Il rifiuto di sottorposi all'etiloemtro è un reato istantaneo che si consuma con il rifiuto: è quindi del tutto irrilevante che successivamente si decida di aderire alle richieste del personale operante di sottoporsi all'alcoltest.
Anche per il rifiuto di sottoporsi all'etilomero può applicarsi l'istituto della particolare tenuità, sempre che l'impatto pregiudizievole per la sicurezza della circolazione stradale sia minimo.
Per valutare il pregudizio per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice deve farsi riferimento a tutte le complessive peculiarità della fattispecie concreta, tenuto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo.
Non risulta ostativa al riconoscimento dell'istituto della tenuità del fatto la presenza di altri precedenti penali non specifici a carico dell'imputato: ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità l'identità dell'indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni.
L'aggravante dell'orario notturno non è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all'etilometro.
In presenza di un ricorso ammissibile, la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., può essere dichiarata dalla Corte di cassazione, anche se non accolta nel corso del giudizio di merito, quando i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano, quindi, necessari ulteriori accertamenti in fatto.
Cassazione penale
Sez. IV, ud. 30/05/2018 sentenza 24-09-2018, n. 40926
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -
Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere -
Dott. BRUNO Mariarosaria - rel. Consigliere -
Dott. CENCI Daniele - Consigliere -
Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.L., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/01/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ZACCO Franca, che ha concluso chiedendo, escluse le aggravanti contestate, l'annullamento senza rinvio per la particolare tenuità del fatto.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa in data 15/1/2018, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Monza con cui B.L., ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 186, comma 7, cod. strada era condannato alla pena di mesi due, giorni venti di arresto ed Euro 1000 di ammenda.
Dalla ricostruzione offerta dai giudici di merito risulta che il ricorrente, fermato dalla polizia per un controllo alla guida del veicolo, dapprima rifiutò di sottoporsi all'alcoltest e, successivamente, dopo essersi consultato telefonicamente con il suo difensore, mutato proposito, decise di eseguire il test.
Dagli accertamenti effettuati risultò un tasso alcolemico pari a 0,32g/I, inferiore al tasso minimo previsto dalla norma perchè si configuri la condizione della guida in stato di ebbrezza.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato che ha rassegnato i seguenti motivi, in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Primo motivo: vizio di motivazione. La difesa lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Sebbene il reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento dell'alcoltest sia reato di natura istantanea, rappresenta che B. era stato fermato solo per un controllo; che non era stato previamente avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore; che l'alcoltest aveva dato esito negativo; che l'imputato non aveva provocato incidenti stradali o tenuto una condotta di guida pericolosa. Pertanto, non sussisterebbe la responsabilità del ricorrente in ordine al reato a lui ascritto.
Secondo motivo: violazione di legge in relazione alla mancata disapplicazione dell'art. 186 C.d.S., comma 2 sexies, contestata nella imputazione. La difesa rammenta che l'art. 186 C.d.S., comma 7, prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c) del medesimo articolo.
La disposizione fa espresso riferimento solo al comma 2, lett. c), del medesimo articolo e non anche al comma 2 sexies, che prevede l'aggravante di aver commesso il fatto tra le ore 22 e le ore 7.00. In una problematica applicativa analoga, afferma la difesa, le Sezioni Unite della Cassazione, (Sez. U. n. 46625 del 29/10/2015, Zucconi, Rv. 265025) hanno stabilito che, nell'ambito dell'art. 186 C.d.S., è da escludere che il mancato esplicito riferimento del comma 7, al comma 2 bis, sia il risultato di un difetto di coordinamento, affermando che la circostanza aggravante dell'aver provocato un incidente stradale non sia configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza. Dalle disposizioni citate emergerebbe la diversità ontologica esistente tra il concetto di "conducente in stato di ebbrezza" e quello di "conducente che si rifiuti di sottoporsi all'accertamento". Analogo ragionamento andrebbe svolto con riferimento all'aggravante di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 sexies, che sarebbe inapplicabile al caso in esame.
Terzo e quarto motivo: mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p..
La difesa deduce che la motivazione espressa sul punto dalla Corte territoriale è illogica e contraddittoria. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito in materia la compatibilità dell'istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto con il reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoolimetrico (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).
Nel caso in esame, la condotta serbata dal ricorrente, diversamente da quanto argomentato dalla Corte territoriale, presenterebbe i caratteri della particolare tenuità del fatto: l'imputato veniva fermato per un normale controllo di polizia; la sua condotta era stata priva di conseguenze sulla circolazione stradale e non aveva leso in alcun modo il bene giuridico tutelato dalla norma; l'imputato dopo essersi rifiutato di sottoporsi al test, si ravvedeva immediatamente ed a distanza di soli 19 minuti, dopo avere conferito con il suo difensore, dava la propria disponibilità a sottoporsi all'esame che sortiva esito negativo; i precedenti annoverati dal ricorrente, tutti molto risalenti, non riguardavano condanne per fatti analoghi.
Quinto motivo: violazione di legge con riferimento all'art. 168 c.p..
Motivi della decisione
1. Fondato è il motivo di ricorso riguardante la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., per le ragioni di seguito illustrate.
