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Overturning assolutorio in appello, come fare (Cass. 36432/24)

30 settembre 2024, Cassazione penale

Per emettere una sentenza di condanna è necessaria la certezza della colpevolezza, la motivazione della sentenza del giudice d'appello che riformi, come nel caso di specie, una sentenza di condanna deve essere rafforzata sulla plausibilità di un ragionamento volto non già a far venire meno ogni ragionevole dubbio bensì a sollevarne uno.

Nel caso di riforma peggiorativa di una sentenza di assoluzione, il giudice di appello debba prima demolire il ragionamento probatorio culminato con la deliberazione del primo giudice e poi strutturare un proprio ragionamento che dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fondamento della tesi opposta, in caso, invece, di integrale riforma migliorativa di una sentenza di condanna il giudice di appello, seppur con una motivazione rafforzata - nel senso indicato, deve solo destrutturare il ragionamento del primo giudice, nel senso di configurare l'esistenza di un ragionevole dubbio che di per sé è destinato a destituire di fondamento la prospettiva accusatoria recepita dal primo giudice.

È possibile anche indicare alcuni parametri di riferimento a cui il giudice di appello deve attenersi nel caso in cui decida, a fronte di una sentenza di condanna, di pronunciare una sentenza di assoluzione.Il giudice, per assolvere in tal caso l'obbligo di motivazione rafforzata, deve:

a) dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, piena, del provvedimento impugnato;

b) spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro devoluto, perché non si è condiviso il decisum contestato;

c) chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico e probatorio - la nuova decisione assunta;

d) argomentare sul perché sussista un dubbio ragionevole originato dalla plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto rispetto a quella recepita dal giudice di primo grado.

 

Corte di Cassazione

sez. VI penale, ud. 19 giugno 2024 (dep. 30 settembre 2024), n. 36432

In fatto.

1. La Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto S.G. dal delitto di peculato perché il fatto non costituisce reato.

All'imputato, nella qualità di pubblico ufficiale e, in particolare, di dirigente dell'Ufficio Unep presso il Tribunale di Parma, si contesta, nell'ambito della gestione del fondo spese dell'ufficio, ex art. 146, comma 2, d.P.R. n. 1229 del 15 dicembre 1959, destinato- secondo quanto chiarito dal Ministero della Giustizia - all'acquisto di beni di cancelleria e applicativi software, di essersi appropriato della somma di 3.647,81 euro mediante tre bonifici a saldo di fatture emesse dall'avv. A.G. in ragione della prestazione fornita da questi allo stesso S.G. nell'ambito del giudizio civile intentato da F.P. avverso il ricorrente; detta somma sarebbe stata successivamente restituita a seguito di formale contestazione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna articolando due motivi.

2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio assolutorio.

L'assenza di dolo sarebbe stata fatta erroneamente discendere dalla Corte di appello da due elementi.

Il primo sarebbe costituito dal fatto che nel giudizio civile l'imputato era stato erroneamente convenuto personalmente da F.P., il quale, invece, lamentava un danno conseguente ad un provvedimento di S.G. emesso in qualità di dirigente dell'ufficio; il difetto di legittimazione passiva, riconosciuto dal Giudice civile, avrebbe, secondo la Corte di appello, dimostrato "che S.G. fosse davvero convinto di poter attingere alle risorse pubbliche di cui aveva la disponibilità per far fronte a spese di lite in qualche modo imputabili all'ufficio" (così il ricorso che riporta testualmente un breve stralcio della motivazione).

Il secondo elemento sarebbe costituito dalla documentazione fiscale emessa dall'Avv. A.G.; le tre fatture sarebbero state indirizzate, con il relativo codice fiscale, all'Ufficio diretto dall'imputato; detto elemento, secondo la Corte di appello, avrebbe contribuito a rafforzare il convincimento dell'imputato, e cioè che quella spesa dovesse essere coperta con denaro dell'ufficio da lui diretto.

Assume invece il Procuratore ricorrente che entrambe le circostanze non sarebbero affatto dimostrative dell'assenza di dolo.

Quanto alla prima, l'errata impostazione della causa civile intentata da F.P. fu oggetto di contestazione sin dalla memoria di costituzione con cui si eccepì il difetto della legittimazione passiva dell'imputato che, peraltro, aveva scelto personalmente il legale.

Dunque, si argomenta, l'imputato sapeva di essere stato convenuto in giudizio - seppur erroneamente - a titolo personale.

Quanto alla seconda, il conferimento dell'incarico all'avv. G.S. non poteva in nessun modo giustificare la emissione di quelle fatture, la cui errata intestazione sarebbe, piuttosto, dimostrativa della volontà appropriativa, atteso che, si aggiunge, l'errore del difensore non potè essere che conseguente alle informazioni ricevute dal ricorrente sul come le fatture avrebbero dovuto essere emesse.

