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Massima di esperienza o congetture? (Cass. 36524/21)

8 ottobre 2021, Cassazione penale

Ai fini del decidere, il giudice può utilizzare, come massime di esperienza, esclusivamente generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto; fondate su ripetute esperienze ma autonome ad esse e perciò valevoli per nuovi casi; tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi.

E' viziato il ragionamento motivazionale che non si fondi realmente su massime di esperienza, ma valorizzi piuttosto una congettura - e cioè un'ipotesi non fondata sull'id quod plerumque accidit e insuscettibile di verifica empirica - o anche una pretesa regola generale che risulti però priva di qualunque pur minima plausibilità.

In materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità.

Le massime di esperienza sono generalizzazioni empiriche, tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione; dunque, nozioni di senso comune (common sense presumptions), enucleate da una pluralità di casi particolari, ipotizzati come generali, siccome regolari e ricorrenti, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi.

Il controllo di legittimità inerente alla giustificazione esterna non può estendersi fino al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza delle quali il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purché la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate.

La razionalità dell'apparato motivazionale può anche difettare sul versante della giustificazione interna, relativa all'applicazione delle massime e dei criteri di giudizio e alla coerenza delle conclusioni rispetto alle premesse. Di talché il vizio è, ad esempio, configurabile laddove vengano adottate, come premesse, delle affermazioni scarsamente plausibili; oppure qualora si scelga un'ipotesi ricostruttiva del fatto intrinsecamente incoerente ovvero connotata da un alto coefficiente di opinabilità oppure contrastante con altre ipotesi caratterizzate da un elevato grado di plausibilità logica, sì da relegare l'ipotesi prescelta in un ristretto ambito probabilistico o da collocare l'assunto accusatorio al di sotto del limite del ragionevole dubbio.

 

 

Cassazione penale

sez. IV, ud. 20 maggio 2021 (dep. 8 ottobre 2021), n. 36524
Presidente Di Salvo – Relatore Esposito

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino, in sede di giudizio di rinvio, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Aosta del 28 marzo 2018, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla circostanza aggravante, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di M.C.M.G. , in relazione al reato di violenza sessuale di cui al capo 2), in anni quattro e mesi quattro di reclusione, con sostituzione della pena accessoria dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con l'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, eliminazione della pena accessoria dell'interdizione legale durante l'esecuzione della pena e revoca delle statuizioni civili.

Va precisato che la condanna relativa al reato di cui all'art. 572 c.p. di cui al capo 1) (maltrattamenti nei confronti della moglie C.E. - in […] e altri luoghi del circondario dall'anno […] ad (omissis) ) era già divenuta definitiva nel corso del presente giudizio. L'imputazione per il reato di cui al capo 2) è la seguente: art. 81 c.p., comma 2, art. 61 c.p., n. 5, art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., n. 5-quater, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza e comunque contro il consenso della moglie C.E. , costringeva la stessa subire atti sessuali, approfittando del fatto che questa fosse addormentata e in situazione di coscienza ridotta. In particolare: a) praticandole del sesso orale e, dopo che la moglie si era svegliata e lo aveva sorpreso mentre si nascondeva sotto il letto, giustificandosi dicendo "avevo voglia di leccarti la fica"; b) penetrandola in vagina in un'altra occasione, nell'estate 2016 mentre la stessa dormiva; c) tentando di penetrarla in vagina, un'altra notte, spingendole il pene contro le zone intime, prima che questa si svegliasse; d) penetrandola analmente mentre questa dormiva, fino ad eiaculare e successivamente, dopo che questa si era svegliata e che era intervenuta la figlia M. , ammettendo il fatto e dicendo che "ne aveva voglia nell'estate 2017; e) penetrando, un'ultima volta, la C. , in vagina, sempre mentre questa era addormentata, fino ad eiaculare sulle sue zone intime, nell'estate 2017. Con le aggravanti di aver approfittato di circostanze di luogo, tempo e persona tali da ostacolare la privata difesa, avendo commesso i fatti in ora notturna, in casa e durante il sonno della moglie; di aver commesso il fatto in danno del coniuge (In […] nelle estati 2016 e 2017).

1.1. Con sentenza del 28 marzo 2018, il Tribunale di Aosta, all'esito di giudizio ordinario, aveva affermato la responsabilità di M.C.M.G. in ordine ai reati di cui all'art. 61 c.p., n. 11-quinquies, art. 572 c.p. (capo 1) e art. 81 c.p., comma 2, art. 61 c.p., nn. 5 e 11-quinquies, art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., n. 5-quater (capo 2).

