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Specialità MAE impedisce esecuzione non adozione di limitazione di libertà (Cass. 8349/14)

21 febbraio 2014, Cassazione penale

In tema di mandato di arresto europeo, le prescrizioni dell' art. 721 c.p.p., che ha richiamato quanto stabilito dall'art. 14 della Convenzione europea di estrazione del 13/12/1957, ratificata con  L. n. 300 del 1963 è stato ribadito dalla L. 22 aprile 2005, n. 69,  art. 32  secondo il quale "la consegna della persona ricercata è soggetta ai limiti del principio di specialità con le eccezioni previste, relativamente alla procedura passiva di consegna dall'art. 26". La norma rimanda dunque testualmente ai limiti operativi dell'art. 26 della stessa legge, che prevede al comma 1 "la consegna è sempre subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla stessa e diverso da quello per il quale è stata concessa, la persona non venga sottoposta ad un procedimento penale, nè privata della libertà personale" in esecuzione di pena, di misura di sicurezza detentiva o altri provvedimenti egualmente o in altro modo limitativi della sua libertà, mentre al comma 2 introduce alcune ipotesi derogatorie, che rendono inoperante il principio di specialità. 

Si è dunque affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che, secondo l'interpretazione consentita dalla  decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio dell'Unione europea del 13 giugno 2002, il principio di specialità non va applicato in senso assoluto come ostativo alla sottoposizione della persona ricercata a procedimento penale nello Stato richiedente per reati diversi ed anteriori alla consegna, rispetto a quelli per i quali è stato emesso il mandato di arresto europeo, ma lo stesso resta inattuato, sia quando il titolo di reato per cui si indaga o si celebra il giudizio è ostativo all'adozione di una misura restrittiva, sia se si proceda penalmente contro la persona consegnata senza l'adozione di misure limitative della libertà personale.

Nel diverso caso in cui tale soggetto sia destinatario di provvedimento impositivo di misura cautelare in procedimento per reati diversi da quelli per i quali la consegna è stata accordata e commessi anteriormente ad essa, in difetto di ulteriore consenso espresso dello Stato che deve operare la consegna, che può essere richiesto in estensione a consegna avvenuta, secondo quanto consentito dalla L. n. 69 del 2005
, art. 26, comma 3, deve ritenersi preclusa allo Stato di emissione del mandato di arresto, non già l'adozione della misura, che resta valida, ma la sua esecuzione, sia durante il procedimento, che in esito allo stesso (Cass. sez. 6^, n. 39240 del 23/09/2011, Caiazzo, rv. 251366). A conferma della correttezza di tale interpretazione milita proprio la formulazione letterale dell'art. 26 citato, il quale prevede che lo Stato di emissione del mandato, nel richiedere di sottoporre la persona arrestata all'estero a un procedimento penale, ovvero ad un provvedimento coercitivo della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso, debba corredare l'istanza con le informazioni indicate dall'art. 8, paragrafo 1 della decisione quadro, il quale al paragrafo c) menziona appunto l'indicazione del mandato di arresto, il che implica la possibilità della sua emissione anche in attesa del consenso suppletivo. 

In altri termini, si verifica con similitudine di effetti quanto accade nelle procedure di estradizione, per le quali il principio di specialità ex  art. 721 c.p.p., non osta alla conduzione di attività investigativa finalizzata ad assicurare le prove di responsabilità ed all'emissione di titoli custodiali per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di estradizione, ma, in attesa di un consenso suppletivo dello Stato ove si trova la persona da estradare, per tali fattispecie di reato soltanto gli effetti del provvedimento cautelare restano inibiti, mentre la sua validità non ne resta vulnerata.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

 SENTENZA

(data ud. 26/11/2013) 21/02/2014, n. 8349
 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIEFFI Severo - Presidente -

Dott. ZAMPETTI Umberto - Consigliere -

Dott. CAPRIOGLIO Piera Maria S - Consigliere -

Dott. CASA Filippo - Consigliere -

Dott. BONI Monica - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.C. N. IL (OMISSIS);

AB.AR. N. IL (OMISSIS);

N.G. N. IL (OMISSIS);

M.R. N. IL (OMISSIS);

A.R. N. IL (OMISSIS);

A.F. N. IL (OMISSIS);

D.C.A. N. IL (OMISSIS);

D.L.C. N. IL (OMISSIS);

P.R. N. IL (OMISSIS);

AM.RA. N. IL (OMISSIS);

P.C. N. IL (OMISSIS);

P.V. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 9429/2012 TRIB. LIBERTA' di NAPOLI, del 18/04/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

sentite le conclusioni del PG Dott. SCARDACCIONE Eduardo, il quale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi proposti nell'interesse degli indagati Ab.Ar., N.G. ed il rigetto degli altri ricorsi;

Uditi i difensori avv. Giovanni Aricò, Claudio Davino, Antonio Briganti, Carlo Ercolino, Saverio Senese, Michele Carabona, i quali insistono per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa in data 15 marzo 2012 il G.I.P. del Tribunale di Napoli applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di: - Ab.Ar., P.R. ed A. R. per i reati di tentato omicidio di M.F. ed il duplice omicidio dello stesso M.F. e di S. C. e dei connessi reati in materia di armi, contrassegnati come capi A)-B) e C)-D) della rubrica;

- M.C., Am.Ra., P.C., M. R., D.C.A., A.F., P. V. e N.G. per gli stessi reati di omicidio in danno del M.F. e del S.C. e per le violazioni concernenti le armi;

- D.L.C. ed E.F. per i reati di detenzione e porto illegali delle armi da sparo, già impiegate per l'esecuzione della sparatoria in danno di B.V., di cui al capo F).

1.1 Il Tribunale di Napoli, investito dell'istanza di riesame proposta dagli indagati, con ordinanza dell'11/4/2012 annullava l'ordinanza genetica, ritenendo non fosse stato acquisito un quadro indiziario di sufficiente gravità per autorizzare l'applicazione della misura custodiale: aveva fondato la decisione sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni acquisite dai collaboratori di giustizia S., C., Me. e E.B., siccome legati tra loro da vincoli parentali, tre di essi in stato di libertà al momento di intraprendere la scelta della collaborazione con la giustizia e, secondo quanto emerso dai verbali di dibattimento in diverso procedimento, risultati in possesso di telefoni cellulari con i quali comunicare liberamente, per cui concludeva per la dimostrazione della circolarità tra i collaboratori delle notizie riferite durante la loro collaborazione a scapito della spontaneità e genuinità della loro narrazione in riferimento a tutte le posizioni degli indagati e per il contrasto tra quanto da essi riferito e le risultanze degli accertamenti tecnici, compiuti dopo l'omicidio del M.F. e del S.C..

1.2 Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, con sentenza del 28/9/2012 n. 47523, annullava il provvedimento con rinvio al Tribunale per un nuovo esame, rilevando il vizio di contraddittorietà della motivazione per avere i giudici del riesame assegnato valenza decisiva al possesso del telefono cellulare da parte di alcuni collaboranti nel periodo in cui erano rimasti in stato di libertà, senza avere però illustrato da quali elementi fosse deducibile l'effettiva esistenza di comunicazioni tra di essi, riguardanti i fatti sui quali erano state versate nel procedimento le loro propalazioni e come fosse conciliabile la ritenuta esistenza di reciproci contatti con le incongruenze e le discrasie del loro racconto, che, se previamente concordato, avrebbe consentito perfetta uniformità narrativa.

Inoltre, la Corte di legittimità rilevava l'omessa considerazione del fatto che uno dei collaboratori si era trovato in stato di detenzione all'inizio della collaborazione e non aveva potuto raccordarsi con gli altri, i quali, una volta iniziata la collaborazione, erano stati sottoposti a misure di protezione ed al controllo delle forze dell'ordine, nonchè la trascurata valutazione di tutti i contributi conoscitivi acquisiti agli atti, dichiarativi, tecnici e documentali.

1.3 Con successiva ordinanza resa il 19 luglio 2013 il Tribunale di Napoli, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, confermava l'ordinanza applicativa della misura custodiale sulla base dei seguenti rilievi.

Richiamati le informazioni ed i dati conoscitivi, acquisiti mediante rilievi condotti sul luogo del duplice omicidio M.F. - S.C., nonchè mediante indagine autoptica, il provvedimento ricostruiva la dinamica del delitto e perveniva a ricondurne la decisione e l'esecuzione agli odierni indagati sulla scorta delle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia, ritenute attendibili sotto ogni profilo considerato.

Pertanto, sulla scorta delle indicazioni fornite dal S. e dal C., ritenute convergenti ed attendibili, riteneva provato che la decisione di uccidere il M.F. al fine di indebolire la posizione di D.L.C. all'interno della omonima consorteria, fosse stata assunta in concerto tra loro da Ab.

A., M.G., P.C. e Am.Ra., con l'assenso preventivo del detenuto P.R., espresso al fratello P.V. nel corso dei loro colloqui in carcere e da questi riferito agli altri correi, e di A.R. e A.F., il primo all'epoca anch'esso detenuto, il secondo latitante, soggetti, sia il P., che gli A., posti al vertice degli omonimi sottogruppi che avevano aderito alla scissione dal clan Di Lauro ed in grado di comunicare tra loro nel corso delle udienze del giudizio in corso di celebrazione a loro carico innanzi al Tribunale di Napoli.

In ordine al tentato omicidio del M.F., contestato al capo A), esperito in varie occasioni nei giorni antecedenti la sua soppressione, dalle dichiarazioni del S., autoaccusatosi di avervi preso parte, si era appreso della preparazione dell'agguato mediante l'utilizzo quale base operativa dei garage sottostanti le c.d. "Case celesti" di Scampia, l'assegnazione a N.C. del compito di intercettare la vittima e segnalarla al gruppo di fuoco, il reperimento di quattro armi da sparo da parte di M.G., occultate in una botola ricavata nel predetto garage e poi rinvenuta dalle forze dell'ordine, e di tre motocicli e di una vettura Ford Fiesta di colore grigio metallizzato, collocati in posizione tale da poter essere prontamente utilizzati: nonostante tali accorgimenti, il M.F. era stato intercettato, ma non colpito. Riscontri al racconto del S. erano rinvenuti nelle informazioni "de relato" dal C., il quale, per avere appreso le relative circostanze dall' Ab.Ar. e da P.V. durante il loro viaggio in Spagna a Sitges per conferire con Am.

R. sulla guerra che si stava intraprendendo ai Di Lauro, aveva confermato di avere saputo dell'uso del garage quale base logistica, dell'organizzazione affidata a M.G. e ad A. A., delle plurime segnalazioni provenienti dal N. C. circa la presenza in strada della vittima designata, ma non raggiunta, dei tre tentativi esperiti senza successo, dei mezzi utilizzati e dei componenti delle distinte spedizioni.

Quanto alla materiale esecuzione del duplice omicidio del 28 ottobre 2004, sulla scorta delle informazioni fornite dal S. e dal C., riscontrate da quelle del Me. e dell' E. B..

