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Procedimento per protezione internazionale non impedisce estradizione (Cass. 29910/19).

8 luglio 2019, Cassazione penale

 Non osta alla estradizione la circostanza della sola pendenza del procedimento volto all'esame della sua richiesta di protezione internazionale, procedimento rispetto al quale non è stabilita alcuna forma di pregiudizialità rispetto a quello estradizionale.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 12/06/2019) 08-07-2019, n. 29910

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano - Presidente -

Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - rel. Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.M., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/03/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CAPOZZI ANGELO;

sentite le conclusioni del PG Dott. ORSI LUIGI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. SL sostituto processuale dell'avv. AMA, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso.

Svolgimento del processo


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione formulata dalla Repubblica di Algeria nei confronti di To. alias T.M. per l'esecuzione delle sentenze esecutive emesse dal Tribunale di Delies in data 30.1.2011, 23.3.3015, 23.10.2016 e 31.3.2016 con le quali il predetto è stato condannato per i reati di partecipazione ad associazione terroristica.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'estradando deducendo con unico motivo violazione degli artt. 698, 705 c.p.p., art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35.

La Corte di appello ha erroneamente ritenuto non sussistenti nei confronti dell'estradando i rischi di persecuzione e trattamenti inumani e degradanti di cui sarebbe vittima in caso di consegna alle autorità algerine. A tal riguardo si è limitata a recepire acriticamente la decisione adottata dal Ministero dell'Interno di rigetto del riconoscimento della protezione internazionale, senza considerare la circostanza che la medesima sia stata oggetto di regolare impugnazione, con conseguente diritto del ricorrente a soggiornare nel nostro territorio nazionale.

La citata disposizione dell'art. 33 della Convenzione del 1951 nonostante non vi faccia esplicito riferimento contempla anche l'estradizione cosicchè il principio di non-refoulement si applica anche a tale istituto e non solo a colui che è titolare di protezione internazionale ma anche al richiedente asilo sulla cui domanda di protezione internazionale non abbia statuito in via definitiva l'Autorità Giudiziaria.

Nel caso in esame, l'estradando è palesemente esposto ai rischi di trattamento inumano e degradante sol che si consideri che le severe disposizioni del codice penale algerino espongono il predetto, accusato di un delitto rispetto al quale egli nega la propria responsabilità e per il quale è stato condannato in contumacia, al fondato timore di incorrere in una sanzione penale sproporzionata, in un contesto già stigmatizzato dal rapporto di (OMISSIS) in atti e secondo le notorie notizie in ordine alle condizioni degradanti delle carceri algerine ove i detenuti politici sono soggetti a sistematiche vessazioni e torture.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile perchè genericamente proposto quando non manifestamente infondato.

2. La Corte di appello ha ritenuto che non si rinvenivano in atti nè erano state dimostrate le ragioni ex art. 705 c.p.p., comma 2, per ritenere che l'estradando sia oggetto di persecuzione per ragioni di carattere razziale, religioso, di nazionalità o di opinioni politiche e che non siano garantiti i suoi diritti fondamentali, incidentalmente rilevando anche il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

3. Ritiene la Corte che il ricorso, nel momento in cui si appunta sull'incidentale considerazione della Corte di Appello è generico in quanto non fa riferimento a concreti elementi sottoposti alla Corte ai fini dedotti dei quali è stata omessa la considerazione limitandosi a generiche asserzioni.

4. Non osta, poi, alla estradizione del ricorrente la circostanza della sola pendenza del procedimento volto all'esame della sua richiesta di protezione internazionale, procedimento rispetto al quale non è stabilita alcuna forma di pregiudizialità rispetto a quello estradizionale.

Ancor meno può essere invocata una sorta di anticipazione del principio di cui all'art. 33 della Convenzione di Ginevra a colui che non sia titolare del diritto alla protezione internazionale e per il solo fatto che la sua domanda non sia ancora definitivamente decisa. L'eventuale successivo riconoscimento della protezione internazionale potrà essere valutato nell'ambito dei poteri discrezionali demandati all'organo ministeriale nella fase esecutiva ex art. 708 c.p.p..

5. E' stato condivisibilmente affermato che, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698 c.p.p., comma 1, è onere dell'estradando allegare elementi e circostanze che la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato sarà alla consegna sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean, Rv. 269201-01) ed il divieto di pronuncia favorevole contemplato dall'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c), opera esclusivamente nelle ipotesi in cui sia riscontrabile una situazione allarmante riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto alle quali sia comunque possibile attivare una tutela legale (Sez. 6, n. 10905 del 06/03/2013, Bishara Meged, Rv. 254768 - 01), cosicchè incensurabile risulta essere il giudizio in fatto esperito dalla Corte di appello in ordine alla assenza di prova in ordine al fatto che il ricorrente sia oggetto di persecuzione per considerazioni di carattere razziale, di religione, di nazionalità o di opinioni politiche e che non siano garantiti i suoi diritti fondamentali, risultando accertato che nello Stato richiedente non è prevista la pena di morte.

6. Quanto ai rapporti tra procedura estradizionale e procedura in materia di protezione internazionale, è stato condivisibilmente affermato che la Corte d'appello può fondare la propria decisione contraria, ai sensi dell'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c), e art. 698 c.p.p., comma 1, sul provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all'estradando lo "status" di protezione internazionale sussidiaria, per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l'estradizione, ove quest'ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile (Sez. 6, n. 3746 del 18/12/2013, Tuzomay, Rv. 258249 - 01) cosicchè incensurabile è la considerazione incidentale operata dalla Corte di appello - a concorrente sostegno della insussistenza di elementi ostativi alla estradizione - del provvedimento reiettivo della istanza di protezione internazionale proposta dall'estradando.

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

8. Devono essere disposti gli adempimenti di cancelleria di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019