Le disposizioni concernenti le misure alternative alla detenzione, in quanto non riguardano l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma attengono soltanto alle modalità esecutive della pena irrogata, non hanno carattere di norme penali sostanziali, e quindi - in assenza di specifiche norme transitorie - soggiacciono al principio tempus regit actum e non alla disciplina dell'art. 2 c.p. e dell'art. 25 Cost.
Le disposizioni che individuano i delitti ostativi alle misure alternative alla detenzione di cui all'art. 4 bis Ordinamento Penitenziario e quelle che per relationem individuano i delitti ostativi alla sospensione della esecuzione della pena detentiva di cui all'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), in quanto attengono solo alle modalità di esecuzione della pena, non hanno natura di norma penale sostanziale e quindi non soggiacciono al principio di irretroattività stabilito dall'art. 2 c.p. e dall'art. 25 Cost., comma 2.
Le modifiche legislative alle disposizioni predette, incidendo sui presupposti degli obblighi che ai sensi dell'art. 656 c.p.p., comma 5 e 9, competono al Pubblico Ministero come organo della esecuzione penale, si applicano, secondo il principio "tempus regit actum", a tutti i rapporti esecutivi non ancora esauriti al momento della entrata in vigore della novella legislativa.
NB: Si segnala che la Corte europea dei diritti dell'Uomo con la sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09 (Grande Camera) osserva che, sebbene la materia dell'esecuzione penale rimanga esclusa in via di principio dal concetto di "matière pénale" (e non sia pertanto assoggettata al principio di irretroattività di cui all'art. 7 Cedu), la disciplina della redención de penas può essere considerata parte integrante del "droit pénal matériel" se la modalità di esecuzione della pena (riservate alla competenza dei singoli Stati)subisce modifiche tali da cambiare la tipologia di pena. E' quindi illegittima la modifica anche in sede esecutiva se ha comportato un prolungamento della pena certamente "imprevedibile" da parte della ricorrente. Secondo giurisprudenza costante di Strasburgo, infatti, l'esame del diritto c.d. "vivente" ha un ruolo decisivo nella valutazione della sussistenza di una base legale e, pertanto, un improvviso revirement giurisprudenziale (soprattutto se di una giurisdizione superiore) implica una violazione del principio di legalità al pari di una riforma legislativa retroattiva. La conferma di tale conclusione, d'altra parte, non è priva di significato, se solo si considerano le resistenze che la tesi dell'equiparazione tra legge e giurisprudenza, con specifico riguardo al tema dell'efficacia intertemporale degli overruling, incontra tuttora nei diversi ordinamenti europei (per ciò che concerne l'Italia, evidentemente, il riferimento è alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 230/2012). Per tali motivi, la Grande Camera conferma la violazione del principio di legalità sancito dall'art. 7 Cedu e, di conseguenza, del diritto alla libertà personale di cui all'art. 5 Cedu relativamente al periodo di detenzione successivo al rigetto dell'istanza di liberazione anticipata (in quanto sprovvisto di base legale). Inoltre, viene ribadita la richiesta, ai sensi dell'art. 46 Cedu, di disporre, oltre ad un risarcimento economico per il danno morale subito, la liberazione della ricorrente quale unico rimedio effettivo rispetto alla violazione subita.
Si veda il commento di Francesco Mazzacuva su dirittopenalecontemporaneo.it (2013).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
(ud. 30/05/2006) 17-07-2006, n. 24561
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente
Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere
Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere
Dott. SILVESTRI Giovanni - Consigliere
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere
Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRENTO;
nel procedimento esecutivo contro:
A.S., nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza resa il 12/03/2005 dal Tribunale monocratico di Trento, quale giudice dell'esecuzione;
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso;
Udita la relazione svolta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IANNELLI Mario, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:
Svolgimento del processo
1 - In data 28/02/2005 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento emetteva ex art. 656 c.p.p. ordine di esecuzione della pena detentiva a carico di A.S., condannato a due anni e sei mesi di reclusione dal G.U.P. trentino, con sentenza (divenuta irrevocabile) resa in esito a giudizio abbreviato, per i delitti di cui agli artt. 110 e 317 c.p., art. 609 bis e septies, comma 4, n. 3, art. 479 del codice penale, art. 120 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., n. 2.
L' A. proponeva incidente di esecuzione, deducendo l'illegittimità dell'ordine di carcerazione, nella parte in cui aveva omesso di disporre la sospensione della esecuzione a norma dell'art. 656 c.p.p., comma 5.
