Rispetto dei diritti fondamentali in ambito europeo tra presunzioni ed effettività. Il decalogo italiano per rilevare nel procedimento MAE il rischio di trattamento carcerario inumano o degradante (contributo di Nicola Canestrini. Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10).
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(omissis)
La Corte Italiana di Cassazione non ha tardato ad adeguarsi alla sentenza Aranyosi - Caldararu, dapprima con le sentenze Barbu e Rusu (giungo), Udrea (luglio) e Tornita del mese di agosto 2016[1], e - da ultimo - con la sentenza sempre della sez. VI Penale, del 21 - 26 settembre 2016, n. 40032, L.F.
La Suprema Corte con gli arresti citati afferma chiaramente che
"la circostanza che lo Stato di emissione sia membro dell?Unione europea se da un lato giustifica l'introduzione di regole per la semplificazione delle procedure di cooperazione giudiziaria in materia penale, basate sulla reciproca fiducia e quindi sulla presunzione dell'osservanza dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, necessaria al funzionamento dell'Unione stessa, dall'altro non può far tollerare situazioni in cui sia dimostrato che il medesimo Stato, attraverso le sue autorità nazionali, non garantisca l'effettiva protezione di tali diritti"[2].
Per poter superare la suddetta presunzione del rispetto dei diritti fondamentali, è peraltro necessario dimostrare che sussista il pericolo "concreto" che la persona di cui si chiede la consegna sara? sottoposta nello Stato di emissione a trattamenti inumani e degradanti, vietati dall'art. 3 CEDU e dall?art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell?U.E.
A tal fine, l?autorità giudiziaria italiana, quale Stato di esecuzione, qualora stabilisca, sulla base di fonti attendibili, precise e opportunamente aggiornate (quali, ad es. le sentenze della Corte EDU, rapporti ufficiali di organismi internazionali intergovernativi deputati alla tutela dei diritti umani, ecc.), che vi sia il rischio di trattamento inumano o degradante dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente, e tenuto conto dell'espresso motivo di rifiuto della consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), è obbligata a svolgere una verifica specifica, richiedendo informazioni supplementari secondo il ?decalogo? da ultimo riassunto dalla Suprema Corte[3]:
1) inoltro all'autorità giudiziaria romena la richiesta di istruttoria complementare, ai sensi dell'art. 16 della I. n. 69 dei 2005, avente ad oggetto le seguenti informazioni:
- se la persona richiesta in consegna sarà detenuta presso una struttura carceraria;
- ove sia positivamente riscontrato il primo accertamento, le condizioni di detenzione che saranno riservate all'interessato, al fine di escludere, in concreto, il rischio di un trattamento inumano o degradante (ovvero il nome della struttura in cui sarà detenuto, lo spazio individuale minimo intramurario allo stesso riservato, le condizioni igieniche e di salubrità dell'alloggio; i meccanismi nazionali o internazionali per il controllo delle condizioni effettive di detenzione del consegnando);
2) fissazione, nell'inoltrare la richiesta di informazioni complementari, di un termine adeguato ai tempi necessari allo Stato di emissione per raccogliere le informazioni, richieste, se necessario ricorrendo a tal fine all'assistenza dell'autorità centrale, che, ai sensi dell'art. 16 cit., non potrà comunque essere superiore ai trenta giorni;
3) fissazione di un termine massimo per la ricezione delle informazioni complementari che tenga conto dei termini fissati dall'art. 17 della decisione quadro, ma che sia al contempo adeguato ai tempi necessari allo Stato di emissione per raccogliere le informazioni richieste, se necessario ricorrendo a tal fine all'assistenza dell'autorità centrale;
4) valutazione, una ricevute le informazioni richieste, se resti escluso il rischio concreto di un trattamento inumano e degradante, determinandosi alla consegna ove intervengano informazioni sufficienti ad escludere il rischio del paventato trattamento, rifiutando altrimenti allo «stato degli atti», ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. h) I. n. 69 del 2005, la consegna.