L'imputato, appuntato dei Carabinieri in servizio ad Aosta, e C.E. , impiegata presso gli uffici giudiziari della stessa città, si sposavano nel 2009; dopo un primo periodo di tranquillità, il M. aveva cominciato a manifestare un'indole verbalmente e fisicamente violenta ed un atteggiamento di prevaricazione nei confronti della moglie, che costantemente ingiuriava, denigrava e percuoteva. Dopo le aggressioni, il M. si scusava con la moglie, implorava il suo perdono e prometteva di cambiare. Durante la convivenza la C. non confidava a terzi le angherie di cui era vittima e non denunciava l'imputato, in quanto lo amava molto, era persuasa che la maltrattasse perché aveva problemi psicologici e non voleva pregiudicarne la posizione lavorativa; per le stesse ragioni, nelle due occasioni in cui, a seguito delle percosse ricevute, si recava al Pronto Soccorso, aveva dichiarato ai medici di essersi infortunata accidentalmente; nell'agosto 2010, si verificava il più grave episodio di violenza fisica, a seguito del quale la C. andava dal medico di famiglia Dott. D.M. , il quale, visti i lividi sul suo corpo, le rappresentava di dover denunciare il M. , ma la C. si opponeva, non intendendo nuocere al marito; il medico comunque indirizzava l'imputato ad uno psichiatra, il Dott. C. , che gli aveva prescritto uno psicofarmaco, il Wellbutrin. Analogamente, in occasione del morso dell'imputato alla guancia sinistra, la C. , interrogata dalla collega T.O. sulle cause, asseriva che si era trattato di un gioco. Solo nel 2015 la C. si confidava col figlio M. , il quale, appreso del protrarsi sistematico delle violenze ai danni della madre, le riferiva che lo avrebbe denunciato in Questura; anche in tal caso e per la stessa ragione, la C. lo implorava di soprassedere. Verso la fine della convivenza, la vittima si ribellava ai soprusi del coniuge (in precedenza sempre sopportati passivamente), rispondeva a tono ai suoi insulti, cercava di difendersi dalle percosse e gli rappresentava il desiderio di separarsi.

Nell'agosto 2016, mentre cenava col M. , la C. vedeva un servizio televisivo sulla cd. "droga dello stupro", in cui si elencava una serie di farmaci, tra i quali l'Halcion, ossia il sonnifero da lei utilizzato unitamente al Lexotan per prendere sonno. Poco tempo dopo, la donna, mentre dormiva senza slip, si svegliava "mezza rimbambita" e sentiva la vagina e il lenzuolo bagnati; non riuscendo a capire l'accaduto, si recava in bagno a lavarsi, ma si accorgeva di essere bagnata da un liquido vischioso; tornata a letto, metteva un telo sulla parte bagnata del lenzuolo e si coricava nuovamente, accanto al M. , apparentemente addormentato. La mattina seguente gli chiedeva se la notte l'avesse toccata ma l'uomo negava.