Il tribunale monocratico di Trento, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 12/03/2005, accogliendo l'istanza, annullava l'ordine di carcerazione, nella parte in cui non era accompagnato da decreto di sospensione della esecuzione, contenente l'avviso al condannato che, entro il termine di legge, poteva presentare istanza volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione.
Osservava al riguardo che, secondo una condivisibile pronuncia di questa Corte, alla stregua del tenore letterale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis, comma 1, ultimo periodo, (Ordinamento Penitenziario), richiamato dall'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), il divieto di sospensione della esecuzione della pena previsto da quest'ultima norma, va riferito - tra gli altri - ai condannati per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di determinati reati (tra i quali quelli di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p. e segg.), ma non ai condannati unicamente per taluno di detti reati-fine (Sez. 3^, n. 33328 del 04/07/2003, P.M. in proc. Bramante, rv. 226133).
2 - Il Procuratore della Repubblica di Trento ha proposto ricorso per Cassazione avverso detta ordinanza, chiedendone l'annullamento con rinvio per violazione dell'art. 656 c.p.p., comma 9, e art. 4 bis Ordinamento Penitenziario.
Ha richiamato a sostegno altra sentenza di questa Corte, secondo cui l'obbligo di sospensione della esecuzione della pena detentiva non si applica nei confronti dei condannati per violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p., indipendentemente dai collegamenti dei condannati con la criminalità organizzata, atteso che il rinvio al citato art. 4 bis individua semplicemente i reati per i quali detta sospensione non può essere disposta, senza recepire i presupposti di applicabilità che la norma richiamata considera necessari ai fini del divieto di concessione dei benefici penitenziari (Sez. 3^, n. 26832 del 26/03/2004, Moncada, rv. 229054).
3 - Il Procuratore Generale in sede, accogliendo la tesi del ricorrente, ha concluso per l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. Ma la prima sezione di questa Corte, assegnataria del procedimento, rilevato un contrasto giurisprudenziale sul thema decidendum, ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite.
Il Primo Presidente ha fissato per la trattazione l'udienza del 30/05/2006.
Il Procuratore generale in sede (diverso sostituto), modificando le conclusioni già rassegnate dall'ufficio, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore dell' A., con memoria depositata in cancelleria alla stessa data del 30/05/2006 (e quindi inammissibile e inutilizzabile ex art. 611 c.p.p.) ha argomentato per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
4 - Com'è noto, l'art. 656 c.p.p., nel testo modificato dalla L. 27 maggio 1998, n. 165, art. 1, comma 5, prevede - per quanto qui interessa - che il Pubblico Ministero, con decreto notificato al condannato e al difensore, sospenda la esecuzione della pena detentiva non superiore a tre anni, avvisando il condannato stesso che ha facoltà di presentare entro trenta giorni domanda per ottenere dal tribunale di sorveglianza alcune misure alternative alla detenzione previste dalla L. 26 luglio 1975, n. 354sull'Ordinamento Penitenziario (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà).
La sospensione della esecuzione, tuttavia, a norma del comma 9, lett. a) del citato articolo, non può essere disposta a favore dei condannati per i delitti di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e successive modificazioni.
Orbene, quest'ultima norma (introdotta con il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 1 recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1992, n. 203, e successivamente modificata dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 15, comma 1, in tema di criminalità mafiosa, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356) configura un sistema per la concessione delle misure alternative alla detenzione e di altri benefici penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno e permessi premio) che è articolato su tre "gruppi" o "fasce" di delitti, per i quali il legislatore presume una specifica pericolosità sociale dei condannati:
a) nei confronti dei condannati per delitti di particolare gravità, come l'associazione di stampo mafioso, il sequestro di persona e l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, la concessione delle misure (ad eccezione della liberazione anticipata) è subordinata alla circostanza che i detenuti collaborino con la giustizia, purchè siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva;
b) a favore dei condannati per altri gravi delitti, quali l'omicidio, la rapina e l'estorsione aggravate, le misure alternative e i predetti benefici possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da fare ritenere che sussistano collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva;
c) nei confronti dei condannati per tutti i delitti dolosi la concessione dei suddetti benefici penitenziari e delle misure alternative (compresa la liberazione anticipata) è vietata allorquando il procuratore nazionale o distrettuale antimafia comunichi l'esistenza attuale di collegamenti con la criminalità organizzata (cfr. Cass. Sez. 1^, n. 2417 del 23/07/1993, Mezzatesta, rv. 192947).