In ordine ai reati ascritti a D.L.C. al capo F), i gravi indizi di reità venivano individuati nelle vicende relative al tentato omicidio di B.V., avvenuto in data 31 ottobre 2004 quale reazione immediata del clan Di Lauro al duplice omicidio M.F. - S.C., realizzato da D.L. C. quale mandante e da E.F. ed Me.An. come esecutori materiali, unitamente a Ma.Lu. e Gi.

L., uccisi nel 2007 ed a A.L., vicende riferite dai collaboratori S., C. e Me., nonchè desunte dai propositi di vendetta, espressi da D.L.C., desunti da conversazioni ambientali intercettate. Pur ritenendo che il delitto di omicidio tentato non fosse configurabile in ragione della insussistenza di un grave quadro indiziario a carico di D.L. C. e di E.F., poichè nessuno aveva visto quest'ultimo sparare e colpire il B.V. alla spalla, il Tribunale ravvisava la gravità indiziaria per i delitti di detenzione ed il porto illegale di armi per la circostanza pacifica della disponibilità delle armi in uso ad E.F. ed agli altri componenti del commando, così come era pacifica l'identità del mandante dell'agguato, posto in essere con modalità tipicamente camorristiche e per agevolare il clan Di Lauro nell'azione di contrasto della fazione degli "scissionisti".

In punto di esigenze cautelari, il collegio del riesame ravvisava il pericolo di recidivazione specifica in considerazione della particolare gravità dei fatti, desunta dalle modalità operative della condotta criminosa contestata, sintomatica per tutti i ricorrenti di personalità socialmente pericolosa ed incline al delitto. Inoltre, riteneva operante per il delitto di omicidio M.F. - S.C. e per le sottese finalità la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, non smentita da elementi di segno contrario nè attenuata dal decorso del tempo, anche in considerazione dello spessore criminale degli indagati, delle condanne patite per reati gravi, dell'appartenenza ai clan di riferimento, mai contraddetta da dissociazione o dalla scelta della collaborazione.

2. Avverso detta ordinanza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli indagati a mezzo dei loro rispettivi difensori.

2.1 P.R. col ricorso a firma dell'avv.to Vittorio Giaquinto ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli 

artt. 273
, 274
 e 192 c.p.p., agli artt. 56
, 575
 e 577
 c.p., alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 ed alla L. n. 203 del 1991
, art. 7 con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. Secondo il ricorrente: 

- nel recepire come attendibili le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori S. e C., il Tribunale aveva ritenuto che egli, nonostante la sottoposizione a regime detentivo differenziato ex 

art. 41 bis
o.p.
 a far data dal 19/06/2004, avesse potuto comunicare all'esterno il proprio assenso ai delitti poi commessi nel corso dei colloqui sostenuti con il fratello coindagato P. V. ed il nipote L.S., che erano stati tutti registrati, senza però essersi avveduto che non era mai stata accertata in sede giudiziale la propria appartenenza al gruppo dei c.d. "scissionisti", risultando piuttosto, giusta sentenza emessa dalla 4^ Sezione del Tribunale di Napoli, la sua affiliazione al clan Di Lauro e l'esistenza di un rapporto privilegiato con D.L. P., col quale aveva potuto comunicare direttamente. 

- Era altrettanto indimostrata la sottoposizione gerarchica di M.G. alla propria persona e la necessità del proprio assenso perchè questi potesse intraprendere di propria iniziativa attività illecite;

- non era stato correttamente ricostruito e motivato il rapporto che ricollegava ad esso ricorrente l' Ab.Ar. ed il M. G., che avrebbero agito contro il M.F. per vendicare l'uccisione di Al.Lu.;

- non erano state adeguatamente valutate le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Pr.Ma., partecipe di tutte le fasi della scissione, il quale aveva escluso il coinvolgimento del P.R. nell'omicidio M.F. - S. C. in ragione della sua condizione di detenuto, sottoposto al regime di cui all'art. 41 bis, ed aveva riferito delle accuse che A.R., parlando con D'.En., aveva mosso allo stesso P.R. per stornare sospetti da sè. - Anche la circostanza aggravante di cui alla 

L. n. 203 del 1991
, art. 7 non era sussistente, dal momento che egli era estraneo al gruppo degli scissionisti, per agevolare i quali non poteva avere agito. 

- Era carente la giustificazione in ordine alla ricorrenza delle esigenze cautelari, tenuto conto della risalenza nel tempo dei fatti di reato.

2.2 P.R., P.V., A.R. e A.F. con unico ricorso a firma dell'avv.to Claudio Davino hanno dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell'

art. 192
c.p.p. ed alla valutazione degli indizi di colpevolezza. Il Tribunale non si era attenuto ai criteri interpretativi, dettati dalla giurisprudenza di legittimità circa i presupposti per il legittimo utilizzo probatorio delle chiamate in reità "de relato" per avere ignorato i rilievi critici, sviluppati dalla difesa, in ordine: 

- alla credibilità intrinseca soggettiva dei collaboratori di giustizia Pr.Ma. e P.A. in ordine alla genesi della loro collaborazione, all'incontro intervenuto tra Pr.Ma. ed i nipoti, arrestati in seguito in possesso di armi e poi divenuti collaboratori, all'isolamento del primo dal contesto camorristico a seguito della sua fuga in Spagna ed all'arresto avvenuto nel giugno 2003, ai sentimenti di vendetta nutriti dai Pr. nei riguardi degli A.;

- alla credibilità intrinseca oggettiva dei collaboratori, per non avere assegnato rilievo alla circostanza del possesso del telefono cellulare da parte di alcuni collaboratori ancora in libertà, il che legittimava il sospetto di un accordo fraudolento per muovere accuse concertate ed averli ritenuti attendibili per le discrasie nel loro racconto, che però in modo contraddittorio era stato anche considerato convergente;

- alla attendibilità estrinseca per essere state acquisite e valorizzate due chiamate in reità "de relato", generiche, inidonee a reggere il contraddittorio e non sottoposte al vaglio preteso dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, quanto ai due A., era stato confuso l'assenso preventivo alla "guerra" contro i Di Lauro con il mandato ad eseguire il duplice omicidio M.F. - S. C., non era stata indicata la fonte primaria dei "chiamanti de relato", quanto riferito dal S. e dal C. era frutto di dichiarazioni rese da P.V., quindi derivavano da unica fonte e non potevano riscontrarsi a vicenda; nè tale funzione potevano svolgere nemmeno le dichiarazioni del Pi.Gi. e di zio Pr., in quanto il primo non aveva indicato la propria fonte, il secondo aveva affermato di aver sentito A. R. discolparsi con D.L.P. dai sospetti di essere coinvolto nell'omicidio M.F. - S.C., mentre proprio la mancata partecipazione dei due killers, designati dalla famiglia Abbinante, poteva significare un disaccordo sull'iniziativa criminosa.

Per quanto riguarda la posizione di P.V., si è dedotto che il C. aveva riferito del consento trasmesso da questi anche per conto del fratello P.R. alla scissione dal clan Di Lauro, mentre E.B. ed anche il C. avevano dichiarato che egli si era recato in Spagna per discutere della guerra a intraprendere contro i Di Lauro, ma che la decisione di uccidere il M.F. era stata assunta in un momento successivo quando il P.C. era rientrato in Italia perchè in precedenza il bersaglio designato doveva essere un componente della famiglia Di Lauro. A sua volta il Me. aveva riferito circostanze ancora diverse, ossia che il viaggio in Spagna sarebbe avvenuto nel giugno 2004 in un momento però in cui non era ancora iniziata la faida.

In merito alla posizione di P.R. si è lamentato l'omessa considerazione del fatto che egli non aveva alcun interesse alla scissione, legata a contrasti per la spartizione dei proventi del traffico di droga, cui era estraneo, e che, secondo quanto riferito da Pr.Ma., sino a che egli era stato detenuto in regime ordinario i dissidi erano stati pacifici per la sua opposizione a scatenare una guerra, mentre la faida sanguinosa si era sviluppata dopo la sua sottoposizione a regime detentivo differenziato e da allora tutti i suoi colloqui con i familiari erano stati registrati senza che fossero emersi messaggi o comunicazioni indizianti.

Inoltre, non era stato considerato che altri collaboratori, quali Pr.An. ed P.A., nulla avevano riferito sul coinvolgimento dei quattro ricorrenti.

2.3 A.F. con ulteriore ricorso a firma dell'avv.to Briganti ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell'

art. 192
c.p.p. ed alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, autori di chiamate in reità "de relato", che in realtà erano riconducibili al solo Pi.Gi., unico ad avere riferito del coinvolgimento di esso ricorrente nell'organizzazione dell'omicidio M.F. - S.C. con la designazione di due uomini per prendervi parte, che però non erano stati impiegati, circostanza non confermata da nessun'altra fonte informativa, nemmeno dal S., nè dalla sentenza di condanna della Corte di Assise di Napoli per l'omicidio del Mo., basata sulle dichiarazioni di P. G. e di P.A., sicchè il Pi.Gi. sarebbe rimasto privo di riscontri. 

2.4 M.R. e D.C.A. col ricorso a firma dell'avv.to Carlo Ercolino hanno dedotto omessa motivazione in ordine alle deduzioni difensive espresse nella memoria depositata all'udienza del 28/4/2013 ed illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonchè violazione di legge per l'assenza di gravi indizi di reità a loro carico. Si dolgono in particolare:

- dell'assegnata credibilità intrinseca ai quattro collaboratori di giustizia Me., S., C. ed E.B. per il possesso da parte di tre di essi di telefoni cellulari nel periodo di libertà successivo all'intrapresa collaborazione, condotte non consentite anche se non era possibile dedurre l'oggetto delle conversazioni;

- della ritenuta dimostrazione della spontaneità per la mancata coincidenza del loro narrato, assunto non condivisibile perchè le informazioni erano state apprese "de relato" e nel lontano anno 2004 ed essi avevano pianificato la loro scelta collaborativa contemporaneamente, mentre le loro mogli avevano sempre mantenuto rapporti telefonici tra loro anche durante la collaborazione, per cui non è illogico ritenere che abbiano concordato anche il contenuto delle loro propalazioni;

- dell'omessa considerazione delle forti contraddizioni nelle dichiarazioni del S. e del C., perchè entrambi: a) avevano riferito dell'utilizzo di una mitraglietta per realizzare l'omicidio, cosa smentita dai rilievi balistici; b)avevano descritto una vettura diversa a bordo della quale i due esecutori avevano raggiunto il luogo del delitto ed una dinamica dell'omicidio non corrispondente ai rilievi scientifici, mentre il C., facente parte di una delle staffette, avrebbe dovuto certamente conoscere in modo diretto le modalità esecutive; c) avevano indicato un diverso luogo di partenza del commando omicida, per il S. la villa di Varcaturo, per il C. la casa di S. a Secondigliano; d) il C. non aveva ricordato la presenza dei due bambini, trattenuti dal P.C. a Varcaturo e la spiegazione fornita dal Tribunale sul punto era illogica perchè egli non aveva riferito di essersi esercitato all'esterno nello sparo con le armi consegnategli; e) avevano collocato diversamente nel tempo i tentativi di omicidio del M.F. ed il soggetto che aveva ricevuto la chiamata di segnalazione da parte dello "specchiettista" della presenza della vittima in strada;

- dell'omessa valutazione delle discrasie nel racconto di E. B., unico detenuto, e degli altri tre cognati quanto a: a) presenza del M.R. nel garage sottostante le "case celesti" e le mansioni affidategli, indicati dal S. sin dal primo interrogatorio, dal C. e dal Me. soltanto nell'ottobre 2010 dopo alcuni mesi dalla collaborazione per adeguamento a quanto essi avevano saputo essere stato affermato dal S.; b) al ruolo assegnato al D.C.A., che il S. ed il C. indicano come facente parte della seconda staffetta a bordo del ciclomotore con M.G., ma non quale partecipe alle fasi organizzative dell'agguato.

