Le consulenze tecniche provenienti dalla difesa non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese.
Quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella perizia ovvero della consulenza tecnica del pubblico ministero ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, può ricorrere il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Tuttavia, qualora ricorra siffatta ipotesi, costituisce onere del ricorrente indicare specificamente i passaggi della consulenza di parte che in maniera circostanziata si ponevano in contrasto con le risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero ovvero della perizia d'ufficio, perchè la sola generica conclusione difforme del consulente della difesa non è sufficiente a superare le avverse conclusioni di altra indagine, occorrendo invece che, alle argomentazioni scientifiche del perito o del consulente tecnico del pubblico ministero che la Corte ha privilegiato a ragione dell'avvenuto esame, da parte di quest'ultimo, della persona offesa (esame che, invece, è mancato da parte del consulente tecnico della difesa), vengano contrapposte specifiche controargomentazioni scientifiche.
Il mero richiamo nel ricorso alle diverse conclusioni cui è giunto il consulente di parte, perciò, non costituisce specifico motivo di gravame, giacchè il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di questi atti investiti del gravame e si indichi la rilevanza della questione (più precisamente, nel ricorso andava indicato quali specifiche confutazioni il consulente di parte volgeva nei confronti delle argomentazioni del perito per giungere a delle conclusioni incompatibili con quelle del perito).
Se è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di "contraddittorio" e soprattutto in assenza di "terzietà", è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità - concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità - dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni.
L'operato dei consulenti tecnici del pubblico ministero (pubblici ufficiali), chiamati ad "affiancare" quest'ultimo come soggetti condizionati solo dalla ricerca della verità "in scienza e coscienza", non corrisponde appieno a quello del consulente tecnico della parte privata.
L'assenza di taluna di dette ipotesi che potremmo definire come "sospette" sotto il profilo della competenza ovvero dell'indipendenza di giudizio, la presenza di una ulteriore giustificazione circa la rilevata priorità di scelta delle valutazioni del pubblico ministero e la mancanza di concrete e circostanziate censure da parte del ricorrente sulle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero giustificano ed impongono l'anticipata valutazione di inammissibilità del profilo di doglianza sollevato.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Sent., (ud. 24/09/2014) 14-10-2014, n. 42937
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro - Presidente -
Dott. TADDEI M. - Consigliere -
Dott. VERGA G. - rel. Consigliere -
Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -
Dott. CARRELLI PALOMBI Roberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.A., n. a (OMISSIS), rappresentato e assistito dall'avv. CM;
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Lecce, seconda sezione penale, n. 1323/2012 in data 27.06.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Alfredo Pompeo Viola che ha chiesto di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udita la discussione del difensore della parte civile D.P. P., avv. SG e che ha chiesto di voler confermare le statuizioni civili di prime e seconde cure condannando altresì l'imputato alla refusione delle spese di costituzione per questo grado di giudizio, quantificate in Euro 4.810,00 oltre IVA e CPA, nonchè quella del difensore del ricorrente, avv. MC che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, in data 01.03.2012, P.A. veniva riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 61 c.p., n. 7, artt. 81 e 643 c.p., commesso in (OMISSIS) e condannato alla pena di anni tre di reclusione oltre al risarcimento dei danni a favore della costituita parte civile D. P.P. e pronunce accessorie.
2. Avverso detta sentenza, l'imputato, tramite difensore, proponeva appello chiedendo l'emissione di pronuncia assolutoria per insussistenza del fatto a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 1, ovvero, in subordine, a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2.
3. Con sentenza in data 27.06.2013, la Corte d'Appello di Lecce, rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata.
4. Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 643 e 157 c.p. (primo motivo); - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) in relazione alla mancata rinnovazione dibattimentale (secondo motivo).
In relazione al primo motivo, si censura il fatto che la sentenza impugnata difetti di motivazione avendo omesso di esaminare una prova decisiva (la consulenza di parte a firma dott. Pa.) con la quale venivano smentite tutte le deduzioni del consulente tecnico del pubblico ministero (dott.ssa p.) in ordine alla verificazione dell'asserita condizione di inferiorità psichica e dello stato di infermità grave ed abituale della persona offesa nel suo relazionarsi quotidiano, quantomeno nel periodo e nel momento in cui si sarebbero verificati i fatti per i quali l'imputato è stato condannato (compravendita immobiliare con atto notarile del 11.05.2006, donazione dell'autovettura Audi che il P. provvedeva ad intestarsi il 29.12.2005, emissione in data 01.03.2007 di due assegni per Euro 4.000,00 da parte del P. che poi non avrebbe restituito alla persona offesa: v. punti 1, 2 e 5 del capo d'imputazione). S'invoca inoltre l'istituto della prescrizione con riferimento agli atti di disposizione patrimoniale posti in essere in data 11.05.2006 e in data 29.12.2005.