2. Deve in primo luogo rilevarsi come la censura proposta nel primo motivo di ricorso, attinente alla responsabilità dell'imputato, sia manifestamente infondata avendo la Corte territoriale offerto congrua motivazione in ordine alla ricorrenza del reato contemplato dall'art. 186 C.d.S., comma 7. Trattandosi di reato istantaneo che si consuma con l'opposizione del rifiuto, è del tutto irrilevante che l'imputato abbia deciso successivamente di aderire alle richieste del personale operante di sottoporsi all'alcoltest. Quanto al mancato avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, la difesa introduce l'argomento allo scopo di sostenere la insussistenza del reato. La circostanza, tuttavia, non è suscettibile di incidere su tale aspetto ma, eventualmente, sulla nullità dell'atto che deve essere comunque eccepita fino ai momento della deliberazione della sentenza di primo grado (così Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Rv. 263025).
Occorre quindi ribadire che il reato sussiste, come già affermato dalla Corte territoriale.
3. Fondato risulta, invece, il motivo di ricorso attinente al difetto di punibilità a norma dell'art. 131 bis c.p., e quello riguardante la esclusione dell'aggravante contestata.
La Corte d'appello di Milano, esaminando la specifica questione sollevata dalla difesa, così ha argomentato l'inapplicabilità della causa di non punibilità: "non può trovare applicazione la causa di non punibilità, trattandosi di fatto tutt'altro che trascurabile commesso da un pluripregiudicato per violazione della disciplina degli stupefacenti e furto, che non ha mai manifestato il minimo segno di ravvedimento in relazione ad un'ipotesi di reato grave e connessa alla sicurezza della circolazione stradale".
Orbene, deve ritenersi che il caso oggetto del giudizio, rientri nel perimetro di applicazione dell'art. 131 bis c.p., diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale che rigetta la richiesta con argomentazioni non idonee sul piano logico e giuridico.
Ed invero, in primo luogo, come ricordato nel ricorso, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno ammesso l'astratta possibilità di applicare l'istituto della particolare tenuità alla fattispecie di reato in esame, ritenuta del tutto compatibile con la previsione normativa di cui all'art. 131 bis c.p., fermo restando il necessario apprezzamento delle condizioni che permettono di valutare, nel caso concreto, il tenue "impatto pregiudizievole per il bene tutelato".
Il principio stabilito dalle Sezioni Unite, risulta così massimato: "La causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p., applicabile ad ogni fattispecie criminosa, è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoolimetrico, previsto dall'art. 186 C.d.S., comma 7, posto che, accertata la situazione pericolosa e dunque l'offesa, resta pur sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravità dell'illecito, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si iscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato". (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).
Secondo il consolidato orientamento di legittimità, ai fini dell'applicazione dell'istituto, deve farsi riferimento a tutte le complessive peculiarità della fattispecie concreta, tenuto conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (così Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Non risulta ostativa al riconoscimento dell'istituto la presenza di altri precedenti penali non specifici a carico dell'imputato: ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità l'identità dell'indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (Sez. 4, n. 27323 del 4/5/2017, Rv. 270107).
Orbene, valutato il caso concreto alla luce dei suddetti principi è fondata la doglianza afferente al vizio di motivazione lamentato dalla difesa del ricorrente nella sentenza impugnata.
Ai fini dell'inquadramento del fatto nell'ambito della previsione di cui all'art. 131 bis c.p., risultano significative le seguenti circostanze.
Il ricorrente pur essendosi rifiutato in un primo momento di sottoporsi all'accertamento ha, nel volgere di breve tempo, acconsentito all'effettuazione dell'alcoltest, con ciò dimostrando un sia pur tardivo ripensamento rispetto alla iniziale inottemperante condotta.
L'accertamento aveva sortito un esito negativo quanto alla condizione di guida in stato di ebbrezza, essendo il tasso alcolemico rilevato inferiore alla soglia minima prevista dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a).
Quindi, in concreto, il bene tutelato dalla norma della sicurezza nella circolazione stradale non era stato messo in pericolo dalla condotta serbata dal ricorrente.
L'aggravante contestata di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 sexies, come lamentato dal difensore nel secondo motivo di ricorso, per costante giurisprudenza di questa Corte, non è compatibile con il reato di rifiuto contemplato dall'art. 186 C.d.S., comma 7, (così ex multis Sez. 4, n. 6531 del 9/1/2018, Beretta, Rv. 272191). Essa, pertanto, andava esclusa.
I precedenti da cui risulta gravato il ricorrente, di epoca risalente e di natura non specifica, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non consentono di ritenere integrata l'abitualità del comportamento.
4. E' stato affermato che, in applicazione della regola fissata dall'art. 129 c.p.p., in presenza di un ricorso ammissibile, la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., può essere dichiarata dalla Corte di cassazione, anche se non accolta nel corso del giudizio di merito, quando i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano, quindi, necessari ulteriori accertamenti in fatto (così Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271).
Nel caso in esame, pertanto, deve giungersi alla indicata pronuncia di non punibilità poichè emerge che il fatto rientra nei canoni normativi di cui all'art. 131 bis c.p..
5. Resta assorbito nella decisione assunta il quinto motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato ascritto non punibile per particolare tenuità del fatto.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018