2.5 Nell'interesse di D.C.A. anche l'avv.to Giuseppe Ricciulli ha proposto autonomo ricorso, col quale ha lamentato illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonchè erronea applicazione della norma di cui all'

art. 273
c.p.p. per non essere stata raggiunta la prova indiziaria della responsabilità per i delitti contestatigli. Il Tribunale si era limitato a richiamare "per relationem" la motivazione dell'ordinanza genetica, aveva recepito le propalazioni dei collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni nulla avevano apportato alla tesi accusatoria perchè generiche e contraddittorie, oltre che prive di spontaneità per i contatti dagli stessi intrattenuti nel corso della loro collaborazione, il che faceva dubitare di pregressi accordi volti ad ottenere benefici a scapito della genuinità della prova ed aveva illogicamente ritenuto che le incongruenze e contraddizioni nel loro narrato costituissero dimostrazione di attendibilità, mentre erano rimaste prive di riscontri. 

2.6 N.G. con ricorso presentato personalmente ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione ex 

art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 273
 c.p.p., art. 546
 c.p.p., comma 1, lett. e). In particolare il Tribunale del riesame: 

- si era limitato a ripetere argomentazioni già contenute nell'ordinanza genetica, aveva confuso le chiamate in correità e quelle in reità e recepito come attendibili e veritiere le informazioni dei collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni non sono convergenti, sono smentite dalla perizia autoptica e dalla perizia balistica, nè sono capaci di dimostrare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, specie quelle rese da Gi.

G., inizialmente indagato per i medesimi fatti, ma dichiaratosi estraneo al duplice omicidio, nonostante fosse stato chiamato in causa dal collaboratore Me.Lu., il quale lo aveva indicato tra i partecipi alla fase organizzativa del duplice omicidio;

(- aveva superato con voli pindarici, sia la questione del telefono che il collaboratore E.B. aveva detenuto durante la collaborazione, sia la vicenda della detenzione del C., in realtà non ostativa all'effettuazione di colloqui con i familiari, sia la circostanza per cui il Me. aveva preso contatti con gli investigatori anche per conto degli altri tre cognati);

- aveva ignorato la discorde assegnazione nel racconto dei collaboranti del ruolo da esso ricorrente svolto nel corso della sua presenza presso l'abitazione di Varcaturo e circa la custodia affidatagli dei figli dell' Ab.Ar. e del M.C., ivi condotti e trattenuti quali pegno della corretta esecuzione dell'omicidio;

- aveva omesso di considerare le diverse informazioni fornite dagli altri collaboratori Ma.Mi. e Ca.Ca..

2.7 M.C. con ricorso personalmente proposto ha lamentato la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ed all'erronea applicazione del disposto dell'

art. 273
c.p.p., comma 1 bis, per avere il Tribunale: 

- ritenuto che le discrasie nelle propalazioni dei collaboratori costituissero indice della loro attendibilità e valorizzato la convergenza sul nucleo essenziale del loro racconto, che non poteva che essere riferito alla dinamica con la quale l'omicidio era stato commesso, mentre erano rinvenibili sostanziali divergenze su punti fondamentali, già evidenziate nell'ordinanza del Tribunale che aveva annullato quella genetica e giustificate nel provvedimento impugnato con argomenti privi di consistenza logica, quali la concitazione del momento o le esagerazioni presenti nel racconto dell' Ab.

A. per magnificare il proprio ruolo;

- ignorato i principi interpretativi, dettati dalla giurisprudenza di legittimità, circa i criteri di valutazione delle chiamate in reità "de relato", applicabili al caso per avere i collaboratori appreso da terzi quanto riferito.

2.8 Ab.Ar. a mezzo dell'avv.to Edoardo Cardillo che ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale processuale.

Il Tribunale aveva fondato il giudizio di gravità indiziaria sulle informazioni dei quattro collaboratori di giustizia cognati, apprese per lo più "de relato", contraddistinti da una sorta di "attendibilità per posizione", ma da ritenersi inattendibili per il rapporto di affinità, la contestuale scelta della collaborazione, la gestione anomala della loro condizione personale di libertà quanto meno nella prima fase e perchè smentite dai rilievi autoptici e dalle indagini balistiche, mentre le contrarie conclusioni esposte nel provvedimento impugnato erano frutto dell'omessa applicazione dei criteri valutativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di chiamata in reità "de relato". Inoltre, aveva sottovalutato e giustificato con argomenti privi di consistenza logica le divergenze nella ricostruzione dei fatti esposta dal S. e dal C., da ritenersi entrambe false, quanto a: a) soggetti recatisi in Spagna a conferire con Am.Ra. e P. C. per concordare la scissione, indicati in P.V. ed in M.G. dal C. e nel P. e nel ricorrente dal S., informazione corretta nel verbale riassuntivo dell'interrogatorio col nome dell' Ab.Ar.; b) soggetto che aveva ricevuto la segnalazione da parte dello specchiettista; c) tipo di autovettura utilizzata dai due esecutori materiali dell'omicidio; d) descrizione dell'azione delittuosa; e) fase preparatoria con la partecipazione del C., da questi negata per essere rientrato in Italia il 25 ottobre 2004; f) il luogo di partenza per raggiungere il garage costituente la base operativa del gruppo di fuoco; g) l'offerta in pegno dei figli dell' Ab.

A. e del M.C., non riferita dal C., pur asseritamente presente all'interno della villa di Varcaturo ove si era trovato il P.C.. Inoltre, anche il Me. e l' E.B. dovevano ritenersi inaffidabili per avere appreso quanto riferito, il primo dal S. e dal M.R., che non aveva offerto alcuna conferma, il secondo da esso ricorrente, e parimenti doveva concludersi per le indicazioni, tutte "de relato", offerte dal Ca.Ca., dal V.S., dal M. G. e dal Pi.Gi..

2.9 Am.Ra. per il tramite dell'avv.to Michele Cerabona ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per:

a) mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al rigetto dell'eccezione riguardante la violazione del principio di specialità per violazione del disposto della 

L. n. 69 del 2005
, artt. 26
 e 32
: egli era stato destinatario di due mandati di arresto europei, emessi per i delitti oggetto di due distinti procedimenti penali, che quindi non comprendevano i reati, oggetto del presente, commessi anteriormente alla consegna e per i quali egli, in violazione del disposto dell'art. 26 della legge citata, era stato sottoposto a misura custodiale, mentre le argomentazioni addotte dal Tribunale circa l'infondatezza dell'eccezione per l'intervenuta riapertura delle indagini, in origine archiviate, in data successiva alla consegna, erano inficiate da un duplice errore, uno giuridico perchè il rapporto di anteriorità doveva sussistere quanto ai fatti di reato e non quanto alla consegna al paese procedente e l'altro fattuale, perchè la consegna era avvenuta il 7 luglio 2009, in un momento successivo alla iscrizione dell' Am. 

R. nel registro degli indagati, avvenuta il 17 giugno 2009.

b) mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per la non corretta valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, smentiti dai rilievi autoptici e balistici, nonchè contraddittori su punti essenziali delle vicende quali la preparazione e la realizzazione del duplice omicidio. Inoltre, non era stato considerato che, per quanto riferito dal S., soltanto il giorno dell'agguato il P.C. si era convinto della maggiore opportunità di sopprimere il M.F. e non uno dei figli di D.L.P., decisione alla quale esso ricorrente non aveva preso parte e che non poteva avere nemmeno approvato, mentre i precedenti tentativi di eliminare la vittima erano stati autorizzati da altri senza il preventivo parere dell' Am.Ra. e del P.C.. Il Tribunale aveva risolto la questione dell'inconciliabilità delle dichiarazioni del S. e del C. con il rilievo che la scelta di sopprimere il M.F. era stata già effettuata dall' A. R. in Spagna, tanto che aveva inviato il P.C. ed il C. a Napoli per tale scopo, smentito da quanto riferito dallo stesso S. sul fatto che il P.C. soltanto all'ultimo momento si era lasciato convincere a non uccidere i figli del D. L.C., mentre la terza ipotesi di una designazione a vittime sia del M.F., che di D.L.C. e dell'indifferenza della vittima da colpire era congetturale, priva di dimostrazione, come quella dell'informazione sulla decisione assunta che avrebbe raggiunto l' Am.Ra. in Spagna.

Inoltre, il Tribunale aveva violato le regole di valutazione delle chiamate di correo per avere condotto un riscontro generale, non individuale, di credibilità dei loro autori, per aver trascurato il dato certo della disponibilità dei telefoni cellulari durante la collaborazione con la conseguente mancanza di spontaneità delle loro propalazioni, la natura indiretta delle loro informazioni, peraltro generiche, inconcludenti, sollecitate dagli inquirenti e l'assenza di prove certe della presenza sul luogo del delitto del C. e del Me., esclusa da E.B., per il secondo non riferita nemmeno dal C., nonchè per non avere riscontrato i casi nei quali i soggetti dagli stessi accusati erano stati mandati assolti in sede di cognizione, cosa accaduta a D.L.C. per l'omicidio di V.G. e ad esso ricorrente per il tentato omicidio di R.A. e Va.Gi..

2.10 P.C. col ricorso a firma dell'avv.to Saverio Senese ha articolato i seguenti motivi:

a) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità intrinseca dei collaboratori C., S., Me. ed E.B. per avere il Tribunale, da un lato affermato che la non sovrapponibilità su elementi centrali della narrazione delle dichiarazioni di costoro costituiva indice di assenza di circolante delle notizie, dall'altro ravvisato il requisito della convergenza del molteplice mentre le discrasie denunciate dalle difese costituivano proprio il sintomo di reciproco condizionamento e di collusione artificiosa, dal momento che, per comune esperienza, è più agevole concordare versioni collimanti nei tratti generali piuttosto che ricordare anche i dettagli secondari ed il Tribunale aveva illogicamente invertito l'onere della prova, onerandone la difesa, sull'esistenza di un accordo collusivo tra collaboranti.