4.1 - Come prima osservazione si deve porre in evidenza che il suddetto art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), individua i reati ostativi alla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva attraverso il rinvio alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e successive modificazioni. Si tratta di un rinvio formale (dinamico) e non recettizio (statico), perchè non recepisce materialmente la norma richiamata e i suoi presupposti soggettivi di applicabilità, ma si limita ad affidare alla norma richiamata l'individuazione delle categorie di delitti per i quali non si applica la sospensione delle pene detentive brevi.
Insomma, il catalogo dei delitti ostativi alla sospensione iniziale della carcerazione breve è identico a quello dei delitti che sono ostativi alle misure alternative alla detenzione. Il che risponde perfettamente alla ratio dell'istituto processuale di cui all'art. 656 c.p.p., comma 5, giacchè la sospensione della detenzione è direttamente funzionale alla eventuale applicazione delle misure alternative alla detenzione, anche se prescinde dal controllo sui requisiti soggettivi di applicabilità delle misure stesse, che è affidato soltanto al tribunale di sorveglianza.
In altri termini, in relazione a condanna per uno dei cd. delitti ostativi, il Pubblico Ministero deve emettere l'ordine di carcerazione senza disporne contestualmente la sospensione; ma il condannato, una volta ristretto in carcere, potrà ugualmente formulare istanza per ottenere una misura alternativa alla detenzione o uno degli altri benefici, che il tribunale di sorveglianza potrà concedere ove ricorrano gli indici di attenuata pericolosità sociale previsti dall'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario.
5 - In seguito, però, con il D.L. 24 novembre 2000, n. 341, art. 11, convertito in L. 19 gennaio 2001, n. 4, art. 4 bis è stato ulteriormente modificato, inserendo tra i delitti ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative contemplati nella predetta "fascia" b) anche quello previsto dall'art. 416 c.p. "realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro 2^, titolo 12, capo 3, sezione 1 (cioè dagli artt. 600-604) e dagli artt. 609 bis, 609 quater, 609 quinques, 609 octies del codice penale".
Si è posto allora il problema se nel catalogo dei delitti ostativi rientrasse - per quello che interessa in questa sede - solo l'associazione per delinquere realizzata allo scopo di commettere uno dei reati-fine indicati, o anche ognuno dei reati-fine autonomamente considerati (in particolare quello di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p.). Optano chiaramente per la prima soluzione Sez. 3^, n. 33329 del 06/08/2003, P.M. in proc. Bramante, rv. 226133, Sez. 3^, n. 22724 del 16/06/2005, P.G. in proc. Longo, rv. 232090, Sez. 1^, n. 22163 del 10/06/2005, P.M. in proc. Millefanti, rv. 232149, Sez. 3^, n. 45617 del 16/12/2005, De Micheli, rv. 232898, Sez. 1^, n. 5870 del 15/02/2006, Vinoya, non massimata, le quali in sostanza precisano che, secondo il tenore letterale della disposizione, il divieto della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva non opera per il delitto di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p., mentre si applica per il delitto associativo finalizzato alla commissione della violenza sessuale.
Altre sentenze, invece, almeno implicitamente, considerano ostativo alla sospensione della carcerazione anche il delitto di violenza sessuale per se stesso considerato. Così Sez. 2^, n. 1443 del 05/05/2000, P.M. in proc. Saponaro, rv. 215904, Sez. 3^, n. 26832, del 15/06/2004, Moncada, rv. 229054, Sez. 1^, n. 48502 del 16/12/2004, P.M. in proc. Maffei, rv. 230170, Sez. 1^, n. 8058 del 24/02/2004, Ceraulo, rv. 227118; anche se tutte queste pronunce affrontano propriamente un thema decidendum diverso da quello in esame. Infatti le sentenze Saponaro, Moncada e Maffei si preoccupano di precisare con vari argomenti che il divieto della sospensione opera indipendentemente dai requisiti soggettivi di applicabilità prescritti dall'art. 4 bis Ordinamento Penitenziario, la cui valutazione spetta al tribunale di sorveglianza e non al Pubblico Ministero come organo della esecuzione penale; mentre la sentenza Ceraulo sostiene che il divieto di sospensione si applica nei confronti sia dei condannati per il delitto di cui all'art. 609 bis c.p. (espressamente indicato dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario) sia dei condannati per il delitto di cui all'art. 519 c.p., attesa la corrispondenza tra le due fattispecie.
