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Non imputabile non deve restare in carcere, va curato in una REMS (Corte EDU, Sy vs. Italia, 2022)

24 gennaio 2022, Corte europea per i diritti dell'Uomo

Condannata l’Italia per aver trattato in modo inumano un detenuto con gravi problemi psichiatrici avendo continuato a tenerlo in una prigione ordinaria nonostante i tribunali nazionali, e poi anche la Corte stessa, ne avessero ordinato il trasferimento in un centro dove potesse essere curato (che però non avevano spazio).

CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CASO DI SY v. ITALIA

(Domanda n. 11791/20)

  

GIUDIZIO

Art 3 (materiale) - Trattamento inumano e degradante - Due anni di detenzione in un carcere ordinario di una persona bipolare in cattive condizioni e senza una strategia terapeutica globale per il trattamento della sua condizione

Art 5 § 1 a) - Pena - Richiedente in grado, al momento di scontare la pena, di comprendere e beneficiare dello scopo di reintegrazione sociale della pena

Art 5 § 1 e) - Continuazione della detenzione ordinaria nonostante il collocamento in un istituto adeguato ordinato dai giudici nazionali - Tre condizioni della giurisprudenza Winterwerp soddisfatte - Insufficienza dei posti disponibili non è una giustificazione valida

Art 5 § 5 - Mancanza di mezzi per ottenere una riparazione con un sufficiente grado di certezza

Art 6 § 1 (penale) - Mancata esecuzione della sentenza che ordina la liberazione del richiedente e l'ordine di collocazione in un istituto adeguato

Art 34 - Ritardo eccessivo di 35 giorni nell'esecuzione del provvedimento provvisorio della Corte che chiede il collocamento del ricorrente in un istituto adeguato

 STRASBURGO

24 gennaio 2022

 Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetto a modifiche formali.

Nel caso Sy contro Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da :

Marko Bošnjak, Presidente,

Péter Paczolay,

Krzysztof Wojtyczek,

Alena Poláčková,

Erik Wennerström,

Raffaele Sabato,

Lorena Schembri Orland, giudici,

e Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visto :

il ricorso (n. 11791/20) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da un cittadino di tale Stato, il sig. Giacomo Seydou Sy ("il ricorrente") il 4 marzo 2020

la decisione di portare la domanda all'attenzione del governo italiano ("il governo"),

la misura provvisoria indicata al governo convenuto ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte ("il regolamento"),

le osservazioni delle parti,

la decisione della Corte del 9 marzo 2021 di non accettare la dichiarazione unilaterale del governo,

Avendo deliberato in camera di consiglio l'11 gennaio 2022,

Emette la seguente sentenza, che è stata adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la continuazione della detenzione ordinaria del ricorrente, nonostante, tra l'altro, le decisioni dei tribunali nazionali che ordinano il suo collocamento in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS). Il ricorrente lamentava il perdurare della sua detenzione ordinaria, che riteneva illegittima; le sue condizioni di detenzione, che riteneva scadenti per la mancanza di un trattamento specifico per il suo disturbo mentale; la mancanza di rimedi interni; la mancata esecuzione della decisione del 20 maggio 2019 con cui la Corte d'appello aveva ordinato la sua liberazione; il ritardo nell'esecuzione della misura indicata dalla Corte ai sensi dell'articolo 39 del suo regolamento. Sono in discussione gli articoli 3, 5 § 1, 5 § 5, 6, 13 e 34 della Convenzione.

I FATTI

2. La ricorrente è nata nel 1994 e vive a Mazzano Romano. Era rappresentato dal signor A. Saccucci, G. Borgna, V. Cafaro e G. Di Rosa, avvocati a Roma.

3. Il governo era rappresentato dal suo agente, il signor L. D'Ascia.

4. Il richiedente soffre di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare. Il suo stato mentale è aggravato dall'abuso di sostanze. Al momento della presentazione del ricorso, era detenuto nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso ("Rebibbia NC") a Roma.

Il primo procedimento penale

5. Accusato di molestie nei confronti della sua ex fidanzata, resistenza a pubblico ufficiale e aggressione e percosse, il ricorrente è stato posto agli arresti domiciliari il 15 luglio 2017 dal giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Roma come misura cautelare.

6. Il 4 settembre 2017, poiché il ricorrente si era ripetutamente allontanato dalla sua abitazione, il GIP ha sostituito la misura con la detenzione provvisoria e ha chiesto alla direzione sanitaria del carcere di redigere una relazione sul suo stato di salute e sulla sua compatibilità con la detenzione, al fine di valutare la capacità del sistema carcerario di garantire al ricorrente le cure necessarie.

7. Il 18 settembre 2017, il GIP ha chiesto una valutazione psichiatrica del ricorrente per determinare il suo stato psicologico al momento dei reati e la sua pericolosità per la società.

8. Il 3 ottobre 2017, in un'udienza in contraddittorio ad hoc davanti al GIP ai fini della produzione di prove (incidente probatorio), il perito G.M. ha presentato la sua relazione, che ha concluso come segue:

"Il sig. Sy, affetto da un disturbo di personalità (...) (caratteristiche miste di personalità antisociale e borderline), da un disturbo bipolare e disturbi correlati, da un disturbo legato all'uso di cannabis, da un disturbo legato all'uso di stimolanti (cocaina), era, all'epoca dei fatti (...), a causa di una fase di grave scompenso, in una condizione di infermità tale da escludere la sua responsabilità.

Il signor Sy deve essere considerato, nel senso psichiatrico del termine, come socialmente pericoloso, che richiede cure e riabilitazione terapeutica invece della detenzione.

Il signor Sy è in grado di partecipare coscientemente al suo processo."

9. Il 6 ottobre 2017 l'IPTF ha sostituito la custodia cautelare con una misura provvisoria di sicurezza personale di collocamento in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza; "REMS") per un anno (vedi paragrafo 49 qui di seguito), da attuare il prima possibile. Nel frattempo, il richiedente doveva essere collocato in una struttura adeguata.

10. Lo stesso giorno, su richiesta del pubblico ministero, il GIP ha deciso che l'imputato doveva essere processato con la procedura immediata.

11. Il 22 novembre 2017, sulla base della perizia psichiatrica presentata il 3 ottobre 2017, il GIP ha assolto il ricorrente in quanto, a causa della sua infermità, non era in grado di controllare le sue azioni e ha disposto l'applicazione della misura detentiva REMS per un periodo di sei mesi. Ha notato che la misura di sicurezza applicata alla ricorrente il 6 ottobre 2017 non è stata eseguita per mancanza di posti nelle strutture interessate (cfr. paragrafo 9 sopra).

12. Il ricorrente ha dichiarato che era stato rilasciato il 23 dicembre 2017, a causa della mancanza di posti nella REMS, e che il 23 gennaio 2018 era entrato volontariamente in una comunità di cura specializzata per ricevere un trattamento terapeutico personalizzato.

13. 13. Richiamato dal pubblico ministero, il giudice dell'esecuzione di Roma ("JAP", acronimo di juge de l’application des peines, ndt) (magistrato di sorveglianza) ha riesaminato la situazione del ricorrente e, con ordinanza del 14 maggio 2018, depositata il 13 giugno 2018, ha dichiarato che egli rappresenta ancora un pericolo per la società, ma ha sostituito la detenzione nella REMS con l'affidamento in prova, per un periodo di un anno, da effettuarsi presso la comunità specializzata. Il giudice ha basato la sua decisione in particolare sulla relazione dello psichiatra del servizio pubblico per le dipendenze patologiche (Ser.D.) di Roma, che ha ritenuto che il collocamento nella REMS non era più la soluzione adeguata per il ricorrente.

14. Il ricorrente afferma che il mese successivo, mentre era ancora soggetto alla misura di libertà vigilata, ha ottenuto il permesso di lasciare temporaneamente la comunità. Il 29 giugno 2018 ha avuto un altro episodio psicotico causato dal consumo di droga ed è stato portato al pronto soccorso. Sostiene che gli è stato permesso di uscire il giorno stesso, ma che, a causa della mancanza di autorizzazione del giudice, la comunità si è rifiutata di accettarlo, quindi è rimasto in libertà.

Il secondo procedimento penale

15. Il 2 luglio 2018 il ricorrente è stato arrestato in flagrante per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso giorno, il Tribunale di Tivoli ha convalidato l'arresto e ordinato la sua custodia cautelare a Rebibbia NC.

16. 16. All'ingresso in carcere, il ricorrente è stato visitato dallo psichiatra di Rebibbia NC, che ha raccomandato di metterlo in isolamento e sotto un alto livello di sorveglianza, e di fornirgli un trattamento medico adeguato. La cartella medica del carcere ha dimostrato che il ricorrente continuava a soffrire di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare e che la sua salute mentale era instabile e caratterizzata da deliri di grandezza e di persecuzione al limite del delirio. Lo psichiatra ha sottolineato che il ricorrente aveva poca consapevolezza di essere malato e di aver bisogno di cure e che, per quanto riguarda la terapia farmacologica prescritta, era soggetto a periodi di alternanza di accettazione e rifiuto. Verso la fine di luglio 2018, lo psichiatra ha autorizzato il trasferimento del ricorrente in una cella "ordinaria" con altri detenuti, in particolare perché lo stato di salute di quest'ultimo era leggermente migliorato. Alla fine di agosto 2018 ha osservato un alto grado di ansia nel richiedente e un rifiuto della terapia farmacologica.

17. Il 26 settembre 2018, all'udienza, il tribunale ha ordinato la redazione di una perizia per valutare l'idoneità del ricorrente a partecipare al procedimento, il suo stato mentale al momento dei presunti reati e la sua eventuale pericolosità per la società.

18. Nella relazione presentata il 9 novembre 2018, l'esperto, G.M., ha confermato la sua diagnosi del 3 ottobre 2017 per quanto riguarda la patologia del ricorrente (vedi paragrafo 8 sopra). Ha inoltre affermato che, quando il ricorrente aveva commesso i reati, era in uno stato di infermità tale da escludere parte della sua responsabilità. Ha anche confermato la sua valutazione della pericolosità sociale del richiedente. Ha sottolineato che il bisogno di cure mediche aveva la precedenza sulla necessità di detenzione e ha ritenuto che il ricorrente fosse idoneo a partecipare al processo. Dato che il ricorrente era poco consapevole della sua malattia ed era esposto al rischio di nuovi episodi di scompenso, l'esperto ha ritenuto necessario:

"(...) l'inserimento del [richiedente] in un programma terapeutico e riabilitativo misto, che preveda un'adeguata farmacoterapia (...), e un percorso riabilitativo comprendente attività di rieducazione e risocializzazione, in assenza del quale il rischio di nuove fasi di scompenso acuto deve essere considerato molto elevato."

19. Il 22 novembre 2018 il tribunale, sulla base della perizia, ha constatato che all'epoca dei fatti il ricorrente si trovava in uno stato di infermità che escludeva parzialmente la sua responsabilità, lo ha ritenuto responsabile dei reati di cui era accusato e lo ha condannato a un anno e due mesi di reclusione. Ha ritenuto che non fosse necessario ordinare una nuova misura di sicurezza definitiva della stessa natura di quella applicata dal GIP di Roma il 15 maggio 2018, poiché la pena complessiva inflitta era sufficiente.

20. In un'ulteriore decisione emessa lo stesso giorno, il tribunale ha sostituito la detenzione preventiva con gli arresti domiciliari, tenendo conto delle esigenze terapeutiche del ricorrente, come rilevato dall'esperto (cfr. paragrafo 18).

21. Il 27 novembre 2018, poiché il ricorrente non aveva rispettato le condizioni del suo incarico, il tribunale ha ripristinato l'ordinanza di custodia cautelare e, il 2 dicembre 2018, il ricorrente è stato nuovamente incarcerato a Rebibbia NC.

22. Il 29 e il 31 gennaio 2019, dopo aver tentato il suicidio, il ricorrente è stato visitato dallo psichiatra del carcere che ha certificato, in un rapporto del 31 gennaio 2019, che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione ordinaria e che era necessario un trasferimento in un reparto psichiatrico del carcere o in una struttura psichiatrica esterna al carcere.

