L’atto pubblico fidefacente è quel documento che, oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, per legge, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui.
Le "relazioni di servizio" redatte dal pubblico ufficiale sono atti pubblici fidefacienti, poiché con esse il pubblico ufficiale attesta l’attività espletata nell’esercizio delle sue funzioni e i fatti caduti sotto la sua diretta percezione.
Il falso lede l’aspettativa sociale di corrispondenza ai fatti di alcuni tipi di rappresentazione, la innocuità della contraffazione o dell’alterazione di un documento può essere dovuta esclusivamente all’inesistenza dell’oggetto materiale tipico delle falsità in atti, che coincide con un documento dotato di efficacia probatoria legale, di modo che la condotta falsificatrice che riguardi l’uso del documento non è innocua perché non cade sull’oggetto materiale del reato, vale a dire sul documento in sé.
Corte di Cassazione
sez. V Penale
sentenza 20 luglio – 22 settembre 2020, n. 26511
Presidente Catena – Relatore Scordamaglia
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 28 febbraio 2019, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella città del 30 marzo 2016, ha confermato il riconoscimento della penale responsabilità di V.A. per il delitto di falso materiale in atto fidefaciente (in riferimento alla sottoscrizione dell’annotazione di servizio del 7 settembre 2007), di cui al capo A) della rubrica, e di B.M. per il delitto di falso ideologico in atto fidefaciente (l’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009), di cui al capo B) della rubrica medesima.
2. Il ricorso per cassazione nell’interesse di V.A. è affidato a due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
- Il primo motivo denuncia vizio di motivazione, per violazione dei criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p. e della regola di giudizio di cui all’art. 533 c.p..
Deduce che il giudice di appello, replicando gli errori del giudice di primo grado, accertata la falsità della firma apposta in calce all’annotazione del 7 settembre 2007, apparentemente riconducibile all’Ispettore della Squadra Mobile di Trieste, Bresa, avrebbe ricondotto la sottoscrizione apocrifa alla mano dell’Ispettore V.A. fondando il proprio convincimento esclusivamente sugli esiti della perizia grafologica disposta dal Tribunale.
Senza tener conto, infatti, dell’intrinseca debolezza euristica di cui soffre il detto mezzo di prova, perché condizionata dalla cifra di opinabilità discendente dall’apprezzamento soggettivo dell’ausiliario del giudice, di modo che il relativo risultato dovrebbe essere corroborato dagli ulteriori esiti dell’istruzione probatoria compiuta, la Corte triestina avrebbe omesso di valutare la conclusione rassegnata dai periti - di falsità della sottoscrizione del Bresa e di riconduzione della stessa al V. - nell’insieme della ricostruzione del fatto, siccome desumibile dalle dichiarazioni rese dal coimputato B. e dai testimoni - quelle di Br. , M. , Bu. , Bo. - dalle quali era possibile desumere con certezza che l’Ispettore b. , prima di partire per le ferie)aveva stilato due versioni dell’annotazione, aderente ai fatti da rappresentare, e che il documento era rimasto fino all’11 settembre 2007 presso la segreteria della Squadra Mobile di Trieste, di modo che sarebbe stato imprescindibile accertare come l’Ispettore V. , che prestava servizio presso la Sezione Criminalità organizzata, fosse entrato in contatto con esso.
- Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione al profilo dell’esclusione dell’innocuità del falso.
Deduce, al riguardo, che sarebbe illogica la conclusione secondo la quale il documento sarebbe stato idoneo a ledere l’interesse giuridico protetto della fede pubblica, perché, nel caso al vaglio, era stato accertato che l’annotazione era corrispondente a quella mostrata ai testimoni dal suo autore, l’ispettore b. , ed era veridica nel contenuto, documentando i fatti rappresentati per come si erano effettivamente verificati. Donde, al di là del segno grafico, apposto in calce ad esso, non era stata in alcun modo compromessa la funzione probatoria del documento medesimo, diversamente non spiegandosi la valenza documentale degli atti contrassegnati dalla firma digitale.
3. Il ricorso nell’interesse di B.M. è ugualmente affidato a due motivi, del pari enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..
- Il primo motivo denuncia il vizio di motivazione in riferimento al riconoscimento della natura dolosa della condotta ascritta al ricorrente al capo B) della rubrica.