Qualche notte dopo, mentre dormiva, la C. sentiva un fastidio in mezzo alle gambe e, senza accendere la luce, si sedeva di scatto, portando le gambe fuori dal letto; così facendo, toccava la testa del marito; stupita, accendeva la luce e lo sorprendeva per terra, apparentemente intento a cercare qualcosa sotto al letto; a quel punto, capiva che durante il sonno l'uomo le aveva praticato un rapporto orale, per cui si arrabbiava e lo insultava; il M. dapprima negava e poi ammetteva il fatto, dicendo "avevo voglia di leccarti la fica", e prometteva di non rifarlo. Un'altra notte, mentre dormiva rannicchiata su un fianco come di consueto, la persona offesa si svegliava di colpo perché aveva avvertito una forte spinta nell'ano e si accorgeva immediatamente che si trattava del pene del marito in erezione; la mattina seguente gli chiedeva cosa stesse tacendo e l'uomo rispondeva che la sera prima aveva bevuto troppo. Una notte dell'estate 2017, la parte lesa si svegliava in preda a dolori terribili che partivano dall'ano e arrivavano all'addome; cercando di mettersi a sedere, sentiva del liquido colare dall'ano e pensava di avere un'emorragia; accesa la luce, vedeva che era sperma; mi urlava, iniziava ad insultare il M. , che tingeva di dormire, ed a gridare, chiedendogli perché le avesse fatto una cosa del genere; l'imputato dapprima le rispondeva di non aver fatto niente ma, a fronte dell'insistenza della mogli, che reiterava la domanda, le rispondeva "perché avevo voglia". Attirata dalle urla, la figlia M. entrava in camera da letto e chiedeva alla madre cosa le avesse fatto l'imputato; la C. le rispondeva che l'uomo l'aveva violentata "dietro"; la ragazza iniziava a prendere a pugni il padre, dicendo che faceva schifo e che se ne sarebbe dovuto andare di casa; l'uomo si metteva a piangere e ammetteva di aver sbagliato, supplicando moglie e figlia di perdonarlo e di dargli un'ultima possibilità. Alcune notti dopo, però, la donna si svegliava nuovamente di colpo, sentendo bruciore alla vagina e, dopo aver toccato la parte, si accorgeva che era piena di sperma; infuriata, contestava al marito di aver nuovamente abusato di lei e telefonava a M. , informandola del fatto. Una notte del settembre 2017, la C. - che dormiva col pigiama perché aveva cominciato a rinfrescare - si svegliava, avendo sentito togliere i pantaloni ed intimava al marito di non provare a toccarla. Ad ottobre 2017, la C. sorprendeva il marito, mentre scambiava messaggi affettuosi con tale M.C. , sua collega di lavoro; tale affronto la C. decideva di lasciare il marito. In data 11 ottobre 2017, la C. informava la figlia M. della sua intenzione di lasciare il padre (dialogo che registrava).

Il Tribunale, ritenuta la testimonianza della C. attendibile e riscontrata dalle dichiarazioni di L.M. , di B.A. e di P.A. e dai certificati medici acquisiti, condannava l'imputato in relazione ad entrambi i reati ascrittigli, salvo escludere la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11-quinquies. Valorizzava la circostanza che la C. , per dormire, assumeva l'Halcion e il Lexotan e che l'imputato, per portare a termine i suoi propositi, profittava della condizione di minorata difesa di lei che, a causa di tali farmaci, era meno soggetta ai risveglio; disattendeva le conclusioni del c.t. di difesa Dott. F. , secondo il quale i farmaci erano inidonei ad indurre sedazione, evidenziando la specializzazione dei c.t. in medicina del lavoro e delle assicurazioni e l'appartenenza dell'Halcion alla categoria degli ipnotici, come risultante dai doglietti illustrativi del medicinale, reperibili ovunque e consultati in udienza tramite una connessione telematica; riteneva il sonno della C. più profondo di quello di chi non assume farmaci ipnotici. Riteneva false le smentite al narrato della vittima provenienti dalla figlia M. e dal Dott. D. ; qualificava come irrilevanti le dichiarazioni della T. , di M.U. e di C.G. ; concludeva per l'inattendibilità della versione dell'imputato che, nell'enfasi di negare ogni addebito, aveva persino negato di aver tradito la moglie, in ciò smentito dalla trascrizione degli sms estrapolati dalla stessa difesa.

1.2. Con sentenza del 1 marzo 2019, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza appellata, riduceva la pena irrogata al M. e confermava nel resto la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale rilevava che la precisione degli episodi riferiti ed il loro ancoraggio spazio-temporale coerente, la chiara esposizione delle ricadute psicologiche subite e del sentimento di impotenza e sudditanza dovuto alle continue vessazioni ed umiliazioni e lo sviluppo di un disturbo post traumatico da stress certificato dalla psichiatra, Dott.ssa P. dimostravano la veridicità del portato dichiarativo della donna. Il giudice a quo sottolineava i riscontri provenienti dalle dichiarazioni del C. e della B. e formulava un giudizio di falsità della testimonianza del Dott. D. . Quanto alla testimonianza di M.M. - secondo la difesa di valenza determinante per smentire le accuse della vittima – la Corte torinese evidenziava la smentita proveniente dalla registrazione del colloquio tra la ragazza e la madre dell'11 ottobre 2017, in cui la giovane, informata dalla madre del suo intento di procedere alla denuncia nei confronti del padre, non aveva contestato le percosse e la violenza sessuale anale subite dalla madre, ricordando addirittura la minaccia da lei stessa profferita all'indirizzo del padre, quando era accorsa alle urla della madre violentata da tengo e financo a rimproverarla per aver sempre perdonato il M. , malgrado le violenze subite. In ordine alle violenze sessuali commesse tra le estati del 2016 e del 2017, anche la Corte di appello disattendeva le conclusioni del Dott. F. , secondo cui l'Halcion assunto dalla C. per agevolare il sonno non poteva indurre un'alterazione dello stato di coscienza e comportare una sedazione tanto profonda da consentire al coniuge di compiere atti sessuali contro la volontà della donna.

