E' reato ogni utilizzazione di un minore per produrre materiale pornografico: per utilizzazione deve intendersi la trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere, condotta che rende invalido anche un eventuale consenso.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 11 febbraio – 19 marzo 2021, n. 10759
Presidente Ramacci – Relatore Corbetta
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Cagliari confermava la decisione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Cagliari all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la quale, applicate le circo stanze attenuanti generiche e la riduzione per il rito, aveva condannato N.C. alla pena di tre anni di reclusione e 12.000 Euro di multa per il delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, a lui ascritto perché, utilizzando la minore U.M.G. , all’epoca quindicenne, che veniva indotta a compiere un rapporto orale nei suoi confronti e a farsi fotografare e riprendere mediante un telefono cellulare durante tale atto, produceva materiale pornografico consistente nelle immagini e nel video di tale rapporto, materiale che veniva successivamente divulgato su diversi siti internet.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di deduce il vizio di motivazione con riferimento al presunto dissenso della minore alla creazione e alla successiva divulgazione in rete del video in esame. La Corte territoriale, ad avviso del ricorrente, avrebbe ravvisato il dissenso della minore facendo leva sia sulla minaccia di raccontare la facilità di costumi della persona offesa, sia alla minaccia di divulgazione del video se la persona offesa non avesse acconsentito ad ulteriori rapporti sessuali: argomentazioni illogiche, ad avviso del ricorrente, poiché, per un verso, la minore aveva denunciato il padre per abusi sessuali e, in paese, per tale motivo erano iniziate e circolare voci che fosse una ragazza di facili costumi, sicché non sarebbe dato comprendere l’effetto intimidatorio della "minaccia" rivoltale dall’imputato; per altro verso, non vi sarebbe prova con rifermento alla divulgazione in rete conseguente al rifiuto di ulteriori rapporti sessuali, posto che la frase di "fare la brava altrimenti gliela avrebbe fatta pagare" era stata rivolta dall’imputato alla ragazza con tono scherzoso, per farle capire che non avrebbe dovuto frequentare altri ragazzi.
2.2. Con il secondo motiva si censura l’omessa assunzione di una prova decisiva. Ad avviso del ricorrente, il G.u.p., esercitando i poteri officiosi, ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, avrebbe dovuto disporre l’audizione della persona offesa al fine di accertare se questa avesse prestato o no il proprio consenso alla produzione e alla pubblicazione del filmato in esame. In assenza di tale accertamento, vi sarebbe quantomeno il dubbio che la minore abbia espresso il dissenso alle videoriprese ed ignorasse la destinazione delle stesse alla divulgazione in rete.
2.3. Con il terzo motivo di eccepisce il vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione nella misura massima delle circostanze attenuanti generiche, considerando l’unicità della condotta e il ravvedimento, rappresentato dalla rimozione dei link dai siti pornografici ad opera dell’imputato.
3. Il ricorso è inammissibile.
4. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente essendo strettamente connessi, sono inammissibili.
5. Invero, con il primo motivo il ricorrente non contesta nè di essere stato l’autore del filmato che lo ritraeva insieme alla minore, mentre costei stava praticando un rapporto orale, e nemmeno di avere divulgato tale filmato su siti pornografici; l’obiezione che muove il ricorrente è che la minore sarebbe stata consenziente sia alla produzione, che alla divulgazione del filmato.
Si tratta, all’evidenza, di una censura di fatto, che si scontra con quanto concordemente accertato dai giudici di merito, secondo cui la minore, all’epoca quindicenne, pur acconsentendo a un rapporto sessuale orale con l’imputato, maggiore in età di lei di undici anni, aveva espressamente negato il consenso alla ripresa del rapporto stesso, ciò che l’imputato comunque aveva fatto, minacciando la ragazza che, in caso contrario, avrebbe detto in giro che era una "ragazza facile", sebbene, una volta terminato l’atto, il N. avesse assicurato la minore che avrebbe tenuto il filmato solo per lui, nonostante la persona offesa gli avesse chiesto di cancellare il video ripreso in intimità.
6. Pacifico, dunque, il chiaro dissenso manifestato dalla minore sia alla ripresa video dell’atto sessuale, sia alla divulgazione del video mediante pubblicazione in internet su siti pornografici, per un verso, venendo al secondo motivo, correttamente è stata ravvisata la manifesta superfluità di esaminare, sul punto, la minore, non essendovi alcuna incertezza in ordine al dissenso da questa manifestato, e, per altro verso, la sussistenza del delitto in contestazione, essendo pacifica l’utilizzazione della minore, compiuta dall’imputato, nella produzione del materiale pedopornografico.
7. Invero, come affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 51815 del 31/05/2018 - dep. 15/11/2018, in motivazione), il nuovo inquadramento sistematico della fattispecie punita dall’art. 600-ter c.p., comma 1, per effetto delle modifiche introdotte, da ultimo, con la L. n. 172 del 2012, "induce a valorizzare, allo scopo di evitare l’incriminazione di un comportamento evidentemente privo di rilevanza penale, il concetto cardine di “utilizzazione del minore”, enfatizzandone la portata dispregiativa, nel senso che esso implica una “strumentalizzazione” del minore stesso.
Per “utilizzazione” deve dunque intendersi la trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere (Sez. 3, n. 1509 del 16/10/2018, dep. 14/01/2019, Rv. 274342; Sez. 3, n. 34162 del 07/06/2018, dep. 20/07/2018, Rv. 273676; Sez. 3, n. 1783 del 17/11/2016, dep. 16/01/2017, Rv. 269412), condotta che rende invalido anche un eventuale consenso.
8. Nel caso di specie, è pacifico che l’imputato abbia utilizzato la minore per la produzione di materiale pedopornografico, tenuto conto, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, sia del differenziale di età tra i protagonisti della vicenda, sia del fatto che l’imputato non solo aveva carpito il video con l’inganno, ma aveva anche minacciato la minore di divulgarlo, ove questa non avesse accondisceso a ulteriore incontri sessuali.
Si tratta di una motivazione immune da vizi giuridici e logici, che supera il vaglio di legittimità.
9. Il terzo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, infatti, ha evidenziato la genericità del motivo di appello, e quindi la sua inammissibilità, essendosi la difesa laconicamente limitata a richiedere "il contenimento della pena finale in termini meno afflittivi", senza però coniugare a tale asserzione alcuna motivazione, e considerando che la condotta successiva dell’imputato è stata valutata proprio per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Motivazione semplificata.