Deduce che, una volta assolto B. , quale Dirigente della Squadra Mobile di Tieste, dal delitto di falso materiale in concorso con l’Ispettore V. , per non avere commesso il fatto, per assenza di un principio di prova atto a dimostrare non solo che il Dirigente avesse istigato o determinato l’Ispettore alla sottoscrizione apocrifa dell’annotazione di servizio del 7 settembre 2007, ma anche che egli sapesse che il documento in parola fosse stato sottoscritto dall’Ufficiale in sottordine, non avrebbe potuto, poi, giustificarne il riconoscimento della responsabilità per il delitto di falso ideologico di cui al capo B) - per avere, egli, falsamente attestato nell’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009 che l’annotazione di servizio del 7 settembre 2007 era stata sottoscritta in sua presenza dall’Ispettore b. - con il sostenere che a tanto si sarebbe indotto per scagionare V. : ci si domanda, infatti, come avrebbe potuto difenderlo se non era, certamente, a conoscenza del fatto da questi compiuto.
- Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 476 e 479 c.p., in relazione alla riconosciuta natura fidefaciente dell’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009 a firma del ricorrente.
Assume che l’atto in parola non sarebbe dotato di fede privilegiata perché non espressivo di un’attività compiuta dal Dirigente della Squadra mobile nell’esercizio della funzione di Polizia Giudiziaria; diversamente, tutti gli atti provenienti da un ufficiale di Polizia Giudiziaria, in virtù della sola qualifica rivestita, sarebbero atti fidefacienti, suscettibili di dare vita, in ipotesi di loro falsificazione, alla fattispecie incriminatrice aggravata di cui all’art. 476 c.p., comma 2.
4. In data 13 luglio 2020, l’Avvocato Andrea Frassini, difensore di fiducia di V.A. , ha fatto pervenire memoria con la quale ha rassegnato le proprie conclusioni.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di V.A. è infondato.
1.1. Il primo motivo lamenta un vizio non ammesso nel giudizio di legittimità.
1.1.1. La Corte di appello di Trieste ha motivato la conferma della decisione del Tribunale, relativa all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il delitto di falso materiale in atto pubblico fidefaciente, per avere apposto in calce all’annotazione di servizio del 7 settembre 2007 - destinata al Procuratore della Repubblica di Trieste nell’ambito di un’indagine avente ad oggetto lo spaccio di sostanze stupefacenti - la firma apocrifa dell’Ispettore b. , in forza alla Squadra Mobile di Trieste, evidenziando: per un verso, come i periti nominati dal Tribunale - anche con l’elaborato del 14 gennaio 2015, redatto per rispondere ai rilievi del consulente tecnico della difesa - avessero ricondotto al V. la firma apposta in calce al documento oggetto dell’addebito, sulla base di un numero di corrispondenze con i tratti grafici riscontrati nelle sue scritture di comparazione tanto consistente da escludere la possibilità di una:"coincidenza generica"; per altro verso, come la possibilità che la contraffazione dell’Ispettore b. fosse avvenuta con il consenso di quest’ultimo costituisse una mera deduzione difensiva, sganciata da concreti riferimenti fattuali, posto che i colleghi del V. e del b. - segnatamente il teste Br. - avevano riferito che il falso in sottoscrizione, cd. “consentito”, poteva avere avuto luogo con riferimento alle domande di ferie, ma giammai con riferimento agli atti di polizia giudiziaria.
1.1.2. Il diritto vivente ha statuito che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Desimone e altri, Rv. 207944). L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere, inoltre, evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Ne viene che una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, "sub specie" di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente (Sez. 1, n. 6383 del 13/11/1997 - dep. 19/02/1998, Villani, Rv. 209787). Dedurre, infatti, tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti, effettuata dal giudice di merito, una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. 1, n. 7252 del 17/03/1999, Loiacono, Rv. 213705), desunta, ad esempio, come proposto dal ricorrente, dalle prove dichiarative, il cui travisamento, peraltro, può essere denunciato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), solo qualora il relativo contenuto abbia un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 - dep. 20/02/2018, Grancini, Rv. 272406), e si riveli decisivo nell’economia della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e altro, Rv. 271227).