La sentenza non avrebbe inoltre considerato che entrambe le circostanze fattuale da cui è stata fatta discendere la buona fede dell'Imputato, non furono nemmeno prospettate da S.G., che nei giorni successivi alla "emersione" dei fatti, si limitò a riversare l'importo complessivo prelevato dal fondo.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge.

Le somme di quel fondo potevano essere destinate per legge e per disposizioni ministeriali solo a spese dell'ufficio e l'errore del ricorrente sulla propria facoltà di disposizione di quelle somme costituirebbe un errore sul precetto.

3. È pervenuta una memoria nell'interesse dell'imputato con cui si riprendono in senso adesivo le considerazioni della Corte di appello e quelle poste a fondamento dell'originario atto di impugnazione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Le Sezioni unite della Corte hanno evidenziato come l'obbligo della motivazione rinforzata si imponga per il giudice di appello tutte le volte in cui ritiene di ribaltare la decisione del giudice di primo grado, sia assolutoria che di condanna.

Tale principio è ormai consolidato ed è parte integrante dell'ordinamento giuridico vivente; tale obbligo non opera nel caso di conferma della sentenza di primo grado, perché, in questa ipotesi, la motivazione della decisione di appello si salda con quella precedente fino a formare - quasi sempre - un unico complesso argomentativo.

Quanto all'obbligo di motivazione rafforzata - dunque, a prescindere dalla previsione del comma 3 bis dell'art. 603 cod. proc. pen. -, quando il giudice di appello deve dare una spiegazione razionalmente diversa rispetto alla ragione giustificativa di una sentenza deve spiegare "in modo rafforzato" perché ritiene di ribaltarla, deve cioè indicare le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado (per tutte Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272480; ma anche Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, in motivazione; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679).

3. Il tema è allora cosa debba intendersi per "motivazione rinforzata".

Si nota correttamente che una motivazione rafforzata è quella che abbia una "forza persuasiva superiore", in grado cioè di conferire alla "nuova" decisione la maggior solidità possibile.

Fare riferimento ad una "motivazione rafforzata" significa attendersi un apparato giustificativo più vincolato nelle sue cadenze e nei suoi passaggi argomentativi.

Il giudice deve costruire un impianto giustificatorio più robusto, più solido in relazione alle questioni e al caso concreto di cui si occupa sono decisive per la correttezza logica e per la legittimità dell'accertamento penale.

Si tratta di un tema, quello della perimetrazione dei passaggi obbligati a cui è tenuto il giudice di appello, che involge tematiche centrali, quali quelle del ragionevole dubbio, dei lineamenti e delle finalità del giudizio d'appello, del principio del contraddittorio e della tendenziale cartolarità delle impugnazioni, della inesistenza di una regola in ragione della quale, in caso di riforma in appello, si possa affermare che il giudizio del secondo giudice sia "per posizione" migliore, più corretto, più affidabile di quello del primo.

Mentre infatti la c.d. doppia decisione conforme, si nota acutamente in dottrina, porta in sé una valenza rassicurante sull'aspettativa che il processo si sia davvero avvicinato alla verità, l'esistenza di decisioni radicalmente difformi trasmette un messaggio asimmetrico perché lascia sullo sfondo un insoluto quesito decisivo, quello che attiene alla individuazione della decisione giuridicamente corretta tra le due difformi.

Si tratta di una questione rispetto alla quale l'ordinamento non ha una risposta generale e preventiva, ma predispone una serie di regole di garanzia che assolvono alla funzione di sterilizzare il rischio che con la seconda decisione si realizzino effetti regressivi rispetto alla prima sentenza, ormai riformata.

Questo spiega l'esigenza che il giudice di appello, nel riformare una sentenza - di assoluzione o di condanna -, adotti una "motivazione rafforzata".

Dunque, si fa notare, "il giudice di seconde cure che intenda mutare (integralmente o parzialmente) la decisione di primo grado deve partire dalla sua motivazione e ad essa fare ritorno mentre rivaluta l'intera vicenda".

Il ragionamento del giudice d'appello deve svilupparsi sulla sentenza impugnata perché esiste "un nesso di stretta relazione tra la quantità e la qualità delle ragioni espresse nella motivazione del giudice con la quantità e la qualità degli argomenti e delle ragioni espresse dall'impugnante, e, di conseguenza con il dovere di motivazione rafforzata del giudice di appello nel caso in cui decida di riformare la decisione impugnata".

Assolvere l'obbligo di motivazione rafforzata significa: a) dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, piena del provvedimento impugnato; b) spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perché non si è condiviso il decisum; c) chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico e probatorio - la nuova decisione assunta.