23. Il 4 febbraio 2019, con un'ordinanza emessa sulla base dell'articolo 111, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (cfr. infra, paragrafo 53), il tribunale ha constatato l'aggravamento dello stato di salute mentale del ricorrente e, poiché il pubblico ministero non aveva richiesto l'applicazione di misure provvisorie di sicurezza, ha disposto il collocamento senza indugio del ricorrente in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici.

24. Con una decisione del 7 febbraio 2019, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (il "DAP") ha disposto il trasferimento del ricorrente nel reparto di salute mentale del carcere di Rebibbia NC. Il 21 febbraio 2019, questa decisione è stata notificata al tribunale. La ricorrente sostiene che questo trasferimento non ha mai avuto luogo.

25. Con sentenza n. 6998 del 20 maggio 2019, depositata il 10 giugno 2019, la Corte d'appello di Roma, cui il ricorrente ha fatto ricorso, ha ridotto la pena a undici mesi di reclusione, ha revocato la misura della custodia cautelare e ha disposto la liberazione del ricorrente.

26. Il ricorrente è rimasto in detenzione a Rebibbia NC.

Procedimento davanti al giudice dell'esecuzione di Roma e applicazione della regola 39 del regolamento del tribunale

27. Nel frattempo, con ordinanza del 21 gennaio 2019, depositata il giorno successivo, il GIP di Roma aveva rilevato che il ricorrente, pur sottoposto a una misura di affidamento in prova a una comunità terapeutica concessa nel primo procedimento penale (cfr. supra, paragrafo 13), era stato posto, il 2 luglio 2018, in custodia cautelare (cfr. supra, paragrafo 15) e poi non aveva rispettato le condizioni degli arresti domiciliari disposti dal Tribunale di Tivoli (cfr. supra, paragrafi 19 e 21). Di conseguenza, ha sostituito la misura di libertà vigilata con l'applicazione immediata della detenzione nella REMS per un periodo di un anno, considerando che questa era l'unica misura appropriata in considerazione della pericolosità sociale del ricorrente.

28. Dal 5 febbraio 2019, il DAP ha chiesto a diverse REMS situate nella regione Lazio di accogliere il richiedente. Tuttavia, le suddette strutture hanno risposto negativamente, a causa della mancanza di spazio.

29. Il 2 settembre 2019 il GIP di Roma ha poi chiesto al DPA di verificare la disponibilità di REMS fuori regione, sottolineando l'urgenza di eseguire la misura di sicurezza e le cure mediche del ricorrente ancora detenuto a Rebibbia NC. Nessuna delle REMS richieste dal DAP è stata in grado di accogliere il richiedente, a causa della mancanza di spazio, sia all'interno che all'esterno della regione.

30. Il 18 novembre 2019 il ricorrente ha chiesto al GIP di Roma una rivalutazione della sua pericolosità sociale e la possibilità di seguire un percorso terapeutico in una struttura più adatta al suo stato di salute.

31. Per pronunciarsi sulla richiesta del ricorrente, il giudice ha chiesto al servizio medico del carcere di Rebibbia NC e al centro di salute mentale del servizio sanitario locale di fornirgli rapporti aggiornati sullo stato di salute del ricorrente e sulle possibili soluzioni terapeutiche. Il rapporto del servizio psichiatrico di Rebibbia NC, datato 29 dicembre 2019, attestava che il ricorrente era in buona salute fisica e che era costantemente monitorato dai medici specializzati del carcere. Il rapporto del centro di salute mentale, datato 26 febbraio 2020, ha sottolineato la necessità di un percorso terapeutico di tipo residenziale e l'integrazione comunitaria al posto di una REMS.

32. 32. Il 2 marzo 2020, ritenendo insufficienti e contraddittorie le prove contenute nei due rapporti summenzionati, il JAP ha nominato un esperto psichiatra per riesaminare il ricorrente.

33. 33. Il 3 marzo 2020 il ricorrente chiese alla Corte, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, di indicare al governo misure appropriate per porre fine alla sua detenzione in carcere. Il 26 marzo 2020 il governo ha prodotto un rapporto del reparto psichiatrico di Rebibbia NC, datato lo stesso giorno, in cui si afferma che il ricorrente è stato regolarmente monitorato da specialisti e che ha raggiunto un certo grado di equilibrio mentale.

34. Il 7 aprile 2020 la Corte ha incaricato il governo, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, di assicurare il trasferimento del ricorrente in una REMS o in un'altra struttura in grado di fornire cure terapeutiche adeguate alla sua patologia mentale.

35. Il 10 aprile 2020, su richiesta del DAP, il reparto psichiatrico di Rebibbia NC ha redatto un rapporto sulle cure fornite al ricorrente in carcere. Il rapporto affermava che il ricorrente, a partire da ottobre 2019, grazie alla sua disponibilità a sottoporsi al trattamento, aveva raggiunto un certo grado di equilibrio mentale. Il rapporto affermava inoltre che il progetto terapeutico e riabilitativo elaborato per il ricorrente comprendeva visite regolari dello psichiatra curante allo scopo di monitorare la terapia farmacologica, incontri con lo psicologo del servizio di dipendenza patologica e partecipazione ad attività sportive. Il rapporto affermava che il 28 ottobre 2019 e il 26 febbraio 2020 i referenti dei servizi sanitari locali si erano incontrati per redigere un progetto terapeutico e per individuare una struttura di accoglienza all'esterno del carcere.

36. Il 15 aprile 2020 il rappresentante del ricorrente informò la Corte che il suo cliente era detenuto in carcere e che la lettera che aveva inviato alle autorità italiane per chiedere il trasferimento in una comunità terapeutica disponibile ad accoglierlo (Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS) non aveva avuto risposta.

37. 37. Il 27 aprile 2020 il Governo informò la Corte di aver comunicato al JAP di Roma la misura provvisoria indicata dalla Corte, precisando che il potere di modificare la misura di collocamento della REMS applicando un'altra misura di sicurezza meno onerosa rientrava nella competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria. Per quanto riguarda il trasferimento, ha detto che, nonostante le ripetute richieste, nessun posto REMS era ancora disponibile.

38. 38. Il 30 aprile 2020, in risposta alle osservazioni del governo, il ricorrente ha dichiarato che il trasferimento poteva avere luogo poiché aveva già trovato un istituto adatto pronto a riceverlo. A suo parere, lo Stato era venuto meno all'obbligo che gli incombeva in virtù dell'articolo 34 della Convenzione a causa del ritardo nell'attuazione della misura.

39. Il 4 maggio 2020 il GIP di Roma ha ricevuto la perizia psichiatrica richiesta (vedi paragrafo 32). La perizia affermava che il richiedente rappresentava un pericolo per la società, anche se in misura minore perché era più consapevole della sua malattia. L'esperto ha confermato la necessità per il ricorrente di sottoporsi a un programma terapeutico riabilitativo residenziale e ha indicato che il collocamento in una comunità specializzata, come la comunità Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS, che aveva indicato la disponibilità dal 30 aprile 2020, sembrava essere la soluzione più adeguata.

Le conclusioni della perizia sono le seguenti:

" 1. Alla data della valutazione, lo stato mentale del signor Sy, che soffre di un disturbo bipolare I e di un disturbo di personalità borderline e antisociale, associato all'abuso di sostanze psicotrope, appariva compensato, senza deliri o allucinazioni, (...), da un comportamento adeguato e un buon adattamento al contesto. La percezione della malattia era sufficientemente presente, compresa la necessità di un trattamento. La pericolosità del signor Sy da un punto di vista psichiatrico è attenuata rispetto al livello rilevato durante le precedenti perizie, e la necessità di cure e riabilitazione terapeutica ha la precedenza sulla necessità di detenzione.

2. È necessario che il ricorrente continui le sue cure in un contesto residenziale psichiatrico che permetta un monitoraggio continuo del suo stato mentale, la somministrazione regolare di trattamenti farmacologici, il non uso di droghe e programmi di riabilitazione e reintegrazione individualizzati, in assenza dei quali il rischio di nuove fasi di scompenso deve essere considerato molto alto.

3. La struttura residenziale più appropriata per il trattamento specialistico del signor Sy e la limitazione dell'attuale grado di pericolosità sociale è una comunità a doppia diagnosi individuata in accordo con i servizi territoriali (...). Una tale struttura sembra essere la più adatta per la cura e anche per la protezione della società (...). La comunità a doppia diagnosi Santa Maria del CeIS si è detta disponibile a ricevere il signor Sy, che ha ripetutamente espresso il suo accordo e la sua intenzione di iniziare lì un percorso di trattamento (...)".

40. L'8 maggio 2020 il governo ha informato la Corte che un posto era disponibile presso la comunità terapeutica Santa Maria del Centro Italiano di Solidarietà - CeIS e che erano stati presi provvedimenti per trasferirvi il ricorrente. Il 4 maggio 2020, il JAP aveva autorizzato il trasferimento del ricorrente.

41. L'11 maggio 2020, il GIP di Roma dichiarò che la pericolosità del ricorrente era diminuita, revocò l'ordine di detenzione nella REMS e lo sostituì con la misura di sicurezza dell'affidamento in prova alla suddetta comunità dove il ricorrente avrebbe dovuto sottoporsi a un trattamento terapeutico individualizzato.

42. Il 12 maggio 2020, la ricorrente è stata trasferita alla comunità. È fuggito il giorno seguente.

43. Il 5 giugno 2020 i carabinieri informarono l'autorità giudiziaria che il ricorrente era irreperibile.

44. L'8 giugno 2020, il GIP di Roma dichiarò che la pericolosità del ricorrente era peggiorata e ordinò nuovamente l'applicazione della misura di sicurezza della detenzione in REMS per almeno un anno.

45. L'11 giugno 2020, la Procura ha ordinato alla polizia di arrestare il ricorrente e di portarlo alla REMS indicata dal DAP.

46. Il 1° luglio 2020, la REMS "Castore" di Subiaco (Roma) ha informato le autorità che un posto per la ricorrente era disponibile dal 6 luglio 2020. Il ricorrente vi è stato trasferito il 27 luglio 2020.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRATICA NAZIONALE PERTINENTE

diritto interno pertinente
Misure di sicurezza

47. 47. Le misure di sicurezza sono regolate dagli articoli da 199 a 240 del codice penale. Secondo l'articolo 202, paragrafo 1, tali misure "possono essere applicate solo alle persone socialmente pericolose che hanno commesso un atto considerato reato dalla legge". L'autore di un tale atto è considerato socialmente pericoloso "se è probabile che commetta altri atti criminalizzati dalla legge" (articolo 203, paragrafo 1).

48. 48. Le misure di sicurezza (imposte dal giudice penale nella sentenza di merito o in una decisione successiva in caso di condanna, durante l'esecuzione della pena o quando il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena - articolo 205) possono essere revocate solo se l'interessato ha cessato di essere socialmente pericoloso (articolo 207 § 1). Trascorso il periodo minimo previsto dalla legge per ogni misura, il giudice deve riesaminare la persona sottoposta per determinare se è ancora socialmente pericolosa. Se è così, deve fissare una data per la prossima revisione. Tuttavia, può anticipare questa data se c'è ragione di credere che il pericolo sia cessato (articolo 208).

49. Le misure di sicurezza sono personali o relative alla proprietà. I primi includono il confinamento in una casa di cura e di custodia per le persone condannate a una pena ridotta a causa della malattia mentale o dell'intossicazione cronica da alcol o droga (articolo 219), così come il confinamento in un ospedale psichiatrico giudiziario per le persone assolte per gli stessi motivi (articolo 222) e la libertà vigilata (articolo 228).

50. Per quanto riguarda l'internamento, dal 1° aprile 2015, le misure di internamento nelle strutture di cura e detenzione e negli ospedali psichiatrici giudiziari sono eseguite nelle REMS, in conformità con i decreti legge n. 211 del 22 dicembre 2011 e n. 52 del 31 marzo 2014. Il giudice ordina l'applicazione della misura di internamento quando è provato che nessun'altra misura sarebbe idonea a garantire una cura adeguata alla persona interessata e ad affrontare la sua pericolosità. L'11 maggio 2020, il giudice per le indagini preliminari di Tivoli ha sollevato una questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale riguardante, tra l'altro, le norme che stabiliscono le REMS e l'incompetenza del Ministero della Giustizia in materia. Con l'ordinanza n. 131 del 24 giugno 2021, la Corte costituzionale ha aperto un'inchiesta per acquisire informazioni sul funzionamento delle REMS.

