Con riguardo al calcolo della pena nel delitto tentato, è richiesta la preliminare individuazione della cornice edittale applicabile alla (ipotetica) fattispecie consumata, tenendo conto delle circostanze ritenute nella fattispecie concreta, dovendosi aver riguardo, in termini concettuali, alla pena per il “delitto circostanziato tentato” e non ad un ipotetico “delitto tentato circostanziato”.
Corte di Cassazione,
sezione I penale penale, Sentenza 21 - 26 febbraio 2021 n. 7557.
Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Presidente
Dott. TARDIO Angela – Consigliere
Dott. BIANCHI Michele – rel. Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/11/2019 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELE BIANCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COCOMELLO Assunta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio;
E’ presente il difensore dell’imputato avvocato (OMISSIS) del foro di Bolzano, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 28.11.2019 la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 15.1.2019 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bolzano che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dei delitti di tentato omicidio aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, escluso l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 4 e ridotto la pena inflitta ad anni nove e mesi dieci di reclusione, con conferma nel resto.
1.1. Nelle prime ore della mattina del (OMISSIS) personale della squadra mobile della Questura di Bolzano, intervenuta, in Bolzano, presso l’abitazione di (OMISSIS), aveva rinvenuto la moglie signora (OMISSIS) con diverse ferite da taglio in varie parti del corpo, e quindi aveva provveduto immediatamente a prestarle i soccorsi, trasportandola presso il locale ospedale.
La donna, che presentava ferite in zone vitali (fegato, colecisti, intestino e colon), veniva sottoposta a intervento chirurgico, e, nonostante pneumotorace sul lato sinistro e successiva setticemia, grazie alle cure dei sanitari veniva poi dimessa, in data (OMISSIS), dall’ospedale.
Quanto al fatto e alla individuazione del responsabile, le testimonianze della vittima e delle due minori presenti in casa (la figlia della coppia (OMISSIS) e (OMISSIS), sorella della persona offesa) erano concordi nell’affermare che l’imputato, all’esito di un litigio con la moglie, l’aveva aggredita e, una volta immobilizzata a terra, l’aveva ripetutamente colpita all’addome con un coltello, e quindi si era allontanato lasciando la donna a terra, con il coltello ancora conficcato nel fianco. La figlia (OMISSIS) aveva provveduto ad estrarre dal corpo della madre il coltello, poi sottoposto a sequestro dalla polizia giudiziaria. Solo dopo un inseguimento, ed una violenta colluttazione, gli operanti erano poi riusciti a bloccare e trarre in arresto l’imputato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il primo giudice, ritenuta la continuazione fra i reati ascritti, piu’ grave il capo A, ha fissato la pena base in anni 14 di reclusione, aumentata di anni tre e mesi 9 di reclusione per le aggravanti contestate (rapporto di coniugio con la vittima, crudelta’, abuso di relazioni domestiche, presenza di minorenni che hanno assistito al fatto) e di ulteriori mesi tre di reclusione per il capo B; la complessiva pena di anni diciotto di reclusione veniva infine ridotta per la scelta del rito abbreviato alla pena finale di anni dodici di reclusione.
1.2. La Corte di appello, cui era stato devoluto il giudizio sulla imputabilita’ e sulle componenti del trattamento sanzionatorio, ha condiviso la ricostruzione del fatto e il giudizio di penale responsabilita’, osservando, quanto alla capacita’ di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, che essa era stata ritenuta sulla base di perizia psichiatrica, approfondimento istruttorio al quale la difesa aveva condizionato la richiesta di rito abbreviato, che aveva motivato le conclusioni cui era giunto e che aveva tenuto conto sia dei dati relativi alle condizioni dell’imputato prima del fatto sia della evoluzione successiva, desumibile dalle certificazioni del servizio psichiatrico di Bolzano.
La difesa aveva valorizzato il parere reso da un consulente, Dott. (OMISSIS), secondo il quale l’imputato era affetto da “grave disturbo di personalita’”, parere che pero’ non era stato depositato in atti e che sarebbe stato formulato prima della perizia, alla quale la difesa aveva partecipato con altro consulente, che non aveva svolto osservazioni critiche alla perizia.