In relazione al secondo motivo, si censura la manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza nella parte in cui da un lato ha ritenuto irrilevante l'acquisizione della relazione psichiatrica disposta nei confronti del D.P. dal DSM presso l'ospedale di (OMISSIS) sul presupposto che lo stesso fosse a conoscenza della propria malattia sin dal (OMISSIS) e, dall'altro, nella parte in cui, del tutto immotivatamente, aveva ritenuto di non dover disporre la rinnovazione dibattimentale con riferimento alla richiesta difensiva, già proposta per la prima volta in sede di discussione del giudizio di primo grado, di una perizia d'ufficio finalizzata a dipanare definitivamente i dubbi sorti in ordine alla circonvenibilità del D.P..
Motivi della decisione
5. Il ricorso, con riferimento a tutti i profili di doglianza proposti, appare generico oltre che manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato inammissibile.
6. Va innanzitutto premesso come lo sviluppo argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di primo grado, risulti fondato su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l'attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto ai temi di indagine devoluti con il presente ricorso. La motivazione della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.
7. Inammissibile è il primo motivo di doglianza per assoluta genericità. Con riferimento al primo profilo dedotto, rileva il Collegio come non risponde al requisito della specificità il motivo di ricorso con il quale si denunci un difetto di motivazione sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di parte senza indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze di altra consulenza tecnica (nella specie, quella del pubblico ministero) ovvero della perizia, giacchè il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di tali atti investiti dal gravame e sia indicata la rilevanza della questione.
In generale, le consulenze tecniche provenienti dalla difesa non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese. E' anche vero che, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella perizia ovvero della consulenza tecnica del pubblico ministero ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, può ricorrere il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Tuttavia, qualora ricorra siffatta ipotesi, costituisce onere del ricorrente indicare specificamente i passaggi della consulenza di parte che in maniera circostanziata si ponevano in contrasto con le risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero ovvero della perizia d'ufficio, perchè la sola generica conclusione difforme del consulente della difesa non è sufficiente a superare le avverse conclusioni di altra indagine, occorrendo invece che, alle argomentazioni scientifiche del perito o del consulente tecnico del pubblico ministero che la Corte ha privilegiato a ragione dell'avvenuto esame, da parte di quest'ultimo, della persona offesa (esame che, invece, è mancato da parte del consulente tecnico della difesa), vengano contrapposte specifiche controargomentazioni scientifiche.
Il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, infatti, nel fare riferimento ad "atti del processo" che devono essere "specificamente indicati" dal ricorrente, detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'art. 581 c.p.p., lett. c) - secondo cui i motivi d'impugnazione devono contenere l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta - con l'effetto di porre a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli stessi (integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, allegazione in copia, precisa indicazione della collocazione dell'atto nel fascicolo processuale, ecc.) (Cass., Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula).
Il mero richiamo nel ricorso alle diverse conclusioni cui è giunto il consulente di parte, perciò, non costituisce specifico motivo di gravame, giacchè il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di questi atti investiti del gravame e si indichi la rilevanza della questione (più precisamente, nel ricorso andava indicato quali specifiche confutazioni il consulente di parte volgeva nei confronti delle argomentazioni del perito per giungere a delle conclusioni incompatibili con quelle del perito).
Ciò premesso, va evidenziato come il tema dell'attribuzione di "priorità" delle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa involga, più in generale, la discussione sulla natura stessa dell'organo dell'accusa e del suo diritto/dovere di ricercare anche le prove a favore dell'indagato, come stabilito dall'art. 358 c.p.p..
Se è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di "contraddittorio" e soprattutto in assenza di "terzietà", è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità - concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità - dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni.
Condivisibile è quindi l'orientamento di taluni giudici di merito secondo i quali "l'esame, cui il consulente nominato ex art. 233 c.p.p. può essere sottoposto ai sensi dell'art. 501 c.p.p., ha proprio il fine di consentire l'acquisizione probatoria degli esiti delle sue indagini e delle sua valutazioni. Dunque, la perizia può anche non essere disposta allorchè gli esiti dell'esame del consulente di parte appaiano soddisfacenti; in tal caso, l'espletamento dell'accertamento peritale costituirebbe soltanto un dispendio di tempi e di risorse, inutile per l'accertamento dei fatti e per la speditezza del processo. Il giudice del dibattimento è tenuto, a norma dell'art. 508 c.p.p., a disporre perizia non già in ogni caso in cui vi sia stata consulenza tecnica di parte, ma solo allorchè, escusso il consulente di parte ed acquisito d'ufficio il suo elaborato, i dati e le valutazioni tecnico scientifiche fornite non appaiano attendibili, o in sè, in quanto intrinsecamente illogiche e contraddittorie, o a seguito delle domande delle parti in sede di esame e controesame" (in questi termini, Trib. Lecce, 3 gennaio 1992, Conversano ed altro).
Appare consequenziale quindi ritenere che l'operato dei consulenti tecnici del pubblico ministero (pubblici ufficiali), chiamati ad "affiancare" quest'ultimo come soggetti condizionati solo dalla ricerca della verità "in scienza e coscienza", in una posizione che, pertanto, non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata, possa e debba essere rivalutato solo a fronte di gravi carenze logiche o contraddizioni, di rapporti (in positivo o in negativo) peculiari con le parti processuali, o in quanto espressivo di non sufficiente competenza.
Fermo quanto precede, l'assenza di taluna di dette ipotesi che potremmo definire come "sospette" sotto il profilo della competenza ovvero dell'indipendenza di giudizio, la presenza di una ulteriore giustificazione circa la rilevata priorità di scelta delle valutazioni del pubblico ministero e la mancanza di concrete e circostanziate censure da parte del ricorrente sulle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero giustificano ed impongono l'anticipata valutazione di inammissibilità del profilo di doglianza sollevato.
Medesime conclusioni di manifesta infondatezza vanno tratte con riferimento alla dedotta sopravvenuta prescrizione degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere in danno del D.P., e segnatamente la compravendita immobiliare in data 11.05.2006 e la donazione dell'autovettura nel Natale 2005 con formale intestazione al P. in data 29.12.2005.
Tenuto conto degli eventi interruttivi verificatisi, rileva il Collegio come, per entrambe le condotte, la prescrizione risulta essere intervenuta in data successiva alla pronuncia della sentenza di secondo grado, circostanza che rende irrilevante - ai fini richiesti - la relativa declaratoria: invero, mentre la sentenza di appello risulta pronunciata in data 27.6.2013, per il primo episodio la prescrizione risulta essere maturata solo in data 11.11.2013, mentre per il secondo la stessa è venuta a compiersi in data 29.06.2013.
8. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di censura. La sentenza impugnata è assistita da motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici nella parte in cui, sotto un primo profilo, con motivazione incensurabile in questa sede, ha riconosciuto come il D. P. fosse seguito dal Centro di Salute Mentale di (OMISSIS) per psicosi bipolare maniacale: circostanza che, per il giudice di merito, "rende irrilevante l'acquisizione della relazione DPS dell'Ospedale di (OMISSIS) (essendo) indubitabile che il D.P. (fosse) a conoscenza della sua malattia fin dal (OMISSIS) con numerosi ricoveri, anche in TSO, presso strutture ospedaliere" e che lo stesso P. ben conoscesse le condizioni di salute della persona offesa ("... è l'imputato a riconoscere di sapere che la persona offesa assumeva il litio e che, dopo, stava bene e che era lui ad accompagnarlo, dopo che la madre del D. P. era morta, al CIM per la terapia ordinaria, consistente, per quanto riferitogli dal D.P., in una puntura da fare ogni 21 del mese, e che gli faceva bene all'umore ...").
Anche con riferimento alla disattesa richiesta di rinnovazione dibattimentale vanno tratte le medesime conclusioni essendosi in presenza di una richiesta fondatamente disattesa dalla Corte territoriale in mancanza dei presupposti giustificativi. Invero, ritiene il Collegio come la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l'indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicchè il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (cfr., Cass., Sez. Un., 24/01/1996, Panigoni; Cass., Sez. 1, 11/11/1999, Puccinelli e altro). Atteso che l'esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., Sez. 3, 29/07/1993, n. 7908, Giuffida, rv. 194487; Cass., Sez. 1, 15/04/1993, Ceraso), deve sottolinearsi come la motivazione della sentenza impugnata dia conto, in modo implicito ma inequivoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione parziale, essendo stato ritenuto che gli elementi probatori disponibili risultavano completi e concludenti per la formazione del convincimento del giudice di secondo grado (cfr., Cass., Sez. 1, 19/03/2008, n. 17309, Calisti). Ed è altresì consolidato principio di questa Corte ritenere che, la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio d'appello, può costituire violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2) (Cass., Sez. 5, 08/05/2008, n. 34643, P.G. e De Carlo e altri, Rv. 240995; Cass., Sez. 1, 28/11/2013, n. 3972, Inguì, Rv. 259136) mentre l'error in procedendo è rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa. Va infine evidenziato come la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 4, 14/03/2008, n. 23505, Di Dio, Rv. 240839): verifica che, nella fattispecie, per la Corte territoriale, ha avuto necessariamente esito negativo.
9. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00. Consegue altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile D.P.P., spese che si liquidano in Euro 3.510,00 oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende; condanna altresì il ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile D.P.P. che si liquidano in Euro 3.510,00 oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 24 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2014.