51. Per quanto riguarda la libertà vigilata, la persona sottoposta a questa misura è "affidata all'autorità di pubblica sicurezza" per un periodo minimo di un anno; il giudice le impone gli obblighi che ritiene idonei a prevenire la commissione di nuovi reati. La supervisione deve essere esercitata in modo da promuovere, attraverso il lavoro, la riabilitazione dell'interessato alla vita sociale (articolo 228). Se, durante la libertà vigilata, il malato di mente si dimostra nuovamente pericoloso, questa misura è sostituita dal confinamento in una struttura di cura e detenzione (art. 231).

52. Le misure di sicurezza combinate con una pena detentiva sono applicate dopo che la pena è stata scontata o estinta (articolo 211). Un ordine di ricovero in una struttura di cura e detenzione viene eseguito una volta che la pena di restrizione della libertà personale è stata scontata o estinta. Tuttavia, il giudice, tenendo conto dello stato particolare della malattia mentale del condannato, può ordinare il suo ricovero prima che l'esecuzione della pena restrittiva della libertà personale sia iniziata o terminata (articolo 220).

53. L'articolo 111, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che gli imputati o i condannati che durante la loro permanenza in carcere sviluppino una malattia mentale che non richieda l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza o il collocamento in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una struttura di cura e detenzione siano assegnati a un istituto o a una sezione speciale per malati di mente.

Altre disposizioni legali pertinenti

54. 54. La validità di una sentenza di condanna può essere contestata sollevando un incidente di esecuzione, come previsto dall'articolo 670 § 1 del codice di procedura penale, che recita in parti rilevanti:

"Quando è accertato che l'atto non è valido o che non è divenuto esecutivo, [dopo aver] valutato anche nel merito [nel merito] il rispetto delle garanzie previste in caso di irreperibilità del condannato, (...) il giudice dell'esecuzione sospende l'esecuzione e dispone, se necessario, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notifica irregolare. In questo caso, il termine per l'appello ricomincia a decorrere.

55. L'articolo 2043 del Codice Civile recita come segue:

"Qualsiasi atto illegale che causa un danno ad un'altra persona obbliga la persona che l'ha commesso a risarcire.

Rapporti nazionali sulla situazione delle prigioni

56. Il rapporto dell'associazione Antigone "per i diritti e le garanzie nel sistema penale" sulla visita al carcere di Rebibbia NC del 16 aprile 2019, descrive una situazione di sovraffollamento (con 400 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare). Altri elementi problematici che emergono dal rapporto sono le condizioni precarie dei locali e la mancanza di un servizio specializzato per i detenuti che soffrono di patologie psicologiche.

57. La relazione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Lazio sull'attività e sui risultati degli organi regionali, relativa all'anno 2018, menziona, tra l'altro, le pessime condizioni strutturali di quasi tutte le carceri, le difficoltà nella gestione delle patologie psichiatriche, nonché il perdurare della detenzione ordinaria di persone sottoposte a misura di collocamento REMS.

58. Il problema del sovraffollamento e delle cattive condizioni strutturali si riflette anche nella relazione al Parlamento per il 2019 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

IN LEGGE

SULLA RICEVIBILITÀ
Non esaurimento dei rimedi interni

59. Il governo ha sostenuto che i ricorsi interni non erano stati esauriti in quanto il ricorrente non aveva contestato, davanti al giudice dell'esecuzione, sulla base degli articoli 670 e 666 del codice di procedura penale, la legittimità del mantenimento della sua detenzione nonostante la decisione della Corte d'appello del 20 maggio 2019 che ordinava la sua liberazione.

60. Il ricorrente ha sostenuto che l'incidente di esecuzione permetteva solo di sollevare questioni relative all'esistenza, alla portata o alla legittimità, sia dal punto di vista formale che sostanziale, del titolo esecutivo in base al quale il condannato era detenuto. Nel caso in questione, il governo non aveva specificato né il mandato di esecuzione da contestare né il motivo per cui era nullo, secondo il ricorrente, perché non c'era nessun mandato di esecuzione che giustificasse la sua detenzione in carcere. Inoltre, il governo non aveva dimostrato che l'uso di questo rimedio avrebbe permesso di rimediare alle presunte violazioni.

61. La Corte ha già dichiarato, in base a diversi articoli della Convenzione, che una volta che il richiedente ha ottenuto una decisione giudiziaria contro lo Stato, non ha bisogno di avviare successivamente un'azione per la sua esecuzione.

62. In particolare, dal punto di vista dell'articolo 5 della Convenzione, la Corte ha osservato che è inconcepibile in uno Stato di diritto che un individuo rimanga privato della sua libertà nonostante l'esistenza di una decisione giudiziaria che ne ordini il rilascio (Assanidze c. Georgia [GC], no. 71503/01, § 173, CEDU 2004-II). Infatti, spetta agli Stati contraenti organizzare i loro sistemi giudiziari in modo tale che le loro forze dell'ordine possano soddisfare l'obbligo di evitare la privazione ingiustificata della libertà (Ruslan Yakovenko c. Ucraina, no. 5425/11, § 68, CEDU 2015).

63. Per quanto riguarda il diritto di accesso ad un tribunale garantito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte ha detto che sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse ad una decisione giudiziaria definitiva e vincolante di rimanere inoperante a danno di una parte. L'esecuzione di una sentenza, da qualsiasi tribunale, deve essere considerata come parte integrante del "processo" ai sensi dell'articolo 6 (si veda Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, § 25, 27 maggio 2004, e Assanidzé, sopra citato, §§ 181 e 182). La Corte ha inoltre sottolineato che una persona che ha ottenuto una sentenza contro lo Stato non deve normalmente avviare un procedimento separato per la sua esecuzione (vedi Metaxas, citato sopra, § 19). La responsabilità primaria di garantire l'esecuzione di una sentenza contro lo Stato spetta alle autorità statali dalla data in cui la sentenza diventa vincolante ed esecutiva (Bourdov v. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 69, in fine, CEDU 2009).

64. Nella fattispecie, la Corte osserva che il 20 maggio 2019 la Corte d'appello di Roma ha revocato la custodia cautelare del ricorrente e ne ha ordinato la liberazione, sebbene egli sia rimasto in detenzione. Le autorità hanno anche omesso di assicurare il suo trasferimento in una REMS, contrariamente all'ordine del 21 gennaio 2019 emesso dal giudice dell'esecuzione di Roma (vedere i paragrafi 25 e 27). La Corte ritiene che il principio stabilito in Metaxas, citato sopra, si applica anche alle sentenze riguardanti il regime di privazione della libertà. È compito dello Stato eseguire le decisioni giudiziarie senza che l'interessato debba avviare procedimenti successivi per ottenerne l'esecuzione. Ne consegue che nel caso di specie, data l'esistenza di due decisioni giudiziarie che ordinano, rispettivamente, il collocamento in REMS e la cessazione della custodia cautelare, il ricorrente non era tenuto a presentare un "incidente di esecuzione" per sostenere che la sua detenzione continuata in carcere era illegittima (si veda, mutatis mutandis, Metaxas, già citato, § 19).

65. 65. Di conseguenza, l'eccezione di non esaurimento delle vie di ricorso interne deve essere respinta.

Mancato rispetto del termine di sei mesi

66. Il governo ha sostenuto che il ricorso era fuori tempo massimo in quanto è stato presentato il 3 marzo 2020, vale a dire ben oltre sei mesi dopo la decisione della Corte d'appello di Roma del 20 maggio 2019 che ordina la liberazione del ricorrente (cfr. paragrafo 25 sopra).

67. Il ricorrente vede nelle violazioni che denuncia una situazione continua, poiché alla data della domanda era detenuto a Rebibbia NC.

68. La Corte ricorda che, quando la presunta violazione costituisce una situazione perdurante contro la quale non esiste un rimedio di diritto interno, è solo quando la situazione cessa che un termine di sei mesi inizia effettivamente a decorrere (si veda Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, § 86, CEDU 2014 (estratti), e Seleznev c. Russia, n. 15591/03, § 34, 26 giugno 2008). In particolare, quando un richiedente è detenuto, la detenzione deve essere considerata come una "situazione continua" per tutto il tempo in cui è limitato allo stesso tipo di centro di detenzione in condizioni sostanzialmente simili. Brevi periodi di assenza, per esempio se la persona interessata è stata allontanata dalla struttura per un interrogatorio o altri atti procedurali, non incidono sul carattere continuo della detenzione. D'altra parte, la liberazione della persona interessata o il suo cambiamento di regime di detenzione, all'interno o all'esterno dello stabilimento in questione, è suscettibile di porre fine alla "situazione persistente". Un reclamo sulle condizioni di detenzione deve quindi essere presentato entro sei mesi dalla cessazione della situazione lamentata o, se c'era un rimedio interno effettivo disponibile, dalla decisione finale nel processo di esaurimento dei rimedi interni (Ananyev e altri contro Russia, nn. 42525/07 e 60800/08, §§ 75-78, 10 gennaio 2012, Shishanov c. Repubblica di Moldavia, n. 11353/06, § 65, 15 settembre 2015, e Petrescu c. Portogallo, n. 23190/17, § 92, 3 dicembre 2019).

69. Esaminando la situazione del ricorrente alla luce dei principi di cui sopra, la Corte osserva che egli è stato detenuto a Rebibbia NC in due occasioni, dal 2 luglio 2018 al 22 novembre 2018 e poi dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020 (cfr. paragrafi 15, 20, 21 e 42 sopra). Dato che nel periodo intermedio il ricorrente è stato posto agli arresti domiciliari, la sua detenzione non può essere considerata "continua" nella sua interezza (si veda Grishin c. Russia, n. 30983/02, § 83, 15 novembre 2007, e Dvoynykh c. Ucraina, n. 72277/01, § 46, 12 ottobre 2006). Tuttavia, la detenzione è stata continua durante i due periodi indicati.

70 Ne consegue che l'obiezione del governo deve essere accolta solo per quanto riguarda il primo periodo di detenzione.

71. La Corte ritiene che, nella misura in cui si riferiscono al secondo periodo di detenzione a Rebibbia NC, le denunce non sono tardive, dato che al momento della presentazione del ricorso il ricorrente vi era ancora detenuto (Strazimiri c. Albania, n. 34602/16, § 94, 21 gennaio 2020). Limiterà quindi la portata del suo esame al secondo periodo di detenzione.

72. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che, per quanto riguarda quest'ultimo periodo, il ricorso non sia manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Notando inoltre che non c'erano altri motivi di inammissibilità, ha dichiarato la domanda ammissibile per il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020.

SULLA TERRA
Sulla violazione dell'articolo 3

73. Il ricorrente ha sostenuto che la sua detenzione prolungata nel carcere ordinario, nonostante il parere contrario degli psichiatri curanti, gli aveva impedito di ricevere un'adeguata assistenza terapeutica per la sua salute mentale, il che aveva aggravato la sua condizione e quindi costituiva un trattamento inumano e degradante vietato dall'articolo 3 della Convenzione, che recita

"Nessuno può essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti".

Le osservazioni delle parti

74. 74. Il ricorrente ha sostenuto che le cure mediche che aveva ricevuto a Rebibbia NC erano state inadeguate, in assenza di una strategia terapeutica per curare la sua patologia o prevenirne l'aggravamento. Sostiene che tutti gli psichiatri che lo hanno esaminato hanno testimoniato che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione in prigione e che il trattamento in una struttura sanitaria era necessario, ma che non è mai stato trasferito in una REMS o in qualsiasi altra struttura sanitaria adatta a causa della mancanza cronica di posti. Ha inoltre affermato di essere stato collocato in un ambiente carcerario ordinario e, facendo riferimento ai rapporti redatti dall'Associazione Antigone e dal Garante dei diritti delle persone detenute nazionale e della Regione Lazio, che le sue condizioni di detenzione erano scadenti (cfr. paragrafi 56 e 57 sopra).

75. Facendo riferimento ai rapporti medici del reparto psichiatrico di Rebibbia NC del 26 marzo e del 10 aprile 2020 (cfr. paragrafi 33 e 35), il governo ha affermato che il ricorrente era stato sottoposto a un costante monitoraggio medico e a un progetto terapeutico individualizzato che prevedeva visite regolari di psicologi e psichiatri, la prescrizione di farmaci e attività di gruppo. A suo parere, non c'è stata quindi alcuna violazione dell'articolo 3.