Inoltre, era stato sottovalutato che il C., unico dei quattro ad essere detenuto all'atto della scelta della collaborazione, aveva tentato fraudolentemente di uniformarsi alle dichiarazioni del S. dopo aver letto il provvedimento custodiale, che le conteneva, sostenendo che il giorno del delitto era partito da Varcaturo, mentre in precedenza aveva affermato di essere partito dalla casa del cognato con questi, particolare non secondario, ma illogicamente valutato come garanzia di genuinità per non avere il C. riferito anche della vicenda del "pegno" dei due figli dei killers trattenuti dal P.C., cosa che il S. aveva escluso fosse stata a conoscenza del C.; il Tribunale aveva altresì travisato per omissione quanto riferito dal Me., ossia che quando egli, il S. e l' E.B. avevano manifestato la volontà di collaborare erano stati condotti con i loro nuclei familiari in un'abitazione dell' E.B., ove erano rimasti in stato di libertà per circa un mese in violazione delle disposizioni dettate dalla 

L. n. 82 del 1991
, art. 14. 

b) Violazione di norme di legge stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, decadenza e vizio di motivazione in riferimento alla valutazione di estrinseca attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori S. e C. circa l'impiego nell'omicidio di un mitra, circostanza smentita dalle indagini autoptica e balistica e giustificata con argomenti illogici, ossia che il S. potrebbe non essersi accorto che l' Ab.Ar. ed il M.C. avevano con sè due pistole cal. 9, ed in ordine alla dinamica esecutiva dell'omicidio, descritta con sensibili differenze dai due collaboranti, nonostante la pretesa derivazione della relativa conoscenza dalla stessa fonte, ossia l' Ab.Ar. e comunque contraddetta dai dati forniti dalla consulenza autoptica, oggetto di una lettura travisata e parziale da parte del Tribunale. Ed ancora era stato travisato quanto riferito dal collaboratore di giustizia Gi.Gi., il quale non aveva affermato di essere stato presente presso il garage che aveva funto da base operativa ed aveva negato di avere svolto un qualche ruolo nell'omicidio M. F., avendo ammesso di essersi occupato del recupero giorni dopo il delitto di un borsone a richiesta del N.C., che però non aveva realizzato perchè i soggetti cui aveva chiesto di prelevarlo si erano rifiutati: il collegio del riesame aveva, invece, ritenuto che nel borsone potessero essere contenute le armi utilizzate per l'omicidio, come riferito dal S., ma aveva operato un collegamento arbitrario tra la condotta del Gi.

G. e le armi stesse.

c) Violazione di norme di legge stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, decadenza e vizio di motivazione in riferimento alla valutazione della natura individualizzante degli elementi di riscontro alla chiamata in correità di S.L.; il Tribunale non aveva considerato che il C. non aveva confermato il mandato omicidiario conferito dal P.C., secondo quanto affermato dal S., per non avere mai riferito dell'incontro tenutosi in Varcaturo tra il P.C., l' Ab.Ar. ed il M.G. prima dell'omicidio ed averne parlato in modo generico soltanto dopo aver conosciuto le dichiarazioni del S.. Inoltre, difettava la convergenza del molteplice, necessaria per l'utilizzo probatorio delle chiamate in correità, poichè:

- quanto riferito dal Me. e da E.B. era frutto di notizie apprese, il primo dal S., l'altro da questi e dal C., quindi prive di autonomia;

- non rispondeva al vero che in ordine al ruolo di mandante dell'omicidio, svolto dal P.C., notizia appresa da D. L.C., che l'aveva ricevuta da Pe.Ra., i collaboratori Pr.An. ed P.A. avessero reso dichiarazioni, non avendo nemmeno fatto il nome del P.C. tra i mandanti, come deducibile anche dalla stessa ordinanza genetica alle pagg. 117-119 e 125-126;

- quanto riferito da T.S. non era idoneo a fungere da riscontro perchè riguardante le decisioni sull'inizio della faida di Secondigliano e non direttamente l'omicidio M.F.;

- non poteva utilizzarsi l'argomento logico circa la necessità del preventivo assenso del P.C. per realizzare l'omicidio, contraddetto da quanto rilevato in ordine ai precedenti tentativi di uccisione della stessa vittima, potutisi realizzare senza alcun coinvolgimento del P.C..

2.11 D.L.C. ha dedotto con unico motivo l'omessa ed illogica motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità in riferimento ai delitti contestati al capo F); i giudici del riesame hanno omesso di considerare l'assoluta inconciliabilità delle informazioni fornite dai tre collaboratori S., Me.

e C. circa l'utilizzo da parte degli esecutori della sparatoria del 31/10/2004 di mitragliette e pistole automatiche con i dati oggettivi degli accertamenti condotti sui reperti balistici, indicanti l'impiego di armi semiautomatiche, una cal. 9 x 21 e l'altra 9 x 19, e le numerose contraddizioni presenti nel narrato dei collaboratori circa il numero di incursioni realizzate la sera del 31/10/2004, le modalità della reazione degli scissionisti e la presenza di D.L.M. tra gli sparatori.

Il Tribunale si era sottratto agli oneri motivazionali che gli gravavano col ricorso alla mera riproduzione delle argomentazioni presenti nell'ordinanza genetica, eludendo i rilievi sviluppati nella memoria difensiva depositata all'udienza del 13/3/2013, per cui, dalla ritenuta pacifica partecipazione di E.F. al raid armato, dai propositi di vendetta espressi da D.L.C. dopo l'omicidio M.F. - S.C. e dalla sua posizione di capo dell'omonimo clan, provocato dall'iniziativa criminosa degli "scissionisti", in modo illogico aveva desunto il ruolo di mandante di tale azione, senza prendere in considerazione gli altri specifici elementi distonici rispetto alla tesi accusatoria sulla scorta del solo movente, profilo in sè insufficiente in assenza di altri elementi probatori, indicativi del conferimento di uno specifico mandato.
Motivi della decisione
I ricorsi proposti nell'interesse di Am.Ra. e D.L. C. sono fondati e meritano accoglimento, quello dell' A. R. soltanto in parte nei termini che verranno specificati, mentre vanno respinti per infondatezza quelli degli altri indagati.

1. Va in primo luogo rilevato che, per quanto riportato testualmente nell'ordinanza impugnata, la sentenza rescindente della Corte di Cassazione, sezione quinta penale, non ha stabilito un espresso principio di diritto, vincolante nel giudizio rescissorio, ma si è limitata a riscontrare come esistente il denunciato vizio di motivazione sotto plurimi profili, attinenti tutti il procedimento di valutazione del compendio indiziario ed a sollecitare una rinnovata considerazione "completa e comprensiva di tutti gli elementi, sia le collaborazioni in questione, sia le ulteriori fonti dichiarative, tecniche e documentali, che consentano di formare un quadro attendibile, e logicamente inattaccabile, del compendio indiziario e della sua eventuale gravità".

2. Ciò posto, quanto alla posizione di Am.Ra., il Tribunale del riesame ha ritenuto di superare l'eccezione preliminare di nullità del provvedimento impositivo della custodia, sollevata dalla difesa, sulla base del rilievo della successione temporale dei provvedimenti coercitivi, che avevano riguardato l'indagato: in particolare, ha ritenuto che al momento "non solo della emissione dei due MAE, ma anche dell'arresto in Spagna in esecuzione degli stessi - in data 16.5.2009 - il procedimento per il duplice omicidio M.F. era già stato archiviato per l'impossibilità di addivenire alla identificazione dei responsabili e, solo in data 17.6.2009 veniva disposta la riapertura delle indagini con la iscrizione dell' Am.Ra. e degli altri coindagati nel registro degli indagati", momento nel quale egli si era già trovato nel territorio nazionale.

2.1 La difesa oppone, dapprima un contrario argomento di natura cronologica, in quanto in realtà la consegna dell' Am.Ra.

alle autorità italiane era avvenuta il 7 luglio 2009, ossia in un momento successivo alla sua iscrizione nel registro degli indagati per l'omicidio oggetto del presente procedimento, operata il 17 giugno 2009; inoltre, contesta l'interpretazione del principio di specialità e dei suoi effetti, propugnata dal Tribunale.

2.2 Ritiene questo Collegio che le eccezioni difensive siano entrambe fondate.

Il primo rilievo sui tempi di esecuzione della consegna rispetto al formale inizio delle investigazioni a carico dell'indagato è fondato in punto di fatto, ma soprattutto risulta non condivisibile in punto di diritto la soluzione offerta nell'ordinanza impugnata.

2.3 Invero, come già affermato in precedenti pronunce richiamate anche dal Tribunale, che poi se n'è ingiustificatamente discostato, in tema di mandato di arresto europeo, le prescrizioni dell'art. 721
c.p.p., che ha richiamato quanto stabilito dall'art. 14 della Convenzione europea di estrazione del 13/12/1957, ratificata con L. n. 300 del 1963, è stato ribadito dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 32 secondo il quale "la consegna della persona ricercata è soggetta ai limiti del principio di specialità con le eccezioni previste, relativamente alla procedura passiva di consegna dall'art. 26". La norma rimanda dunque testualmente ai limiti operativi dell'art. 26 della stessa legge, che prevede al comma 1 "la consegna è sempre subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla stessa e diverso da quello per il quale è stata concessa, la persona non venga sottoposta ad un procedimento penale, nè privata della libertà personale" in esecuzione di pena, di misura di sicurezza detentiva o altri provvedimenti egualmente o in altro modo limitativi della sua libertà, mentre al comma 2 introduce alcune ipotesi derogatorie, che rendono inoperante il principio di specialità. 

2.3.1 Si è dunque affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che, secondo l'interpretazione consentita dalla decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio dell'Unione europea del 13 giugno 2002, il principio di specialità non va applicato in senso assoluto come ostativo alla sottoposizione della persona ricercata a procedimento penale nello Stato richiedente per reati diversi ed anteriori alla consegna, rispetto a quelli per i quali è stato emesso il mandato di arresto europeo, ma lo stesso resta inattuato, sia quando il titolo di reato per cui si indaga o si celebra il giudizio è ostativo all'adozione di una misura restrittiva, sia se si proceda penalmente contro la persona consegnata senza l'adozione di misure limitative della libertà personale (Cass. sez. 1^, n. 18778 del 27/03/201, Reccia, rv. 256013; -tratto da canestriniLex.com- sez. 1^, n. 38716 del 31/01/2013, Parasiliti Mollica, rv. 256760; sez. 1^, n. 734 del 02/12/2011, Moscovita, rv. 249473; sez. 1^, n. 40256 del 19/10/2007, Parasiliti Mollica, rv. 238052).

2.3.2 Nel diverso caso in cui tale soggetto sia destinatario di provvedimento impositivo di misura cautelare in procedimento per reati diversi da quelli per i quali la consegna è stata accordata e commessi anteriormente ad essa, in difetto di ulteriore consenso espresso dello Stato che deve operare la consegna, che può essere richiesto in estensione a consegna avvenuta, secondo quanto consentito dalla  L. n. 69 del 2005, art. 26 comma 3, deve ritenersi preclusa allo Stato di emissione del mandato di arresto, non già l'adozione della misura, che resta valida, ma la sua esecuzione, sia durante il procedimento, che in esito allo stesso (Cass. sez. 6^, n. 39240 del 23/09/2011, Caiazzo, rv. 251366). A conferma della correttezza di tale interpretazione milita proprio la formulazione letterale dell'art. 26 citato, il quale prevede che lo Stato di emissione del mandato, nel richiedere di sottoporre la persona arrestata all'estero a un procedimento penale, ovvero ad un provvedimento coercitivo della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso, debba corredare l'istanza con le informazioni indicate dall'art. 8, paragrafo 1 della decisione quadro, il quale al paragrafo c) menziona appunto l'indicazione del mandato di arresto, il che implica la possibilità della sua emissione anche in attesa del consenso suppletivo. 