Al riguardo, non si può che ribadire l'esattezza del primo orientamento interpretativo.
Se è vero - come si è già rilevato - che il catalogo dei delitti ostativi alla sospensione delle pene detentive brevi coincide con quello dei delitti ostativi alle misure alternative alla detenzione, elencato nell'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non v'è dubbio che in questo catalogo rientra l'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di violenze sessuali, ma non la violenza sessuale commessa al di fuori del vincolo associativo. Il tenore letterale della norma richiamata dall'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a) non consente altra interpretazione.
5.1 - Questo argomento letterale, del resto, trova conferma in altro argomento di natura sistematica, giacchè la L. 1 agosto 2003, n. 207 (cd. indultino), all'art. 1, comma 3, esclude dalla sospensione condizionata della esecuzione della parte finale della pena detentiva la condanna "per i reati indicati dal libro 2^, titolo 12^, capo 3^, sezione 1^, e dagli artt. 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale nonchè dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e successive modificazioni".
L'uso della congiunzione "nonchè" per aggiungere ai delitti previsti dagli artt. 600 e 604 c.p., e dall'art. 609 bis c.p. e ss. anche i delitti previsti dal menzionato art. 4 bis, evidentemente significa che tra i reati indicati in quest'ultimo articolo non sono compresi i delitti di violenza sessuale autonomamente considerati e quelli contro la personalità individuale di cui agli artt. 600 e 604 c.p., giacchè altrimenti sarebbe stato sufficiente il semplice riferimento all'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario.
5.2 - In ordine alla fattispecie di cui trattasi, ne deriva che al momento in cui il Pubblico Ministero trentino emise l'ordine di carcerazione contro A.S., condannato a una pena detentiva infratriennale per il delitto di cui all'art. 609 bis c.p., egli doveva sospenderne l'esecuzione (a meno che ai sensi dell'art. 656 c.p.p., comma 7 la sospensione non fosse preclusa dal godimento di una precedente sospensione).
6 - In seguito, però, il legislatore è nuovamente intervenuto sull'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario, emanando la L. 6 febbraio 2006, n. 38 (disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet).
Con l'art. 15 di questa legge, infatti, il legislatore, da una parte ha aggiunto tra i reati fine dell'associazione per delinquere anche quello di cui all'art. 609 ter c.p., e dall'altra ha inserito tra i reati ostativi ai benefici penitenziari (e quindi alla sospensione iniziale della pena detentiva breve) anche i delitti previsti dall'art. "600 bis c.p., comma 1, art. 600 ter c.p., comma 1 e 2, artt. 600 quinques, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies c.p.".
Giova sottolineare che in tal modo non tutti i reati contemplati come fine dell'associazione per delinquere sono stati inseriti, come fattispecie per se stesse considerate, nel catalogo dei delitti ostativi alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici penitenziari, giacchè ne restano ancora esclusi alcuni delitti contro la libertà individuale contemplati dal libro 2^, titolo 12^, capo 3^, sezione 1^ del codice penale, nonchè i delitti previsti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 3, 3 bis e 3 ter (testo unico sulla immigrazione). Per questi ultimi delitti, quindi, si potrebbe riproporre il problema che si è posto relativamente al delitto di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p. e che questo Collegio ha risolto nel senso sopra specificato al paragrafo 5.
Ciò che maggiormente interessa in questa sede, comunque, è osservare che quest'ultima novella, da una parte conferma ancora una volta che i delitti di violenza sessuale - e gli altri reati-fine ad essi accomunati nella disciplina di cui trattasi - non erano compresi per il passato tra i reati ostativi; e dall'altra pone ulteriore problema rilevante per il caso di specie, della sua applicabilità anche per i delitti commessi o per le condanne divenute esecutive prima della entrata in vigore della legge relativa.
7 - Il problema non risulta affrontato specificamente dalla dottrina.
Ma in linea generale questa è propensa a estendere il principio di irretroattività delle norme penali di cui all'art. 25 Cost., comma 2, a tutte le disposizioni limitative dei diritti di libertà, tra le quali rientrano indubbiamente anche quelle che escludono la sospensione della carcerazione e l'applicazione di misure alternative alla detenzione.
Diametralmente opposta è però la soluzione adottata dalla costante giurisprudenza di legittimità.