La valutazione della Corte

(a) Principi applicabili

76. La Corte ricorda che l'articolo 3 della Convenzione incarna uno dei valori più fondamentali delle società democratiche. Proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima. Per rientrare nell'ambito di questa disposizione, il trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende da tutte le circostanze del caso, compresa la durata del trattamento, le sue conseguenze fisiche o psicologiche e, in alcuni casi, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima (vedi Rooman c. Belgio [GC], no. 18052/11, § 141, 31 gennaio 2019, e i casi ivi citati).

77. 77. Questa disposizione impone allo Stato di assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato a un'angoscia o a un'intensità che superi il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del prigioniero siano adeguatamente garantiti, in particolare attraverso la fornitura delle cure mediche necessarie (Stanev v. Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 204, CEDU 2012, e Rooman, sopra citata, § 143).

78. La Corte ha ripetutamente affermato che la detenzione di una persona malata può sollevare questioni ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione (si veda Matencio c. Francia, no. 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004, e Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 38, CEDU 2002-IX) e che tale detenzione in condizioni materiali e mediche inadeguate può costituire un trattamento contrario all'articolo 3 (Sławomir Musiał c. Polonia, n. 28300/06, § 87, 20 gennaio 2009, e Rooman, citata, § 144).

79. Per determinare se la detenzione di un malato è conforme all'articolo 3 della Convenzione, la Corte prende in considerazione lo stato di salute dell'interessato e l'effetto delle modalità della sua detenzione sul suo progresso. Ha detto che le condizioni di detenzione non devono in alcun modo sottoporre la persona privata della libertà a sentimenti di paura, ansia e inferiorità tali da umiliare, svilire ed eventualmente spezzare la sua resistenza fisica e morale. A questo proposito, ha riconosciuto che i detenuti malati di mente sono più vulnerabili dei detenuti ordinari, e che certe esigenze della vita carceraria li espongono a maggiori rischi per la salute, aumentano il rischio che si sentano inferiori, e sono destinati a causare stress e ansia. Una tale situazione fa sorgere la necessità di una maggiore vigilanza nel controllo del rispetto della Convenzione (W.D. c. Belgio, n. 73548/13, §§ 114 e 115, 6 settembre 2016, e Rooman, sopra citata, § 145). La valutazione della situazione delle persone interessate deve tenere conto della loro vulnerabilità e, in alcuni casi, della loro incapacità di lamentarsi in modo coerente, o addirittura del tutto, del loro trattamento e dei suoi effetti su di loro (Murray c. Paesi Bassi [GC], 2016, § 106, Herczegfalvy c. Austria, 24 settembre 1992, § 82, serie A n. 244, e Aerts c. Belgio, 30 luglio 1998, § 66, Reports of Judgments and Decisions 1998-V).

80. La Corte prende anche in considerazione l'adeguatezza dell'assistenza medica e delle cure fornite durante la detenzione. Questa è la domanda più difficile da decidere. La Corte ricorda che il semplice fatto che un detenuto sia stato visitato da un medico e gli sia stato prescritto un particolare trattamento non porta automaticamente alla conclusione che le cure fornite siano appropriate. Inoltre, le autorità devono garantire che le informazioni sullo stato di salute del detenuto e le cure che ha ricevuto in detenzione siano registrate in modo completo, che il detenuto riceva prontamente una diagnosi accurata e un trattamento appropriato, e che sia sottoposto a un monitoraggio regolare e sistematico, quando la malattia lo richiede, combinato con una strategia di trattamento globale volta a curare o prevenire il peggioramento dei suoi problemi di salute piuttosto che a trattare i sintomi. Inoltre, l'onere di dimostrare che le autorità hanno creato le condizioni necessarie affinché il trattamento prescritto sia effettivamente seguito spetta alle autorità (si veda Blokhin c. Russia [GC], n. 47152/06, § 137, 23 marzo 2016, e Rooman, sopra citata, § 147). La Corte ha concluso che l'assenza di una strategia terapeutica globale per la cura di un detenuto malato di mente può equivalere a un "abbandono terapeutico" contrario all'articolo 3 (vedi Strazimiri, citato sopra, §§ 108-112).

81. Se il trattamento non è possibile nel luogo di detenzione, il detenuto deve poter essere ricoverato in ospedale o trasferito in un servizio specializzato (cfr. Rooman, citato sopra, § 148).

b) Applicazione dei principi di cui sopra nel presente caso

82. La Corte osserva che nessuno contesta l'esistenza dei problemi di salute del ricorrente, in particolare il suo disturbo di personalità e il disturbo bipolare, che sono stati aggravati dall'uso di sostanze psicoattive. Il ricorrente soffre di ricorrenti episodi psicotici e ha tentato il suicidio durante la detenzione nel gennaio 2019 (vedi paragrafi 8 e 22).

83. La Corte nota che il ricorrente lamenta la mancanza di cure mediche adeguate e le condizioni della sua detenzione a Rebibbia NC. Tenendo conto delle sue conclusioni sull'ammissibilità (vedi paragrafo 69 sopra), considererà il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020.

84. La Corte osserva che il governo non contesta che il ricorrente non è stato trasferito in un reparto di prigione psichiatrica, nonostante l'ordine emesso dal Tribunale di Tivoli il 4 febbraio 2019 e la decisione di trasferimento emessa dal DAP il 7 febbraio 2019 (cfr. paragrafi 23 e 24 sopra).

85. La Corte deve quindi valutare se lo stato di salute del ricorrente era compatibile con la sua detenzione in carcere, in particolare in un ambiente regolare, e se le cure mediche che gli sono state fornite erano sufficienti e adeguate.

86. Rileva, in primo luogo, che già durante la detenzione a Regina Coeli, il GIP del tribunale di Roma, sulla base delle conclusioni della perizia psichiatrica, che attestava la necessità di un trattamento terapeutico globale della grave patologia del ricorrente, aveva sostituito la custodia cautelare con il collocamento in REMS (cfr. precedente punto 9).

87. Per quanto riguarda la detenzione a Rebibbia NC, la Corte osserva che nel novembre 2018 l'esperto nominato dal Tribunale di Tivoli ha dichiarato che una gestione terapeutica completa del ricorrente era necessaria e doveva prevalere sulla necessità della detenzione (si veda il precedente paragrafo 18). Successivamente, il 21 gennaio 2019, il GIP di Roma ha ordinato il trasferimento immediato del ricorrente alla REMS (paragrafo 27 sopra). Alcuni giorni dopo, lo psichiatra del carcere certificò che il ricorrente non era idoneo alla detenzione ordinaria (paragrafo 22 sopra). Il 4 febbraio 2019 il tribunale di Tivoli ha ordinato il suo collocamento immediato in un istituto appropriato o in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici (vedi paragrafo 23). Di conseguenza, la Corte osserva - e il governo non lo contesta - che lo stato di salute mentale del ricorrente era incompatibile con la detenzione in un carcere ordinario e che, nonostante le indicazioni chiare e inequivocabili, è rimasto in un carcere ordinario per quasi due anni. Non può mettere in discussione le conclusioni raggiunte dagli esperti nazionali e dalle autorità giudiziarie in questo caso e ritiene che il proseguimento della detenzione del ricorrente in un carcere ordinario fosse incompatibile con l'articolo 3 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Contrada c. Italia (n. 2), n. 7509/08, § 85, 11 febbraio 2014).

88. Inoltre, risulta dai documenti depositati dalle parti che il ricorrente non ha beneficiato di alcuna strategia terapeutica globale per la gestione della sua patologia volta a curare i suoi problemi di salute o a prevenire il loro aggravamento (si veda Blokhin, sopra citata, § 137, Rooman, sopra citata, § 147, e Strazimiri, sopra citata, § 108), e questo in un contesto caratterizzato da cattive condizioni di detenzione (si veda Sławomir Musiał, sopra citata, § 95).

89. C'è stata quindi una violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

Sulla presunta violazione dell'articolo 5 § 1

90. Il ricorrente ha sostenuto che la sua detenzione era illegale e ha invocato l'articolo 5 § 1 della Convenzione, che recita:

"Ogni persona ha il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e in conformità alla legge

(a) se è legittimamente detenuto dopo una condanna da parte di un tribunale competente;

(...)

(c) se è stato arrestato e detenuto per essere condotto dinanzi all'autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragionevoli motivi per sospettare che abbia commesso un reato o quando vi sono ragionevoli motivi per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;

(...)

(e) in caso di detenzione legale di una persona suscettibile di diffondere una malattia contagiosa, un pazzo, un alcolizzato, un tossicodipendente o un vagabondo ;

(...) "

Le osservazioni delle parti

(a) Il richiedente

91. Il ricorrente ha inizialmente sostenuto che dal 20 maggio 2019, data in cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la sua liberazione (cfr. paragrafo 25), fino al 12 maggio 2020, data del suo trasferimento in una comunità terapeutica (cfr. paragrafo 42), la sua privazione della libertà mancava di una base giuridica. A suo avviso, l'ordinanza del 21 gennaio 2019 con la quale il GIP di Roma ha ordinato il suo collocamento in una REMS non poteva giustificare la sua detenzione in carcere fino a quando un posto si fosse reso disponibile (cfr. paragrafo 27). Anche se la collocazione nella REMS fosse stata la base per la sua detenzione dal 20 maggio 2020, sarebbe comunque terminata il 22 gennaio 2020, dopo un anno. Il ricorrente afferma poi che, fin dall'inizio, la sua detenzione a Rebibbia NC è stata irregolare, in quanto si è svolta in un ambiente carcerario in condizioni inadeguate per una persona che soffre di disturbi mentali e senza che abbia ricevuto un trattamento medico adeguato e individualizzato. In effetti, il Tribunale di Tivoli avrebbe riconosciuto il 4 febbraio 2019 che le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione ordinaria e ha ordinato il suo immediato collocamento in un reparto carcerario per pazienti psichiatrici (vedi paragrafo 23 sopra).

(b) Il governo

92. Il governo ha sostenuto che le autorità avevano fatto tutto il possibile per trasferire la ricorrente in una REMS, ma che il collocamento non era stato possibile per mancanza di spazio. Ha sottolineato che i tribunali prima di loro avevano trovato che il richiedente era pericoloso e che per questo motivo semplicemente non poteva essere rilasciato. A questo proposito, ha osservato che la misura di sicurezza del collocamento nella REMS era in ogni caso una misura di custodia che si realizzava in una struttura di cura.

La valutazione della Corte

(a) Principi applicabili

93. La Corte ricorda che l'articolo 5 della Convenzione garantisce un diritto di grande importanza in una "società democratica" ai sensi della Convenzione, cioè il diritto fondamentale alla libertà e alla sicurezza. Insieme agli articoli 2, 3 e 4, l'articolo 5 della Convenzione è una delle principali disposizioni che garantiscono i diritti fondamentali che proteggono l'incolumità fisica degli individui e come tale è di fondamentale importanza. Il suo scopo principale è quello di proteggere l'individuo contro la privazione arbitraria o ingiustificata della libertà (Selahattin Demirtaş v. Turkey (no. 2) [GC], no. 14305/17, § 311, 22 dicembre 2020, e Denis e Irvine v. Belgio [GC], nn. 62819/17 e 63921/17, § 123, 1 giugno 2021).

94. 94. Ogni persona ha diritto alla protezione di questo diritto, vale a dire di non essere o rimanere privato della sua libertà, se non in conformità con i requisiti dell'articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione. Tre principi principali in particolare emergono dalla giurisprudenza della Corte: la regola che le eccezioni, elencate in modo esaustivo, richiedono un'interpretazione ristretta e non si prestano all'importante gamma di giustificazioni previste da altre disposizioni (articoli da 8 a 11 della Convenzione in particolare); la regolarità della privazione della libertà, che è ripetutamente sottolineata sia da un punto di vista procedurale che sostanziale e che implica una scrupolosa adesione allo stato di diritto; e l'importanza della prontezza o celerità dei controlli giudiziari richiesti (ibid., § 312).