2.3.3 In altri termini, si verifica con similitudine di effetti quanto accade nelle procedure di estradizione, per le quali il principio di specialità ex art. 721c.p.p., non osta alla conduzione di attività investigativa finalizzata ad assicurare le prove di responsabilità ed all'emissione di titoli custodiali per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di estradizione, ma, in attesa di un consenso suppletivo dello Stato ove si trova la persona da estradare, per tali fattispecie di reato soltanto gli effetti del provvedimento cautelare restano inibiti, mentre la sua validità non ne resta vulnerata (Cass. sez. 1^, n. 16933 del 22/4/2010, Sarno, r. 247564; sez. 4^, n. 24627 del 7/4/2004, Viglietta, rv. 228842).

2.4 Ebbene la posizione dell' Am.Ra. si presta ad essere considerata alla luce dei superiori principi di diritto, in quanto il Tribunale, pur avendo rilevato che l'ordinamento consentiva di emettere un ulteriore titolo custodiale a suo carico per reati diversi da quelli per i quali era avvenuta la consegna dal Regno di Spagna, non si è avveduta che con la conferma integrale dell'ordinanza genetica nei suoi confronti ha violato i principi di diritto sopra enunciati e l'operatività, ancorchè attenuata, del principio di specialità, valido nei termini sopra e tale da impedire l'esecuzione dell'ordinanza stessa per i reati oggetto di imputazione provvisoria.

Per le ragioni esposte, il provvedimento impugnato va parzialmente annullato quanto all'esecuzione della misura coercitiva nei riguardi del ricorrente, mentre va respinto per le ragioni che verranno in seguito esposte quanto agli altri motivi.

3. Le impugnazioni proposte dagli indagati diversi da D.L. C. prospettano questioni analoghe, che si prestano ad una trattazione unitaria o comunque estensiva perchè implicanti profili di fatto e di diritto, comuni alle posizioni di tutti i predetti ricorrenti.

3.1 L'ordinanza impugnata, quanto alla verificazione del duplice omicidio in danno di M.F. e S.C., ha esposto che le vittime erano state intercettate il 28 ottobre 2004 nei pressi del civico (OMISSIS) nella zona settentrionale di Napoli, ove sino a quel momento storico era stata egemone la cosca camorristica facente capo a D.L.P. ed ai suoi figli, alla quale il M.F. era legato da vincoli di appartenenza, ed erano state attinte da numerosi colpi di arma da fuoco mentre si erano trovate a bordo di una motocicletta, rinvenuta a terra e danneggiata; i colpi erano stati esplosi da due diversi soggetti che si erano previamente ripartiti i compiti ed i bersagli da attingere nella fase esecutiva: uno aveva dapprima raggiunto il M.F. con più proiettili sparati in rapida successione, stando in posizione anteriore ed alla sua sinistra e l'aveva poi finito con un colpo letale alla tempia, l'altro aveva attinto il S.C., sparando colpi provenienti dalla sua destra.

3.2 Inoltre, sulla base delle indagini condotte e dei legami intrattenuti in vita dalle vittime, oggetto di contributi dichiarativi e desunti dai precedenti penali e giudiziari del M.F., ha considerato l'azione delittuosa quale punto di inizio della sanguinosa faida, che avrebbe opposto dal settembre 2004 in poi il clan Di Lauro al gruppo dei c.d. "scissionisti", facenti capo a Am.Ra. ed a P.C., distaccatosi da esso per insofferenza verso la gestione autoritaria e verticistica del clan, impressa da D.L.C., figlio del capocosca D.L. P., ormai relegato in secondo piano, per formare un sodalizio autonomo, intenzionato a ritagliarsi una parte di territorio ove esercitare le tradizionali attività criminali camorristiche.

3.3 Per riferire alle persone dei ricorrenti le iniziative sottese al tentato omicidio, poi riuscito ed alla esecuzione delle relative azioni, il Tribunale ha confermato il valido e corretto utilizzo del contributo informativo, reso da diversi collaboratori di giustizia.

In particolare, sulla scorta delle indicazioni fornite da S. L. e da Carmine C., ritenute convergenti ed attendibili, ha ritenuto provato che la decisione di uccidere il M. F. al fine di indebolire la posizione di D.L.C. all'interno della omonima consorteria, fosse stata assunta in accordo tra loro da Ab.Ar., M.G., P.C. e Am.Ra. con l'assenso preventivo del detenuto P. R., espresso al fratello P.V. nel corso dei loro colloqui in carcere e da questi riferito agli altri correi, e di A.R. e A.F., il primo all'epoca anch'esso detenuto, il secondo latitante, soggetti, sia il P., che gli A., posti al vertice degli omonimi sottogruppi che avevano aderito alla scissione dal clan Di Lauro ed in grado di comunicare tra loro nel corso delle udienze del giudizio in corso di celebrazione a loro carico innanzi al Tribunale di Napoli.

3.3.1 Più in dettaglio, in ordine al tentato omicidio del M. F., contestato al capo A), esperito in varie occasioni nei giorni antecedenti la sua soppressione, dalle dichiarazioni del S., autoaccusatosi di avervi preso parte diretta, il Tribunale ha osservato come la preparazione dell'agguato fosse avvenuta mediante l'utilizzo quale base operativa dei garage sottostanti le c.d. "Case celesti" di Scampia, l'assegnazione a N.C. del compito di intercettare la vittima e segnalarla al gruppo di fuoco, il reperimento di quattro armi da sparo da parte di M.G., occultate in una botola ricavata nel predetto garage e poi rinvenuta dalle forze dell'ordine, e di tre motocicli e di una vettura Ford Fiesta di colore grigio metallizzato, collocati in posizione tale da poter essere prontamente utilizzati e che, nonostante tali accorgimenti, la vittima designata non fosse stata colpita, perchè, seppur intercettata, era riuscita a far perdere le proprie tracce. Ha quindi indicato l'acquisizione dei necessari riscontri al racconto del S. nelle informazioni "de relato" rese dal C., il quale, per avere appreso le relative circostanze dall' Ab.

A. e da P.V. durante il loro viaggio in Spagna a Sitges per conferire con Am.Ra. sulla guerra che si stava intraprendendo ai Di Lauro, aveva confermato di avere saputo dell'uso dei garage quale base logistica, dell'organizzazione affidata a M.G. e ad Ab.Ar., delle plurime segnalazioni provenienti dal N.C. circa la presenza in strada della vittima, non raggiunta, dei tre tentativi esperiti senza successo, dei mezzi utilizzati e dei componenti delle distinte spedizioni.

3.3.2 Quanto alla materiale esecuzione del duplice omicidio del 28 ottobre 2004, sulla scorta delle informazioni fornite dal S., ha ricostruito l'episodio nel modo seguente: a Varcaturo verso le ore 12.00 di quel giorno vi era stato un incontro tra P.C., Ab.Ar., M.G., il collaboratore stesso, C.C., Am.Ra. ed altri e, dopo una discussione fra il P.C. che avrebbe voluto uccidere i figli di D. L.P. ed il M.G., consapevole che in questo caso non si sarebbe mai potuto trovare un accordo con i Di Lauro e propenso a colpire un soggetto meno in vista del clan da cui si erano scissi, l' Ab.Ar. aveva risolto gli indugi, riferendo che in qualche ora avrebbe ucciso il M.F., cosa che il P.C. aveva accettato, pretendendo però che i figli degli esecutori incaricati fossero condotti da lui e trattenuti sino al compimento dell'azione criminosa, a garanzia della sua realizzazione secondo gli accordi raggiunti. Era quindi partito da Varcaturo un equipaggio composto dall' Ab.Ar., da M.C. e M.G., seguito da altro composto dal S., dal C. e da Pa.Ca. a bordo di un'autovettura Palio, dotata di vano per nascondere le armi e muniti di pistole cal. 9 x 21 con silenziatore da utilizzare nell'agguato e tutti costoro avevano raggiunto il garage sottostante le "Case celesti", ove si erano preparati; giunta la segnalazione del N.C. sulla presenza della vittima nella zona prescelta per l'uccisione, erano partiti a bordo della Ford Escort l' Ab.Ar. con un mitra ed il M.C., armato di pistola calibro 9, le uniche utilizzate, poi a bordo di uno dei motocicli Honda SH già pronti nel nascondiglio delle "Case celesti" il M.G. ed il D. C.A., armati di pistole cal. 9, ed a bordo di altro motociclo C.C. e Pa.Ca. con le pistole 9 x 21 loro consegnate da P.C.. Nello stesso ordine, ad omicidio eseguito, i tre gruppi avevano fatto ritorno al garage, ove nel frattempo erano rimasti in attesa il S., M. R., Ba.Fr. e M.A., per poi recarsi nuovamente tutti a Varcaturo ove avevano appreso dall' Ab.

A. come si erano svolti i fatti e festeggiato l'evento.

L' Ab.Ar. aveva quindi riferito che egli ed il M. C., individuato il motociclo Honda Transalp, sul quale avevano viaggiato le vittime, lo avevano fatto passare avanti, lo avevano raggiunto ed urtato, facendo cadere al suolo la motocicletta e gli occupanti, erano scesi dalla vettura e l' Ab.Ar. aveva sparato al M.F., ma la mitraglietta si era inceppata dopo i primi colpi, dando tempo alla vittima di rialzarsi e di tentare la fuga, mentre il M.C. era riuscito a colpire alla testa ed al torace il S.C., uccidendolo, per cui l' Ab.Ar. aveva nuovamente raggiunto il M. F., l'aveva fatto cadere e con la pistola passatagli dal complice lo aveva finito, sparandogli al volto. Quando gli altri due gruppi di fuoco erano giunti sul luogo, l'omicidio era ormai terminato.