Questa infatti, da molti anni a questa parte, è concorde nell'affermare che le disposizioni concernenti le misure alternative alla detenzione, in quanto non riguardano l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma attengono soltanto alle modalità esecutive della pena irrogata, non hanno carattere di norme penali sostanziali, e quindi - in assenza di specifiche norme transitorie - soggiacciono al principio tempus regit actum e non alla disciplina dell'art. 2 c.p. e dell'art. 25 Cost. (ex plurimis Sez. 1^, n. 4421 del 20/09/1995, P.M. in proc. Molinas, rv. 202514; Sez. 1^, n. 6297 del 17/11/1999, Brunello).
Parimenti, riguardo alla L. n. 165 del 1998, che ha appunto modificato l'art. 656 c.p.p. introducendo la sospensione delle pene detentive brevi in funzione delle misure alternative alla detenzione, le Sezioni unite hanno avuto modo di statuire che le nuove disposizioni si applicano ai rapporti che non siano ancora esauriti (sent. n. 20 del 29/10/1998, P.M. in proc. Griffa, rv. 211467).
Sulla stessa linea si iscrivono ex plurimis Sez. 1^, n. 5976 del 30/11/1998, De Fazio, rv. 212106, che richiama espressamente il principio tempus regit actum, Sez. 1^, n. 6356 del 15/12/1998, Galluccio, rv. 212713, che qualifica come norma processuale quella dell'art. 656 c.p.p.; Sez. 1^, n. 999 dell'11/02/2000, Patì, rv. 215502, secondo cui, in virtù del principio tempus regit actum, il nuovo testo dell'art. 656 c.p.p., in quanto norma processuale e non sostanziale, si applica immediatamente anche per gli ordini di carcerazione emessi prima dell'entrata in vigore della novella legislativa, che non abbiano avuto esecuzione durante il vigore della precedente disciplina.
7.1 - Giova notare a questo riguardo che in determinati casi le leggi intervenute nella soggetta materia contenevano disposizioni transitorie.
Così il succitato D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1991, n. 203, che inserì per primo l'art. 4 bis nell'Ordinamento Penitenziario, introdusse anche altri limiti per determinati benefici penitenziari. Ebbene, questa legge non contiene disposizioni transitorie in ordine all'art. 4 bis, mentre ha disposizioni transitorie per quanto riguarda il lavoro all'esterno (art. 21 O.P.), i permessi premio (art. 30 ter O.P.) e l'ammissione alla semilibertà (art. 50 O.P.). Per queste misure il legislatore del 1991 ha innalzato la soglia di espiazione della pena che i condannati per il delitti di cui al 4 bis devono superare per poter accedere ai benefici: la relativa disposizione transitoria (art. 4) stabilisce che le nuove norme si applicano solo per i condannati per delitti commessi dopo l'entrata in vigore del decreto legge.
Parimenti la L. 23 dicembre 2002, n. 279, che ha modificato in senso restrittivo il comma 1, dell'art. 4 bis (art. 1), ha una norma transitoria (art. 4) per la quale le modifiche apportate con l'art. 1 "non si applicano nei confronti delle persone detenute per i delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p. ovvero per delitti posti in essere per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge".
Il fatto che, invece, la citata L. n. 38 del 2006 non contenga alcuna disposizione transitoria analoga a quelle precedenti induce a ritenere che le innovazioni introdotte con essa, lungi dall'applicarsi solo ai delitti commessi o alle condanne divenute esecutive dopo la entrata in vigore della legge stessa, soggiacciano invece al generale principio del tempus regit actum.
7.2 - Sia per la natura giuridica degli istituti, sia per il significato complessivo della normativa citata, quindi, va ribadito che il principio di irretroattività delle norme penali si applica solo per le pene inflitte dal giudice della cognizione, ma non anche per le misure alternative alla detenzione stabilite dal giudice di sorveglianza e per ogni altra modalità esecutiva della pena.
Tale interpretazione, a ben vedere, è autorevolmente confermata anche dalla sentenza 306/1993 della Corte costituzionale. Questa, infatti, pur osservando che la tesi secondo la quale il principio di irretroattività è dettato, oltre che per la pena, anche per le disposizioni che ne regolano l'esecuzione, "potrebbe meritare una seria riflessione", finisce per abbandonare la tesi stessa laddove aggiunge che "anche in materie non soggette al principio di irretroattività della legge, (...) la vanificazione con legge successiva di un diritto positivamente riconosciuto da una legge precedente non può sottrarsi al necessario scrutinio di ragionevolezza". In altri termini, il giudice delle leggi ha ritenuto l'illegittimità costituzionale della norma scrutinata (che era il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 15, comma 2) solo in quanto violatrice del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., ma non in quanto lesiva del principio di irretroattività stabilito dall'art. 25 Cost., comma 2.