95. L'articolo 5 § 1 (a) a (f) contiene una lista esaustiva dei motivi per cui una persona può essere privata della sua libertà; Una tale misura non è legittima se non rientra in uno di questi motivi (vedi Denis e Irvine, citata, § 124), o se non è prevista da una deroga ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione, che consente a uno Stato contraente, "[i]n tempo di guerra o di altra emergenza pubblica che minacci la vita della nazione", di adottare misure in deroga ai suoi obblighi ai sensi dell'articolo 5 "nella misura strettamente richiesta dalle esigenze della situazione" (Nada c. Svizzera [GC], no. 10593/08, § 224, CEDU 2012).

96. Il fatto che un motivo sia applicabile non impedisce necessariamente che un altro sia applicabile; la detenzione può, a seconda delle circostanze, essere giustificata in base a più di un comma (Ilnseher c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 126, 4 dicembre 2018).

97. Inoltre, solo un'interpretazione ristretta è coerente con lo scopo di questa disposizione: garantire che nessuno sia arbitrariamente privato della sua libertà (ibidem, § 126, e Khlaifia e altri c. Italia [GC], no. 16483/12, § 88, 15 dicembre 2016).

98. Qualsiasi privazione della libertà non solo deve rientrare in una delle eccezioni di cui ai commi da (a) a (f) dell'articolo 5 § 1, ma deve anche essere "legittima". Per quanto riguarda la "legittimità" della detenzione, compresa l'osservanza dei "canali legali", la Convenzione fa essenzialmente riferimento alla legislazione nazionale e sancisce l'obbligo di osservarne gli standard sostanziali e procedurali (cfr. Denis e Irvine, citata, § 125).

99. Richiedendo che ogni privazione della libertà sia effettuata "per vie legali", l'articolo 5 § 1 richiede in primo luogo che ogni arresto o detenzione abbia una base legale nel diritto interno. Tuttavia, queste parole non si riferiscono solo al diritto interno. Riguardano anche la qualità della legge; esigono che sia compatibile con lo stato di diritto, un concetto inerente a tutti gli articoli della Convenzione. Su quest'ultimo punto, la Corte sottolinea che in materia di privazione della libertà è particolarmente importante soddisfare il principio generale della certezza del diritto. È quindi essenziale che il diritto interno definisca chiaramente le condizioni in cui una persona può essere privata della sua libertà e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da soddisfare il criterio di "legalità" della Convenzione, che richiede che una legge sia sufficientemente precisa da permettere all'individuo - con l'assistenza di un avvocato informato, se necessario - di prevedere, in misura ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto (cfr. Khlaifia e altri, citata, §§ 91-92, Del Río Prada v. Spagna [GC], n. 42750/09, § 125, CEDU 2013, e Denis e Irvine, citata, § 128).

100. Risulta chiaramente dalla giurisprudenza della Corte che il termine "condanna" ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) deve essere inteso, tenuto conto del testo francese, nel senso di una condanna a seguito dell'accertamento giuridico di un reato e dell'imposizione di una pena o di un'altra misura privativa della libertà (si veda Del Río Prada, sopra citata, § 123, e Ruslan-Yakovenko, sopra citata, § 49).

101. Inoltre, la parola "dopo" nel comma (a) non implica un mero ordine cronologico di successione tra "condanna" e "detenzione": anche quest'ultima deve risultare dalla prima, avvenendo "per effetto e a seguito" della prima. In breve, ci deve essere un legame causale sufficiente tra loro. Tuttavia, il legame tra la condanna originale e l'estensione della privazione della libertà si indebolisce gradualmente con il passare del tempo. Il nesso di causalità richiesto dalla lettera a) potrebbe eventualmente essere interrotto se la decisione di non prorogare o di reincarcerare una persona si basasse su motivi incompatibili con gli obiettivi perseguiti dalla decisione originaria del tribunale, o su una valutazione irragionevole rispetto a tali obiettivi. In tal caso, una detenzione originariamente legittima diventerebbe una privazione arbitraria della libertà e quindi incompatibile con l'articolo 5 (si veda Del Río Prada, sopra citata, § 124, e i casi ivi citati).

102. Un imputato è considerato detenuto "dopo la condanna da parte di un tribunale competente" ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) una volta che la sentenza di condanna è stata pronunciata in primo grado, anche se non è ancora esecutiva e rimane soggetta ad appello. La Corte ha affermato a questo proposito che l'espressione "dopo la condanna" non può essere interpretata come limitata al caso di una condanna definitiva, poiché ciò escluderebbe l'arresto in udienza di persone condannate che sono apparse libere, indipendentemente dai rimedi di cui dispongono ancora (Wemhoff c. Germania, 27 giugno 1968, p. 23, § 9, serie A n. 7). Inoltre, una persona condannata in primo grado e detenuta in attesa di appello non può essere considerata come detenuta al fine di essere portata dinanzi all'autorità giudiziaria competente sulla base di un ragionevole sospetto di aver commesso un reato ai sensi dell'articolo 5 § 1 (c) (si veda Solmaz c. Turchia, no. 27561/02, § 25, 16 gennaio 2007, e Ruslan Yakovenko, sopra citato, § 46).

103. Per quanto riguarda la giustificazione della detenzione ai sensi dell'articolo 5 § 1 (e), la Corte ribadisce che il termine "pazzo" deve essere inteso in senso proprio. Non si presta a una definizione precisa, il suo significato si evolve costantemente con il progresso della ricerca psichiatrica (vedi Denis e Irvine, citato sopra, § 134).

104. Per quanto riguarda la privazione della libertà delle persone con disturbi mentali, un individuo può essere considerato "pazzo" e privato della libertà solo se sono soddisfatte almeno le tre condizioni seguenti: In primo luogo, la sua pazzia deve essere stata definitivamente stabilita; in secondo luogo, il disturbo deve essere di un carattere o di una grandezza tale da giustificare l'internamento; in terzo luogo, l'internamento non può validamente continuare senza la persistenza di tale disturbo (si veda, tra molti altri, Ilnseher, citato sopra, § 127, Rooman, citato sopra, § 192, e Denis e Irvine, citato sopra, § 135).

105. Alle autorità nazionali deve essere concesso un certo margine di discrezionalità nel decidere se un individuo debba essere detenuto per il fatto che è "insano di mente", dal momento che spetta principalmente a loro valutare le prove addotte davanti a loro in un determinato caso; il compito della Corte è quello di controllare le loro decisioni alla luce della Convenzione (si veda Denis e Irvine, citata, § 136).

106. Per quanto riguarda la prima condizione per privare una persona della libertà per "infermità mentale", vale a dire dimostrare all'autorità competente, per mezzo di prove mediche oggettive, l'esistenza di un reale disturbo mentale, la Corte ribadisce che, sebbene le autorità nazionali abbiano un certo potere discrezionale, in particolare quando decidono sul merito delle diagnosi cliniche, i motivi ammissibili per la privazione della libertà enumerati nell'articolo 5 § 1 devono essere interpretati in modo ristretto. Una condizione mentale deve essere di una certa gravità per essere considerata un disturbo mentale "reale" ai fini dell'articolo 5 § 1 (e), in quanto deve essere così grave da richiedere un trattamento in un istituto per malati di mente (si veda Ilnseher, sopra citato, § 129, e Denis e Irvine, sopra citato, § 136).

107. Nessuna privazione della libertà di una persona considerata pazza può essere considerata conforme all'articolo 5 § 1 (e) della Convenzione se è stata decisa senza chiedere il parere di un esperto medico. Qualsiasi altro approccio equivale a una violazione del requisito della protezione contro l'arbitrarietà (cfr. Kadusic c. Svizzera, n. 43977/13, § 43, 9 gennaio 2018, e i casi ivi citati). A questo proposito, la forma e la procedura scelte possono dipendere dalle circostanze. È accettabile, in casi urgenti o quando una persona viene arrestata per comportamento violento, che tale avviso sia ottenuto immediatamente dopo l'arresto. In tutti gli altri casi, la consultazione preventiva è essenziale. In mancanza di altre possibilità, ad esempio a causa del rifiuto della persona di presentarsi ad un esame, si deve almeno richiedere che un esperto medico faccia una valutazione sulla base del fascicolo, altrimenti non si può sostenere che la pazzia della persona sia stata definitivamente stabilita (Varbanov c. Bulgaria, n. 31365/96, § 47, CEDU 2000-X, e Constancia c. Paesi Bassi (dec.), n. 73560/12, § 26, 3 marzo 2015).

108. Per quanto riguarda la seconda condizione che deve essere soddisfatta da qualsiasi privazione della libertà per "infermità mentale", vale a dire che il disturbo mentale deve avere un carattere o una portata tale da giustificare l'internamento, la Corte ribadisce che si può dire che un disturbo mentale è di tale portata se si stabilisce che l'internamento è necessario perché la persona interessata ha bisogno terapia, farmaci o altri trattamenti clinici al fine di recuperare o migliorare le sue condizioni, ma anche se è necessario sorvegliare la persona per evitare che, ad esempio, faccia del male a se stessa o ad altri (ibidem, § 133, e Stanev, citato sopra, § 146).

109. La data rilevante in cui l'alienazione di una persona deve essere stata definitivamente stabilita alla luce dei requisiti dell'articolo 5 § 1 (e) è la data in cui il provvedimento che la priva della libertà a causa della sua condizione è stato adottato. Tuttavia, come dimostra il terzo requisito minimo per la detenzione di una persona che soffre di un disturbo mentale, vale a dire che la detenzione non può essere validamente continuata senza la persistenza del disturbo mentale, qualsiasi cambiamento nella salute mentale del detenuto successivo all'emissione dell'ordine di detenzione deve essere preso in considerazione (cfr. Denis e Irvine, citato sopra, § 137).

110. La Corte ricorda che in alcune circostanze il benessere di una persona con disturbi mentali può essere un fattore aggiuntivo da prendere in considerazione, oltre agli elementi medici, nel valutare la necessità di cure istituzionali. Tuttavia, il bisogno oggettivo di alloggio e di assistenza sociale non dovrebbe portare automaticamente all'imposizione di misure detentive. Secondo la Corte, qualsiasi misura di protezione adottata nei confronti di una persona capace di esprimere la sua volontà deve, per quanto possibile, riflettere la volontà di questa persona. La mancata richiesta del parere dell'interessato può dar luogo a situazioni di abuso e ostacolare l'esercizio dei propri diritti da parte delle persone vulnerabili; pertanto, qualsiasi misura adottata senza la previa consultazione dell'interessato richiede, in linea di principio, un esame rigoroso (si veda N. c. Romania, n. 59152/08, § 146, 28 novembre 2017, e Stanev, sopra citata, § 153).

111. Affinché la detenzione sia "legittima", ci deve essere una qualche connessione tra il motivo autorizzato di detenzione invocato e il luogo e il regime di detenzione. In linea di principio, la "detenzione" di una persona a causa del suo disturbo mentale è "lecita" ai fini del paragrafo 1 (e) solo se avviene in un ospedale, in una clinica o in un'altra struttura appropriata (si veda Ilnseher, già citato, § 134, Rooman, già citato, § 190, e Stanev, già citato, § 147). Inoltre, la Corte ha avuto modo di chiarire che questa regola si applica anche quando la malattia o il disturbo non possono essere curati o è improbabile che la persona interessata risponda al trattamento (si veda Rooman, sopra citata, § 190).

112. 112. La fornitura di una terapia adeguata è diventata un requisito sotto il concetto più ampio di "regolarità" della privazione della libertà. Qualsiasi detenzione di malati mentali deve avere uno scopo terapeutico, e più specificamente mirare alla cura o al miglioramento, per quanto possibile, del loro disturbo mentale, compresa, se del caso, la riduzione o il controllo della loro pericolosità. La Corte ha sottolineato che ovunque tali persone siano detenute, esse hanno diritto a un ambiente medico adeguato al loro stato di salute, accompagnato da misure terapeutiche efficaci per prepararle a un eventuale rilascio (ibid., § 208).

113. 113. L'analisi per stabilire se una particolare istituzione sia "appropriata" dovrebbe includere un esame delle condizioni specifiche di detenzione, incluso il trattamento fornito alle persone con malattie mentali (ibidem, § 210).