3.3.3 Il collegio del riesame ha quindi evidenziato l'acquisizione di plurimi riscontri alla narrazione del S., costituiti da:

- accertamenti sul luogo del delitto circa la diversità e pluralità di armi utilizzate contro le vittime;

- accertamenti autoptici circa la presenza di due sparatori, posizionati in punti diversi;

- dichiarazioni rese da Gi.Gi., divenuto a sua volta collaboratore di giustizia, il quale aveva ammesso la sua presenza sul luogo dell'omicidio e di essere stato richiesto dal N. C. dopo l'esecuzione del delitto, di trasferire altrove un borsone, che avrebbe potuto contenere delle armi;

- dichiarazioni rese da C.C., partecipe alla fase preparatoria dell'agguato, sugli equipaggi, sull'utilizzo di veicoli diversi e delle armi, sull'arrivo della segnalazione fatta da " C.o.P.", ossia da N.C., appartenente al gruppo di M.G., sull'ordine di partenza dei tre gruppi di fuoco, sulla mancata partecipazione all'esecuzione del suo gruppo perchè sopraggiunto ad omicidio avvenuto, sul successivo rientro a Varcaturo ove l' Ab.Ar. aveva descritto gli eventi nel modo seguente: speronata la moto Transalp delle vittime da parte dell'auto dell' Ab.Ar., questi ed il M.C. era scesi dal veicolo ed avevano sparato con la mitraglietta detenuta dall' Ab.Ar. che aveva attinto i due bersagli, che però si erano rialzati ed avevano tentato la fuga in direzioni opposte, raggiunti il S.C. dal M.C. che lo aveva attinto al capo ed al torace, il M.F. dall' A. A., che aveva perduto il cappellino indossato ed al quale però si era inceppata l'arma, per cui era stato finito dal M.C. con la sua pistola;

- rinvenimento sul luogo dell'agguato di un cappellino di tipo impermeabile, corrispondente a quello che l' Ab.Ar.

avrebbe smarrito, privo di residui piliferi in ragione del fatto che questi aveva indossato un sottocasco o un passamontagna, impedendo il rinvenimento di capelli;

- concreta percorribilità e plausibilità del tragitto che l'equipaggio composto dal M.G. e dal D.C. A. avrebbe seguito;

- dichiarazioni rese dal collaboratore Me.Lu., il quale aveva riferito di essersi trovato nel garage sotto le "Case celesti" il giorno dell'omicidio quando era pervenuta la segnalazione del N.C. circa la presenza in strada della vittima designata, di aver visto partire per primi l' Ab.Ar. ed il M. C. in auto e gli altri in moto, di averli visti rientrare ad omicidio eseguito e di avere ricevuto l'incarico da parte del M. G. di far sparire un cappellino ed un giubbino indossati durante l'azione, quindi di avere atteso il ritorno del M. G. e di aver appreso in un successivo momento da questi, dal S. e dal M.R. lo svolgimento degli eventi descritti;

- dichiarazioni del collaboratore E.B. in merito alle rivelazioni fattegli dai cognati S. e C. circa lo svolgimento dell'omicidio, confermate anche da quanto riferitogli da D.L.U., suo capo nell'organizzazione Di Lauro.

- conversazione intervenuta tra Pe.Lu. e T. S., affiliati al clan Di Lauro, che la notte successiva al duplice omicidio, esaminando l'accaduto, avevano intuito chiaramente che mandanti dell'omicidio erano stati gli "spagnoli" di Am.

R. ed esecutore M.G. ed avevano già appreso che gli autori materiali ad avere agito erano stati sei o sette;

- la conversazione intercettata tra Pe.Lu. e E. F. in data 11/11/2004 circa la già avvenuta identificazione dei responsabili in Ab.Ar. e M.G. ed i desideri di vendetta nutriti da D.L.C. per l'omicidio del M.F., uno dei suoi più stretti collaboratori;

- l'effettiva sparizione dalla zona degli scissionisti, riparati subito dopo l'agguato a Varcaturo ed in Spagna per sfuggire alla vendetta dei "dilauriani";

- le dichiarazioni di Pr.An., affiliato del clan Di Lauro e rivelatore delle reazioni scaturite tra i suoi esponenti dopo l'omicidio, circa le notizie in possesso di D.L.P. e del figlio D.L.C. sull'identità dei mandanti dell'omicidio M.F. - S.C., indicati in Ab.

A., M.G., P.C., Am.Ra. ed N.E. e sulla faida che ne era scaturita per l'ostinato desiderio di vendetta di D.L., che era riuscito a soppiantare il padre alla guida dell'omonimo clan;

- le dichiarazioni del collaboratore P.G. circa l'appresa conoscenza da parte di D.L.C. dell'uccisione del suo collaboratore M.F. ad opera dell' Ab.Ar. e del M.G. e quelle di Ca.Ca., apprese da Ba.Sa., teste oculare dell'omicidio;

- l'accertamento da parte della polizia giudiziaria a quattro giorni dall'omicidio dello svolgimento presso l'abitazione di N. C. di una riunione, cui avevano preso parte S.L., C.C., Pa.Ca., N.G. e M.R. e della presenza nei pressi dell'edificio di una busta contenente numerose armi da fuoco, col sequestro di armi, guanti di lattice e passamontagna;

- il rinvenimento il 15/11/2004 all'interno del garage sottostante il complesso delle "Case celesti" di armi riposte in due borsoni, collocati nell'autovettura Fiat Punto, risultata sottratta ad Avellino poco prima dell'omicidio M.F., reso possibile dall'intercettazione di dialoghi tra il N.C. e G. G. e l'ulteriore individuazione il 24/11/2004 presso l'abitazione di Ab.An., sorella di Ab.Ar., di altre armi in gran numero, nel possesso dei soggetti accusati di far parte del gruppo di fuoco degli "scissionisti", ossia di Ab.

A., M.G., M.C., N.G. e N.R., tutti tratti in arresto.

- L'arresto di Ca.Ci., Ca.Ri., Ca.An., Ca.Lu., Ci.Gi. e Be.Be.

operato a Varcaturo dalla polizia giudiziaria in data 19/2/2005 ed il contestuale sequestro della Fiat Palio di colore blu, dotata di un doppio fondo ricavato nel cruscotto lato passeggero, azionato con un meccanismo automatico di espulsione, al cui interno erano state rinvenute varie pistole, in conformità a quanto riferito dal S..

- Gli apporti conoscitivi forniti da altri collaboratori di giustizia.

4. Ebbene, ad avviso di questa Corte, il procedimento valutativo delle risultanze indiziarie, esposto nell'ordinanza impugnata resiste alle articolate ed accurate censure mosse da tutti i ricorrenti.

4.1 Il Tribunale non ha mancato di esporre in modo analitico e puntuale le ragioni del giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca, espresso nei confronti dei collaboratori di giustizia, rilevando come fosse stato accertato giudizialmente in separati procedimenti penali il loro inserimento nei gruppi delinquenziali coinvolti nella faida tra "dilauriani" e "scissionisti" e, quanto a Pr.Ma., in posizione di vertice, il che dava conto della possibilità materiale di conoscenza delle informazioni riferite per il coinvolgimento diretto nelle vicende descritte e negli ambienti criminali che ne erano gli autori, valutazione positiva che era stata già condivisa anche da altre autorità giudiziarie in distinti procedimenti e rafforzata dall'accertamento dei contatti personali e degli incontri del S., del C., del Me. con alcuni degli odierni ricorrenti secondo quanto verificato dalla polizia giudiziaria nel periodo antecedente e successivo i fatti in esame.

4.2 Inoltre, i giudici del riesame, avendo ben presente le ragioni dell'annullamento della precedente decisione, non si sono sottratti nemmeno alla verifica circa la possibilità di un condizionamento reciproco con la conseguente circolarità di notizie tra i quattro collaboratori S., C., Me. ed E.B., legati da vincoli di affinità per avere sposato quattro sorelle, approdati in tempi coincidenti alla scelta della collaborazione con la giustizia ed in grado di comunicare tra loro, di persona ed a mezzo del telefono, anche nel periodo in cui avevano reso dichiarazioni indizianti agli inquirenti. Hanno osservato al riguardo che:

- il possesso di telefoni cellulari in capo al Me. ed all' E.B., come rilevato anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, costituiva un dato neutro e non decisivo, in assenza di prova dei loro contatti e del loro contenuto, finalizzato a concordare versioni di comodo da spendere a loro vantaggio con gli inquirenti;

- essi avrebbero avuto il modo ed il tempo di preconfezionare una versione comune prima di intraprendere la scelta della collaborazione, senza dover ricorrere alle comunicazioni telefoniche;

- il C., che pure aveva assunto per primo la scelta di collaborare ed aveva ammesso gravissime responsabilità personali nell'esecuzione dell'omicidio, non aveva avuto modo di comunicare con i congiunti ed era rimasto detenuto per tutti i centottanta giorni previsti per l'acquisizione delle sue propalazioni;

- la sostanziale coevità con la scelta del C. del "pentimento" degli altri cognati non era indicativa di una concertazione maliziosa e calunniatoria, ma era sorta dalla necessità di sottoporre a protezione le loro persone e tutti i loro nuclei familiari, perchè, diffusasi la notizia della scelta dissociativa operata dal C., essi erano diventati i potenziali bersagli delle reazioni ritorsive degli accusati ed i vertici del clan Amato-Pagano aveva loro chiesto di sopprimere i familiari del "pentito", ossia i loro stessi familiari, rifiuto che essi avrebbero pagato con la vita;

- le discrasie esistenti nei loro rispettivi racconti erano logicamente incompatibili, - ed il rilievo era stato già avanzato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia di annullamento della precedente ordinanza del riesame -, con un preventivo accordo sulle versioni dei fatti da riferire, che, altrimenti, sarebbero state perfettamente uniformi e coincidenti anche su particolari secondari;

- le loro rivelazioni su episodio criminoso sino ad allora rimasto non accertato negli autori e nei mandanti, in ordine al quale non erano mai stati nemmeno sospettati, erano contraddistinte da assoluta spontaneità ed avevano significato il riconoscimento di un ruolo non secondario, nè minimo nella sua perpetrazione con una valenza marcatamente autoaccusatoria;

- non erano emerse plausibili ragioni che dessero conto di un consapevole e deliberato mendacio in danno dei ricorrenti;

- altri elementi probatori ne avevano confermato la veridicità.

4.3 Sul tema poi del mancato raggiungimento della convergenza del molteplice, le difese si sono impegnate nel segnalare molteplici profili di contrasto nella narrazione dei collaboratori C. e S. perchè entrambi:

a) avevano riferito dell'utilizzo di una mitraglietta per realizzare l'omicidio, circostanza smentita dalle indagini autoptica e balistica e giustificata con argomenti illogici, ossia che il S. potrebbe non essersi accorto che l' Ab.Ar. ed il M.C. avevano con sè due pistole cal. 9;

b) avevano descritto una vettura diversa a bordo della quale i due esecutori avevano raggiunto il luogo del delitto;

c) la riferita dinamica dell'omicidio non corrispondeva ai rilievi scientifici, mentre il C., facente parte di una delle staffette, avrebbe dovuto certamente conoscere in modo diretto le modalità esecutive;

d) avevano indicato un diverso luogo di partenza del commando omicida, per il S. la villa di Varcaturo, per il C. la casa di S. a Secondigliano;

e) il C. non aveva ricordato la presenza dei due bambini, trattenuti dal P.C. a Varcaturo e la spiegazione fornita dal Tribunale sul punto era illogica perchè egli non aveva riferito di essersi esercitato all'esterno nello sparo con le armi consegnategli;

f) avevano collocato diversamente nel tempo i tentativi di omicidio del M.F. ed il soggetto che aveva ricevuto la chiamata di segnalazione da parte dello "specchiettista" della presenza della vittima in strada.

