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Sospensione condizionale è diritto dell'incensurato? (Cass. 29631/18)

2 luglio 2018, Cassazione penale

La condizione di incensurato dell'imputato, pur non essendo di per sè certamente sufficiente ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale della pena, costituisce tuttavia un elemento di indubbia valenza positiva, che esige l'individuazione di uno o più aspetti di segno contrario idonei a neutralizzarla, e ciò soprattutto ove  la pena in concreto inflitta è ampiamente inferiore al limite di pena previsto per la concedibilità del beneficio.

La mancanza di una lecita occupazione non è elemento di per sè idoneo a giustificare il convincimento che l'autore del fatto, specie se giovane e incensurato, reitererà il reato nonostante la condanna subita, e non deciderà, piuttosto, di cambiare condotta di vita per impedire l'esecuzione della pena, attivandosi per procurarsi una lecita fonte di reddito.

La concedibilità della sospensione condizionale della pena possa rientrare tra le determinazioni che la Corte possa assumere senza rinvio, qualora, come avvenuto nel caso di specie, dagli elementi di fatto già accertati da entrambi i giudici di merito, siano rilevabili tutti i presupposti per poter formulare la valutazione prognostica richiesta dall'art. 164 cod. proc. pen., nel rispetto delle condizioni normative fissate dall'art. 163 cod. proc. pen..

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 16/02/2018) 02-07-2018, n. 29631

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito - Presidente -

Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -

Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere -

Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.S., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15-09-2016 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Simone Perelli, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza del Tribunale di Bergamo del 27 marzo 2013, F.S. veniva condannato alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 3.000 di multa in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ritenuta l'ipotesi prevista dal comma 5, per aver detenuto, in concorso con G.C., due dosi di sostanza stupefacente di tipo cocaina, del peso netto di gr. 0,25, che offriva in vendita ad V.A., fatto accertato in (OMISSIS).

La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 15 settembre 2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena inflitta al ricorrente a mesi 6 di reclusione ed Euro 800 di multa.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello bresciana, F.S., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

Con il primo, censura il trattamento sanzionatorio, evidenziando che l'eccessivo discostamento dalla pena base da parte dei giudici di merito non trova alcuna giustificazione nè nella modalità del fatto, di per sè non particolarmente gravi, nè nella personalità dell'imputato, incensurato.

Con il secondo motivo, la difesa contesta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 164 cod. pen., osservando che, nel rigettare la richiesta avente ad oggetto la sospensione condizionale della pena, la Corte di appello ha invocato la presenza del ricorrente in un luogo notoriamente frequentato da tossicomani, circostanza questa inidonea a dimostrare un'inclinazione a delinquere, che invece andava esclusa per l'assenza di precedenti penali.

Motivi della decisione

In accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al diniego della sospensione condizionale della pena, beneficio che viene concesso in questa sede.

1. Prima di soffermarsi su questo aspetto, occorre rilevare che il primo motivo di ricorso è infondato.

In punto di trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata resiste infatti alle obiezioni difensive, essendo stata motivata la necessità di non attestare la pena sul minimo edittale "stante l'insistenza mostrata dal prevenuto nel rinvenimento di possibili acquirenti di sostanza stupefacente, la modalità di confezionamento della droga in palline termosaldate e l'occultamento di quest'ultima nella cavità orale, con conseguente intralcio all'attività di indagine della P.G.".

Il giudizio della Corte territoriale, in quanto ancorato alle risultanze probatorie acquisite e privo di elementi di illogicità, non risulta censurabile in questa sede, dovendosi in ogni caso rimarcare che le due conformi sentenze di merito hanno comunque valorizzato gli elementi favorevoli segnalati dalla difesa, come la condizione di incensurato dell'imputato, con il riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990, la cui applicazione non determina tuttavia la necessità di attestarsi automaticamente sul relativo minimo edittale, ben potendo anche la dimensione della lieve entità del fatto presentare una pluralità di elementi in grado di orientare, alla luce dei parametri fissati dall'art. 133 cod. pen., la determinazione della pena finale in misura non prossima al minimo, come avvenuto appunto nel caso di specie, con motivazione razionale e congrua.