1.3 Con sentenza n. 12026 del 24 gennaio 2020, la Terza Sezione della Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata limitatamente al reato di violenza sessuale di cui al capo 2) e rinviava, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di Appello di Torino, anche per l'eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio, rigettando nel resto il ricorso e dichiarando irrevocabile la parte della sentenza impugnata relativa al reato di maltrattamenti in famiglia di cui al capo 1).

1.4 La Corte di Appello, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato la sentenza di primo grado anche in relazione all'affermazione di responsabilità del M. per il reato di cui al capo 2), sebbene per ragioni parzialmente diverse.

La Corte di merito ha ritenuto le consulenze dei dottori R. , V. e F. e la testimonianza di quest'ultimo irrilevanti ai fini della decisione; affermando che l'imputato aveva attuato gli abusi profittando della condizione di minorata difesa della moglie, che, a causa della concomitante assunzione di Halcion e Lexotan, era meno soggetta ai risveglio e si trovava in uno stato di sonno molto profondo, i giudici al merito avevano travisato la testimonianza della donna, la quale non aveva accennato ad un presunto stato di redazione indotto dai tarmaci.

La ricostruzione in fatto contenuta in entrambe le sentenze di merito in ordine alle modalità degli abusi sessuali non rispecchiava la descrizione riportata dalla vittima, limitatasi a riferire degli abusi o dei tentativi di abuso del marito mentre dormiva. Narrando gli altri episodi di violenza sessuale, la C. non accennava più all'effetto dei farmaci, ma semplicemente affermava che le condotte del coniuge l'avevano disturbata nel sonno, svegliandola e consentendole di realizzare l'origine del fastidio e di rilevare le tracce degli abusi. Secondo la Corte territoriale, non suscitava perplessità il dolore lancinante sentito dalla C. , in occasione della penetrazione anale, in quanto era la prima della sua vita ed ella, dormendo, non poteva collaborare all'atto. La donna non aveva mai negato la sua disponibilità a rapporti sessuali, tranne duelli anali. L'affermazione del Dott. F. , secondo cui l'atto penetrativo anale, essendo "contro natura", non poteva essere portato a compimento se non col consenso del partner, era talmente abnorme e contraria all'esperienza giudiziaria (che purtroppo annovera abusi di tal fatta pienamente riusciti su minori certo non consenzienti), da non necessitare di ulteriori commenti.

Quanto ai rapporti vaginali, la C. affermava di non aver mai acconsentito a praticare sesso sulla sua persona mentre dormiva; del resto, a seguito degli interventi chirurgici subiti per la neoplasia da cui era affetta e dell'induzione di menopausa farmacologica, doveva preparare la vagina al coito mediante l'uso di lubrificanti: ragion di più per respingere iniziative sessuali unilaterali. Vari riscontri corroboravano ab externo tale narrato, dimostrando l'inconsistenza delle affermazioni de M. sulla reciprocità delle intemperanze e sulla natura consensuale dei rapporti sessuali.