Ritenuta dunque la piena capacita’ di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, il secondo giudice ha evidenziato che al momento del fatto (OMISSIS) si trovava sotto gli effetti dell’abuso volontario di sostanze alcooliche ovvero stupefacenti.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante della crudelta’, ed ha – considerato che l’omicidio del coniuge e’ punito con la pena dell’ergastolo, ai sensi dell’articolo 577 c.p., comma 1, n. 1, – rideterminato la pena base per il tentato omicidio, aggravato dal rapporto di coniugio con la vittima, in anni tredici di reclusione.
La pena base e’ stata quindi aumentata di anni uno e mesi sei di reclusione per le aggravanti comuni di cui all’articolo 61 c.p., nn. 11 e 11-quinquies e di mesi tre di reclusione per il capo B.
2. Ha proposto ricorso per cassazione, pervenuto alla Corte di cassazione in data 10.4.2020, il difensore di (OMISSIS), chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Con il primo motivo viene denunciata la omessa motivazione in ordine all’accertamento della imputabilita’ del ricorrente al momento del fatto, avendo il secondo giudice omesso di valutare la consulenza psichiatrica presentata dalla difesa.
Con il secondo motivo viene denunciato il difetto di motivazione in ordine alla commisurazione della pena, come anche in relazione al diniego della seminfermita’ e dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6 e all’applicazione delle aggravanti comuni.
Con il terzo motivo viene denunciato il difetto di motivazione del diniego delle attenuanti generiche, e in ordine alla quantificazione della diminuzione di pena ai sensi dell’articolo 56 c.p..
Il difensore dell’imputato ha depositato memoria, con la quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso ed ha chiesto l’esclusione della aggravante del rapporto di coniugio, oggetto di novella legislativa intervenuta successivamente al fatto.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’, in parte, fondato e quindi va pronunciato annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione del trattamento sanzionatorio. Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
1. Con il primo motivo viene proposta censura motivazionale in relazione al punto concernente la imputabilita’ del ricorrente al momento del fatto.
In particolare, la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare, nell’esaminare lo specifico motivo di appello proposto dalla difesa, le conclusioni cui era giunto il consulente della difesa, Dott. (OMISSIS), che aveva sostenuto la diagnosi di disturbo bipolare anche sulla base del patrimonio genetico, e la diagnosi formulata dal servizio psichiatrico dell’ospedale di Bolzano.
Il motivo e’ manifestamente infondato.
La sentenza di appello, premesso che la perizia psichiatrica era stata disposta nel rito abbreviato, ha rilevato che ad essa non aveva partecipato il consulente Dott. (OMISSIS), il cui parere non era stato nemmeno prodotto dalla difesa.
Il perito d’ufficio, comunque, si era confrontato con le diagnosi differenziali proponibili, osservando, in particolare, che non era condivisibile la diagnosi di disturbo bipolare, formulata dai medici che avevano avuto in cura l’imputato dopo un tentativo di suicidio realizzato a distanza di un anno dal reato, tanto piu’ con riferimento all’epoca del fatto, rispetto alla quale, piuttosto, doveva essere evidenziata la dipendenza dall’abuso di alcool e sostanze stupefacenti.
La Corte territoriale, dunque, ha adempiuto all’onere motivazionale con riferimento ai motivi di appello proposti sul punto, di tal che il motivo di ricorso si risolve nella riproposizione di un dato – costituito dalla menzionata diagnosi di disturbo bipolare -, che e’ stato motivatamente non condiviso dal perito, e che, comunque, era stato prospettato in riferimento ad una condizione sopravvenuta al fatto.
2. Con i motivi secondo e terzo viene denunciato il difetto di motivazione del trattamento sanzionatorio, sotto diversi profili.
2.1. Innanzitutto, va rilevata la assoluta genericita’ delle censure riguardanti il diniego della diminuente della seminfermita’ e della attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, rispetto alle quali il secondo giudice ha dato specifica motivazione della decisione assunta.
In ordine al primo profilo, il motivo si e’ limitato ad una apodittica censura, senza alcuna considerazione dei specifici rilievi con i quali la Corte territoriale, alle pagine 10-12, ha richiamato le condivise osservazioni del perito Dott. (OMISSIS).