In conclusione, non vi sono ragioni per disattendere l'orientamento giurisprudenziale costante secondo cui la disciplina che regola le misure alternative alla detenzione soggiace al principio "tempus regit actum" e non a quello di irretroattività delle leggi penali stabilito dall'art. 25 Cost., comma 2 e dall'art. 2 c.p..
Questa conclusione vale a maggior ragione per l'art. 656 c.p.p., comma 5 e 9, che è quello propriamente applicabile al caso di specie. E' questa un disciplina processuale che regola l'attività del Pubblico Ministero come organo deputato alla esecuzione delle pene, e che definisce i presupposti del suo obbligo di sospendere l'esecuzione delle pene detentive inferiori a una soglia determinata, anche operando un rinvio all'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario per individuare i delitti ostativi al detto obbligo di sospensione. E' logico che ogni eventuale modifica di questa composita disciplina, anche di quella relativa ai delitti che ostano alla sospensione della carcerazione, debba applicarsi - secondo il principio tempus regit actum - a ogni esecuzione penale in corso (rimanendone esclusi soltanto i rapporti esecutivi già esauriti).
8 - In relazione al presente thema decidendum vanno quindi affermati i seguenti principi:
a) secondo la disciplina vigente prima della L. 6 febbraio 2006, n. 38, tra i delitti ostativi alla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva breve, individuati dall'art. 656 c.p.p., comma 9, col rinvio all'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario (L. 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni), è compreso quello di associazione per delinquere finalizzata alla commissione delle varie fattispecie di violenza sessuale, ma non sono inclusi i delitti di violenza sessuale commessi al di fuori del vincolo associativo;
b) dopo l'entrata in vigore della L. 6 febbraio 2006, n. 38, che ha modificato il citato art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario, nel catalogo dei delitti ostativi alla predetta sospensione della esecuzione della pena detentiva breve, sono inclusi anche quelli di violenza sessuale di cui agli artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies c.p.;
c) le disposizioni che individuano i delitti ostativi alle misure alternative alla detenzione (di cui al predetto art. 4 bis) e quelle che per relationem individuano i delitti ostativi alla sospensione della esecuzione della pena detentiva (di cui all'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a)), in quanto attengono solo alle modalità di esecuzione della pena, non hanno natura di norma penale sostanziale e quindi non soggiacciono al principio di irretroattività stabilito dall'art. 2 c.p. e dall'art. 25 Cost., comma 2;
d) le modifiche legislative alle disposizioni predette, incidendo sui presupposti degli obblighi che ai sensi dell'art. 656 c.p.p., comma 5 e 9, competono al Pubblico Ministero come organo della esecuzione penale, si applicano, secondo il principio "tempus regit actum", a tutti i rapporti esecutivi non ancora esauriti al momento della entrata in vigore della novella legislativa.
9 - Alla luce di questi principi è agevole la valutazione del ricorso in oggetto.
La impugnata ordinanza del giudice della esecuzione era sicuramente corretta alla stregua della legislazione vigente, giacchè in base a questa il condannato aveva diritto alla sospensione dell'ordine di carcerazione. Peraltro, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2 va rilevato che lo ius superveniens ha escluso questo diritto nei confronti di tutti i condannati per delitti di violenza sessuale di cui agli artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p. per i quali non sia iniziato o sia ancora pendente il rapporto processuale di esecuzione. Tale è il caso dell'odierno ricorrente, attinto da una condanna definitiva per il delitto, di cui all'art. 609 bis c.p., in relazione alla quale la pendenza del rapporto esecutivo deriva dalla richiesta proposta ex art. 666 c.p.p.dallo stesso condannato e dal successivo ricorso del Pubblico Ministero contro l'ordinanza resa al riguardo dal giudice della esecuzione.
Per queste ragioni tale ordinanza va annullata senza rinvio, con comunicazione al Pubblico Ministero per quanto di sua competenza.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, a sezioni unite, annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone darsi comunicazione del presente provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trento.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2006