6. Il M. , a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.

6.1. Errata applicazione della legge penale con riferimento alla disposizione di cui all'art. 627 c.p.p., comma 3.

Si deduce che, secondo la pronunzia rescindente, le argomentazioni difensive volte a censurare motivazione fondate. Era inattendibile la vittima la quale, per negare la sussistenza dei proprio consenso alle congiunzioni carnali con l'imputato, affermava che questi, in tali occasioni, profittava della sua condizione di sedazione e di alterazione dello stato di coscienza derivanti dalla assunzione di farmaci sonniferi. La portata sedativa di tali farmaci non poteva determinare un'alterazione dello stato di coscienza così profonda da consentire al coniuge di compiere atti sessuali contro la volontà di lei, eliminando la sua capacità di reazione o precludendole di rendersi conto delle violenze asseritamente patite. Nelle sentenze di merito si è rilevato che l'assunzione di Halcion e Lexotan generava nella C. un sonno molto profondo, consentendo all'imputato ai perpetrare le pratiche sessuali de quo, approfittando dello stato di semi-incoscienza della moglie, la quale tuttavia, pur rallentata nelle percezioni e quindi spesso al termine delle stesse, si avvedeva dell'accaduto e manteneva memoria delle violenze subite. La Corte di merito ha dimostrato di non conoscere il dosaggio di assunzione dei medicinali, dato decisivo ai fini della valutazione degli effetti, desumendoli sulla base delle mera lettura fatta dal Tribunale del foglietto illustrativo. Tale indicazione si fondava inammissibilmente sulla scienza privata del giudice. L'assunzione del farmaco non poteva aver determinato una sedazione tale da non comprendere compimento degli atti sessuali, senza tra l'altro interferire col ricordo di tale evento (vedi le consulenze tecniche di parte del Dott. V. e del Dott. R. ). Il giudice del rinvio avrebbe dovuto disporre una perizia finalizzata a valutare l'incidenza dei farmaci assunti sulla capacità della C. di percezione e reazione rispetto ai fatti contestati, per uniformarsi al principio di diritto e alle premesse logico-giuridiche poste a base dell'annullamento, non potendo nuovamente riesaminare questioni non affrontate nel giudizio rescindente, ma costituenti i presupposti della pronuncia sui quali si era formato il giudicato implicito interno.

6.2. Vizio di motivazione in ordine al contenuto delle dichiarazioni della C. .

Si rileva che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, i giudici di merito dei precedenti gradi di giudizio non avevano travisato le dichiarazioni della C. , dalle quali emergeva nitidamente la volontà di rappresentare che il M. si sarebbe approfittato dello stato ai incoscienza in cui versava proprio per l'assunzione dei predetti farmaci. La vittima aveva introdotto il tema dell'Halcion e sorprendeva come la sentenza impugnata avesse affermato che ella non aveva mai accennato ad una correlazione tra i sonniferi e gli abusi e come la ricostruzione in fatto contenuta nelle prime sentenze di merito in ordine alle modalità degli abusi sessuali non rispecchiasse la descrizione fattane dalla vittima. Proprio in virtù delle affermazioni della C. , infatti, esse individuavano nei tema degli effetti dei farmaci sullo stato di coscienza della persona offesa un momento centrale della ricostruzione dei fatti. La sentenza impugnata non ha rispettato il dictum di legittimità, avendo autonomamente cambiato i presupposti del giudizio di rinvio, sostituendo il tema delle modalità tecniche di valutazione degli effetti dei farmaci sullo stato di coscienza della parte lesa con quello più generico dell'apprezzamento del narrato stesso proponendo una propria (ulteriore) valutazione; il giudice a quo ha deciso in maniera autoreferenziale di non disporre la perizia auspicata in sede di legittimità.

6.3. Vizio di motivazione in ordine all'attendibilità della persona offesa.

Si rileva che nella sentenza impugnata non si è considerato che la Corte di Cassazione aveva concluso per la sostanziale assenza di ulteriori elementi di riscontro a quanto riferito dalla parte lesa sul punto e ritenendo che per questa ragione la sentenza di secondo grado adagiava in buona parte la valutazione della responsabilità del M. in ordine all'imputazione di violenza sessuale sulla confutazione delle risultanze cui era pervenuto il consulente di parte, operata sulla base di argomentazioni del tutto scisse dai principi sopra esposti. Noncurante delle indicazioni del provvedimento di legittimità, la sentenza impugnata ha ripercorso le dichiarazioni della C. , offrendo valutazioni che superavano il perimetro del suo giudizio. In particolare, le sue affermazioni non sarebbero incrinate dalla circostanza che nel 2009, dopo dieci anni di asseriti maltrattamenti, aveva deciso di sposare il M. ; così sarebbe irrilevante la decisione della C. di querelare il marito guarda caso dopo la scoperta di una sua presunta relazione telefonica con una di lei collega; e sarebbe ancora plausibile che, come raccontato dalla persona offesa, un uomo violenta la propria moglie soltanto d'estate perché d'inverno indossa il pigiama. Invero, secondo la ricostruzione offerta dalla C. in sede di esame testimoniale, gli episodi di violenza sessuale sarebbero avvenuti in tre occasioni durante l'estate del 2016, e altre tre volte durante l'estate 2017. C.M. non confermava il ricordo dell'episodio di violenza anale oppure la sua presenza durante l'esecuzione o subito dopo l'avvenuta commissione del fatto. Del resto, ella aveva negato di essere stata a conoscenza di violenze sessuali ed aveva affermato che percosse e insulti erano reciproci, ma il Tribunale aveva apoditticamente liquidato tali affermazioni come frutto della condizione di imbarazzo in cui la stessa si trovava, sostanzialmente sentitasi chiamata a scegliere tra i due genitori. Pertanto, le dichiarazioni della vittima, come rilevato dalla sentenza di legittimità, erano sostanzialmente prive di riscontri.

