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Richiesta di estradizione non impedisce riconoscimento della sentenza straniera (Cons. Stato, 7504/24)

26 settembre 2024, Consiglio di Stato

L’istanza di riconoscimento di una sentenza straniera ex art. 731 c.p.p. non è preclusa da una richiesta estradizionale pendente, ponendosi in termini di alternatività alla estradizione: l'avvenuto riconoscimento preclude infatti la estradizione: illegittimo quindi il rifiuto di esaminare la istanza di riconposcimento per pendenza della domanda di estradizione. 

L’atto con cui il Ministero della Giustizia provvede sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale (ivi compreso sulle richieste di riconosciemto di una sentenza straniera ex art 731 c.p.p.) è un provvedimento amministrativo discrezionale, e come tale sindacabile dal giudice amministrativo sotto il profilo del difetto di motivazione.

Consiglio di Stato

N.  07794 /2024 REG.PROV.COLL.

N. 07504/2022 REG.RIC.

19 settembre (udienza) - 25 settembre 2024

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7504 del 2022, proposto da C M D, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Canestrini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 3201/2022, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il Cons. Giovanni

Tulumello e uditi i procuratori delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.     Con sentenza n. 3201/2022 il T.A.R. del Lazio, sede di Roma, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’odierno appellante – cittadino dell’U.E. residente in Italia - per l’annullamento provvedimento n. EP 76 (20) AR DD del 22 settembre 2020 del Ministero della Giustizia che respingeva l’istanza – presentata ai sensi dell’art. 731 cod. proc. pen. - di riconoscimento di una sentenza penale straniera di condanna ai fini dell’esecuzione nello Stato.

L’istanza era stata formulata dall’interessato al fine dell’esecuzione in Italia della pena prevista da tale sentenza, in luogo dell’estradizione (richiesta dal paese che tale sentenza aveva emesso)

L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dal ricorrente in primo grado.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione appellata per resistere al ricorso.

Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 settembre 2024.

2.     Il T.A.R. ha motivato la declaratoria d’inammissibilità per difetto d’interesse osservando che “allo stato la fase giurisdizionale non è ancora conclusa; a fortiori, ancora non stato adottato il decreto di estradizione da parte del Ministero della giustizia, unico provvedimento eventualmente lesivo delle ragioni del ricorrente (in termini, Tar Lazio, sez. I, 8 novembre 2021, n. 11436): ne consegue, indi, come il ricorrente non abbia alcun interesse all’annullamento della nota in questa sede gravata”.

L’appellante deduce in contrario: “Violazione di legge – mancanza di motivazione: sulla ritenuta carenza di interesse a ricorrere (artt. 100 c.p.c., 34 d. lgs. 104/2010, artt. 731, 739 c.p.p.)”.

Per l’ipotesi di accoglimento di tale mezzo, propedeutico all’esame del merito, ripropone quindi le censure già formulate in primo grado e non esaminate in ragione dell’assorbimento determinato dalla statuizione d’inammissibilità:

1)    “Violazione di legge – eccesso di potere – difetto di istruttoria e mancanza di motivazione (artt. 3, 6 lett. b) e 21-octies della l. 241/1990)”.

2)   “Violazione di legge (art. 21-octies l. 241/1990) – errata applicazione degli artt. 731 e 739 c.p.p. – mancata applicazione della convenzione per il trasferimento dei condannati dd. 21.03.1983 – mancata applicazione degli artt. 18 e 21 del TFUE”

3.    Il motivo di appello avente ad oggetto la decisione sull’interesse a ricorrere è fondato.

L’appellante fondatamente deduce che “i due procedimenti si pongono in rapporto di alternatività: se viene accolta l’istanza di riconoscimento ex art. 731 c.p.p., il signor C sconterà la pena in Italia – e non negli Stati Uniti; se invece viene accolta la richiesta estradizionale, il signor C sconterà la pena negli Stati Uniti – e non in Italia”.

Tale argomento è peraltro fondato sul tenore testuale dell’art. 739 cod. proc. pen.: “Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera, salvo che si tratti dell'esecuzione di una confisca, il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze”.

Posto che nessuna delle due richiamate disposizioni espressamente afferma la propedeuticità (o comunque la pregiudizialità) di un procedimento rispetto all’altro, se proprio tale rapporto va individuato esso si ricava, sul piano logico-sistematico, in direzione inversa a quella posta a fondamento della decisione gravata, proprio per la perentoria affermazione contenuta nel citato art. 739 cod. proc. pen.

Il procedimento ex art. 731 cod. proc. pen. è dunque semmai propedeutico e condizionante rispetto a quello relativo all’estradizione (né si ricava dalla richiamata disciplina alcun ruolo ostativo, rispetto alla ricostruzione riferita, del profilo  diacronico  della  fattispecie,  o  comunque  un  effetto  di  decadenza conseguente all’avvio del procedimento di estradizione).

Il condannato ha pertanto un autonomo interesse allo scrutinio della legittimità del provvedimento ex art. 731 cod. proc. pen., non collegato al procedimento di estradizione se non nel senso che, ove detto provvedimento venga adottato, il procedimento di estradizione non può avere luogo.

Siffatto collegamento, preclusivo e in negativo, non può dunque essere rovesciato, ponendo il termine del procedimento di estradizione quale condizione per la sussistenza di un interesse al sindacato della legittimità del provvedimento di (mancato) riconoscimento della sentenza di condanna straniera.

4.     Posta la fondatezza di tale mezzo, si pone il problema delle conseguenze sul giudizio in atto.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha recentemente sollecitato l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ad una rimeditazione in punto di applicazione dell’art. 105 cod. proc. amm. nell’ipotesi in cui il giudice d’appello ritenga di cassare la statuizione del T.A.R. che dichiara il ricorso inammissibile per difetto d’interesse (sentenza non definitiva n. 652 del 16 agosto 2024).