114. 114. La privazione della libertà di cui all'articolo 5 § 1 (e) ha una duplice funzione: da un lato, una funzione sociale di protezione, e dall'altro, una funzione terapeutica legata all'interesse individuale del folle a ricevere una terapia o una cura adeguata e individualizzata. La necessità di assicurare la prima funzione non dovrebbe giustificare a priori l'assenza di misure per realizzare la seconda. Ne consegue che, ai sensi dell'articolo 5 § 1 e), una decisione che rifiuta la liberazione di un internato può diventare incompatibile con lo scopo originario della detenzione preventiva contenuta nella decisione di condanna se la persona interessata è privata della libertà perché è probabile che recidivi, ma allo stesso tempo non beneficia delle misure - come una terapia adeguata - necessarie per dimostrare che non è più pericolosa (ibidem, § 210).

115. Per quanto riguarda la portata delle cure fornite, la Corte ritiene che il livello di trattamento medico richiesto per questa categoria di detenuti deve andare oltre le cure di base. Il mero accesso a professionisti medici, consultazioni o farmaci non è sufficiente perché un dato trattamento sia considerato appropriato e quindi soddisfacente ai sensi dell'articolo 5. Il ruolo della Corte, tuttavia, non è quello di analizzare il contenuto delle cure offerte e somministrate. È importante che possa verificare l'esistenza di un trattamento individualizzato che tenga conto delle caratteristiche specifiche della salute mentale della persona interessata al fine di prepararla a un eventuale reinserimento. In questo campo, la Corte concede alle autorità un certo margine di manovra per quanto riguarda sia la forma che il contenuto del trattamento terapeutico o del corso medico in questione (ibid., § 209).

b) Applicazione dei principi di cui sopra nel presente caso

116. La Corte è chiamata a determinare, alla luce dei suddetti principi, se la detenzione del ricorrente a Rebibbia NC (si veda il paragrafo 15 e seguenti) rientri in uno dei motivi di privazione della libertà elencati nei sottoparagrafi da (a) a (f) dell'articolo 5 § 1 e se sia stata "legittima" ai fini di tale disposizione e quindi conforme all'articolo 5 § 1.

117. La Corte esaminerà, in primo luogo, il periodo di detenzione del ricorrente tra il 2 dicembre 2018, data in cui è stato incarcerato a Rebibbia NC dopo aver violato le condizioni degli arresti domiciliari, e il 20 maggio 2019, data della sentenza con cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la sua liberazione, e poi, in secondo luogo, il periodo di detenzione dal 21 maggio 2019 al 12 maggio 2020, data della liberazione del ricorrente e del suo trasferimento in una comunità terapeutica.

La detenzione tra il 2 dicembre 2018 e il 20 maggio 2019

α) Motivi di privazione della libertà

118. La Corte osserva che i motivi della privazione della libertà del ricorrente per questo periodo di detenzione non sono controversi tra le parti. La Corte, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, ritiene che questo periodo rientri nell'ambito dell'articolo 5 § 1 (a).

β) Detenzione "per vie legali

119. La Corte deve ora determinare se la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione è stata decisa "conformemente alla legge". La Convenzione si riferisce qui essenzialmente al diritto nazionale e stabilisce l'obbligo per le autorità nazionali di rispettare le norme sostanziali e procedurali che essa prevede (si veda Ilnseher, citata, § 135, e S., V. e A. c. Danimarca [GC], nn. 35553/12 e altri 2, § 74, 22 ottobre 2018).

120 A questo proposito, la Corte ritiene che tale detenzione fosse conforme al diritto interno, in quanto basata sulla condanna a un anno e due mesi di reclusione pronunciata dal tribunale distrettuale di Tivoli il 22 novembre 2018 e sulla decisione del 27 novembre 2018 con cui lo stesso tribunale ha ripristinato l'ordinanza di custodia cautelare (cfr. paragrafi 19 e 27 supra).

γ) Detenzione "regolare"

121. Ai fini dell'articolo 5 della Convenzione, la conformità della detenzione al diritto interno non è di per sé decisiva. Si deve anche stabilire che la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione era "legittima" ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione. La Corte osserva che il ricorrente è stato legittimamente detenuto dopo essere stato condannato da un tribunale competente, in particolare sulla base della sentenza che lo condanna a un anno e due mesi di reclusione.

122. Per quanto riguarda il trattamento medico fornito in carcere, la Corte osserva che la questione se un ambiente sia appropriato in termini di cure mediche per una persona che soffre di disturbi mentali è normalmente analizzata ai sensi degli articoli 3 e 5 § 1 (e) della Convenzione, e non ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a). Tuttavia, in relazione alla detenzione, la Corte ha già osservato che, mentre la punizione rimane uno degli scopi della detenzione, le politiche penali in Europa pongono sempre più l'accento sullo scopo riabilitativo della detenzione (cfr. Vinter e altri c. Regno Unito [GC], nn. 66069/09 e altri 2, § 115, CEDU 2013 (estratti)). Allo stesso modo, la Corte, pur sottolineando che una delle funzioni essenziali di una pena detentiva è quella di proteggere la società, ha riconosciuto lo scopo legittimo di una politica di graduale reintegrazione sociale delle persone condannate a tale pena (Maiorano e altri c. Italia, n. 28634/06, § 108, 15 dicembre 2009, e Mastromatteo c. Italia [GC], n. 37703/97, § 72, CEDU 2002-VIII). Alla luce delle conclusioni di cui sopra, essa ritiene che la mancanza di cure adeguate potrebbe quindi porre un problema ai sensi dell'articolo 5 § 1 (a) quando un richiedente che è regolarmente detenuto dopo la condanna soffre di un disturbo mentale di natura così grave da impedirgli di comprendere e beneficiare dell'obiettivo di riabilitazione sociale perseguito dalla detenzione.

123. Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente ha lamentato solo la mancanza di un adeguato percorso terapeutico, senza contestare, dal punto di vista dell'articolo 5 § 1 (a), l'incompatibilità della sua detenzione con il suo stato mentale a causa della sua incapacità di comprendere lo scopo di riabilitazione sociale della pena detentiva (vedi paragrafo 91). Inoltre, osserva che dal fascicolo, e in particolare dalla perizia psichiatrica del 9 novembre 2018, risulta che il ricorrente, al momento del processo, era in grado di parteciparvi consapevolmente (cfr. paragrafo 18 sopra). In mancanza di qualsiasi altra prova, conclude che il ricorrente era in grado, al momento dell'esecuzione della pena, di comprendere e beneficiare dello scopo di reintegrazione sociale della pena.

124. La Corte conclude che la detenzione in questione era conforme ai requisiti dell'articolo 5 § 1 (a) della Convenzione. Di conseguenza, non c'è stata violazione di tale disposizione per il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 20 maggio 2019.

La detenzione tra il 21 maggio 2019 e il 12 maggio 2020

α) Motivi di privazione della libertà

125. La Corte ricorda che il ricorrente sostiene che dal 20 maggio 2019, data in cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la sua liberazione, la sua privazione della libertà non aveva una base giuridica.

126. Il governo ha sostenuto che il ricorrente era rimasto in prigione a causa della sua pericolosità e della mancanza di spazio nella REMS e che l'ordine di collocazione nella REMS era in ogni caso una misura che comportava la privazione della libertà.

127. La Corte ricorda che il 21 gennaio 2019 il GIP di Roma ha ordinato il collocamento immediato del ricorrente nella REMS per la durata di un anno, con la motivazione che questa era l'unica misura adeguata per affrontare la sua pericolosità sociale (cfr. paragrafo 27). Valuterà quindi se la detenzione possa essere giustificata come detenzione di una persona insana di mente ai sensi dell'articolo 5 § 1 (e).

β) Detenzione "per vie legali

128. La Corte nota che il suddetto ordine REMS non è mai stato eseguito. Per quanto riguarda l'affermazione del governo che l'ordinanza avrebbe potuto giustificare la continuazione della detenzione del ricorrente in carcere in quanto prevedeva una misura di privazione della libertà, la Corte osserva che la detenzione in carcere e il collocamento in una REMS sono misure diverse per quanto riguarda le condizioni in cui vengono applicate, il modo in cui vengono eseguite e lo scopo che perseguono. In ogni caso, ritiene che non sia necessario determinare se la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione sia stata decisa in conformità con i canali legali, poiché, per le ragioni esposte di seguito, tale periodo di detenzione non ha soddisfatto i requisiti di regolarità dell'articolo 5 § 1 (e).

γ) Detenzione "regolare"

129. La Corte osserva che le tre condizioni enunciate nella giurisprudenza Winterwerp (cfr. paragrafo 104) sono soddisfatte nel presente caso.

In primo luogo, osserva che, al momento in cui il collocamento nella REMS è stato ordinato, l'infermità mentale del ricorrente era stata dimostrata davanti all'autorità competente per mezzo di perizie mediche oggettive (si veda Ilnseher, citata, § 127, e Rooman, citata, § 192). Nel caso di specie, come descritto in dettaglio sopra (cfr. paragrafo 8), la perizia psichiatrica presentata il 3 ottobre 2017 al GIP del Tribunale di Roma ha concluso che il ricorrente soffriva di un disturbo della personalità e di un disturbo bipolare, aggravato dall'uso di sostanze. L'esperto aggiunse che il ricorrente era pericoloso per la società e sottolineò che le sue necessità terapeutiche avevano la precedenza sulla necessità della detenzione. La Corte nota che le stesse conclusioni sono state successivamente confermate dalla seconda perizia, presentata il 9 novembre 2018 alla Corte distrettuale di Tivoli (si veda il precedente paragrafo 18).

131. La Corte osserva, in secondo luogo, che il GIP di Roma ha giustamente considerato che il disturbo mentale del ricorrente era di natura tale da legittimare l'internamento, dato che il ricorrente, pur essendo in libertà vigilata, aveva gravemente violato le condizioni della sua libertà vigilata, e che il collocamento nella REMS era quindi l'unica soluzione in grado di soddisfare l'esigenza di protezione sociale (si veda Ilnseher, citata, § 127, e Rooman, citata, § 192).

132. In terzo luogo, la validità della continuazione della detenzione del ricorrente era subordinata alla persistenza del suo disturbo mentale. La valutazione più recente del suo stato di salute, datata 30 aprile 2020, affermava che il ricorrente rappresentava ancora un pericolo per la società, anche se in misura minore (vedi paragrafo 39 sopra). Non c'è nessuna indicazione nel dossier che questo rischio abbia cessato di esistere durante il periodo in questione.

133. Stando così le cose, la Corte ritiene che, alla luce dei principi giurisprudenziali sopra menzionati (si veda il precedente paragrafo 111), l'esame della legittimità richiede anche di esaminare se il legame tra il motivo della privazione della libertà e il luogo e le condizioni di detenzione sia continuato per tutto il periodo di detenzione. Ricorda che, in linea di principio, la "detenzione" di una persona affetta da malattia mentale può essere considerata "legittima" ai fini del paragrafo 1 (e) solo se avviene in un ospedale, in una clinica o in un'altra struttura adeguata (si veda Ilnseher, sopra citato, § 134, Rooman, sopra citato, § 190, e Stanev, sopra citato, § 147).

134. La Corte osserva che lo scopo della detenzione in una REMS non è solo quello di proteggere la società, ma anche di fornire all'interessato le cure necessarie per migliorare, per quanto possibile, il suo stato di salute e rendere così possibile la riduzione o il controllo della sua pericolosità (si veda, mutatis mutandis, Klinkenbuß c. Germania, n. 53157/11, § 53, 25 febbraio 2016, e Rooman, sopra citata, § 208). Era quindi essenziale che al richiedente fosse offerto un trattamento appropriato al fine di ridurre il pericolo che rappresentava per la società. Tuttavia, risulta dal dossier che anche dopo la sentenza della Corte d'appello di Roma che ordina la sua liberazione, il ricorrente non è stato trasferito in una REMS. Invece, ha continuato ad essere detenuto in carceri ordinarie in condizioni scadenti e non gli è stata fornita un'assistenza terapeutica individualizzata (vedi le conclusioni dell'articolo 3, paragrafo 88).