Anche con riguardo al diniego dell’attenuante del risarcimento del danno, la immotivata doglianza della difesa prescinde dalla specifica motivazione data sul punto, alle pagine 8 e 17, dalla sentenza impugnata, che ha evidenziato come la stessa difesa aveva rappresentato che era stata offerto solo un parziale risarcimento.
2.2. E’ formulata in termini del tutto generici anche la doglianza concernente la sussistenza delle aggravanti comuni di cui all’articolo 61 c.p., nn. 11 e 11-quinquies.
La Corte di appello, osservato che non vi e’ incompatibilita’ della prima aggravante con quella relativa al rapporto di coniugio, del resto applicabile anche con riguardo al coniuge separato non piu’ convivente (Sez. 5, 15/01/2020, A., Rv. 278988), ha rilevato, alle pagine 14 e 15, che il fatto era stato commesso all’interno della abitazione dove l’imputato e la vittima erano conviventi, e che ad esso avevano assistito le due minorenni, che si erano anche attivate per chiamare i soccorsi ed hanno reso diretta testimonianza del fatto.
2.3. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, il terzo motivo deduce che il mero richiamo alla gravita’ oggettiva del reato non sarebbe elemento sufficiente a giustificare il diniego del beneficio, che dunque sarebbe rimasto privo di motivazione.
Sul punto, gia’ il primo giudice aveva motivato il diniego in ragione, non tanto del titolo del reato bensi’, della gravita’ del fatto – desumibile dalla intensita’ del pericolo di vita e dalla reiterazione degli atti di aggressione -, della intensita’ del dolo – mantenuto nel corso del lungo litigio e nonostante la presenza delle due testimoni minori -, e del negativo profilo soggettivo – essendo l’imputato persona dedita all’abuso di alcool e droghe -.
Giudizio motivatamente condiviso dal secondo giudice, che ha aggiunto il rilievo di una condanna specifica, per lesioni personali e minaccia, sopravvenuta, ma relativa a fatti pregressi.
Il motivo, dunque, articola la censura sotto un profilo – l’aver fondato il giudizio sulla gravita’ del titolo del reato – che non trova riscontro nella effettiva motivazione svolta, che, invece, nella considerazione di entrambi i giudici del merito, e’ stata fondata su una pluralita’ di elementi tutti relativi al fatto e alla persona dell’imputato.
Anche il terzo motivo, dunque, e’ articolato genericamente.
2.4. Con il secondo motivo viene denunciato il difetto di motivazione in ordine alla commisurazione della pena per il piu’ grave reato.
La difesa, con la memoria, ha quindi rilevato che la aggravante specifica della relazione di coniugio con la vittima, comportante la pena dell’ergastolo nella forma consumata, sarebbe stata introdotta, con L. 11 gennaio 2018, n. 4, successivamente al fatto.
Sul punto, si deve, innanzitutto, precisare che l’aggravante in parola era, originariamente, prevista dall’articolo 577 c.p., comma 2, e comportava la pena da ventiquattro a trent’anni di reclusione; la novella introdotta con L. n. 4 del 2018 ha, da questo punto di vista, modificato il relativo trattamento sanzionatorio, prevedendo la pena dell’ergastolo.
Legittimamente, dunque, l’aggravante e’ stata contestata e ritenuta, anche se, in relazione all’epoca del commesso reato, la pena applicabile non era quella dell’ergastolo, ma la reclusione, come detto, da 24 a 30 anni.
Quanto al trattamento sanzionatorio praticato, si devono compiere alcune precisazioni.
Il primo giudice, ritenuta la sussistenza di due aggravanti speciali (la crudelta’ e il rapporto di coniugio) e due aggravanti comuni (abuso di relazione di coabitazione e la presenza di minori al fatto), aveva ritenuto la pena base di anni 14 di reclusione congrua in relazione alla cornice edittale che “…va da (212/3=)7 a (24-1/3=)16 anni di reclusione”, ed aveva applicato un aumento complessivo di anni tre e mesi nove di reclusione in ragione delle quattro circostanze aggravanti, specificando ogni singolo aumento per ciascuna aggravante.