Nel riformare una sentenza è necessario dimostrare di aver esaminato tutti gli elementi acquisiti, di avere studiato la motivazione della sentenza di primo grado, di avere compiuto, sulla base del devoluto, un confronto argomentativo serrato con essa al fine di evidenziarne le criticità (cfr. Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679) per poi procedere a formare una nuova struttura motivazionale che non si limiti ad inserire in quella argomentativa del primo giudice mere notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, ma riesami il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr., Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci Rv. 191229).

Il giudice d'appello deve "delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento probatorio e confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento" (Sez. 2, n.57765 del 20/12/2018, non massimata; cfr., Sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 6, n. 46742 dell'08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332; Sez. 4 n. 35922 dell'11/07/2012, Rv. 254617; Sez. 6, n. 2004 del 16/01/ 2019, non massimata in cui si parla di un "obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza del primo giudice, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da una completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati").

Il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame deve fondarsi non su una critica tra giudici posizionati "orizzontalmente" rispetto allo stesso materiale di prova, ma nella diversa prospettiva dell'accertamento di un "errore" di giudizio che il giudice dell'impugnazione ritiene che il giudice di primo grado abbia commesso alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema devoluto.

Ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può, come detto, sostituirsi semplicemente un altrettanto plausibile - ma diversa - "ricostruzione operata in sede di impugnazione"; la sentenza di appello deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno del decisum dal primo giudice e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, al contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione di fatti e della responsabilità poste a base della sentenza appellata" (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. n. 261327; si tratta di principi poi recepiti da Sez. U, n. 14800 del 12/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430; in senso conforme, Sez. 4, n. 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404; Sz. 3, n. 46455 xel 17/02/2017, M., Rv. 271110; Sez. 4, n.4222, del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948).

4. Come già detto, l'obbligo di motivazione rafforzata assume un contenuto argomentativo diverso e contorni specifici a seconda che il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, condanni o assolva.

Il tema attiene al rapporto tra motivazione rafforzata e principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Mentre infatti per pronunciare nel giudizio di appello una sentenza di condanna a fronte di una pronuncia assolutoria in cui sia emerso un dubbio ragionevole, è necessario rimuovere il dubbio con un ragionamento che ne dimostri l'infondatezza ovvero l'inesistenza, nel caso, come quello di specie, di sentenza di assoluzione che riformi una precedente sentenza di condanna, nonostante l'obbligo di motivazione rafforzata, è in realtà sufficiente argomentare in positivo, nel senso che è necessario e sufficiente rappresentare l'esistenza del dubbio ragionevole.

Se infatti per emettere una sentenza di condanna è necessaria la certezza della colpevolezza, la motivazione della sentenza del giudice d'appello che riformi, come nel caso di specie, una sentenza di condanna deve essere rafforzata sulla plausibilità di un ragionamento volto non già a far venire meno ogni ragionevole dubbio bensì a sollevarne uno.

Si è condivisibilmente notato come, mentre nel caso di riforma peggiorativa di una sentenza di assoluzione, il giudice di appello debba prima demolire il ragionamento probatorio culminato con la deliberazione del primo giudice e poi strutturare un proprio ragionamento che dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fondamento della tesi opposta, in caso, invece, di integrale riforma migliorativa di una sentenza di condanna il giudice di appello, seppur con una motivazione rafforzata - nel senso indicato, deve solo destrutturare il ragionamento del primo giudice, nel senso di configurare l'esistenza di un ragionevole dubbio che di per sé è destinato a destituire di fondamento la prospettiva accusatoria recepita dal primo giudice (sul tema cfr., Sez. 2, n. 41571, del 20/06/2017, Marchetta, in motivazione).

5. È possibile allora indicare alcuni parametri di riferimento a cui il giudice di appello deve attenersi nel caso in cui decida, a fronte di una sentenza di condanna, di pronunciare una sentenza di assoluzione.

Il giudice, per assolvere in tal caso l'obbligo di motivazione rafforzata, deve:

a) dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, piena, del provvedimento impugnato;

b) spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro devoluto, perché non si è condiviso il decisum contestato;

c) chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico e probatorio - la nuova decisione assunta;

d) argomentare sul perché sussista un dubbio ragionevole originato dalla plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto rispetto a quella recepita dal giudice di primo grado.

6. Sulla base di tali principi è allora possibile verificare se ed in che limiti nel processo in esame la Corte di appello abbia adempiuto l'obbligo di motivazione a lei imposto e dunque se ed in che limiti la motivazione della sentenza impugnata sia viziata.