135. La Corte ribadisce che lo Stato è obbligato, nonostante i problemi logistici e finanziari, a organizzare il proprio sistema carcerario in modo tale da garantire che i detenuti siano trattati nel rispetto della loro dignità umana (cfr. Muršić c. Croazia [GC], n. 7334/13, § 99, 20 ottobre 2016, e Neshkov e altri c. Bulgaria, nn. 36925/10 e altri 5, § 229, 27 gennaio 2015). Anche se un divario tra la capacità disponibile e quella necessaria può essere inizialmente considerato accettabile (mutatis mutandis, Morsink v. the Netherlands, no. 48865/99, § 67, 11 maggio 2004), il ritardo nell'ottenere un posto non può continuare indefinitamente ed è accettabile solo se è debitamente giustificato. Le autorità devono dimostrare che non sono rimaste passive ma che, al contrario, hanno cercato attivamente una soluzione e si sono sforzate di superare gli ostacoli all'applicazione della misura. Nel caso di specie, risulta dal fascicolo che, a partire dal febbraio 2019, il DAP ha inviato numerose richieste di accoglienza alle REMS della Regione Lazio e a quelle presenti sul territorio nazionale al fine di trovare un posto per il ricorrente, ma senza successo per la mancanza di posti disponibili (cfr. paragrafi 28 e seguenti). La Corte osserva che, di fronte a questi rifiuti, le autorità nazionali non hanno creato nuovi posti all'interno del REMS o trovato un'altra soluzione. Stava a loro assicurare al richiedente che un posto in un REMS sarebbe stato disponibile o trovare una soluzione adeguata. La Corte non può quindi considerare la mancanza di posti come una valida giustificazione per mantenere il ricorrente in prigione.

136. Di conseguenza, la privazione della libertà del ricorrente dal 21 maggio 2019 non è stata effettuata in modo coerente con i requisiti dell'articolo 5 § 1 (e) (vedi Rooman, sopra citato, §§ 190 e da 208 a 210).

137. C'è stata quindi una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.

Sulla presunta violazione dell'articolo 5 § 5

138. Ai sensi dell'articolo 5 § 5, il ricorrente ha anche lamentato di non aver avuto un rimedio efficace per ottenere la riparazione del danno che dice di aver subito a causa della sua detenzione in violazione dell'articolo 5 § 1. Ai sensi dell'articolo 5 § 5 della Convenzione :

"Ogni persona che è stata vittima di un arresto o di una detenzione contrari alle disposizioni del presente articolo ha diritto ad una riparazione".

139. Il governo ha sostenuto che il ricorrente avrebbe dovuto intentare un'azione di risarcimento danni davanti al tribunale sulla base dell'articolo 2043 del codice civile italiano, che gli avrebbe permesso di chiedere il risarcimento del danno subito a causa della presunta violazione della sua libertà personale.

140. Il ricorrente sostiene che l'articolo 2043 del codice civile non è un rimedio efficace perché, a suo parere, l'onere della prova a carico della vittima del danno è eccessivo, in quanto la vittima dovrebbe provare il dolo o la colpa grave della pubblica amministrazione.

141. La Corte ribadisce che l'articolo 5 § 5 è rispettato se il risarcimento può essere richiesto per una privazione della libertà in violazione dei paragrafi 1, 2, 3 o 4. Il diritto al risarcimento ai sensi del paragrafo 5 presuppone quindi che una violazione di uno di questi altri paragrafi sia stata stabilita da un'autorità nazionale o dagli organi della Convenzione. A questo proposito, l'effettivo godimento del diritto alla riparazione garantito da quest'ultima disposizione deve essere assicurato con un sufficiente grado di certezza (si veda Stanev, sopra citata, § 182, e N.C. c. Italia [GC], no. 24952/94, § 49, CEDU 2002-X).

142. La Corte ritiene che quando si può affermare che c'è stata una violazione di uno o più diritti della Convenzione, la vittima deve avere un meccanismo per stabilire la responsabilità dei funzionari o degli organi dello Stato per tale mancanza. Inoltre, nei casi appropriati, il risarcimento dei danni - materiali e non materiali - derivanti dalla violazione deve in linea di principio essere disponibile e far parte dello schema di riparazione messo in atto (Roth c. Germania, nn. 6780/18 e 30776/18, § 92, 22 ottobre 2020).

143. Alla luce di questi fattori, la Corte ha concluso sotto diversi aspetti che, quando si constata una violazione di un articolo della Convenzione, c'è una forte presunzione che la violazione abbia causato un danno non patrimoniale alla parte lesa. Pertanto, i rimedi previsti a livello nazionale devono rispettare questa presunzione e non subordinare la compensazione finanziaria all'accertamento della colpa dell'autorità convenuta.

La Corte ha affermato che l'onere della prova imposto al richiedente non deve essere eccessivo (si veda Neshkov e altri, citata, § 184, e Polgar c. Romania, n. 39412/19, § 82, 20 luglio 2021). Una compensazione finanziaria dovrebbe essere disponibile per ogni persona che è o è stata detenuta in condizioni inumane o degradanti e che ne ha fatto richiesta. La Corte ha ripetutamente affermato che la constatazione che le condizioni di detenzione non soddisfano i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione fa sorgere una forte presunzione che esse abbiano causato un danno mentale alla parte lesa (si veda Neshkov e altri, citata, § 190, e Roth, citata, § 93, e Ananyev e altri, citata, § 229). Le norme e le pratiche nazionali che disciplinano il funzionamento del rimedio compensativo dovrebbero riflettere l'esistenza di questa presunzione piuttosto che subordinare il risarcimento alla capacità del richiedente di dimostrare, con prove estrinseche, l'esistenza di un danno non patrimoniale sotto forma di stress emotivo (si veda Neshkov e altri, sopra citata, § 190, e Polgar, sopra citata, § 85). Di conseguenza, subordinare la concessione del risarcimento alla capacità del richiedente di provare la colpa delle autorità e l'illegalità delle loro azioni può rendere inefficaci i rimedi esistenti (vedi Roth, sopra citato, § 93, e i riferimenti ivi citati). La Corte ha ricordato, a questo proposito, che le cattive condizioni di detenzione non sono necessariamente il risultato di mancanze imputabili all'amministrazione penitenziaria, ma più spesso hanno la loro origine in fattori più complessi, per esempio problemi di politica penale (Rezmiveș e altri c. Romania, nn. 61467/12 e altri 3, § 124, 25 aprile 2017).

145. Allo stesso modo, la Corte ha ritenuto che l'eccessivo formalismo per quanto riguarda la prova del danno non patrimoniale causato dalla detenzione illegale ha reso inefficace l'azione di responsabilità dello Stato ai sensi dell'articolo 5 § 5 (Danev c. Bulgaria, no. 9411/05, § 34, 2 settembre 2010 e, mutatis mutandis, Iovchev c. Bulgaria, no. 41211/98, § 146, 2 febbraio 2006). A questo proposito, nei casi Picaro c. Italia e Zeciri c. Italia, la Corte ha ritenuto che l'azione civile per il risarcimento dei danni per violazione della libertà personale prevista dal sistema giuridico italiano non costituisse un rimedio efficace per ottenere riparazione delle violazioni dell'articolo 5, paragrafi 1 e 4, della Convenzione, in quanto il Governo non aveva prodotto alcun esempio che dimostrasse che una tale azione fosse stata intentata con successo in circostanze simili (Picaro c. Italia, Italia, e Zeciri c. Italia, Italia). Italia, no. 42644/02, § 84, 9 giugno 2005, e Zeciri c. Italia, no. 55764/00, § 50, 4 agosto 2005).

146. Infine, nel contesto dell'articolo 6, la Corte ha ricordato la presunzione molto forte, anche se confutabile, che un ritardo eccessivo nell'esecuzione di una sentenza vincolante ed esecutiva dà luogo a un danno non patrimoniale. Il fatto che il risarcimento dei danni non pecuniari nei casi di mancata esecuzione sia subordinato all'accertamento della colpa dell'autorità convenuta è difficile da conciliare con questa presunzione. I ritardi nell'esecuzione riscontrati dalla Corte non sono necessariamente dovuti a irregolarità commesse dall'amministrazione, ma possono essere attribuibili a carenze del sistema a livello nazionale e/o locale (cfr. Burdov, già citato, § 111).

147. La Corte osserva nella fattispecie che l'azione civile per il risarcimento dei danni prevista dall'articolo 2043 del codice civile - che il governo considera come un rimedio efficace - esige che il richiedente provi l'esistenza dell'atto illecito, il dolo o la colpa dell'amministrazione e il danno subito. La Corte nota che il governo non ha prodotto alcun esempio che dimostri che un tale ricorso sia stato presentato con successo in circostanze simili a quelle del caso in questione (si veda Picaro, sopra citata, § 84, e Zeciri, sopra citata, § 50).

148. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il ricorrente non aveva alcun mezzo per ottenere, con un sufficiente grado di certezza, una riparazione delle violazioni dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.

149. C'è stata quindi una violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione.

Sulla presunta violazione dell'articolo 6 § 1

Il ricorrente lamentava una violazione del diritto a un processo equo a causa della mancata esecuzione della decisione della Corte d'appello di Roma del 20 maggio 2019. Egli si basa sull'articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita:

"Ogni persona ha diritto a un processo equo ... da parte di un tribunale ... che decida ... nel merito di ogni accusa penale a suo carico".

151. Il ricorrente ricorda i principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Assanidzé, citata sopra, e sostiene che le autorità nazionali hanno l'obbligo di eseguire le decisioni giudiziarie d'ufficio.

152. Il governo ha sostenuto che le autorità avevano cercato di trovare un posto disponibile in una REMS per il ricorrente il più rapidamente possibile, sottolineando che il ricorrente era considerato pericoloso per la società e non poteva quindi essere rilasciato.

153. Facendo riferimento ai principi enunciati nel precedente paragrafo 63, la Corte ribadisce che l'esecuzione di una sentenza o di un'ordinanza di qualsiasi tribunale deve essere considerata come parte integrante del procedimento ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e che la mancata esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva ed esecutiva priverebbe le garanzie sancite da tale articolo del loro pieno effetto.

154. La Corte osserva che la sentenza del 20 maggio 2019 con cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la liberazione del ricorrente non è stata eseguita (cfr. paragrafo 25). In particolare, in seguito all'ordinanza del JAP del 21 gennaio 2019 (cfr. paragrafo 27), il ricorrente avrebbe dovuto essere collocato nella REMS, eppure è rimasto in prigione. Ha quindi concluso che c'era stata una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

Sulla presunta violazione dell'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1

155. Invocando l'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1, il ricorrente ha sostenuto di non aver avuto un rimedio effettivo per lamentarsi della mancanza di cure mediche adeguate durante la sua detenzione e di non aver potuto far valere i suoi diritti ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione. La prima di queste disposizioni recita come segue:

"Ogni persona i cui diritti e le cui libertà enunciati nella (...) Convenzione siano stati violati deve poter disporre di un ricorso effettivo dinanzi ad un'autorità nazionale, anche se la violazione è stata commessa da persone che agiscono in veste ufficiale.

156. Le parti fanno riferimento alle loro argomentazioni sul motivo del mancato esaurimento dei rimedi interni.

157. La Corte ritiene, alla luce della sua conclusione al precedente paragrafo 64 e delle sue conclusioni in relazione agli articoli 3 e 5 § 1 (si vedano i paragrafi 88, 124 e 154), che non è necessario esaminare separatamente le denunce ai sensi dell'articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 5 § 1 della Convenzione.

Sulla presunta violazione dell'articolo 34 della Convenzione

158. Il ricorrente ha sostenuto che l'Italia è venuta meno ai suoi obblighi ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione a causa del ritardo nell'esecuzione della misura indicata dalla Corte ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento della Corte.

L'articolo 34 della Convenzione prevede:

"Un'istanza può essere presentata alla Corte da ogni persona, organizzazione non governativa o gruppo di individui che affermano di essere vittime di una violazione da parte di una delle Alte Parti Contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a non ostacolare in alcun modo l'esercizio effettivo di questo diritto.

Le osservazioni delle parti

(a) Il richiedente

159. Il ricorrente ricorda il ruolo vitale svolto dai provvedimenti provvisori nel sistema della Convenzione e considera l'inspiegabile e prolungata inosservanza della misura indicata da parte della Corte come una violazione del suo diritto ad un ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione.

160 Il ricorrente ha criticato la giustificazione del governo per il ritardo nell'attuazione della misura, vale a dire la mancanza di posti nel REMS, sostenendo che questo era esattamente il motivo per cui aveva chiesto alla Corte. Ha aggiunto che lo Stato era ed è l'unico responsabile del problema strutturale della mancanza di posti in queste strutture.