2.4. Errata applicazione della legge penale in relazione alla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 609 bis c.p..

Si deduce la tesi della carenza del dissenso della parte lesa, integrante uno degli elementi costitutivi del reato de quo. La C. non poteva essere rimasta addormentata nel corso dell'intero atto di penetrazione anale o vaginale, per poi svegliarsi solo alla fine. La donna non si era mai opposta durante l'espletamento degli atti asseritamente patiti. I coniugi vivevano assieme da circa venti anni, conoscevano le abitudini e i gusti sessuali dell'altro; la C. non si era lamentata dei rapporti sessuali prima della scoperta degli scambi di messaggi platonici del marito con un'altra donna. La C. dichiarava di dormire senza mutande accanto al marito e di aver mantenuto tale abitudine anche dopo gli asseriti atti di violenza sessuale dell'estate 2016. Il silenzio della moglie, quindi, rappresentava un consenso presunto o implicito agli atti sessuali. Il M. non aveva motivo per intrattenere rapporti sessuali con la moglie senza il suo consenso. Non era credibile che ella avesse percepito i primi due episodi asseritamente commessi dal M. e il tentativo del marito di toglierle il pigiama, ma non di una violenza idonea a provocarle dolori strazianti. La sentenza impugnata ha ritenuto ragionevole che la C. in stato di sonno naturale non ricordasse l'atto di violenza anale e del quale, al risveglio, non era neppure sicura che fosse accaduto: ormai sveglia e quindi in possesso delle sue facoltà razionali, non avrebbe potuto serbare un nitido ricordo dei fatti.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Con la pronunzia rescindente, la Corte di Cassazione censurava la motivazione della sentenza impugnata sotto i seguenti profili:

a) la notevole efficacia ipnotica e sedativa dei medicinali assunti dalla persona offesa, di natura tale da determinare nella stessa uno stato di sonno ben più profondo rispetto a quello di chi non assume alcun farmaco di tale genere, consentendo all'imputato di perpetrare le pratiche sessuali di cui all'imputazione approfittando dello stato di semi-incoscienza della moglie;

b) la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si riconosceva che, nonostante tale stato, la moglie aveva conservato la memoria delle violenze subite, tanto da riferirne successivamente con dovizia di particolari;

c) l'illogicita di tale assunto, posto che non soltanto la corte di merito non aveva dimostrato di conoscere il dosaggio con il quale i medicinali in questione erano assunti dalla parte lesa, dato evidentemente fondamentale ai fini della valutazione degli effetti che tali medicinali potevano cagionare;

d) l'illogicità nell'aver desunto la consistenza di tali effetti, con valutazione del tutto autoreferenziale, sulla base della semplice lettura fatta dal giudice di primo grado del foglietto illustrativo del medicinale, privatamente reperito sulla rete Internet, e, pertanto, sulla scienza privata del giudice, il quale aveva reperito di propria iniziativa gli elementi di giudizio e li aveva valutati sulla base di suoi personali criteri;

e) la confutazione dei risultati della consulenza sulla sola base della propria scienza personale, derivante da incerti e generici elementi non specialistici, senza invece disporre una nuova perizia.

3. La Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato la sentenza ai primo grado anche in relazione all'affermazione di responsabilità del M. per il reato ai violenza sessuale, sebbene per ragioni diverse da quelle esposte dal Tribunale, modificando integralmente il percorso motivazionale posto alla base delle precedenti sentenze di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto di prescindere del tutto dalle risultanze degli elaborati tecnici dei consulenti prof. R. , prof. V. e Dr. F. nonché dalle dichiarazioni da quest'ultimo rese nel corso del giudizio di primo grado.

