostativa si ricollega, evidentemente, alle implicazioni del principio di territorialità previsto dall'art. 6 c.p., comma 2, secondo cui ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, quindi, un qualsiasi atto dell'iter criminoso, purchè lo stesso sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella commessa nel territorio estero (Sez. 6, n. 56953 del 21/09/2017, Guerini, Rv. 272220).

L'accertamento di tale motivo di rifiuto presuppone, tuttavia, che nel territorio italiano si sia verificata quanto meno una parte della condotta per cui specificamente si stia procedendo all'estero, secondo la descrizione che del relativo sostrato fattuale dell'ipotesi di reato oggetto della richiesta di consegna venga offerta nell'Eurordinanza proveniente dallo Stato di emissione.

Occorre, in altri termini, che il vaglio delibativo al riguardo svolto dai Giudici di merito consenta di verificare la sussistenza di un "medesimo comportamento criminoso" realizzato dal "medesimo soggetto", sia pure solo in parte, nel territorio dello Stato.

Deve trattarsi, dunque, di un segmento della medesima condotta criminosa che, "naturalisticamente" inteso e considerato unitariamente ai successivi o precedenti atti commessi all'estero, integri un'ipotesi di delitto tentato o consumato (Sez. F., n. 34572 del 28 agosto 2008, Kaimovsy Saso, non mass.).

Non rileva, pertanto, la commissione in territorio italiano di altri reati, estranei all'oggetto dell'Euromandato, anche se ascrivibili alla medesima tipologia delittuosa (Sez. 6, n. 48946 del 4 dicembre 2015, Certan Petru, non mass.).

Quel che occorre, nella prospettiva propria della condizione ostativa in esame, è che sul territorio nazionale si sia verificata, ex art. 6 c.p., almeno una parte della condotta inerente al reato per il quale viene richiesta la consegna formalizzata nell'Eurordinanza.

Del tutto diversa, di contro, deve ritenersi l'ipotesi in cui venga accertata la presenza di condotte criminose che, sotto il profilo naturalistico e ontologico, risultino in concreto distinte e autonome e risulti provato che quella per la quale si procede, in tutti gli elementi richiesti per integrarla, sia stata consumata esclusivamente all'estero, poichè a fronte di tale evenienza non può revocarsi in dubbio che non vi sia giurisdizione italiana (Sez. F., n. 34572 del 28 agosto 2008, Kaimovsy Saso, cit.).

4.2. Nell'ipotesi che qui viene in rilievo, in cui la richiesta di consegna sembra riguardare fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, il richiamato motivo di rifiuto della consegna può configurarsi solo quando risulti già pendente un procedimento penale per il fatto oggetto del mandato di arresto Europeo (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Spasiano, Rv. 272912).

A fronte di tale evenienza procedimentale, come già chiarito da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Spasiano, cit.; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, Manco, cit.; Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, P., cit.), il conflitto di giurisdizione tra i due Stati membri, ove concretamente ravvisabile, deve trovare la propria soluzione secondo le forme e modalità proprie del meccanismo disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali e dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 (che quello strumento normativo ha recepito nel nostro ordinamento), anche al fine di evitare l'avvio di procedimenti paralleli superflui che potrebbero determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico Europeo (v., in motivazione, Sez. 6, n. 21323 del 22/05/2014, Maciej, Rv. 259243; Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268931).

L'eventuale opposizione del rifiuto della consegna, in tal caso, mira a tutelare effettivamente le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione di un conflitto che è già esistente, e non meramente potenziale (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Spasiano, cit.), in quanto disvelato dalla effettiva volontà dello Stato di affermare in concreto - con la presenza di attività d'indagine in corso di svolgimento - la propria giurisdizione sul fatto oggetto del m.a.e., in tutto o in parte commesso sul suo territorio (Sez. 6, n. 27992 del 13 giugno 2018, Huseini, non mass.).

La normativa Europea, infatti, mira non solo a sollecitare, ma a realizzare una più stretta cooperazione fra le competenti Autorità giudiziarie degli Stati membri, sì da "prevenire situazioni in cui la stessa persona sia oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una decisione definitiva in due o più Stati membri e costituire in tal modo una violazione del principio ne bis in idem" (art. 1, comma 2, lett. a), della decisione quadro 2009/948/GAI).

A sua volta, la nozione di "procedimenti paralleli" è scolpita nell'ordinamento interno dal D.Lgs. cit., art. 2, comma 1, lett. a), che li definisce come "procedimenti penali, sia in fase di indagini preliminari che nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, pendenti in due o più Stati membri per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona".

5. S'impone conclusivamente, sulla base delle or ora esposte considerazioni, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, lett. b), per un nuovo giudizio che dovrà eliminare i vizi al riguardo rilevati, uniformandosi al su esposto quadro di principii da questa Corte stabiliti.

Il ricorso va invece rigettato per le residue doglianze.

La Cancelleria curerà l'espletamento degli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, lett. b) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020