1.1.3. Alla stregua della richiamata lezione interpretativa occorre riconoscere la correttezza della decisione impugnata, che ineccepibilmente ha concluso per la riconducibilità della sottoscrizione apposta in calce all’annotazione di servizio del 7 febbraio 2007 alla mano dell’Ispettore V.A. , evidenziando come il risultato dell’accertamento tecnico specialistico, ritenuto particolarmente affidabile per le ragioni dianzi indicate, non fosse stato smentito da nessuna, diversa e decisiva, emergenza fattuale, neppure riconducibile ad un eventuale autorizzazione a firmare in sua vece, conferita dall’Ispettore b. all’Ispettore V. .
1.2. Il secondo motivo è infondato.
1.2.1. La dottrina penalistica, che ha elaborato la teoria del falso documentale, ha affermato che il documento rilevante per il diritto si caratterizza per quattro elementi imprescindibili: per essere il veicolo espressivo del pensiero o della volontà di un uomo; per la sua incorporazione in un sostrato materiale; per l’intellegibilità del suo contenuto, affidato ad un linguaggio comune, ancorché convenzionale; per la sua riferibilità ad un autore; a tali indici strutturali è stato aggiunto il dato funzionale dell’idoneità alla prova di rapporti giuridici. Da ciò deriva che la sottoscrizione costituisce una componente fondamentale del documento, perché è il segno grafico che consente di riferire ad un determinato soggetto il contenuto di pensiero o di volontà in esso trasfuso e nel documento informatico, cui a riferimento l’art. 491-bis c.p., è surrogata, nei casi specificamente previsti e alle condizioni disciplinate dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 20 e segg. e successive modificazioni (Codice dell’Amministrazione Digitale), dalla “firma digitale”.
1.2.2. Già sulla base di questo chiarimento emerge la fallacia dell’argomentazione che fa leva sull’esistenza, nel caso di specie, di un’ipotesi di falso innocuo.
In effetti, quand’anche il contenuto dell’annotazione di servizio del 7 settembre 2007 avesse fedelmente rappresentato i fatti riferiti e fosse stato corrispondente alla bozza predisposta dall’Ispettore b. - mostrata a più colleghi della Questura di Trieste -, il documento sarebbe stato, comunque, idoneo a ledere il bene giuridico tutelato, la fede pubblica, in quanto non genuino nella sottoscrizione, quale componente essenziale per stabilire la provenienza del contenuto di pensiero in esso incorporato dal pubblico ufficiale che aveva avuto diretta percezione dei fatti attestati.
1.2.3. Va, comunque, ribadito che: "In tema di falsità in atti, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245; Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 185132; Sez. 5, n. 5414 del 20/03/1984, Marinelli, Rv. 164742).
Se, infatti, il falso lede l’aspettativa sociale di corrispondenza ai fatti di alcuni tipi di rappresentazione, la innocuità della contraffazione o dell’alterazione di un documento può essere dovuta esclusivamente all’inesistenza dell’oggetto materiale tipico delle falsità in atti, che coincide con un documento dotato di efficacia probatoria legale, di modo che la condotta falsificatrice che riguardi l’uso del documento non è innocua perché non cade sull’oggetto materiale del reato, vale a dire sul documento in sé.
Di qui la piena correttezza della motivazione rassegnata sul punto dalla Corte territoriale.
1.2.4. La non manifesta infondatezza del ricorso consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione ed impone il rilievo delle cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p., e la conseguente loro dichiarazione (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. Rv. 217266): nella specie la prescrizione del reato contestato all’imputato, maturata il 19 luglio 2020, calcolato il relativo decorso sulla base degli atti trasmessi a questo ufficio e pur tenuto conto della sospensione di 64 giorni, D.L. n. 18 del 2020, ex art. 83, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.
Ciò comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di V.A. , per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione.
2. Il ricorso di B.M. è infondato.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
2.1.1. La sentenza impugnata ha dato conto di come - sebbene non vi fosse prova nè che l’imputato, idallora Dirigente della Squadra Mobile di Trieste, avesse determinato l’Ispettore V. a sottoscrivere l’annotazione di servizio del 7 settembre 2007, contraffacendo la firma dell’Ispettore b. , nè che fosse consapevole di tale immutazione - emergessero plurimi elementi fattuali, che, valutati unitariamente, lasciavano ragionevolmente ritenere che egli avesse dolosamente attestato il falso, laddove, nell’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009, aveva riferito al Procuratore della Repubblica di Trieste che l’annotazione di servizio del 7 settembre 2007 era stata sottoscritta alla sua presenza dall’Ispettore b. .
