L’art. 103 D.P.R. 309/90 stabilisce che gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere a perquisizione di mezzi di trasporto, bagagli ed effetti personali, quando ricorrono i seguenti presupposti:
a) deve essere in corso un’operazione di polizia finalizzata alla prevenzione e repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope;
b) deve ricorrere fondato motivo per ritenere che dalla perquisizione possono rinvenirsi tali sostanze stupefacenti e psicotrope;
c) devono ricorrere motivi di particolare necessità ed urgenza che non consen-tono di ottenere preventivamente l’autorizzazione del P.M., neppure per via telefonica.
La perquisizione effettuata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103, comma 3, si differenzia da quella d'iniziativa della polizia giudiziaria disciplinata dal codice di rito per il fatto che non presuppone l'esistenza di una notizia di reato e rientra in un'attività di carattere preventivo.
Le perquisizioni eseguite illegittimamente non rendono illegittimo l'eventuale sequestro della sostanza stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato, all'esito rinvenute.
Quando procede a perquisizione nei casi previsti dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 103, la polizia giudiziaria non ha l'obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore perchè tale tipologia di perquisizione, a differenza di quella contemplata dal codice di procedura penale, non presuppone necessariamente una preesistente notizia di reato e non è quindi funzionale alla ricerca e all'acquisizione della prova di un reato di cui consti già l'esistenza, ma può rientrare anche in un'attività di carattere preventivo.
L'illegittimità della perquisizione non invalida il conseguente sequestro, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro non dipende dalle modalità con le quali le cose, oggettivamente sequestrabili, sono state reperite, ma è condizionato unicamente all'acquisibilità del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(ud. 13/11/2019) 27-01-2020, n. 3196
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo - Presidente -
Dott. CIAMPI Francesco M. - Consigliere -
Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/10/2018 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente FUMU GIACOMO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FODARONI MARIA GIUSEPPINA che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Lecce ha confermato la sentenza del giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale con la quale S.A. era stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, per il reato di detenzione illecita di droga (gr. 3,5 di cocaina, suddivisa in sette dosi), già riqualificato il fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sostanza in tutto o in parte offerta a tale M.L., nonchè per possesso non autorizzato di materiale pirotecnico (in (OMISSIS)).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando tre motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, avuto riguardo alla valutazione della legittimità del mezzo di ricerca della prova (perquisizione), contestando che l'atto di PG fosse stato condotto in presenza dei requisiti dell'urgenza e necessità, potendo essere richiesto l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione quanto alla valutazione degli elementi dimostrativi di una condotta di cessione della droga che assume basata su asserzioni congetturali che non troverebbero addentellati nelle emergenze processuali, avendo il presunto cessionario unicamente confermato l'incontro con lo S., ma non anche un'attività di cessione di droga da parte di quest'ultimo.
Con il terzo motivo, infine, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, contestando la valutazione circa il diniego delle generiche e la mancata disapplicazione della recidiva.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Nei limiti qui d'interesse, giovi considerare che con i motivi d'appello, come riportati nella sentenza censurata, l'imputato aveva dedotto l'inutilizzabilità degli esiti della perquisizione, alla stregua di argomenti poi ripresi nel ricorso; ma anche la mancanza della prova che la droga rinvenuta nel possesso dello S. fosse destinata alla cessione e la quantificazione della pena.
La Corte leccese, a fronte di tali doglianze, ha intanto disatteso l'eccezione riguardante la utilizzabilità della prova acquisita a seguito della perquisizione personale che la difesa assumeva illegittima, rilevando conclusivamente che dalla eventuale illegittimità dell'atto di PG non deriverebbe comunque quella del sequestro dello stupefacente.
Nel merito, quel giudice ha poi dato conto della incontestata materialità della detenzione della cocaina, rilevando come ne fosse stata messa in discussione solo la destinazione alla cessione a terzi, in base ad argomentazioni che ha ritenuto destituite di fondamento.
Nel ricostruire la vicenda, quel giudice ha intanto dato atto che la droga era detenuta dall'imputato già suddivisa in dosi e che costui era stato notato stazionare davanti a un locale ove notoriamente si svolgeva attività di spaccio. Inoltre, ha richiamato le dichiarazioni di M.L. (soggetto che i militari avevano visto avvicinarsi allo S. e conversare con costui), il cui contenuto, non direttamente accusatorio, ha tuttavia letto alla stregua degli altri elementi acquisiti al processo.
In particolare, il M. aveva ammesso di essere stato fino al mese prima assuntore di cocaina e aveva anche riferito in ordine alle modalità seguite per le illecite transazioni (egli acquistava la droga a trenta Euro la dose da un soggetto che attendeva nei pressi del locale, oggetto del controllo di polizia, dopo aver preso un appuntamento telefonico). Nell'occorso, a detta del dichiarante, egli si era trovato nei pressi di quel circolo solo perchè si era fermato a parlare con lo S. e i trenta Euro, trovati in suo possesso, servivano a passare la serata.
Tuttavia, gli operanti avevano anche accertato che alle 20:44 il telefono dello S. aveva inviato un SMS all'utenza del M., con scritto solo "bar".
