La misura degli oneri dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese tra le parti (quali, tra gli altri, il risultato ed altri vantaggi anche non patrimoniali).
La misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione contenuta nella sentenza, che condanna l’altra parte al pagamento delle spese e degli onorari di causa, per cui solo l’inequivoca rinuncia del legale al maggiore compenso può impedirgli di pretendere onorari maggiori e diversi da quelli liquidati in sentenza. Tale rinuncia non può essere desunta dalla mera accettazione della somma corrisposta dal cliente per spese, diritti ed onorari, nella misura liquidata in sentenza e posta a carico dell’altra parte, quando non risulti in concreto che la somma è stata accettata a saldo di ogni credito per tale titolo.
La nuova normativa non solo non ha superato (e non poteva superare) il principio generale relativo ai limiti soggettivi della sentenza secondo il quale l’avvocato non è parte del giudizio che ha determinato la liquidazione delle spese giudiziali, ma e, soprattutto, la nuova legge consente di confermare il principio relativo al diverso fondamento dell’obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d’opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalità. Infatti, il nuovo art. 13 della legge professionale forense stabilisce che se tra cliente ed avvocato il compenso non è stato stabilito per iscritto, il giudice liquida il compenso, facendo riferimento ai parametri allegati al DM n. 55 del 2014 cioè, tenuto conto delle caratteristiche dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza della natura, della difficoltà e del valore dell’affare delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti dal numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, e non secondo il principio di causalità cui è uniformata la decisione relativa alla liquidazione delle spese giudiziali tra le parti che può prescindere dai criteri appena indicati.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 12 luglio – 17 ottobre 2018, n. 25992
Presidente Lombardo – Relatore Scalisi
Fatti di causa e ragioni della decisione
L.O.L.C. impugnava il decreto ingiuntivo n. 475 del 2016, con il quale il Tribunale di Aosta, su richiesta dell’avv. C.C. , aveva ingiunto il pagamento della somma di C. 20.600,61 a titolo di compenso per prestazioni professionali (attività giudiziale di assistenza, rappresentanza e difesa) nell’ambito di un procedimento innanzi alla Corte di Appello di Torino. A sostegno dell’opposizione è stato eccepito che la somma richiesta a titolo di compenso professionale era superiore, e non sarebbe dovuto essere a quella liquidata dalla Corte di Appello.
Si costituiva l’avv. C. , sostenendo che la liquidazione operata dalla Corte di Appello non era vincolante, né impediva che l’avvocato chiedesse un compenso maggiore rispetto a quello liquidato dalla Corte di Appello, dovendosi ritenere che la liquidazione operata dal giudice attiene ai rapporti tra le parti, ma non vincola la determinazione del compenso professionale nei rapporti tra l’avvocato e il cliente, con determinazione del compenso supportata dal parere del Consiglio dell’Ordine.
Il Tribunale di Aosta con ordinanza del 19 maggio 2017 con numero di RG. 1542 del 2016 accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo, dichiarava non dovute dall’attrice L. in opposizione le somme richieste dalla convenuta avv. C. e compensava le spese del giudizio. Secondo il Tribunale di Aosta l’orientamento giurisprudenziale elaborato al tempo delle tariffe forensi e secondo il quale la misura degli onorari dovuti all’avvocato dal cliente poteva essere determinata in base ai criteri diversi rispetto a quelli della liquidazione delle spese non poteva dirsi vigente dopo la soppressione delle tariffe, l’approvazione dei parametri di cui al DM 55 del 2014 e la riforma della legge professionale n. 247 del 2012.
La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta da C.C. con ricorso affidato a due motivi:
a) per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 della legge 247 del 2013 e degli artt. 4 e 5 del DM n. 55 del 2014 ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. e art. 111 cost. Secondo la ricorrente, il Tribunale di Aosta avrebbe errato nell’affermare che la sentenza che opera la liquidazione delle spese nell’ambito dei rapporti tra le parti non può che costituire il punto di riferimento per la liquidazione anche nei rapporti tra il cliente e l’avvocato perché, ove così fosse, si riconoscerebbe efficacia alla sentenza contro un soggetto che non è stato parte di quel giudizio. Per altro, la riforma della legge professionale e il passaggio dal sistema tariffario a quello dei parametri non possono avere avuto alcuna incidenza sul principio, secondo il quale la sentenza non produce effetti nei confronti delle parti.
B) per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 247 del 2013 e degli artt. 4 e 5 del DM n. 55 del 2014 ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente, l’ordinanza del Tribunale di Aosta andrebbe cassata anche nella parte in cui statuisce che l’avvocato di cui deve uniformare la liquidazione del compenso alla somma già liquidata dal giudice, salvo che questi non abbia dedotto nell’ambito del procedimento per la liquidazione dei propri compensi, specifici oggettivi ulteriori rispetto a quelli emersi nell’ambito del giudizio di cui è stata svolta l’attività professionale, dovendo considerare che nel giudizio relativo alla liquidazione tra cliente e controparte l’avvocato non può introdurre alcun elemento in proprio favore per la liquidazione del compenso, né può prospettare alcunché, dato che l’avvocato non è parte e nel giudizio l’avvocato deve occuparsi degli stretti interessi del cliente da lui patrocinato.
