La illegittimità della perquisizione non comporta la inutilizzabilità del sequestro.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
(ud. 28/04/2006) 25-05-2006, n. 18438
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SOSSI Mario - Presidente
Dott. FABBRI Gianvittore - Consigliere
Dott. MOCALI Piero - Consigliere
Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere
Dott. PEPINO Livio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.D. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 03/12/2004 CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. FABBRI GIANVITTORE;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'AMBROSIO che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
1) Con sentenza del 3.12.2004 la Corte di Appello di Roma in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 16.1.2003 - con la quale P.D. era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 200,00 di multa per i reati di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 10, art. 14, art. 23, comma 4, ritenuta fra essi la continuazione e in concorso di attenuanti generiche e della diminuente del giudizio abbreviato - concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la sentenza impugnata.
La corte distrettuale, premesso che la pistola clandestina oggetto dell'imputazione era stata rinvenuta nel corso di una perquisizione domiciliare, effettuata ai sensi dell'art. 41 T.U.L.P.S. in base ad una informazione pervenuta da fonte confidenziale non identificata, sosteneva la legittimità della perquisizione stessa, sul rilievo che i mezzi di ricerca della prova, quali la perquisizione e il sequestro, possono essere posti in essere anche in base a notizie anonime, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. IV, n. 8919 del 4.6.1993; Sez. 1^, n. 12728 del 23.10.1995). La corte, inoltre, negava l'attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5, perché non applicabile alle armi clandestine, e riteneva adeguata la pena, in base alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato.
2. Avverso la predetta sentenza ricorre il P., tramite il suo difensore, indicando tre motivi.
Con il primo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla illegittimità della perquisizione e alle conseguenze di essa. In proposito sostiene che la perquisizione ai sensi dell'art. 41 T.U.L.P.S. è consentita in presenza almeno di un indizio e che tale non può essere un'informazione resa da un confidente non identificato, posto che l'art. 203 c.p.p. prevede l'inutilizzabilità, anche per le fasi diverse dal dibattimento, delle notizie fornite da informatori della polizia che non siano stati interrogati né assunti a sommarie informazioni. Ne consegue l'illegittimità della perquisizione e del sequestro, che in quanto effettuati in violazione del domicilio tutelato dall'art. 14 Cost. - oltre che dall'art. 615 c.p., comma 2, - causa l'inutilizzabilità della prova con essi acquisita nonché delle dichiarazioni rese in sede di convalida dell'arresto, compiuto in violazione degli artt. 13 e 14 Cost. A sostegno della sua tesi il ricorrente menziona alcune pronunce di questa Corte e critica la sentenza delle Sezioni Unite del 27.3.1996, Sala, osservando che consentire il sequestro del corpo del reato, anche se conseguente a perquisizione illegittima, per evitare l'assurdo di permettere la confisca di esso e nel contempo di non tenerne conto per la decisione, comporta la violazione dei diritti costituzionali di cui agli artt. 13 e 14 Cost., strettamente collegati fra loro, senza considerare che la confisca del corpo del reato è possibile a scopo preventivo, anche se l'oggetto non è utilizzabile ai fini probatori. Il ricorrente lamenta, poi, che la corte distrettuale non abbia risposto adeguatamente alle censure sulla illegittimità della perquisizione, essendosi limitata a richiamare due precedenti decisioni del 1993 e del 1995, quindi risalenti nel tempo, senza tenere conto delle più recenti e difformi decisioni citate dall'appellante.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata convalida del sequestro, sostenendo che sul punto manca ogni motivazione nella sentenza impugnata e che il sequestro operato ai sensi dell'art. 41 T.U.L.P.S. non si sottrae alla disciplina codicistica di cui all'art. 355 c.p.p., prevista a pena di perdita di efficacia del vincolo.
Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego dell'attenuante della L. n. 895 del 1967, art. 5, sull'assunto che la successiva norma speciale di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, non ha abrogato la norma precedente nella parte in cui quella successiva non sia specializzante.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso pur se fondato nelle premesse è infondato nelle conclusioni e quindi non merita accoglimento.