La Corte di merito, infatti, ha seguito un percorso logico del tutto diverso, basato sulle seguenti considerazioni:

A) la persona offesa non aveva mai accennato ad un presunto stato di sedazione indotto dai farmaci, avendo espressamente sottolineato che gli abusi e i tentativi di abuso sessuale erano avvenuti mentre dormiva, per cui la questione delle conseguenze dell'assunzione di sonniferi era del tutto irrilevante nella ricostruzione delle modalità di realizzazione del delitto;

B) non occorreva verificare gli effetti dell'Halcion e del Lexotan sullo stato di coscienza della donna, in quanto la stessa non aveva mai posto in correlazione l'assunzione di tali preparati con gli abusi sessuali, limitandosi ad un fugace accenno ai curativi, per contestualizzare l'inizio degli abusi;

C) nel descrivere gli ulteriori episodi di violenza sessuale, la vittima non ripeteva quanto sopra evidenziato sull'effetto di tali farmaci, bensì affermava che le condotte di abuso del coniuge l'avevano disturbata nel sonno e l'avevano svegliata "di colpo";

D) inizialmente, la C. si trovava in una normale e fisiologica condizione di sonno, agevolata dai farmaci e, successivamente svegliata dall'imputato che armeggiava sul suo corpo, riprendeva le sue facoltà razionali e mnesiche, per cui era in grado di serbare un nitido ricordo dei fatti;

E) quanto ai rapporti vaginali, la donna affermava ai non aver mai dato la sua disponibilità al coniuge di praticare sesso sulla sua persona mentre dormiva; e del resto la persona offesa, a seguito dei ripetuti interventi chirurgici subiti per la neoplasia da cui era affetta e dell'induzione di menopausa farmacologica, doveva previamente preparare la vagina al coito mediante l'uso di lubrificanti: ragione di più per respingere iniziative sessuali unilaterali prese dall'imputato senza il coinvolgimento della moglie dormiente;

F) la parte lesa aveva sempre detto al marito di non voler sperimentare rapporti anali, mentre per gli altri tipi di rapporto, le azioni criminose del M. erano illogiche (come spesso avviene anche per altre condotte umane), perché la moglie non si era mai sottratta alle sue richieste;

G) nella fattispecie le violenze erano consistite nell'aver agito il M. mentre la donna dormiva e, pertanto, non poteva esprimere il proprio eventuale consenso;

H) acclarata l'inconferenza dei riferimenti al Lexotan e all'Halcion, non aveva nessun senso incaricare un esperto (in un settore non meglio precisato), per stabilire se il sonno potesse essere interrotto da atti intrusivi in area genitale e se la vittima, una volta desta, potesse constatare la presenza di tracce degli abusi sul suo corpo o sulle lenzuola;

I) il comportamento della vittima non poteva essere interpretato come consenso di rapporti sessuali, in quanto l'imputato conosceva perfettamente l'avversione della medesima per i rapporti anali, e in quanto, dopo ogni abuso notturno, la C. si infuriava e redarguiva aspramente il marito per aver abusato di lei nel sonno, tanto che questi si scusava in occasione dei successivi contatti tramite sms.

4. In relazione al diverso apparato argomentativo adoperato nella sentenza impugnata, va premesso che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell'avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all'esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione (Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, Tamburrino, Rv. 280660, relativa a fattispecie in tema di annullamento con rinvio per vizio di motivazione in merito al "punto" relativo alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte nell'ambito di altro procedimento; Sez. 3, n. 23140 del 26/03/2019, Visconti, Rv. 276755).

È noto infatti che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato nè condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice dai merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629; Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri, Rv. 259811).

In particolare non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un diverso percorso argomentativo ed in parte arricchito, rispetto a quello già censurato in sede di legittimità, con l'unico limite della formazione del giudicato progressivo su un capo della decisione (Sez. 3, n. 23140 del 26/03/2019, Visconti, Rv. 276755, inerente a fattispecie in cui la Corte di cassazione ha precisato che, dopo la sentenza di annullamento per vizio di motivazione, la Corte di merito in sede di rinvio legittimamente può occuparsi di addebiti di colpa specifica non esaminati nella decisione del giudice di legittimità e non coperti dal giudicato progressivo, poiché relativi a meri punti e non a capi della sentenza).

5. In giurisprudenza è stato poi chiarito che, mentre nella mancanza di motivazione è assente il discorso giustificativo, nella motivazione illogica, il discorso giustificativo c'è ma manca la sua razionalità (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710.

Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105). La razionalità dell'apparato motivazionale può, in primo luogo, difettare sul versante della giustificazione esterna, relativa alle massime di esperienza e ai criteri di giudizio e di ricostruzione del fatto da adottare.

Occorre ricordare altresì che, in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, Romano, Rv. 281385; Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, Devona, rv. 277312; Sez. 6, n. 31/06 del 07/03/2003, Abbate, Rv. 228401).