La sentenza di appello, esclusa la sussistenza della aggravante della crudelta’ e rilevato che la circostanza aggravante della relazione di coniugio prevede “l’applicazione di una pena di specie diversa da quella prevista per il reato non aggravato (ergastolo invece di reclusione, e cio’ anche qualora ricorra una sola delle ipotesi aggravanti previste dall’articolo 577 c.p., comma 1)…”, ha ritenuto di dover considerare la cornice edittale che va dal minimo di anni dodici di reclusione al massimo di anni 24 di reclusione, ai sensi dell’articolo 56 c.p., comma 2 primo inciso, espressamente facendo riferimento, per l’ipotesi consumata, alla pena dell’ergastolo.
La Corte di appello ha quindi determinato la pena base in anni tredici di reclusione, aumentata per le due aggravanti comuni nella misura complessiva di anni uno e mesi sei di reclusione.
Il Collegio rileva che lo specifico giudizio sul trattamento sanzionatorio operato dal secondo giudice presenta diverse violazioni di legge.
Innanzitutto, la residua aggravante speciale (la relazione di coniugio con la vittima), per le considerazioni sopra svolte, non comportava, all’epoca del commesso reato, la pena dell’ergastolo, bensi’ un aggravamento della reclusione (da ventiquattro a trent’anni di reclusione) rispetto a quella prevista per la fattispecie non aggravata (da ventuno a ventiquattro anni di reclusione), con conseguente applicabilita’ della norma di cui all’articolo 56 c.p., comma 2 e inciso secondo, che prevede, in caso di tentativo, una diminuzione della pena da un terzo a due terzi.
Inoltre, con riguardo al calcolo della pena nel delitto tentato, la giurisprudenza richiede la preliminare individuazione della cornice edittale applicabile alla (ipotetica) fattispecie consumata, tenendo conto delle circostanze ritenute nella fattispecie concreta (Sez. 4, n. 1611 del 21.6.1996, Raza, Rv. 205678; Sez. 1, n. 41491 del 21.10.2005, Picone, Rv. 232412), dovendosi aver riguardo, in termini concettuali, alla pena per il “delitto circostanziato tentato” e non ad un ipotetico “delitto tentato circostanziato”.
Nel caso in esame, invece, la Corte di appello ha individuato la pena applicabile per la fattispecie consumata solo tenendo conto (e in violazione di legge per le considerazioni gia’ svolte) della aggravante speciale, ed ha quindi, seguendo il metodo cosi’ detto bifasico, individuato la cornice edittale del corrispondente tentativo (da 12 a 24 anni di reclusione), fissato la pena base in anni tredici di reclusione, poi aumentata per le due aggravanti comuni.
La corretta operazione di determinazione del trattamento imponeva, invece, la individuazione della cornice edittale della fattispecie consumata, tenendo conto di tutte le aggravanti, da un minimo di anni ventiquattro ad un massimo di anni trenta di reclusione, essendo facoltativo, ai sensi degli articoli 63 e 64 c.p., l’aumento per le aggravanti non ad effetto speciale, e quindi la individuazione della cornice edittale della fattispecie tentata, applicando la norma di cui all’articolo 56 c.p., comma 2 e inciso secondo, dal minimo di otto (24 anni – 2/3) al massimo di 20 anni (30 – 1/3) di reclusione.
Entro tale cornice la Corte di appello avrebbe dovuto operare la commisurazione della pena, specificando la pena base e quindi gli aumenti eventualmente operati, con il limite, in ragione del divieto di reformatio in pejus, delle pene gia’ ritenute di giustizia dal primo giudice, sia con riferimento al reato aggravato dalla relazione di coniugio, sia con riguardo agli aumenti per le residue circostanze aggravanti comuni.
Sul punto, dunque, va pronunciato annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata.
3. Va dunque pronunciato annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena per il delitto ascritto al capo A, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Trento per nuovo giudizio sul punto.
In sede di rinvio, la Corte territoriale, fermi il riconoscimento della continuazione con il capo B, l’applicazione delle aggravanti e la determinazione dell’aumento di pena per il reato cosi’ detto satellite, dovra’ procedere alla determinazione della pena per il capo A, senza vincoli nella valutazione discrezionale, ma applicando le indicazioni date al superiore punto 2.4.
Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Trento.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.