2. E' invece fondato il secondo motivo.

Nel giustificare il diniego della sospensione condizionale della pena, infatti, le due sentenze di merito hanno richiamato, in maniera sostanzialmente sovrapponibile, sia la dedizione allo spaccio del ricorrente, sorpreso mentre cercava di vendere più sostanze a un giovane in una piazza notoriamente frequentata da venditori e acquirenti di droga, sia l'ulteriore circostanza dell'assenza di una regolare attività lavorativa da parte di F., con conseguente predisposizione dello stesso alla commissione di attività illecite per il rinvenimento dei mezzi di sussistenza.

Si tratta tuttavia di parametri valutativi inidonei a giustificare la mancata concessione del beneficio, a fronte dello status di incensurato dell'imputato, che peraltro all'epoca del fatto non aveva ancora compiuto 23 anni.

Sul punto deve infatti richiamarsi l'orientamento costante di questa Corte (Sez. 4, n. 2773 del 27/11/2012, Rv. 254969), secondo cui la condizione di incensurato dell'imputato, pur non essendo di per sè certamente sufficiente ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale della pena, costituisce tuttavia un elemento di indubbia valenza positiva, che esige l'individuazione di uno o più aspetti di segno contrario idonei a neutralizzarla, e ciò soprattutto ove, come avvenuto nel caso di specie, la pena in concreto inflitta (1 anno) sia ampiamente inferiore al limite di pena previsto per la concedibilità del beneficio.

Orbene, quanto al primo elemento valorizzato dalle decisioni di merito, l'essere cioè il fatto avvenuto in una piazza frequentata abitualmente da assuntori e da spacciatori di droga, deve rilevarsi che si tratta di una circostanza che, per quanto rilevante sul piano probatorio e ai fini della determinazione della pena, tuttavia non appare da sola sufficiente a sorreggere anche la formulazione di una prognosi negativa sui futuri comportamenti dell'imputato, stante la occasionalità della condotta, accertata con riferimento a un unico e isolato episodio.

In ordine poi al rilievo sull'assenza di un'attività lavorativa stabile, va richiamata l'affermazione della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 33746 del 26/04/2017, Rv. 270609), secondo cui la mancanza di una lecita occupazione non è elemento di per sè idoneo a giustificare il convincimento che l'autore del fatto, specie se giovane e incensurato, reitererà il reato nonostante la condanna subita, e non deciderà, piuttosto, di cambiare condotta di vita per impedire l'esecuzione della pena, attivandosi per procurarsi una lecita fonte di reddito.

Ribadita l'inidoneità delle circostanze valorizzate dalle decisioni di merito a giustificare una previsione negativa sulle condotte future di F., deve invece ritenersi che gli elementi acquisiti (condizione di incensurato dell'imputato, giovane età dello stesso, qualificazione del fatto in termini di lieve entità, determinazione della pena in misura distante dal limite dei due anni, pur se non attestata sul minimo edittale) avrebbero consentito, in assenza di serie indicazioni di segno contrario e in una valutazione complessiva dei parametri ex art. 133 cod. pen., il riconoscimento della sospensione condizionale della pena.

3. Ciò posto, deve ritenersi che il predetto beneficio possa essere concesso all'imputato in questa sede, alla luce dell'attuale formulazione dell'art. 620 c.p.p., lett. l), come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 67.

La latitudine operativa della nuova previsione è stata recentemente approfondita dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3464 del 30 novembre 2017, Rv. 271831. Il Supremo Consesso ha innanzitutto operato un raffronto tra l'iniziale formulazione del dettato codicistico, che aggiungeva, ai casi di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata specificamente indicati nelle precedenti lettere da a) ad i), "ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari", e l'attuale tenore della norma, che prevede la possibilità dell'annullamento senza rinvio "se la Corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio".

Dal confronto tra la versione originaria della norma e quella attuale si è rilevato che la struttura della norma non è sostanzialmente mutata nella individuazione di due ipotesi residuali di annullamento senza rinvio; la seconda di esse, nella successione del testo, reitera il richiamo della normativa precedente a "ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il rinvio", mentre l'altra fattispecie residuale è ora significativamente introdotta dal riferimento alla necessità che la Corte di cassazione ritenga di "poter decidere".