L. in questa fase non ha svolto attività giudiziale.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che i motivi formulati con il ricorso potevano essere dichiarati fondati, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.
Rileva il collegio che il ricorso è fondato, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore, ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..
1.- Nella giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, sentenze 19/10/1992 n. 11448; 30/5/1991 n. 6101; 28/6/1989 n. 3158) è incontrastato il principio secondo cui la misura degli oneri dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese tra le parti (quali, tra gli altri, il risultato ed altri vantaggi anche non patrimoniali).
La stessa esistenza di distinte previsioni normative per la determinazione dei compensi nei riguardi del cliente - ancorché vi sia stata la pronuncia sulle spese da parte del giudice che ha definito la relativa controversia- univocamente comprova che l’ammontare delle somme dallo stesso cliente dovute, può essere diverso rispetto a quello formante oggetto della suddetta pronuncia, per cui tra le due liquidazioni può esservi corrispondenza.
Ciò è, d’altra parte, confermato dalle deliberazioni dei Consigli Nazionali Forensi in base alle quali - come risulta dalla tariffa approvata con il D.M. n.55 del 2014 (articoli 5 e 6) -nella liquidazione degli onorari a carico del cliente può aversi riguardo, tra l’altro, ai risultati del giudizio, ai vantaggi conseguiti anche non patrimoniali, nonché al valore effettivo della controversia quando esso risulti, manifestamente, diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile.
Le dette disposizioni integrano una norma di favore del professionista e, al riguardo, questa Corte ha avuto modo di precisare che la differenza in questione è legata al diverso fondamento dell’obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d’opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalità (sentenza 19/10/1992 n. 11448).
Il cliente, quindi, è sempre obbligato a corrispondere gli onorari e i diritti all’avvocato ed al procuratore da lui nominati ed il relativo ammontare deve essere determinato dal giudice nei suoi specifici confronti a seguito di procedimento monitorio o dal procedimento previsto dagli articoli 28 e 29 della legge n. 794 del 1942, senza essere vincolato alla pronuncia sulle spese da parte del giudice che ha definito la causa cui le stesse si riferiscono.
D’altra parte, l’eventuale errore contenuto nella detta pronuncia (per il mancato rispetto dei minimi tariffari) non può di certo ricadere sul professionista se la parte non ha inteso impugnare il provvedimento sulle spese. Inoltre, proprio perché sono diversi i criteri dettati per la liquidazione degli onorari a carico del cliente ed a carico della controparte, sarebbe illogico pretendere l’indicazione, nella nota spese a carico del soccombente, delle maggiori somme che il professionista ha diritto a percepire soltanto dal cliente.
Senza dire, o, per maggior chiarezza e a conferma, va detto, che la sentenza che ha provveduto alla liquidazione delle spese giudiziali non ha efficacia (cioè, non è vincolante per l’), nei confronti, dell’avvocato per l’assorbente ragione che lo stesso non è parte del giudizio (Cfr. Cass.10383 del 2017, n. 518 del 2016), di cui si dice, né in quel giudizio, sia pure relativamente alla liquidazione delle spese, può dedurre specifiche considerazioni.
Pertanto, la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione contenuta nella sentenza, che condanna l’altra parte al pagamento delle spese e degli onorari di causa, per cui solo l’inequivoca rinuncia del legale al maggiore compenso può impedirgli di pretendere onorari maggiori e diversi da quelli liquidati in sentenza. Tale rinuncia non può essere desunta dalla mera accettazione della somma corrisposta dal cliente per spese, diritti ed onorari, nella misura liquidata in sentenza e posta a carico dell’altra parte, quando non risulti in concreto che la somma è stata accettata a saldo di ogni credito per tale titolo.
1.2.- Va qui osservato che tali principi vanno confermati anche dopo l’entrata in vigore della nuova legge professionale forense n. 247 del 2013 che ha determinato il passaggio dal sistema tariffario a quello dei parametri ed, essenzialmente, perché la nuova legge, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale con la sentenza impugnata, non ha modificato i principi appena indicati.
In particolare, la nuova legge, non solo non ha superato (e non poteva superare) il principio generale relativo ai limiti soggettivi della sentenza secondo il quale l’avvocato non è parte del giudizio che ha determinato la liquidazione delle spese giudiziali, ma e, soprattutto, la nuova legge consente di confermare il principio relativo al diverso fondamento dell’obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d’opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalità. Infatti, il nuovo art. 13 della legge professionale forense stabilisce che se tra cliente ed avvocato il compenso non è stato stabilito per iscritto, il giudice liquida il compenso, facendo riferimento ai parametri allegati al DM n. 55 del 2014 cioè, tenuto conto delle caratteristiche dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza della natura, della difficoltà e del valore dell’affare delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti dal numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, e non secondo il principio di causalità cui è uniformata la decisione relativa alla liquidazione delle spese giudiziali tra le parti che può prescindere dai criteri appena indicati.
Ai suddetti principi giurisprudenziali non si è attenuto il Tribunale di Aosta e, pertanto, la sentenza impugnata va cassata. Conseguentemente, la causa va rinviata al Tribunale di Aosta per un nuovo esame alla luce dei principi qui esposti, il quale provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Aosta in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.