6.1. Il Tribunale aveva ricostruito i fatti e spiegato come le liquidazioni di quelle somme da parte dell'ufficio diretto dall'imputato fossero strutturalmente incompatibili con le finalità istituzionali e pubbliche per le quali erano poste a disposizione e, quanto al dolo, che quelle somme di quel fondo - diritti, indennità di trasferta e percentuale sui crediti recuperato dall'erario - avrebbero dovuto essere utilizzate per l'acquisto di "registri, oggetti di cancelleria, stampanti, timbri, testi giuridici, programmi informatici, nonché dotazioni strumentali necessarie all'utilizzo degli applicativi software".

Queste, aveva aggiunto il Tribunale, erano le direttive a cui l'odierno imputato, unico dirigente dell'ufficio, avrebbe dovuto attenersi.

6.2. In tale quadro di riferimento, la Corte di appello ha assolto l'imputato per difetto di colpevolezza sulla base dei due elementi, già in precedenza indicati, e cioè che:

a) la causa intentata da F.P., che deduceva di avere subito un danno dall'attività dell'ufficio diretto dall'imputato, era stata definita con una sentenza di inammissibilità del ricorso sia perché la domanda avrebbe dovuto essere rivolta al giudice del lavoro e sia perché l'imputato non avrebbe dovuto essere convenuto personalmente - come invece era accaduto - ma, unitamente alla Amministrazione di appartenenza, quale dirigente dell'Ufficio; secondo la Corte di appello, proprio la circostanza che la domanda non avrebbe dovuto essere rivolta personalmente all'imputato, giustificherebbe l'erroneo convincimento di questi, e cioè di potere attingere le somme da qual fondo in ragione degli "errori" di F.P.;

b) le fatture erano state indirizzate dall'Avv. A.G., cioè dal difensore dell'imputato, all'Ufficio, con il codice fiscale dell'Ufficio e ciò, a parere della Corte, avrebbe rafforzato l'erroneo convincimento in buona fede dell'imputato

7. Si tratta di un ragionamento probatorio gravemente viziato per più ragioni e violativo dell'obbligo di motivazione rafforzata da parte della Corte.

Non è chiaro innanzitutto perché, pur volendo ragionare con la Corte di appello, quelle somme, che avevano la loro fonte giustificativa in un contenzioso giudiziario, avrebbero potuto essere poste a carico di un fondo spese che, per legge, atteneva, invece, come detto, all'acquisto di registri, di oggetti cancelleria, di stampanti, di timbri, di testi giuridici, di programmi informatici, nonché di dotazioni strumentali necessarie all'utilizzo degli applicativi software.

Su quale fosse l'inerenza delle spese personali sostenute dal ricorrente con l'interesse pubblico che giustificava il ricorso a quel fondo la sentenza è del tutto silente, essendosi limitata la Corte a fare riferimento ad un possibile erroneo giustificabile convincimento dell'imputato, senza, tuttavia, ancorarlo ad alcunché.

In particolare, la Corte non ha affatto spiegato con una motivazione rafforzata nel senso indicato: a) come e sulla base di quali elementi l'imputato, cioè il dirigente dell'ufficio Unep, potè ritenere che il costo di una causa personale in cui era stato convenuto - seppure in modo errato - potesse essere imputato ad un fondo pubblico che aveva finalità - quelle indicate- del tutto diverse; b) perché sarebbe configurabile detto affidamento incolpevole in relazione ad una causa in cui la parte pubblica non aveva in concreto partecipato; c) sulla base di quali atti l'imputato poteva ritenere di "personificare" l'Ufficio; d) se l'affidamento incolpevole, che escluderebbe il dolo, potesse trovare giustificazione, ad esempio, in prassi pregresse e cioè nel fatto che anche in altre occasioni a quel fondo fossero state imputate spese relativi a contenziosi - anche irritualmente costituiti - relativi ai singoli dipendenti.

Né, ancora, è stato spiegato con una motivazione rafforzata: a) perché la circostanza che le fatture per il contenzioso personale dell'Imputato furono inviate all'Ufficio dal di lui difensore dovrebbe costituire di per sé un elemento a favore del ricorrente al fine della esclusione del dolo e non invece un chiaro elemento a carico, comprovante cioè la volontà di imputare, senza una ragione effettiva, a quel fondo le spese personali; b) se quella fu una iniziativa autonoma del difensore - peraltro non escusso - ovvero indotta dall'imputato.

8. Una motivazione sbrigativa e tutt'altro che rafforzata.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata; la Corte di appello alla luce dei principi indicati in tema di motivazione rafforzata, verificherà se e in che termini nel caso di specie sia possibile pervenire ad un giudizio di assoluzione per mancanza di dolo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.