4.3.1 Ebbene, giova ricordare che la sentenza rescindente ha già rilevato come fosse insoddisfacente, perchè carente ed illogica, una disamina dei portati conoscitivi dei collaboratori, fondata soltanto sui pretesi punti di contrasto fra le varie propalazioni, e fra le stesse ed elementi esterni rinvenibili nel compendio indiziario, non accompagnata dalla considerazione degli elementi di convergenza e della loro valenza significativa. Sul punto le argomentazioni difensive incorrono nello stesso errore, in quanto trascurano quanto, invece, attentamente considerato dal Tribunale, ossia:

- che i predetti collaboratori hanno riferito notizie riguardanti la fase conclusiva dell'operazione criminale e, sulla dinamica esecutiva, i particolari appresi dall' Ab.Ar. e dal M.C., in quanto, pur avendo preso parte alla preparazione dell'agguato e alla fase del successivo disimpegno, non avevano assistito alla materiale uccisione del M.F. e del S.C., il che refluisce anche sulla valutazione della loro credibilità, perchè eventuali discrasie narrative non possono imputarsi direttamente alla loro errata ed inaffidabile percezione, nè al mendacio consapevole;

- la massima di esperienza, invocata da alcune difese, secondo la quale è più agevole concordare versioni collimanti nei tratti generali che ricordare anche i particolari minuti, il tal che la mera concordanza sul nucleo essenziale del delitto non sarebbe appagante, si scontra con quella di sicura affidabilità, secondo la quale difficilmente le versioni di un fatto, rese da diversi partecipi o spettatori, sono perfettamente coincidenti anche nei dettagli e ciò per la diversa percezione individuale della realtà e le diverse capacità mnemoniche di rievocarla, sicchè le contraddizioni descrittive tra fonti dichiarative possono assumere rilievo significativo di falsità soltanto se riguardanti circostanze essenziali e decisive, mentre quelle su particolari secondari hanno un rilievo equivoco, potendo addebitarsi a difficoltà di memoria o al diverso patrimonio di conoscenze, frutto di un differente livello di coinvolgimento nei fatti;

- è illogico sostenere, da un lato che le versioni offerte dai quattro cognati erano state oggetto di un previo accordo collusivo a loro vantaggio ed in pregiudizio degli accusati sulla base di un comune copione descrittivo del delitto in linea di massima, ed al contempo appuntarsi sulle contraddizioni dei loro racconti, denunciati come difformi ed inconciliabili, riguardanti proprio i dettagli esecutivi delle azioni criminose, che, al contrario, provano proprio come essi non avessero concordato quanto riferire agli inquirenti, perchè altrimenti si sarebbero resi autori di una narrazione monocorde e perfettamente uniforme e non avrebbero prestato al fianco a contestazioni così minuziose delle difese;

- i collaboratori hanno descritto episodi complessi, che avevano visto la partecipazione di un numero elevato di protagonisti a vario livello coinvolti, a distanza di molti anni dalla loro verificazione con l'inevitabile incidenza del tempo sulla precisione dei loro ricordi, che comunque convergono non soltanto sul nucleo essenziale dei fatti, ma sulla grande maggioranza delle circostanze riferite di tempo, luogo, partecipanti.

4.3.2 Ecco allora che assume un rilievo secondario l'erronea descrizione dell'uso della mitraglietta da parte dell' Ab.

A., che il S. potrebbe non avere visto, dal momento che non aveva svolto le mansioni di armiere e di depositario dei dispositivi, poi consegnati agli esecutori, descritti correttamente quanto ai diversi calibri; la vettura a bordo della quale i due esecutori avevano raggiunto il luogo del delitto, descritta come una Ford Escort dal S., una Opel Vectra dal C., non è oggetto di vero contrasto, dal momento che i due modelli sono simili e quest'ultimo ha testualmente affermato che l'auto era del "tipo" Opel Vectra senza averlo affermato con certezza; il contrasto tra la riferita dinamica dell'omicidio ed i rilievi scientifici non può consentire la totale svalutazione del C., il quale aveva sì fatto parte di una delle staffette, ma aveva raggiunto il bersaglio ad omicidio già avvenuto, senza avervi assistito; la divergenza nell'indicazione del luogo di partenza del commando omicida, per il S. la villa di Varcaturo ove si era trovato il P. C., per il C. la casa del S. a Secondigliano, è frutto di un errato ricordo iniziale di quest'ultimo, che non riveste un rilievo decisivo nel contesto della narrazione, posto che in successivo interrogatorio egli aveva comunque confermato la partenza dalla villa di Varcaturo; l'omesso particolare, da parte del C., dell'avvenuta consegna, quali ostaggio, dei figli dell' Ab.Ar. e del M.G., riferita dal S., è spiegata logicamente dal Tribunale del riesame col fatto che il C. si era allontanato dall'abitazione per esercitarsi nel tiro, dovendo prendere parte all'esecuzione, apparendo piuttosto del tutto irrazionale sostenere che egli non si fosse addestrato all'esterno per non averlo riferito, non potendosi immaginare praticamente un allenamento con armi da fuoco all'interno di edificio abitato in presenza di numerosi astanti.

4.3.3 Parimenti, anche i particolari della diversa collocazione nel tempo dei tentativi di omicidio del M.F. e del soggetto che aveva ricevuto la chiamata di segnalazione da parte dello "specchiettista" il giorno del delitto sono stati ritenuti dai giudici del riesame frutto di un diverso bagaglio di conoscenze tra le due fonti, dal momento che all'epoca di quei fatti il C. si era trovato in Spagna ed aveva fatto ritorno a Napoli tre giorni prima dell'omicidio, mentre entrambi avevano assegnato al N. C. il ruolo di vedetta per la segnalazione del passaggio della vittima in strada.

4.4 In punto di diritto, va ricordato che, ai fini dell'emissione di una misura cautelare personale, per integrare il requisito dei "gravi indizi di colpevolezza", preteso dall'

art. 273
c.p.p., devono essere acquisite emergenze probatorie, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo "in nuce" gli elementi costitutivi della fattispecie penale contestata, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, ma consentono, per la loro consistenza, di prevedere che nel prosieguo delle indagini saranno idonei a dimostrare tale responsabilità ed al tempo stesso giustificano una qualificata probabilità di colpevolezza (Cass. sez. 6^, n. 35671 del 06/07/2004
, sez. 4^, n. 37878 del6/7/2007, Cuccaro ed altri, rv. 

237475; sez. 1^, n. 20536 del 13/4/2011, Palmanova, rv. 250296). In particolare una recente pronuncia di questa Corte con puntuali e condivisibili rilievi ha affermato: "In tema di misure cautelari personali, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all'

art. 273
c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine analogo inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell'adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192
 c.p.p., comma 2, come si desume dall'art. 273
 c.p.p., comma 1 bis, che richiama dell'art. 192
 c.p.p., i commi 3 e 4 ma non il comma 2 dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)" (Cass. sez. 5^, n. 36079 del 05/06/2012
, Fracassi e altri, rv. 253511; negli stessi termini: sez. 2^, n. 26764 del 15/03/2013, Ruga, rv. 256731; sez. 4^, n. 18589 del 14/02/2013, Superbo, rv. 255928; sez. 6^, n. 7793 del 05/02/2013, Rossi, rv. 255053). 

4.4.1 Alla luce di tali criteri va affrontata anche la questione dell'utilizzo in sede cautelare delle dichiarazioni dei chiamanti in correità o in reità: la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato (

Cass. S.U. n. 36267 del 30/5/2006
, PG. in proc. Spennato, rv. 234598; sez. 1^, n. 11058 del 2/3/2010, Abbruzzese, rv. 246790; 

sez. 1^, n. 19517 dell'1/4/2010, Iannicelli, rv. 247206; sez. 5^, n. 18097 del 13/4/2010, P.M. in proc. Di Bona, rv. 247147) che, ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale, le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato possono costituire grave indizio di colpevolezza ai sensi dell'

art. 273
c.p.p., commi 1 e 1 bis, soltanto a condizione che, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano riscontrate da elementi esterni individualizzanti, ovvero da elementi di qualsiasi natura, anche logica, i quali, sebbene sforniti di autonoma capacità dimostrativa, riguardino la persona del chiamato e, confermando la chiamata in correità, siano dotati di attitudine dimostrativa dell'elevata probabilità di responsabilità in ordine al fatto di reato ipotizzato dall'accusa. Allo scopo non è richiesta una perfetta corrispondenza di contenuto tra le informazioni del chiamante in correità e gli elementi che devono fungere da riscontro, in quanto il "thema decidendum" è quello della responsabilità in ordine alla specifica condotta criminosa, fermo restando che il giudizio sull'esistenza e sulla capacità dimostrativa di un elemento di riscontro che confermi una chiamata di correo è devoluto al giudice del merito, il cui procedimento valutativo non è censurabile in sede di legittimità, se rispondente ai canoni della logica e della completezza quanto all'idoneità del riscontro ad operare quale elemento di conferma, senza che sussistano limitazioni nell'individuazione del riscontro, che può consistere in qualsiasi dato che, seppur privo di forza probatoria autonoma, possa corroborare la chiamata in correità, conferendole quella affidabilità necessaria perchè possa essere utilizzata in chiave probatoria. 

4.5 Ebbene, la lettura dell'ordinanza in esame alla luce di tali principi generali induce a concludere che, sulla base di una considerazione congiunta e coordinata di tutto il materiale indiziario, oggetto di analisi approfondita e coerente, con motivazione logica e perciò incensurabile in sede di controllo di legittimità, il Tribunale ha dato conto, sia delle ragioni per le quali gli indagati sono stati ritenuti attinti da gravi indizi di colpevolezza in relazione ai delitti loro ascritti, sia della convergenza dei dati conoscitivi, significativamente indicativi della qualificata probabilità della loro responsabilità. Quanto alle posizioni individuali dei ricorrenti si osserva quanto segue.

5. A carico di P.R. il Tribunale ha valorizzato le concordi indicazioni fornite dal C. e dal S., a detta dei quali egli, sebbene detenuto per altra causa, per il tramite del fratello P.V., che si era recato in Spagna con Ab.

A. in visita da Am.Ra. e P.C., aveva manifestato il proprio assenso alla soppressione del M. F. per dare inizio alla "guerra" contro i Di Lauro. Ha quindi ritenuto convergenti con tale narrato quanto appreso e riferito "de relato" da altre fonti, ossia da Ma.Mi., secondo il quale durante un periodo di comune detenzione Ca.Ma.

e M.R., appartenenti alla fazione degli scissionisti, gli avevano detto che fra i mandanti dell'omicidio M.F., previo viaggio in Spagna dall' Am.Ra., vi era stato anche P.R., oltre a A.R., lo stesso Am.Ra. e M.G. e da T. S., il quale a sua volta aveva coinvolto nell'assunzione della decisione di uccidere il M.F. il P. R., il fratello P.V., gli A. e P. C., quest'ultimo con un ruolo operativo sul territorio.

5.1 Ha quindi indicato quali elementi oggettivi di riscontro:

- le circostanze accertate circa i colloqui in carcere tra i fratelli P. negli anni 2003 e 2004, intervenuti sia prima, sia dopo i viaggi in Spagna di P.V. dall' Am.Ra. e protrattisi anche in epoca successiva alla sottoposizione del ricorrente al regime differenziato di cui all'

art. 41 bis
o.p.
, in parte intercettati, ma soltanto a partire dal novembre 2004 in poi, secondo quanto analiticamente esposto nell'ordinanza genetica, non contraddetta, se non da labiali asserzioni sulla registrazione anche antecedente dei colloqui in carcere del P.R. con i familiari; 

- nonchè la conversazione tra costoro nel corso della quale P.R. aveva chiesto a P.V. se avesse incontrato " o.L.", ossia Am.Ra., chiamato anche " o.

c.m.", che pacificamente all'epoca era dimorante in Spagna, la cui valenza di riscontro è stata genericamente contestata dalla difesa senza l'illustrazione di alcuna ragione esplicativa.