Invero questo Collegio non condivide l'insegnamento giurisprudenziale richiamato nel provvedimento impugnato, essendo assai risalente nel tempo e superato alla luce delle esatte censure dedotte dal ricorrente sulla impossibilità di utilizzare come indizio, a base della perquisizione, una fonte anonima o una fonte confidenziale non indicata.
Tuttavia la illegittimità della perquisizione non comporta la inutilizzabilità del sequestro, come insegnato dalle Sezioni Unite con la sentenza Sala del 27.3.1996. Tale insegnamento non può considerarsi superato dalle argomentazioni del ricorrente, posto che anche se si utilizzasse il sequestro preventivo, anziché quello probatorio, per assicurare la confiscabilità dell'arma rinvenuta in sede di perquisizione, non si supererebbe la contraddittorietà del sistema rilevata dalle Sezioni Unite e posta a base della decisione predetta: contraddittorietà consistente nel consentire la confisca di un oggetto costituente corpo di reato, ma l'inutilizzabilità di esso ai fini probatori, pur essendo stato materialmente rinvenuto ed appreso. Peraltro il predetto insegnamento delle Sezioni Unite è stato confermato da una recente pronuncia di questa Corte, che ha ribadito - proprio con riferimento ad una perquisizione effettuata dalla polizia giudiziaria ai sensi del R.D. n. 773 del 1931, art. 41 - che l'eventuale vizio della perquisizione, in ogni caso sanzionabile con provvedimenti penali e/o disciplinari, non ha riflessi, a seguito delle constatazione del reato, sul compimento del sequestro (Sez. IV, n. 13718 del 27.2.2003, Parisi, rv. 226436).
Il secondo motivo è infondato, avendo questa Corte ripetutamente insegnato - con decisioni anche recenti, pienamente condivisibili e dalle quali non vi sono motivi per discostarsi - che l'omessa convalida del sequestro operato dalla P.G. non comporta l'inutilizzabilità ai fini probatori della cosa sequestrata, avendo la convalida la funzione di legittimare la sottrazione del bene alla sfera di appartenenza del proprietario o di chi ne abbia la disponibilità, ma non di coonestare la rilevanza probatoria e l'utilizzabilità processuale del bene; di talché comporta semplicemente la possibilità, per l'avente diritto, di chiedere la restituzione della cosa, ma non influisce sulla valutazione probatoria da parte del giudice (Sez. 1^, n. 1708 del 10.1.1995, Colazzo, rv. 200974; Sez. 3^, n. 1030 del 5.12.1997, Sarnelli, rv. 209506; Sez. 1^, n. 3625 del 21.12.1998, Terrazzo, rv. 212522).
Anche il terzo motivo è infondato, dovendosi ritenere, in conformità al costante insegnamento di questa Corte, l'inapplicabilità dell'attenuante della lieve entità del fatto, prevista dalla L. n. 895 del 1967, art. 5, al reato introdotto dalla L. n. 110 del 1975,art. 23 (explurimis, Sez. 1^, n. 3162 del 5.12.1994, Casorella, rv. 200685; Sez. 1^, n. 2839 del 12.1.1996, Campana, rv. 204092; Sez. 1^, n. 1487 del 24.10.1998, Colaviti, rv. 212327) così come a quelli introdotti dalla L. n. 110 del 1975, art. 5 e art. 10, comma 6, (v. Sez. 1^, n. 919 dell'11.2.1997, P.G. in proc. Magnani, rv. 207G95; Sez. 1^, n. 15575 dell'8.3.2001, Longobardi, rv. 219272), trattandosi di nuove fattispecie criminose, alle quali non è riferibile, in mancanza di un espresso richiamo, l'attenuante prevista da legge precedente in relazione ai reati all'epoca previsti e puniti. Peraltro questa Corte ha anche ribadito l'inapplicabilità della predetta attenuante alle armi clandestine basandosi su un ulteriore considerazione - di per sé tale da superare le argomentazioni del ricorrente sui rapporti tra legge generale e legge speciale - e cioè che la clandestinità costituisce una qualità dell'arma tale da attribuirle una particolare pericolosità per l'ordine pubblico, così da escludere la configurabilità del fatto di lieve entità (Sez. 1^, n. 4797 del 10.2.1997, Isaia, rv. 207580).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2006