La disciplina transitoria dettata nella L. n. 69 del 2005, art. 40 è applicabile esclusivamente ai mandati di arresto c.d. "passivi", non anche a quelli "attivi", ossia emessi dall'autorità giudiziaria italiana; deve escludersi che l'art. 40 detti una disciplina transitoria per le procedure attive di consegna da parte dell'autorità giudiziaria nazionale, che invece trovano la loro disciplina intertemporale in relazione alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2005, secondo la regola generale fissata nell'art. 10 preleggi.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(ud. 03/07/2014) 02-09-2014, n. 36642
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente -
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -
Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.C. N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 993/2013 TRIBUNALE di MILANO, del 20/12/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE AMICIS GAETANO;
lette le conclusioni del PG Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 20 dicembre 2013 il Tribunale di Milano ha rigettato, ai sensi degli artt. 665 c.p.p. e ss., gli incidenti di esecuzione promossi da B.C. con le istanze del 20 maggio e del 19 giugno 2013, aventi ad oggetto, rispettivamente, il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n. 3320 del 31 maggio 2012 ed un m.a.e. emesso dalla Procura di Milano con riferimento alla pena di anni tre di reclusione, irrogata dal Tribunale di Milano con sentenza n. 413/02 del 5 luglio 2002, irrevocabile il 21 ottobre 2008, per un reato commesso nell'anno (OMISSIS).
2. Avverso la su indicata pronuncia ha personalmente proposto ricorso per cassazione il B., deducendo l'illegittima interpretazione delle leggi in materia di estradizione e convenzioni internazionali con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 40, commi 1 e 2, nel senso che la richiesta di esecuzione del m.a.e. avrebbe dovuto essere trattata dall'Italia, in qualità di Stato richiedente, secondo le disposizioni in materia di estradizione. Tale normativa obbligava il Tribunale di Milano, quale giudice dell'esecuzione, a sospendere la sentenza n. 413/02 del 5 luglio 2002, mentre per il reato ivi contestato, ed inserito nel cumulo di pene con il provvedimento n. 3320/2012, avrebbe dovuto essere applicata esclusivamente la normativa in materia di estradizione, e non quella relativa al m.a.e. come avvenuto nel caso di specie.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
4. Le censure proposte, attinenti all'inosservanza da parte del Giudice italiano delle disposizioni transitorie in tema di mandato di arresto europeo, sono del tutto infondate e inconferenti, avendo questa Suprema Corte da tempo precisato (v. Sez. F, n. 34215 del 04/09/2007, dep. 08/09/2007, Rv. 237057; Sez. 6^, n. 45769 del 31/10/2007, dep. 06/12/2007, Rv. 238090) che la disciplina transitoria dettata nella L. n. 69 del 2005, art. 40 è applicabile esclusivamente ai mandati di arresto c.d. "passivi", non anche a quelli "attivi", ossia emessi dall'autorità giudiziaria italiana.
Nelle su citate pronunzie, invero, si è posto in rilievo che l'espressione "richieste di esecuzione" si riferisce ai casi in cui le autorità nazionali siano coinvolte nella procedura in qualità di autorità di esecuzione di un mandato di arresto europeo, come risulta dalla lettura della L. n. 69 del 2005, artt. 1 e 17. Inoltre, la disposizione di diritto intertemporale contenuta nel su citato art. 40, secondo cui le disposizioni della nuova normativa attuativa della decisione quadro 2002/584/GAI "si applicano alle richieste di esecuzione di mandati di arresto europeo emessi e ricevuti" dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2005 deve essere interpretata nel senso che si riferisce solo ai casi coinvolgenti le autorità nazionali in una procedura passiva di consegna, in quanto se il legislatore avesse voluto riferirsi sia ai mandati di arresto europei emessi dall'autorità nazionale nell'ambito di una procedura attiva di consegna, che a quelli ricevuti dalle autorità nazionali nell'ambito di una procedura passiva di consegna, non avrebbe utilizzato i due termini ("emessi" e "ricevuti") uniti da una congiunzione coordinativa, ma sarebbe ricorso ad una congiunzione disgiuntiva, come del resto ha fatto nell'art. 4, comma 4, della legge su menzionata.
Sulla base di tale quadro di principii, conseguentemente, deve escludersi che l'art. 40 detti una disciplina transitoria per le procedure attive di consegna da parte dell'autorità giudiziaria nazionale, che invece trovano la loro disciplina intertemporale in relazione alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2005, secondo la regola generale fissata nell'art. 10 preleggi.
Correttamente, dunque, il m.a.e. di tipo esecutivo è stato emesso, della L. n. 69 del 2005, ex artt. 28 e ss., dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con riferimento al provvedimento di esecuzione di pene concorrenti del 31 maggio 2012, le cui ragioni giustificative, dal ricorrente peraltro non contestate nel merito, sono state congruamente ed esaustivamente illustrate dal Tribunale di Milano nella motivazione dell'impugnata ordinanza.
Sotto altro, ma connesso profilo, deve altresì ribadirsi (da ultimo, v. Sez. 1^, n. 44160 del 22/10/2012, dep. 14/11/2012, Rv. 253712) il principio secondo cui, nell'ambito della procedura attiva di consegna, è possibile contestare dinanzi all'Autorità giudiziaria italiana richiedente solo il titolo sui cui si fonda il mandato di arresto europeo, ma non direttamente quest'ultimo.
Non pertinente, infine, deve ritenersi il riferimento contenuto nel ricorso al precedente di questa Suprema Corte (Sez. 6^, n. 29150 del 13/07/2007, dep. 19/07/2007, Rv. 237027), che si è pronunziata, infatti, con riguardo non ad un m.a.e. attivo emesso dall'Autorità giudiziaria italiana, ma ad una richiesta di esecuzione di un m.a.e.
proveniente dall'Autorità giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione europea, affermando, tra l'altro, il principio secondo cui, per i reati commessi prima del 7 agosto 2002, tali richieste devono essere trattate secondo la normativa estradizionale vigente prima dell'entrata in vigore della L. n. 69 del 2005, intendendosi con tale espressione non solo il diritto estradizionale europeo, ma anche la normativa nazionale integratrice della disciplina convenzionale.
5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2014