Il reato di violenza sessuale richiede solamente la consapevolezza della natura oggettivamente "sessuale" dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.
Il bene giuridico protetto dall’art. 609-bis, cod. pen. è la libertà personale dell’individuo che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2, Cost.).
La libertà dell’individuo di disporre del proprio corpo a fini sessuali è assoluta e incondizionata e la sua tutela non incontra limiti e/o attenuazione.
In tale ambito, ciò che rileva, é la natura "sessuale" dell’atto sul piano obiettivo, cosicché ogni ulteriore fine, non vale ad escluderlo: da cui consegue che per la sussistenza del reato è necessario e sufficiente che l’imputato sia consapevole della natura "sessuale" dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.
Nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l’intero corso del compimento dell’atto sessuale, sicché la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità del compimento dell’atto sessuale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 marzo – 14 maggio 2018, n. 21273
Presidente Andreazza – Relatore Gai
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 8 gennaio 2010, il Tribunale di Roma ha dichiarato L.V. colpevole del reato di cui all’art. 61 n. 11, 81 comma 1 e 609-bis cod.pen. in danno di P.S. , per avere, con gesto repentino, dato una pacca sul sedere della donna, e, con violenza consistita nell’afferrarla per un braccio, palpeggiato le di lei parti intime, e, ritenuta l’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609-bis comma 3, lo aveva condannato alle pene di giustizia e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile, assegnando una provvisionale di Euro 10.000,00.
2. Investita dell’impugnazione da parte dell’imputato, la Corte d’appello di Roma ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
Ha argomentato la corte territoriale che, con riguardo alla prima condotta, doveva escludersi, alla luce della giurisprudenza di legittimità, che l’aver dato una "pacca" sul sedere potesse costituire condotta materiale del reato di cui all’art. 609-bis cod.pen., dovendosi fare riferimento, ai fini dell’elemento materiale del reato, non solo alla zona erogena attinta avuto riguardo alle parti anatomiche, ma anche alla condotta nel suo complesso e della sua incidenza sulla libertà sessuale. Ha così ritenuto che la condotta posta in essere dall’imputato - definita irriguardosa e sconveniente- per le modalità in cui si era estrinsecata, e per la rapidità della stessa (la persona offesa non aveva parlato di "palpeggiamenti" situazione che è indicativa di una persistenza della condotta) non integrasse la condotta di reato perché non comprometteva la libertà sessuale della persona offesa. Quanto alla seconda condotta, confermata la ricostruzione dei fatti del Tribunale, sulla base delle dichiarazioni rese dalla P. , e disattesa la versione difensiva dell’imputato che riferiva di aver dato unicamente una spinta alla schiena della parte lesa per invitarla a salire le scale, ha ritenuto sussistente in capo all’imputato, a livello putativo, il consenso della donna poiché non si era offesa per la sua precedente iniziativa e l’aveva seguita sulle scale nella "convinzione che per la sua disponibilità potesse permettersi un ulteriore gesto, questa volta di indubbio contenuto erotico".
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione, la parte civile P.S. e ne chiede l’annullamento, ai fini civili, deducendo con un unico motivo di ricorso l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 609-bis cod.pen. e vizio di illogicità, contraddittorietà della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova.
Contraria a diritto sarebbe l’assoluzione dalla prima condotta contestata, non potendo la stessa essere ricondotta nell’alveo di una condotta "irriguardosa e sconveniente" e dunque non penalmente rilevante, tenuto conto che era stata preceduta da una frase dal chiaro e inequivoco tenore ("lo sai che è uscita una legge secondo la quale la pacca al sedere non costituisce più reato") che non lasciava spazio a fraintendimenti circa la valenza sessuale dell’atto e, comunque, contraria a diritto sarebbe la distinzione tra "pacca" e "palpeggiamenti".
Con riguardo alla seconda condotta, ha rilevato la ricorrente che la condotta era stata seguita da un’eloquente frase di disapprovazione della parte lesa ("ancora un pò e nulla sarà più reato") che non poteva che essere interpretata come chiaro dissenso, cosicché non poteva ritenersi sussistente, neppure a livello putativo, un errore sul fatto (consenso) con riguardo alla successiva condotta di palpeggiamento delle parti intime.
Considerato in diritto
4.- Il ricorso è fondato e la sentenza va annullata limitatamente agli effetti civili.
Deve darsi atto che, ferma e incontestata la materialità dei fatti che non è sindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione, il giudizio sulla effettiva natura sessuale degli atti compiuti, oggetto di diversa valutazione giuridica nei giudici del merito, non è corretto in diritto.
Come ricordato dal Signor Procuratore generale, costituisce indirizzo giurisprudenziale consolidato di questa Corte di legittimità quello secondo cui "in tema di reati sessuali, la condotta vietata dall’art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell’agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria (Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, P.G. in proc. C., Rv. 263738; Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, P., Rv. 262470)".
Il bene giuridico protetto dall’art. 609-bis, cod. pen., è la libertà personale dell’individuo che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2, Cost.).
La libertà dell’individuo di disporre del proprio corpo a fini sessuali è assoluta e incondizionata e la sua tutela non incontra limiti e/o attenuazione: che possono derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis, cod. pen. per qualificare la penale rilevanza della condotta.
In tale ambito, ciò che rileva, é la natura "sessuale" dell’atto sul piano obiettivo, cosicché ogni ulteriore fine, non vale ad escluderlo (Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, P., Rv. 262470; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014 P.G.in proc. C., Rv. 263738). Da cui consegue che è necessario e sufficiente che l’imputato sia consapevole della natura "sessuale" dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.
5.- Nel caso in esame, la corte territoriale non si è attenuta allo ius receptum di questa Corte nella misura in cui non ha valutato la condotta posta in essere dall’imputato nel suo complesso sottacendo il portato dichiarativo, eloquente circa l’intenzione di violare la sfera sessuale della persona offesa con riferimento alla prima parte della condotta.
Non di meno la sentenza è manifestamente illogica nella parte in cui dà rilievo all’errore putativo sul fatto (consenso) in una situazione fattuale nella quale neppure l’imputato aveva allegato di aver compiuto l’atto sessuale nella sua dimensione materiale, dal momento che egli aveva dichiarato di "averla spinta sulla schiena".
In ogni caso deve rammentarsi che nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l’intero corso del compimento dell’atto sessuale (Sez. 3, n. 25727 del 24/02/2004. Guzzardi, Rv. 228687), sicché la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità del compimento dell’atto sessuale.
Nel caso in esame il consenso non poteva ritenersi validamente prestato, neppure a livello putativo, dal concatenato svolgersi degli eventi (la donna aveva proferito una chiara frase di dissenso dopo il compimento del primo atto e si era allontanata), cosicché anche sotto questo profilo la sentenza non ha correttamente applicato i principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
Conclusivamente la sentenza va annullata, ai fini civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.