Conclusione: è sempre intollerabile la violazione di diritti fondamentali
L'elaborazione del decalogo potrà forse da stimolo per quelle Corti di Appello che nei procedimenti per l'esecuzione di un Mandato di Arresto Europeo privilegiano un approccio formalistico e non sostanziale al più importante strumento di cooperazione europea in materia penale.
Per quanto le procedure anche in materia di cooperazione giudiziaria europea possano essere tranquillizzanti, gli arresti della giurisprudenza italiana ed europea citati rimarcano che le medesime procedure - lungi da fondare automatismi - presuppongono la costante verifica di attualità della condivisone dei valori comuni, fra tutti il necessario rispetto dei diritti fondamentali.
Addendum: la teoria della cd. protezione equivalente ("presunzione Bosforo")
Anche quando applicano il diritto dell'Unione, gli Stati contraenti restano vincolati dagli obblighi che hanno liberamente assunto con l'adesione alla Convenzione. Tuttavia, tali obblighi devono essere valutati alla luce della presunzione stabilita dalla Corte nella sentenza Bosphorus e sviluppata nella causa Michaud (si veda anche M.S.S. c. Belgio e Grecia [GC], no. 30696/09, § 338, CEDU 2011).
In Michaud, la Corte ha riassunto la sua giurisprudenza su questa presunzione nei seguenti termini.
"102. La Corte ribadisce che esonerare completamente gli Stati contraenti dalla loro responsabilità nei confronti della Convenzione quando essi si limitano ad adempiere ai loro obblighi in quanto membri di un'organizzazione internazionale alla quale hanno trasferito una parte della loro sovranità sarebbe incompatibile con lo scopo e l'oggetto della Convenzione: le garanzie della Convenzione potrebbero essere limitate o escluse a piacimento, privandola così del suo carattere perentorio e minando il carattere pratico ed effettivo delle sue salvaguardie. In altre parole, gli Stati restano responsabili, ai sensi della Convenzione, delle misure che adottano per adempiere ai loro obblighi giuridici internazionali, anche quando tali obblighi derivano dalla loro appartenenza a un'organizzazione internazionale alla quale hanno trasferito parte della loro sovranità (cfr. Bosforo, sopra citata, § 154).
103. È vero, tuttavia, che la Corte ha anche affermato che l'azione intrapresa in ottemperanza a tali obblighi è giustificata quando l'organizzazione in questione tutela i diritti fondamentali, sia per quanto riguarda le garanzie sostanziali offerte sia per quanto riguarda i meccanismi che ne controllano l'osservanza, in un modo che può essere considerato almeno equivalente - vale a dire non identico ma "comparabile" - a quello previsto dalla Convenzione (fermo restando che tale constatazione di "equivalenza" non potrebbe essere definitiva e sarebbe suscettibile di revisione alla luce di qualsiasi cambiamento pertinente nella tutela dei diritti fondamentali). Se si ritiene che l'organizzazione fornisca una protezione equivalente, si presume che uno Stato non si sia discostato dai requisiti della Convenzione quando si limita ad attuare gli obblighi giuridici derivanti dalla sua appartenenza all'organizzazione.
Tuttavia, uno Stato sarà pienamente responsabile ai sensi della Convenzione per tutti gli atti che esulano dai suoi obblighi giuridici internazionali, in particolare quando ha esercitato una discrezionalità statale (cfr. M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 338). Inoltre, tale presunzione può essere confutata se, nelle circostanze di un caso particolare, si ritiene che la protezione dei diritti della Convenzione sia stata manifestamente carente. In tali casi, l'interesse della cooperazione internazionale sarebbe superato dal ruolo della Convenzione quale "strumento costituzionale di ordine pubblico europeo" nel campo dei diritti umani (cfr. Bosforo, sopra citata, §§ 152-58, e anche, tra le altre autorità, M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, §§ 338-40).