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di merito ha ritenuto corretto il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi giustificativi del riconoscimento di tale beneficio, neppure rinvenibili nel comportamento processuale dell'imputato e, ritenuta la congruità e proporzionalità della pena, ha confermato la valutazione di maggior pericolosità espressa dal recidivo, avuto riguardo ai suoi precedenti penali che, sia pur risalenti, erano assai gravi e in parte anche specifici, rilevando che le modalità della condotta avevano dimostrato una sua dedizione all'attività di spaccio di stupefacenti.
3. Ciò premesso si osserva che il primo motivo è manifestamente infondato.
Come pure evidenziato, in maniera pertinente, dalla Corte di merito, questa Corte di legittimità ha già da tempo chiarito che la perquisizione effettuata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103, comma 3, si differenzia da quella d'iniziativa della polizia giudiziaria disciplinata dal codice di rito per il fatto che non presuppone l'esistenza di una notizia di reato e rientra in un'attività di carattere preventivo, ma al pari di quella, seppure sia eseguita illegittimamente, non rende illegittimo l'eventuale sequestro della sostanza stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato, all'esito rinvenute (cfr. sez. 4 n. 150 del 15/11/2005, dep. 2006, D'Ambrosio, Rv. 232793). Pertanto, quando procede a perquisizione nei casi previsti dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 103, la polizia giudiziaria non ha l'obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore perchè tale tipologia di perquisizione, a differenza di quella contemplata dal codice di procedura penale, non presuppone necessariamente una preesistente notizia di reato e non è quindi funzionale alla ricerca e all'acquisizione della prova di un reato di cui consti già l'esistenza, ma può rientrare anche in un'attività di carattere preventivo (cfr. sez. 6 n. 9884 del 15/10/2013, dep. 2014, Pierini, Rv. 261527; sez. 3 n. 19365 del 17/02/2016, Pirri, Rv. 266580).
In ogni caso, e conclusivamente, l'illegittimità della perquisizione non invalida il conseguente sequestro, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro non dipende dalle modalità con le quali le cose, oggettivamente sequestrabili, sono state reperite, ma è condizionato unicamente all'acquisibilità del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema (cfr. sez. 2 n. 15784 del 23/12/2016, dep. 2017, Foddis, Rv. 269856).
4. Si rileva che anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Le censure sono tutte incentrate sul merito della vicenda, articolate in chiave dialettica e non critica rispetto alle ragioni esposte nel provvedimento censurato, senza un preventivo, necessario confronto con esse. Pare sufficiente, quindi, un mero richiamo ai principi consolidati di matrice giurisprudenziale per confermare, anche in questa sede, che i motivi dell'impugnazione devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Nel caso in esame, il ricorrente ha preteso di sostituire la propria valutazione del materiale probatorio a quella operata dal giudice del gravame, a mezzo di una motivazione congrua, priva di profili di manifesta illogicità e non contraddittoria. Tale operazione è, tuttavia, preclusa in questo giudizio di legittimità, essendosi già precisato che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l'erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, se è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (cfr. sez. 6 n. 13442 dell'08/03/2016, Rv. 266294; n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 266924).
5. Infine, è manifestamente infondata la censura quoad poenam.
La Corte territoriale ha attinto ai parametri legali per fornire una giustificazione del suo convincimento, peraltro coerente con i principi di matrice giurisprudenziale.
Ha così valorizzato, quanto alle generiche, il difetto di elementi positivi di valutazione, neppure allegati in ricorso, implicitamente ritenendo, dunque, la congruità della pena individuata (cfr., sui punto, sez. 2 n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, PG c/Villani Claudio, Rv. 275640; sez. 3 n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694; sez. 1 n. 46568 del 18/05/2017, Lamin,Rv. 271315; sez. 4 n. 23679 del 23/04/2013, Viale e altro, Rv. 256201; sez. 2 n. 38383 del 10/07/2009, Squillate e altro, Rv. 245241; n. 2769 del 02/12/2008, dep. 2009, Poliseno, Rv. 242709).
Quanto alla recidiva, invece, la Corte territoriale ha espressamente assolto all'onere motivazionale, facendo rinvio a elementi di sicura rilevanza ai fini del relativo giudizio di maggior pericolosità, quali la gravità e natura dei precedenti, ma anche le modalità della condotta attestanti la professionalità dell'imputato (cfr., in ordine all'onere motivazionale del giudice, sez. 3 n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464; sez. 2 n. 50146 del 12/11/2015, Caruso e altro, Rv. 265684, nella quale è operato un rinvio alla sentenza n. 185 del 2015 della Corte Costituzionale; sez. 6 n. 56972 dei 20/06/2018, PG c/Franco Giuseppa, Rv. 274782, in cui si è chiarito che tale dovere motivazionale è adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato), vieppiù considerato che tale onere motivazionale può essere anche implicitamente assolto (cfr., sul punto, sez. 6 n. 20271 del 27/04/2016, Duse e altri, Rv. 267130, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto implicita la motivazione della ritenuta recidiva, desumendola dal richiamo operato nella sentenza alla negativa personalità dell'imputato, quale evincibile dall'altissima pericolosità sociale della condotta da costui posta in essere; e, da ultimo, Sez. U. n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in cui, in motivazione, si è ribadita la legittimità del ricorso a tale tecnica motivazionale, sempre che risulti che sia stata compiuta la specifica indagine imposta dalla contestazione della recidiva).
6. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020