Si tratta dunque di generalizzazioni empiriche, tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione; dunque, nozioni di senso comune (common sense presumptions), enucleate da una pluralità di casi particolari, ipotizzati come generali, siccome regolari e ricorrenti, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi (Sez. 6, n. 1775 del 09/10/2012, dep. 2013, Ruoppolo, Rv. 254196, in applicazione del principio, la Corte ha censurato, per carenza della giustificazione esterna, una decisione del tribunale del riesame che, nel respingere una richiesta in sostituzione ai misura carceraria con quella domiciliare, non aveva indicato in base a quale massima di esperienza un minore di anni sei, in una situazione di grave disagio psicologico, non necessitasse della stabile presenza della madre).

Al riguardo, questa Corte ha sottolineato che il controllo di legittimità inerente alla giustificazione esterna non può estendersi fino al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza delle quali il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purché la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne deriva che la doglianza di illogicità può essere proposta allorché il ragionamento non si fondi realmente su massime di esperienza, secondo la nozione poc'anzi precisata, ma valorizzi piuttosto una congettura - e cioè un'ipotesi non fondata sull'id quod plerumque accidit e insuscettibile di verifica empirica - o anche una pretesa regola generale che risulti però priva di qualunque pur minima plausibilità (Sez. 6, n. 31706 del 2003, cit.).

La razionalità dell'apparato motivazionale può anche difettare sul versante della giustificazione interna, relativa all'applicazione delle massime e dei criteri di giudizio e alla coerenza delle conclusioni rispetto alle premesse. Di talché il vizio è, ad esempio, configurabile laddove vengano adottate, come premesse, delle affermazioni scarsamente plausibili; oppure qualora si scelga un'ipotesi ricostruttiva del fatto intrinsecamente incoerente ovvero connotata da un alto coefficiente di opinabilità oppure contrastante con altre ipotesi caratterizzate da un elevato grado di plausibilità logica, sì da relegare l'ipotesi prescelta in un ristretto ambito probabilistico o da collocare l'assunto accusatorio al di sotto del limite del ragionevole dubbio.

6. Ciò posto sui quadro giurisprudenziale in tema ai poteri del giudice del rinvio nonché delle nozioni di motivazione illogica e di massime di esperienza, l'oggetto del giudizio di rinvio risulta individuato e circoscritto con molta precisione nella pronunzia rescindente, che aveva riscontrato una carenza motivazionale in ordine all'analisi delle conclusioni alle quali era pervenuto il consulente di difesa, limitandosi a dubitare della congruità della sua qualificazione professionale e della sua competenza tecnica.

Sempre alla luce del quadro giurisprudenziale sopra delineato, deve rilevarsi che al giudice del rinvio è consentito di assumere una diversa prospettazione fattuale, attraverso un'adeguata e coerente motivazione, che ben può rendere irrilevante l'esame del dictum della sentenza rescindente.

Per compiere tale operazione ermeneutica, la Corte territoriale, dopo aver sminuito l'effetto dei farmaci sullo stato della vittima, ha sostenuto che la donna versava in una condizione normale e fisiologica di sonno e che, contestualmente, il coniuge armeggiava sul suo corpo, talora provocandole, in relazione alla tipologia di approccio sessuale, dolore fisico, senza però svegliarla e senza suscitare la reazione della donna.

Tale motivazione risulta viziata da illogicità intrinseca, in quanto è basata su un assunto irrazionale.

Ciò è riscontrabile nel caso in disamina, in cui l'organo giudicante ha tratto un'affermazione categorica dalla situazione fattuale prospettata, non ha esplicitato le linee della giustificazione esterna del decisum e non ha indicato la massima di esperienza utilizzata per addivenire alla conclusione sopra riportata.

Nè il giudice ha spiegato l'esatta dinamica di tale vicenda con particolare riferimento al rapporto tra atti sessuali, stato di sonno o di dormiveglia della donna, reazione (o possibilità di reazione) della stessa all'agire del marito.

È formulabile, pertanto, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., il seguente principio di diritto: ai fini del decidere, il giudice può utilizzare, come massime di esperienza, esclusivamente generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto; fondate su ripetute esperienze ma autonome ad esse e perciò valevoli per nuovi casi; tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi.

8. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, alla stregua di quanto appena riportato.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

Tenuto conto della natura dei reati contestati, va ordinata l'esecuzione degli adempimenti di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge