Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Rassicurazioni stato di detenzione nel MAE valgono a meno che .. (Cass. 32465/24)

9 agosto 2024, Corte di Cassazione

Se nel procedimento MAE lo Stato emittente ha fornito assicurazioni che la persona interessata non subirà un trattamento inumano e degradante, l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione può rifiutarsi di eseguire la richiesta solo quando, sulla base di elementi precisi, riscontri comunque il pericolo che le condizioni di detenzione siano contrarie all'art. 4 della Carta di Nizza. 

Corte di Cassazione

Sez. Feriale penale

Sentenza  Num. 32465 Anno 2024

Presidente: SERRAO EUGENIA

Relatore: GIORDANO ROSARIA

Data Udienza: 08/08/2024 – deposito 9 agosto 2024

sul ricorso proposto da:

SDA (CUI **) nato il **/1983

avverso la sentenza del 18/07/2024 della CORTE APPELLO di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO;

udito il Sostituto Procuratore Generale, CRISTINA MARZAGALLI, che ha

concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito per il ricorrente, in sostituzione dell'Avv. PDV, l'Avv. FS, la quale insiste per l'accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, quale giudice di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Sezione Sesta penale con sent. n. 18600/2024, accoglieva la richiesta di consegna del ricorrente avanzata dall'Autorità giudiziaria belga, in quanto, nei confronti dello stesso, in data 23 marzo 2022, era stato emesso Mandato d'Arresto Europeo esecutivo a fronte della sentenza del Tribunale di Bruxelles del 2 marzo 2022 che Io aveva condannato ad anni otto di reclusione per i reati di tentato omicidio e lesioni personali commessi in Koekelbeg, sul territorio belga, in data 24 novembre 2019.

2. Avverso la richiamata sentenza il SAVIN ha proposto ricorso per cassazione, con il difensore di fiducia, avv. PDV, articolando un unico motivo di impugnazione con il quale deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nullità della sentenza per violazione e/o erronea applicazione della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), degli artt. 2 e 3 CEDU, dell'art. 6 del T.U.E. e della decisione quadro U.E. 2002/584/GAI. In particolare, il ricorrente assume che la pronuncia impugnata ha erroneamente ritenuto adeguate, dopo il rinvio a tal fine disposto dalla sentenza n. 18600 del 2024 della Sesta Sezione Penale di questa Corte, le informazioni fornite dall'autorità giudiziaria belga. Deduce, a riguardo, che il Belgio avrebbe assolto in maniera solo formale al proprio onere di comunicazione di informazioni sul rischio di trattamenti inumani e degradanti poiché, per un verso, non era stato specificato il regime detentivo (chiuso, semiaperto o aperto) cui sarebbe stato sottoposto e, per un altro, sarebbe stato evidenziato, quanto al problema del sovraffollamento carcerario, che il tasso di occupazione delle case circondariali varia nel tempo, senza così effettuare una prognosi sulla situazione futura, né fornire dati su quella attuale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.       Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre ricordare che la sentenza n. 18600 del 2024 della Sesta Sezione Penale di questa Corte aveva annullato il precedente provvedimento della Corte 2Corte di Cassazione - copia non ufficiale d'Appello, mandando la stessa di richiedere allo Stato emittente informazioni individualizzanti ai sensi dell'art. 16 della legge n. 69 del 2005, allo scopo di scongiurare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna (ex aliis, Sez. 6, n. 47891 del 11/10/2017, Enache, Rv. 271513 - 01). Nell'ipotesi di mandato di arresto europeo emesso dall'Autorità belga, l'autorità giudiziaria richiesta della consegna è tenuta ad acquisire specifiche e aggiornate informazioni in ordine alle misure adottate dall'amministrazione penitenziaria dello Stato di emissione, al fine di verificare se, in concreto, siano state eliminate le condizioni comportanti il rischio della sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti, segnalate dal Comitato per la prevenzione della Tortura del Consiglio d'Europa nella dichiarazione pubblica del 13 luglio 2017 e nel rapporto in data 8 marzo 2018 (ex ceteris, Sez. 6, n. 44397 del 29/10/2019, M., Rv. 277377 - 01).

3. A differenza di quanto prospettato dal ricorrente, la pronuncia impugnata ha valutato come congrue le informazioni individualizzanti fornite in merito alla situazione della struttura carceraria dove sarà detenuto e sulle misure che saranno adottate al fine di evitare che egli sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.

4. Se, come nella fattispecie in esame, lo Stato emittente ha fornito assicurazioni che la persona interessata non subirà un trattamento inumano e degradante, l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione può rifiutarsi di eseguire la richiesta solo quando, sulla base di elementi precisi, riscontri comunque il pericolo che le condizioni di detenzione siano contrarie all'art. 4 della Carta di Nizza (Sez. 6, n. 18352 del 11/06/2020, M., Rv. 279301 - 02), in conformità, del resto, ai principi affermati da Corte Giustizia, Grande Sezione, 15 ottobre 2019, Dorobantu, C-128/19.

5. In altri termini, se il "serio pericolo" di trattamenti inumani e degradanti che legittima il rifiuto della consegna deve, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E., evincersi dalle informazioni "individualizzate" fornite dallo Stato richiedente circa il trattamento penale cui concretamente il soggetto sarà sottoposto, qualora il tenore di dette informazioni escluda siffatto rischio, lo Stato richiesto deve limitarsi, in conformità ai principi del mutuo riconoscimento, a prendere atto delle stesse e procedere alla consegna, senza poter pretendere garanzie di sorta sul rispetto delle condizioni di detenzione (Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, Ilíe, Rv. 269211 - 01).

6. Pur censurando la pronuncia impugnata perché l'informativa resa dalle autorità dello Stato emittente sarebbe inadeguata, il ricorrente non ha indicato, in conformità ai richiamati principi giurisprudenziali, elementi concreti e precisi in ragione dei quali dovrebbe ritenersi che egli subirebbe comunque un trattamento inumano e degradante nel caso di consegna e di successiva detenzione nello Stato belga. Non si configura alcuna violazione di legge in relazione all'art. 18, lett. h), della legge n. 69 del 2005, stante, come si è evidenziato, la presenza di informazioni ritenute esaustive dallo Stato richiedente, attestanti condizioni della detenzione idonee ad escludere il rischio di trattamento inumano o degradante della persona richiesta (cfr. Sez. 6, n. 52541 del 09/11/2018, Moisa, Rv. 274296 - 01); informazioni che non sono contraddette con motivi specifici dal ricorrente.

7. Quanto alla forma del regime detentivo rispetto alle attività esterne alla quale sarà sottoposto il S la relativa deduzione è nuova rispetto al perimetro segnato dalla decisione di annullamento con rinvio, alla quale la Corte si è conformata. D'altra parte, a fronte della garanzia da parte dell'informativa dello Stato belga circa la possibilità per il detenuto di fruire di uno spazio minimo di tre metri all'interno della propria cella, finanche la previsione di un regime detentivo "chiuso" sarebbe insuscettibile di costituire un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, n. 5472 del 01/02/2017, Mihai, Rv. 269008 - 01). 8.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.

Così deciso in Roma l'8 agosto 2024 (deposito 9 agosto 2024)