Il coniuge che non si sia attivato doverosamente per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini, non può pretendere di addebitare al coniuge le conseguenze della mancata conservazione del tenore di vita matrimoniale.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 febbraio – 20 marzo 2018, n. 6886
Presidente Di Virgilio – Relatore Lamorgese
Fatti di causa
La Corte d'appello di Torino, con sentenza dell'11 giugno 2016, ha revocato l'assegno di mantenimento, quantificato in Euro 800,00 mensili, che il tribunale aveva posto a carico di Ob. Si. Ma. in favore della moglie separata So. Gi. "fino a quando la signora non reperirà un'attività lavorativa" ed ha confermato il contributo di mantenimento in favore della figlia Camilla.
Avverso questa sentenza la So. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, cui si è opposto l'Ob. con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
Con un unico motivo la So. ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c, per avere ritenuto insussistente il proprio diritto al pagamento dell'assegno di mantenimento, avendo la sentenza impugnata posto a suo carico l'onere di dimostrare l'inadeguatezza dei suoi redditi a conservare il tenore di vita matrimoniale, mentre era l'Ob. che doveva dimostrare il possesso di redditi adeguati, e per avere omesso di considerare che essa aveva tentato di trovare un'occupazione lavorativa, mediante stages di lavoro, ma senza esito positivo.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, pur avendo ritenuto sussistente il divario tra le capacità economiche delle parti, ha ritenuto che lo stato di disoccupazione della So., già accertato dal Tribunale, non fosse incolpevole e, quindi, non giustificasse l'attribuzione dell'assegno di mantenimento, non avendo essa dimostrato di essersi attivata per reperire un'occupazione lavorativa, tenuto conto della sua giovane età (circa 35 anni), del titolo di studio di cui era in possesso (laurea), della mancanza di patologie invalidanti e del tempo (circa sei anni) trascorsi dalla data del deposito del ricorso per separazione.
Si tratta di un plausibile accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità con il mezzo proposto né, a norma del novellato art. 360 n. 5 c.p.c, sono stati indicati fatti decisivi il cui esame sia stato omesso dai giudici di merito, risolvendosi il motivo in un'inammissibile istanza di riesame dell'esito della valutazione delle risultanze probatorie acquisite nel giudizio di merito.
Infondata è la doglianza ex art. 2697 c.c. di erronea applicazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova. Se è vero che nella separazione personale i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. n. 12196/2017), è anche vero che la prova della ricorrenza dei presupposti dell'assegno incombe su chi chiede il mantenimento (v., tra le tante, Cass. n. 1691/1987) e che tale prova ha ad oggetto anche l'incolpevolezza del coniuge richiedente, quando - come nella specie - sia accertato in fatto che, pur potendo, esso non si sia attivato doverosamente per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini, con l'effetto di non poter porre a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione del tenore di vita matrimoniale.
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.