In disparte tale profilo, sicuramente rilevante, va osservato che nel caso di specie l’impugnato provvedimento ministeriale risulta così motivato: “Si comunica che l’istanza in oggetto non può allo stato avere seguito in quanto gli Stati Uniti d’America hanno presentato domanda di estradizione nei confronti di C M D sulla base del Trattato di estradizione sottoscritto a Roma il 13.10.1983, come modificato con Accordo bilaterale sottoscritto il 3.5.2006, il quale non prevede l’esecuzione nello Stato richiesto della condanna inflitta all’estradando nello stato richiedente in luogo dell’estradizione”.

L’appellante sul punto, oltre a svolgere ne (riproposto) primo motivo del ricorso al TAR alcune censure di carattere istruttorio e motivazionale, nel (pure riproposto) secondo motivo osserva che il Ministero, investito dell’istanza, “avrebbe dovuto semplicemente verificare l’esistenza di un accordo internazionale secondo il quale la sentenza oggetto della richiesta potesse trovare esecuzione nello Stato italiano. Nel caso di specie, l’accordo in questione deve considerarsi – come anticipato – la Convenzione sul trasferimento dei condannati conclusa a Strasburgo il 21.03.1983 tra gli Stati del Consiglio d’Europa e altri Stati firmatari (tra cui gli Stati Uniti d’America), alla quale l’Italia ha dato esecuzione con la legge 25 luglio 1988 n. 334”.

5.   Il Collegio ritiene preliminarmente che su tale domanda sussista la giurisdizione del giudice amministrativo.

L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, nella sentenza n. 15 del 2022, ha esaminato il tema – affine - della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla legittimità (con particolare riferimento ai vizi motivazionali) dei provvedimenti ministeriali incidenti sulle condizioni di esecuzione della pena nello Stato,  ed ha affermato che “l’ordinanza     di   rimessione  trae   quindi la conseguenza che la sede propria in cui esaminare le questioni sollevate nel presente giudizio dai ricorrenti sulla legittimità delle richieste del governo indiano sarebbe la fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., e non già quella amministrativa di competenza del Ministro della giustizia. La tesi si risolve tuttavia in una sottovalutazione dei poteri a quest’ultimo attribuiti dall’art. 723 cod. proc. pen. più volte richiamato. (….) non è possibile postulare una rilevanza esclusiva delle medesime questioni nella fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., come           prospetta   l’ordinanza   di   rimessione.   Infatti,  in   quest’ultima   non sono innanzitutto valutabili profili di pericolo per la sovranità nazionale, demandati in via esclusiva all’autorità ministeriale, mentre l’art. 723, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce a quest’ultimo il potere di verificare se la richiesta di assistenza giudiziaria internazionale non sia evidentemente contraria alla legge o ai principi fondamentali   dell’ordinamento   giuridico   italiano.   22.   In   secondo   luogo,   il differente grado di cognizione spettante in ordine ai presupposti in questione al Ministro della giustizia rispetto all’autorità giurisdizionale, reso palese dal fatto che per l’art. 723 la richiesta del Paese estero può essere respinta quando «risulta evidente» che quest’ultima sia contraria alla legge o ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, non impedisce al Ministro della giustizia di vagliare la richiesta in conformità al principio del ne bis in idem sancito dall’art. 649 cod. proc. pen., più volte citato, o alla necessità della doppia incriminazione con specifico riguardo all’imputazione di riciclaggio formulata dall’autorità giudiziaria indiana, sotto il profilo della sua conformità all’art. 648-bis cod. pen. parimenti sopra menzionato. In entrambi i casi vengono infatti in rilievo possibili violazioni espresse della legge interna o di contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, astrattamente riconducibili all’ipotesi di “blocco” della richiesta di assistenza prevista dall’art. 723, comma 5, cod. proc. pen., come finora rilevato”.

Ritiene il Collegio che le riportate conclusioni possano applicarsi anche al provvedimento impugnato nel presente giudizio, le cui caratteristiche ed i cui effetti non differiscono da quelle dei provvedimenti adottati ex art. 723 cod. proc. pen. (oggetto della richiamata sentenza della Plenaria).

6.   Ciò posto, risulta assorbente la fondatezza dei motivi del ricorso di primo grado, qui riproposti, con cui si denunciano i vizi istruttori e motivazionali del provvedimento ministeriale.

La motivazione dell’impugnato diniego è incentrata unicamente sull’avvenuta presentazione della domanda di estradizione da parte degli Stati Uniti d’America: ma tale domanda, ai sensi del citato art. 739 cod. proc. pen., sarebbe paralizzata da un favorevole scrutinio della domanda proposta dall’interessato ex art. 731 stesso codice.

Sicché l’indicata motivazione, oltre che carente, in quanto il potere si sarebbe dovuto esercitare secondo i (diversi) parametri posti dall’art. 733 cod. proc. pen. e dall’art. 12, ultimo comma, del codice penale, è contraria al paradigma normativo che regola la disciplina degli istituti in esame.

Ne consegue la fondatezza del ricorso di primo grado che va, in questi termini, accolto, con conseguente annullamento del provvedimento con esso impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti (emendati dai ridetti vizi).

L’accoglimento del ricorso rende superfluo l’esame della domanda, proposta in via subordinata, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato.

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, liquidate in complessivi euro cinquemila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Michele Corradino, Presidente Giovanni Pescatore, Consigliere Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Angelo Roberto Cerroni, Consigliere