(b) Il governo

161. Il governo ha sostenuto che le autorità avevano fatto tutto ciò che era in loro potere per rispettare la misura provvisoria e trasferire la ricorrente in un REMS. L'ostacolo era la mancanza di posti disponibili in queste strutture. Il confinamento tra marzo e maggio 2020 a causa della pandemia di covid-19 avrebbe anche avuto un impatto sulle attività dell'amministrazione penitenziaria.

162. 162. Il governo ha inoltre sottolineato che le autorità non potevano nemmeno rilasciare il ricorrente, in quanto ciò avrebbe comportato un rischio grave e concreto per la sicurezza pubblica, date le numerose decisioni dei tribunali nazionali che indicavano che il ricorrente era pericoloso per la società.

163 Infine, il governo ha affermato di essere pienamente consapevole dell'importanza della questione dei posti insufficienti nei REMS e che stava prendendo le misure necessarie per risolvere il problema. In particolare, afferma che sono in corso discussioni sulla riforma dell'accordo tra lo Stato e le regioni in materia di REMS e che un progetto specifico è stato presentato a questo proposito nell'ambito delle riforme del sistema sanitario finanziate nell'ambito del Fondo europeo di recupero.

La valutazione della Corte

a) Principi applicabili

164. La Corte ribadisce che l'obbligo di cui all'articolo 34 in fine impone agli Stati contraenti non solo di astenersi dall'esercitare pressioni sui richiedenti, ma anche di astenersi da qualsiasi atto od omissione che, distruggendo o cancellando l'oggetto di una domanda, la renderebbe inutile o comunque impedirebbe alla Corte di esaminarla secondo il suo normale metodo (si veda Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, § 102, ECHR 2005-I). Dallo scopo di questa norma, cioè assicurare l'effettività del diritto di petizione individuale, si evince che le intenzioni o le ragioni alla base di un'azione o di un'omissione vietata dall'articolo 34 sono poco rilevanti per valutare se tale disposizione sia stata rispettata o meno. L'importante è determinare se la situazione creata dall'azione o dall'omissione delle autorità è conforme all'articolo 34. Lo stesso vale per il rispetto delle misure provvisorie ai sensi dell'articolo 39, poiché tali misure sono indicate dalla Corte al fine di garantire l'efficacia del diritto di petizione individuale. Ne consegue che ci sarà una violazione dell'articolo 34 se le autorità di uno Stato contraente non prendono tutte le misure ragionevoli per conformarsi alla misura indicata dalla Corte (Paladi c. Moldova [GC], no. 39806/05, §§ 87-88, 10 marzo 2009).

165 A questo proposito, la Corte osserva che applica l'articolo 39 in modo rigoroso e, in linea di principio, solo quando esiste un rischio imminente di danno irreparabile. Sebbene non ci sia una disposizione specifica nella Convenzione per quanto riguarda gli ambiti di applicazione, le applicazioni riguardano più spesso il diritto alla vita (articolo 2), il diritto a non essere sottoposti a tortura e a trattamenti inumani (articolo 3), ed eccezionalmente il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8) o ad altri diritti garantiti dalla Convenzione (vedi Mamatkoulov e Askarov, già citati, §§ 103-104).

166. Per verificare se lo Stato convenuto ha rispettato il provvedimento provvisorio indicato, è necessario partire dalla formulazione del provvedimento stesso. La Corte deve verificare se lo Stato convenuto ha rispettato la lettera e lo spirito del provvedimento provvisorio che gli è stato indicato. Nell'esaminare un reclamo ai sensi dell'articolo 34 relativo alla presunta inosservanza di un provvedimento provvisorio da parte di uno Stato contraente, la Corte non riconsidererà l'opportunità della sua decisione di applicare il provvedimento in questione. Spetta al governo convenuto dimostrare alla Corte che la misura provvisoria è stata rispettata o, in casi eccezionali, che c'era un ostacolo oggettivo al rispetto e che ha preso tutte le misure ragionevolmente praticabili per rimuovere l'ostacolo e per tenere la Corte informata della situazione (vedi Paladi, citato sopra, §§ 91-92). Un ritardo significativo da parte delle autorità nell'attuazione del provvedimento provvisorio, che ha fatto correre al ricorrente il rischio di subire il trattamento dal quale il provvedimento intendeva proteggerlo, costituisce un inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dall'articolo 34 della Convenzione (M.K. e altri c. Polonia, n. 40503/17 e altri 2, §§ 237-238, 23 luglio 2020).

b) Applicazione dei principi di cui sopra nel presente caso

167. La Corte deve, nella fattispecie, esaminare se le autorità hanno rispettato la misura provvisoria indicata dalla Corte, che consisteva nel garantire il trasferimento del ricorrente in una struttura (REMS o altro) in grado di fornire un trattamento terapeutico adeguato per la sua malattia mentale.

168. A questo proposito, la Corte osserva che le autorità nazionali hanno trasferito il ricorrente in una comunità terapeutica il 12 maggio 2020. Ritiene quindi che il governo abbia rispettato la misura provvisoria indicata (cfr. paragrafi 33 e 42).

169. In secondo luogo, la Corte deve esaminare se il governo ha rispettato la misura provvisoria entro un tempo ragionevole. A questo proposito, osserva che le autorità italiane hanno trasferito il ricorrente trentacinque giorni dopo che la Corte aveva adottato il provvedimento. Ha notato all'inizio che un tale termine di per sé sembrava molto lungo e sollevava dubbi sulla sua compatibilità con l'articolo 34 della Convenzione.

170. La Corte deve poi verificare se tale ritardo nell'applicazione del provvedimento provvisorio sia stato giustificato da circostanze eccezionali.

171. La Corte non è convinta dell'argomento basato sulla mancanza di posti nel REMS. Ricorda infatti che, già il 21 gennaio 2019, il GIP di Roma aveva sostituito la misura della libertà vigilata con l'applicazione immediata della detenzione nelle REMS (si veda il precedente paragrafo 25). Il governo era quindi consapevole della necessità di trovare un posto in un istituto adeguato per il ricorrente ben prima che il provvedimento provvisorio della Corte fosse adottato. Come la Corte ha ripetutamente sottolineato, è responsabilità di ogni governo organizzare il proprio sistema carcerario in modo tale da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà finanziaria o logistica (si veda Muršić, sopra citata, § 99, e Neshkov e altri, sopra citata, § 229). Nel caso in questione, spettava quindi al governo italiano trovare un'altra soluzione adeguata per il ricorrente, invece di un posto in una REMS, come la Corte aveva espressamente indicato (vedi paragrafo 34 sopra). La Corte non può quindi considerare la mancanza di posti nei REMS come una valida giustificazione per il ritardo nell'attuazione della misura provvisoria indicata dalla Corte.

172. In secondo luogo, per quanto riguarda il confinamento di marzo 2020 in Italia, la Corte comprende che questa situazione può aver avuto un impatto sul buon funzionamento dell'amministrazione. Tuttavia, non è convinta da questo argomento, poiché il governo non ha spiegato come il confinamento avrebbe reso più difficile ottenere un posto in una REMS o in un'altra struttura o ritardato il trasferimento del ricorrente, dato anche che le autorità nazionali sapevano già dal 21 gennaio 2019, cioè ben prima dell'inizio del confinamento, che il ricorrente doveva essere trasferito lì (cfr. paragrafo 27 sopra). Di conseguenza, poiché i provvedimenti provvisori sono comunicati solo in circostanze eccezionali, in particolare quando vi è un rischio imminente di danno irreparabile per il richiedente (vedi Mamatkoulov e Askarov, sopra citati, §§ 103-104 e 120), la Corte ritiene che, anche se un certo ritardo nell'esecuzione del provvedimento provvisorio era accettabile nel caso di specie in una situazione eccezionale come quella del confinamento, trentacinque giorni appare tuttavia eccessivo.

173. In assenza di qualsiasi altra giustificazione, la Corte conclude che il ritardo nell'esecuzione del provvedimento provvisorio è eccessivamente lungo (vedi M.K. e altri, sopra citata, §§ 237-238) e che le autorità italiane sono quindi venute meno agli obblighi derivanti dall'articolo 34.

174. C'è stata quindi una violazione dell'articolo 34 della Convenzione.

SULL'APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 e 46

175. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione:

"Se la Corte constata che c'è stata una violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette solo una riparazione imperfetta delle conseguenze di tale violazione, la Corte, se necessario, darà una giusta soddisfazione alla parte lesa."

176. Ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione:

" 1. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a rispettare le sentenze definitive della Corte nelle cause in cui sono parti.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri, che ne controlla l'esecuzione.

Articolo 41
Danno

177. Il ricorrente ha chiesto 129.187,74 euro (EUR) per il danno non patrimoniale che ritiene di aver subito. Egli ritiene che la giusta soddisfazione che gli è dovuta dovrebbe essere calcolata sulla base dell'indennità prevista per ogni giorno di detenzione illegale dalla legge italiana.

178. Il governo ha sostenuto che il ricorrente non poteva utilizzare i criteri utilizzati dalla Corte per quantificare l'entità del danno derivante dalla detenzione illegale nel caso di una persona che doveva essere rilasciata, in quanto il ricorrente sarebbe stato privato della sua libertà in ogni caso, in particolare in un REMS.

179. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un danno non patrimoniale certo a causa della detenzione senza cure adeguate al suo stato di salute, in violazione degli articoli 3 e 5 § 1 della Convenzione. Gli ha riconosciuto 36.400 euro per il danno morale, più l'importo eventualmente dovuto su questa somma a titolo di imposta.

Costi e spese

180. Il ricorrente ha chiesto 53.985,98 euro per i costi e le spese che ha sostenuto nel procedimento dinanzi alla Corte.

181. Il governo non ha detto nulla a questo proposito.

182. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi costi e delle sue spese solo nella misura in cui la loro realtà, necessità e ragionevolezza siano stabilite. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri summenzionati, la Corte ritiene ragionevole attribuire al ricorrente la somma di 10.000 euro per il procedimento in corso, più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.

Interesse di default

183. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi di mora sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea più tre punti percentuali.

Articolo 46

184. Facendo riferimento ai principi enunciati nella causa Strazimiri, già citata, il ricorrente chiedeva alla Corte di ordinare al governo di adottare tutte le misure generali necessarie per garantire che i detenuti malati di mente che erano oggetto della misura di sicurezza del ricovero nelle REMS vi fossero trasferiti rapidamente, in particolare aumentando considerevolmente il numero di posti disponibili nel sistema REMS.

185. La Corte ricorda che le sue sentenze sono essenzialmente di natura dichiarativa e che, in generale, spetta in primo luogo allo Stato interessato scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel suo ordinamento giuridico interno per adempiere all'obbligo che gli incombe in virtù dell'articolo 46 della Convenzione, a condizione che tali mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (vedere, tra le altre autorità, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII, Brumărescu c. Romania (giusta soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2001-I, e Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10 e altri 4, § 233, 4 marzo 2014).

186 Allo stato attuale e alla luce delle informazioni fornite dalle parti, la Corte non ritiene necessario indicare misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per conformarsi alla presente sentenza.

PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ

Dichiara il ricorso irricevibile nella misura in cui si riferisce al periodo di detenzione dal 2 luglio al 22 novembre 2018 e ammissibile per il resto;
Dichiara che c'è stata una violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
Dichiara che non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione per quanto riguarda il periodo di detenzione dal 2 dicembre 2018 al 20 maggio 2019;
Dichiara che c'è stata una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione per il periodo di detenzione dal 21 maggio 2019 al 12 maggio 2020;
Dichiara che c'è stata una violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione;
Dichiara che c'è stata una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
Dichiara che non è necessario esaminare il reclamo ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione;
Dichiara che c'è stata una violazione dell'articolo 34 della Convenzione;
Trova

(a) che lo Stato convenuto paghi al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme

EUR 36.400 (trentaseimilaquattrocento euro), più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danni non patrimoniali;
10.000 euro (diecimila euro), più l'importo eventualmente dovuto dal richiedente su tale somma a titolo di imposta, per costi e spese;

(b) che a partire dalla scadenza di detto termine e fino al pagamento, su tali importi saranno applicati interessi semplici ad un tasso pari alle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

Respinge il resto della richiesta di giusta soddisfazione.

Fatto in francese e notificato per iscritto il 24 gennaio 2022, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener Marko Bošnjak
Presidente del cancelliere