Commette il reato di "tolleranza abituale della prostituzione" non solo il proprietario o il gestore ma anche il preposto, sia pure per un breve periodo di tempo, alla sorveglianza e al normale funzionamento dei locali stessi, che tolleri in detto periodo la frequenza continua di una o più persone che ivi si diano alla prostituzione.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 13 novembre 2020 – 2 febbraio 2021, n. 3989
Presidente Andreazza – Relatore Di Stasi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20/01/196, la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di giudizio di rinvio, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 18/07/2014 - con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, Ge. Sa. era stato dichiarato responsabile dei reati di tolleranza della prostituzione contestati, unificati dal vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche come equivalenti alle aggravanti contestate, e condannato alla pena anni 1 mesi 5 e giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa - ritenuta la prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena in mesi dieci di reclusione ed Euro 800,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Ge. Sa., a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 3 L.75/1958 e correlato vizio di motivazione per insussistenza della qualifica di preposto concorrente intraneus per la configurazione del reato proprio, di tolleranza della prostituzione.
Argomenta che erroneamente la Corte di appello aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulla qualifica del preposto attribuita all'imputato, in considerazione del potere di direzione del personale delle sale cinematografiche ove si tollerava l'esercizio della prostituzione; tale qualifica, al contrario, sarebbe attribuibile solo a colui che abbia il potere di direzione dell'attività di impresa e, quindi, il potere gestorio di adottare scelte imprenditoriali in vece dell'amministratore imprenditore; inoltre, irrilevante a fondare l'affermazione di responsabilità era la circostanza che l'imputato era amministratore unico della società proprietaria degli immobili ove si svolgeva l'attività di impresa avente ad oggetto la gestione delle sale cinematografiche.
Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 3 L. 75/1958 e correlato vizio di motivazione, argomentando che, difettando la qualifica di preposto in capo all'imputato, la Corte territoriale non aveva motivato in ordine alle ragioni in base alle quali l'imputato poteva essere considerato concorrente extraneus nel reato proprio di tolleranza della prostituzione.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. II ricorso va dichiarato inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
2. La Corte territoriale, in aderenza alle risultanze istruttorie (intercettazioni telefoniche, servizi di osservazione predisposti all'interno ed all'esterno dei cinema, dichiarazioni rese dagli avventori abituali) ha rimarcato come il Ge. rivestisse, di fatto, il ruolo di preposto ai cinema di Milano, Mestre e Genova, ove si tollerava abitualmente la presenza di numerosi soggetti che si davano alla prostituzione senza soluzione di continuità: egli impartiva ai dipendenti tutte le direttive necessarie per la gestione dei locali ove si tollerava abitualmente l'esercizio della prostituzione, dipendendo direttamente dagli amministratori delle società alle quali erano riconducibili i diversi cinema "hard"; egli, inoltre, era perfettamente a conoscenza di quanto avveniva all'interno dei cinema, e, cioè, che vi si svolgesse attività di prostituzione, avvenendo le prestazioni sessuali ed i correlati pagamenti sotto gli occhi dei dipendenti addetti al controllo delle sale.
Ha, quindi correttamente ritenuto integrato il reato di cui all'art. 3 n. 3 L. 75/1958, come contestato all'imputato (capi 1-2 dell'imputazione).
3. Va ricordato che soggetto attivo del reato di tolleranza abituale della prostituzione è, non solo il proprietario o il gestore dei locali specificati nel n.3 dell'art.3 L.20 febbraio 1958, n.75, ma anche il preposto, sia pure per un breve periodo di tempo, alla sorveglianza e al normale funzionamento dei locali stessi, che tolleri in detto periodo la frequenza continua di una o più persone che ivi si diano alla prostituzione (Sez.3, n.1324 del 13/11/1967, dep.02/02/1968, Rv.106619 - 01); è evidente che il preposto, individuato quale soggetto attivo del reato in questione unitamente alle figure del proprietario e del gestore dei locali, non ha poteri gestori ma svolge attività di mera sorveglianza e di controllo del normale funzionamento dei locali predetti, sulla base delle direttive ricevute dal proprietario o dal gestore.
Il ricorrente, peraltro, propone, in sostanza, una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.