104. Questa presunzione di protezione equivalente è intesa, in particolare, a garantire che uno Stato contraente non si trovi di fronte a un dilemma quando è costretto a invocare gli obblighi giuridici che gli incombono in virtù della sua appartenenza a un'organizzazione internazionale che non è parte della Convenzione e alla quale ha trasferito parte della sua sovranità, al fine di giustificare le sue azioni o omissioni derivanti da tale appartenenza nei confronti della Convenzione. Serve anche a determinare in quali casi la Corte può, nell'interesse della cooperazione internazionale, ridurre l'intensità del suo ruolo di supervisione, conferitole dall'articolo 19 della Convenzione, per quanto riguarda l'osservanza da parte degli Stati contraenti dei loro impegni derivanti dalla Convenzione. Da questi obiettivi consegue che la Corte accetterà tale accordo solo se i diritti e le garanzie che essa tutela riceveranno una protezione paragonabile a quella offerta dalla Corte stessa. In caso contrario, lo Stato sfuggirebbe a qualsiasi controllo internazionale sulla compatibilità delle sue azioni con gli impegni assunti con la Convenzione".
102. Nel contesto dell'ex "primo pilastro" dell'Unione europea (cfr. Bosphorus, sopra citata, § 72), la Corte ha ritenuto che la tutela dei diritti fondamentali offerta dall'ordinamento giuridico dell'Unione europea fosse in linea di principio equivalente a quella prevista dalla Convenzione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha constatato, in primo luogo, che l'Unione europea offre una protezione equivalente delle garanzie sostanziali, osservando a questo proposito che all'epoca il rispetto dei diritti fondamentali era già una condizione di legittimità degli atti comunitari e che la CGUE ha fatto ampio riferimento alle disposizioni della Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo nell'effettuare la sua valutazione (cfr. Bosphorus, cit., § 159). Questa constatazione si applica a maggior ragione dal 1° dicembre 2009, data di entrata in vigore dell'articolo 6 (modificato) del TUE, che conferisce alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea lo stesso valore dei Trattati e attribuisce ai diritti fondamentali, quali garantiti dalla Convenzione e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, lo status di principi generali del diritto dell'Unione europea (cfr. Michaud, sopra citata, § 106).
103. La Corte ha ritenuto equivalente la tutela sostanziale offerta dal diritto dell'Unione tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 52 § 3 della Carta dei diritti fondamentali, secondo cui, nella misura in cui i diritti contenuti nella Carta corrispondono ai diritti garantiti dalla Convenzione, il loro significato e la loro portata sono identici, fatta salva la possibilità per il diritto dell'Unione di fornire una tutela più ampia (si veda Bosphorus, sopra citata, § 80). Nell'esaminare se, nel caso in esame, possa ancora ritenere che la protezione offerta dal diritto dell'Unione sia equivalente a quella prevista dalla Convenzione, la Corte è particolarmente attenta all'importanza del rispetto della norma di cui all'articolo 52 § 3 della Carta dei diritti fondamentali, dato che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (cfr. paragrafo 37 supra) ha conferito alla Carta lo stesso valore giuridico dei Trattati.
104. In secondo luogo, la Corte ha riconosciuto che il meccanismo previsto dal diritto dell'Unione per il controllo del rispetto dei diritti fondamentali, nella misura in cui è stato sfruttato appieno il suo potenziale, offre anche una protezione paragonabile a quella prevista dalla Convenzione. Su questo punto, la Corte ha attribuito una notevole importanza al ruolo e ai poteri della CGUE, nonostante il fatto che l'accesso individuale a tale organo giurisdizionale sia molto più limitato rispetto all'accesso a questa Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione (cfr. Bosphorus, §§ 160-65, e Michaud, §§ 106-11, entrambi citati).
In breve: l'applicazione della presunzione Bosphorus nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea è soggetta a due condizioni, enunciate nella citata sentenza Michaud. Si tratta dell'assenza di margini di manovra da parte delle autorità nazionali e del dispiegamento di tutte le potenzialità del meccanismo di vigilanza previsto dal diritto dell'Unione.
Fonte: Corte europea dei diritti dell'uomo, GRAND CHAMBER, CASE OF AVOTIŅŠ v. LATVIA, 23 maggio 2016 https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-163114.