2.1.2. Il giudice censurato ha, infatti, tratto la prova della predetta volontaria, non veridica, attestazione dal convergere di tre evidenze: la riconducibilità della sottoscrizione in calce all’annotazione del 7 settembre 2007 all’Ispettore V.A. ; il ricordo del B. di avere strappato la prima stesura della bozza di annotazione presentatagli dall’Ispettore b. ; la cura meticolosa nel riportare, nell’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009 a sua firma, particolari del carteggio intercorso con la Procura della Repubblica di Trieste tra l’agosto e il settembre 2007, in riferimento all’ipotizzata fuga di notizie riguardanti un procedimento penale relativo ad un traffico di stupefacenti, e dettagli riferiti al periodo di ferie godute in quell’arco temporale dall’Ispettore b. . Ha, plausibilmente e non illogicamente ritenuto, infatti, che non era credibile che egli, conscio di dovere riferire all’Autorità Giudiziaria di un fatto, attinente all’esercizio delle sue funzioni, suscettibile di incidere sull’esercizio dell’azione penale in relazione ad una notizia di reato già acquisita dall’organo inquirente (pag. 16, primo capoverso, sentenza impugnata) avesse, in maniera solerte e puntuale, riferito di dettagli della vicenda e non avesse usato lo stesso scrupolo nel riferire dell’accadimento fondamentale dell’intera vicenda: quanto verificatosi alla sua presenza allorché l’Ispettore b. ebbe a mostrargli la seconda bozza dell’annotazione del 7 settembre 2007, visto che la prima era stata da lui strappata.
2.1.3. La dedotta leggerezza, nel non avere adeguatamente ricostruito se l’Ispettore b. avesse sottoscritto alla sua presenza la prima o la seconda versione dell’annotazione di servizio, è, in effetti, platealmente in contrasto con l’intento di far chiarezza sulla vicenda della sottoscrizione dell’annotazione stessa, che l’aveva spinto a redigere l’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009. Ne viene che tutte le deduzioni articolate sul punto risultano generiche o dirette a prospettare un’alternativa valutazione dei fatti.
2.2. Il secondo motivo è infondato.
2.2.1. La Corte territoriale ha accertato che l’annotazione di servizio dell’11 marzo 2009, a firma del dirigente della Squadra Mobile della Questura di Trieste, Dott. B.M. , pur redatta senza che ve ne fosse stata richiesta, era destinata al Procuratore della Repubblica di Trieste, che, secondo notizie di stampa, aveva avviato un procedimento penale a carico dell’Ispettore V.A. , in servizio presso la Sezione criminalità organizzata della stessa Squadra Mobile. Sulla base di tale notazione in fatto, non contrastata dal ricorrente, il giudice di appello ha ritenuto che il documento oggetto dell’addebito di falsità ideologica fosse dotato di fede privilegiata, in quanto diretto ad apportare un contributo di conoscenza, dotato per legge di peculiare affidabilità, ad un procedimento penale istaurato o, comunque, istaurando.
2.2.2. Si tratta di conclusione del tutto in linea con l’ermeneusi di questa Corte, che ha sempre identificato l’atto pubblico fidefaciente in quel documento che, oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, per legge, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui (Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019, Cassarino, Rv. 277648; Sez. 5, n. 2714 del 04/10/2016 - dep. 20/01/2017, Dragotta e altri, Rv. 269049; Sez. 6, n. 24768 del 31/03/2016, Caruso, Rv. 267316). Donde, si è riconosciuto che le "relazioni di servizio" redatte dal pubblico ufficiale sono atti pubblici fidefacienti, poiché con esse il pubblico ufficiale attesta l’attività espletata nell’esercizio delle sue funzioni e i fatti caduti sotto la sua diretta percezione (Sez. 5, n. 50082 del 29/09/2017, Spada e altro, Rv. 271625; Sez. 5, n. 38085 del 05/07/2012, Luperi e altri, Rv. 253543; Sez. 5, n. 8252 del 15/01/2010, Bassi e altro, Rv. 246157; Sez. 5, n. 3557 del 31/10/2007 - dep. 23/01/2008, D’Alba e altro, Rv. 238908; Sez. 5, n. 3942 del 11/10/2002 - dep. 28/01/2003, Marino e altri, Rv. 226983).
3. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio nei confronti di V.A. , per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione. Il ricorso di B.M. deve essere, invece, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di V.A. per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso di B.M. e lo condanna al pagamento delle spese processuali.