Tale premessa viene rimarcata, rispetto alla disciplina previgente, in termini che, per un verso, la individuano quale precondizione per l'esercizio del potere di annullamento senza rinvio in detta fattispecie e, per altro, sottolineandone la natura valutativa, inducono a ricercare nel testo immediatamente successivo l'indicazione dei criteri in base ai quali questa valutazione deve essere effettuata. Sotto questo profilo, le Sezioni Unite hanno osservato che la norma attribuisce rilievo esplicito a uno dei presupposti già individuato dalla giurisprudenza formatasi sotto la vigenza della precedenza formulazione (cfr. Sez. 6, n. 15157 del 20 marzo 2014, Rv. 259253), come indispensabile per la diretta adozione in sede di legittimità dei provvedimenti necessari a seguito dell'annullamento della sentenza impugnata, vale a dire la condizione che non occorrano accertamenti in fatto.

Nel chiedersi poi se dovesse invece ritenersi tuttora operante l'altra condizione identificata dalla giurisprudenza di legittimità per la decisione senza rinvio della Corte di cassazione ai sensi della previgente lett. l) dell'art. 620, ossia la possibilità di assumere le determinazioni necessarie senza ricorrere a valutazioni discrezionali sul punto oggetto dell'annullamento della sentenza impugnata (così tra le tante Sez. 5, n. 6782 del 06/12/2016, Rv. 269450), le Sezioni Unite, valorizzando i lavori preparatori della riforma, hanno affermato che l'intento del legislatore, nella modifica dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), è stato quello di ampliare la possibilità, per la Corte di cassazione in sede penale, di decidere il ricorso senza rinvio, in una prospettiva che tende ad assimilare il relativo potere a quello già riconosciuto nel giudizio di legittimità civile dall'art. 384 c.p.c., secondo cui la Corte, in caso di accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice ovvero "decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto".

Il principio posto da tale norma, nei termini chiaramente delineati dal testo e d'altra parte confermati dalla costante giurisprudenza civile di legittimità (Sez. 5 civ., n. 16171 del 28 giugno 2017, Rv. 644892), è nel senso che unico limite alla cosiddetta "cassazione sostitutiva", con la decisione del ricorso senza rinvio, è la possibilità di pervenire a tale decisione senza ricorrere ad accertamenti in fatto.

In una prospettiva sinottica rispetto alla previsione civilistica, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, anche con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 620 c.p.p., lett. l), alla non necessità di ulteriori accertamenti in fatto deve essere attribuita non solo la funzione, esplicitamente prevista dalla norma, di escludere la possibilità di annullare senza rinvio il provvedimento impugnato ove tale necessità sia presente, ma anche quella di indicare negli accertamenti già effettuati dal giudice di merito gli elementi in base ai quali si esercita il potere di decidere il ricorso senza rinvio in sede di legittimità, dovendosi intendere in quest'ottica l'attuale riferimento normativo alle "statuizioni del giudice di merito" quale parametro per le valutazioni della Corte di cassazione.

Al riguardo peraltro è stato opportunamente precisato che le statuizioni in esame non possono essere identificate restrittivamente nelle sole decisioni assunte dai giudici di merito su singoli punti controversi, dovendo invece il significato distintivo del termine essere esteso fino a comprendere i passaggi argomentativi posti a sostegno di tali decisioni e gli accertamenti in fatto che li giustificano, in una prospettiva che delinea una nuova discrezionalità, definitiva tuttavia dalle Sezioni Unite "vincolata", in quanto delimitata dalle sole risultanze già disponibili.

Alla luce di tali premesse ermeneutiche, è stato dunque affermato il principio di diritto secondo cui "la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando perciò necessari ulteriori accertamenti di fatto".

Orbene, muovendosi nel perimetro autorevolmente tracciato dalle Sezioni Unite, deve ritenersi che la concedibilità della sospensione condizionale della pena possa rientrare tra le determinazioni che la Corte possa assumere senza rinvio, qualora, come avvenuto nel caso di specie, dagli elementi di fatto già accertati da entrambi i giudici di merito, siano rilevabili tutti i presupposti per poter formulare la valutazione prognostica richiesta dall'art. 164 cod. proc. pen., nel rispetto delle condizioni normative fissate dall'art. 163 cod. proc. pen..

In tal caso infatti, stante la già rilevata incongruenza delle ragioni considerate ostative al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, deve osservarsi che, al contrario, le evidenze disponibili consentono già di presumere, alla luce dell'episodicità della condotta illecita, della condizione di incensurato e della sua giovane età dell'imputato, che questi si asterrà dal commettere ulteriori reati, per cui appare superfluo il rinvio alla Corte territoriale ai fini della concessione di un beneficio, i cui presupposti si palesano già ora configurabili.

3. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, beneficio che viene concesso in questa sede.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, beneficio che concede. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2018