Qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di marijuana è reato, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale: quanto alla offensività in concreto, intesa come prova della effettiva capacità delle piante sequestrate a produrre un effetto drogante, 29 dosi di stupefacente sono sufficienti per la condanna.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 gennaio – 16 marzo 2018, n. 12226
Presidente Piccialli – Relatore Ranaldi
Fatto e diritto
1. Con sentenza del 23.1.2017 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, in sede di giudizio abbreviato, ha dichiarato Ro. Gi. responsabile del reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, in relazione alla illecita coltivazione di alcune piante di cannabis presso la propria abitazione, condannandolo alla pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione e Euro 600,00 di multa, con pena sospesa.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando l'erronea applicazione dell'art. 73, comma 1, D.P.R. 309/90.
Deduce che l'imputato avrebbe dovuto essere mandato assolto per la scriminante dell'uso personale, stante il modico quantitativo di principio attivo ricavabile dalle piante coltivate.
3. Il motivo dedotto in ricorso è infondato.
Nel caso la Corte territoriale ha, del tutto correttamente, richiamato il costante principio affermato dalla Suprema Corte, nel senso che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (Sez. 6, n. 49528 del 13/10/2009, P.M. in proc. Lanzo, Rv. 24564801; Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008 Di Salvia, Rv. 23992001).
In fatto risulta che il Gi. ha ammesso di aver coltivato per alcuni mesi, senza alcuna autorizzazione, le piante di cannabis in questione, da cui erano ricavabili 0,7 grammi circa di principio attivo di marijuana, dal quale avrebbero potuto trarsi n. 29 dosi di stupefacente, rimanendo in tal modo confermata in concreto l'offensività della condotta, intesa come prova della effettiva capacità delle piante sequestrate a produrre un effetto drogante.
Sotto questo profilo nessuna erronea applicazione della legge penale appare invocabile nei confronti della sentenza impugnata, che ha peraltro applicato al caso di specie l'ipotesi lieve di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. 309/90.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.