Il Collegio del riesame ne ha dedotto in modo logico e consequenziale che P.V. avesse agito in concreto quale portavoce e "longa manus" di P.R. durante la detenzione di questi, come riferito dal S.. Inoltre, ha richiamato anche quanto riferito dal collaboratore di giustizia Pr.Ma., già affiliato al clan Di Lauro, secondo il quale, dopo l'omicidio M.F., durante un'udienza del processo per il delitto associativo che aveva interessato diversi esponenti del clan Di Lauro, D'.En. in presenza sua e di D.L.P. aveva chiesto spiegazioni su chi ne fosse stato il mandante a A. R., il quale aveva indicato la persona di P.R., collegato in videoconferenza, indicazione cui egli non aveva prestato fede, pensando si fosse trattato di un tentativo di discolparsi e che il P.R. non avesse avuto la concreta possibilità di comunicare, perchè in isolamento.

5.2 In tal modo i giudici del riesame hanno già affrontato e risolto le obiezioni difensive, contenute nel ricorso; hanno osservato che validi elementi di smentita alla tesi accusatoria del coinvolgimento del P.R. nell'assunzione della decisione di eliminare il M.F. non potevano rinvenirsi nelle dichiarazioni del Pr.Ma., frutto di erroneo convincimento personale e di opinabili considerazioni, non avvalorate da elementi oggettivi ed anzi contraddette, sia dai provati colloqui in carcere tra i fratelli P., sia dalle accuse che A.R. aveva mosso al P.R.. Hanno quindi utilizzato un argomento logico:

poichè il ricorrente aveva assunto una posizione apicale all'interno del sodalizio dei Di Lauro, circostanza già accertata giudizialmente, soggetti come l' Ab.Ar. ed il M. G., a lui sottoposti secondo quanto riferito concordemente dal C. e dal S., non avrebbe mai potuto agire contro il M.F. ed i suoi referenti senza il previo assenso del P., pena il dover subire sanguinose e temibili reazioni. Del resto che il M.G. fosse stato un uomo di fiducia ed un sottoposto del ricorrente risulta accertato anche nella sentenza del Tribunale di Napoli del 17/5/2006, che ha definito, ora irrevocabilmente, il procedimento a carico dei capi del clan Di Lauro, compreso il P.R..

5.3 Quanto all'effettiva sussistenza della circostanza aggravante di cui alla 

L. n. 203 del 1991
, art. 7 dall'intera ricostruzione dell'omicidio, delle sue finalità, dell'inserimento in un contesto di scontro tra fazioni opposte della stessa organizzazione criminale di stampo mafioso, si evince che i suoi autori, morali e materiali, avevano agito per imporre il predominio del loro gruppo su quello antagonista e per avvantaggiare un sodalizio tra quelli descritti dall'art. 416 bis
 c.p., il che da conto in modo logico e consequenziale anche della ricorrente dell'aggravante in questione. 

5.4 Infine, in ordine alla giustificazione fornita per la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale l'ha ricondotta alla gravità oggettiva dei fatti per modalità di realizzazione, per lo spessore criminale ed il numero di quanti coinvolti, dell'appartenenza ai due clan di riferimento, al giudizio negativo sulla personalità del ricorrente, colpito da condanne irrevocabili per altri gravi delitti, all'aver dato il proprio contributo decisionale all'omicidio in periodo nel quale era stato ristretto per altra causa, con ciò ritenendo che la risalenza nel tempo dell'episodio non potesse in qualche modo attenuare l'intensità dei pericoli sussistenti e rendere idonea a salvaguardare dagli stessi misura meno afflittiva. Il tutto con motivazione esauriente, logica, immune da vizi di sorta.

6. Per la posizione di P.V. valgono i rilievi già esposti per quella del germano P.R. quanto alle chiamate in correità formulate a suo carico del C. e dal S., i quali ne avevano descritto il ruolo di "informatore" del fratello detenuto, ossia di latore di notizie su quanto stava accadendo all'esterno e delle sue decisioni.

Il Tribunale ha ritenuto tali concordi indicazioni riscontrate anche da quanto riferito da:

- E.B., il quale aveva confermato il viaggio del ricorrente in Spagna con Ab.Ar. per incontrare Am.

R., il suo ruolo di portavoce del fratello e di latore della sua volontà, nonchè di partecipe alla decisione di dar corso alla guerra contro i Di Lauro;

- dall'altro collaboratore Pi.Gi., affiliato al clan Abbinante e collaboratore di A.F., secondo il quale P.V. aveva partecipato anche alla fase organizzativa dell'omicidio, essendosi recato a tale scopo con l' Ab.Ar.

e N.G. da A.F. per chiedere la disponibilità di due killer del loro gruppo in grado di prendere parte all'agguato in danno del M.F. ed avendo ottenuto la messa a disposizione di due soggetti, tali c. e m., che però non si erano resi in concreto disponibili per essere prelevati dal N.G., circostanze apprese dal dichiarante per avere condiviso la latitanza con quest'ultimo e quindi per conoscenza diretta e personale;

- da T.S., il quale a sua volta lo aveva indicato quale protagonista della decisione, unitamente al fratello P. R., agli A. ed a P.C., di procedere al violento conflitto contro i Di Lauro.

A tali emergenze l'ordinanza genetica ha aggiunto il richiamo a risultanze probatorie, più diffusamente esposte nel provvedimento genetico, in ordine ai contatti tra P.V. ed A. A., finalizzati a raggiungere accordi per "organizzarsi" e "stare assieme" nel periodo di aprile - maggio 2004 a ridosso dell'inizio della scissione, collocata a giugno 2004, e del primo dei due viaggi in Spagna dall' Am.Ra., collocati dal C. nel giugno e nel settembre di quell'anno, nonchè il dialogo intercettato durante un colloquio in carcere con P.R., nel corso del quale questi aveva chiesto notizie al fratello a proposito di un incontro avuto con " o.L.", il " c.m.", ossia con Am.Ra. e la circostanza dell'intervenuta condanna di P.V. nel procedimento Ab.Ar. + 32, definito con sentenza 4/4/2006 del Tribunale di Napoli, quale aderente al gruppo scissionista degli Amato-Pagano.

6.1 La considerazione congiunta di tali dati probatori ha consentito ai giudici cautelari di ritenere che le chiamate in correità del C. e del S., la prima avente ad oggetto circostanze apprese personalmente per effetto dei legami criminali e della frequentazione in Spagna con l' Am.Ra., la seconda riguardante fatti appresi nell'ambito dei rapporti criminali con i protagonisti delle vicende narrate, si fossero riscontrate a vicenda ed avessero altresì ricevuto conferme attendibili anche da elementi esterni, dichiarativi ed intercettativi.

6.2 Non hanno pregio le obiezioni difensive, secondo le quali il consenso del fratello Rosario, comunicato da P.V., non avrebbe riguardato in modo specifico l'omicidio del M. F., ma soltanto in via generica la guerra da intraprendere contro i Di Lauro, tanto che la decisione di sopprimere il M. F. sarebbe stata assunta in un momento successivo quando il P.C. era rientrato in Italia: per quanto esposto nei due conformi provvedimenti cautelari è dato comprendere che, secondo il C., presente ai colloqui tra l' Am.Ra. ed il P. in Spagna, quest'ultimo aveva riferito che, nonostante l'iniziale intenzione di uccidere uno dei figli di D.L.P., sin dal settembre 2004 dell'omicidio della vittima quale esponente del clan Di Lauro si era già, non soltanto discusso, ma anche iniziato a preparare l'esecuzione con pedinamenti e la predisposizione del gruppo di fuoco, mentre l' Am.Ra. a sua volta aveva confermato che il P.C. si era recato a Napoli dalla Spagna appositamente per coordinare quella specifica operazione, che quindi aveva già ottenuto l'assenso dei capi scissionisti. Non giova alla tesi difensiva richiamare singoli passaggi dei verbali di interrogatorio dei collaboratori E. B. e Me., contenenti dichiarazioni divergenti dalla ricostruzione recepita dai giudici cautelari: non soltanto si tratta di atti non citati integralmente e non riportati in allegato al ricorso, che in tal modo incorre nel difetto di autosufficienza, ma gli stessi riferiscono particolari appresi "de relato" e riguardanti uno dei due incontri in Spagna, certamente di minore attendibilità e significatività rispetto a chi, come al racconto del C., che ne era stato protagonista diretto.

7. A carico di A.R. e A.F. il provvedimento impugnato ha valorizzato le informazioni accusatorie, provenienti dal C., al quale P.V. aveva riferito del consenso preventivo, espresso anche dal primo ricorrente, all'omicidio del M.F., già destinatario di un primo tentativo non andato a buon fine, dal S., da E.B., secondo il quale all'atto dell'allontanamento dalla Campania del P.C. e dell' Am.Ra., gli A. non erano ancora stati coinvolti nel progetto di scissione, cosa che sarebbe avvenuta per l'omicidio in questione e da Pr.Ma.. Costui ha, infatti, non soltanto descritto, per essere stato a conoscenza ed avere vissuto personalmente le vicende riferite, le dinamiche delle relazioni tra il gruppo degli A. ed il clan Di Lauro, di cui il primo aveva fatto parte sin dagli anni novanta, ma ha più specificamente indicato le ragioni ed i tempi della genesi della scissione, quindi di avere appreso particolari sul delitto M.F. nel corso dei colloqui in carcere, ove all'epoca era stato ristretto, e per avere assistito all'episodio, già descritto per la posizione del P., nel quale D'.En. aveva chiesto a A.R. chi fosse stato il mandante dell'omicidio e si era sentito indicare la persona di P.R.. Ne ha dedotto che, a prescindere dall'erroneo convincimento formatosi su base del tutto soggettiva ed opinabile dal Pr.Ma., l' A. era stato al corrente delle vicende relative e, proprio perchè mandante, della genesi della morte del M.F.. Il Tribunale ha quindi preso in esame anche quanto affermato da P.A. e P. G.: di essi, il primo, appartenente al gruppo Prestieri, poi confluito in quello degli scissionisti nel corso del 2006, ha affermato di aver appreso per bocca di D.L.C., informatone da tale Pe.Ra., appartenente al clan Lo Russo dopo l'omicidio M.F. - S.C., che A. R. dal carcere, l' Am.Ra. ed il P.C. erano stati i mandanti del delitto, mentre M.G. e l' Ab.Ar. ne erano stati gli esecutori materiali; il secondo, affiliato al clan Abbinante e stretto collaboratore di A.F., figlio latitante di A.R., quindi in possesso di notizie apprese da questi, ma anche per percezione diretta, ha dichiarato che la decisione di uccidere il M.F. era stata assunta dai vertici del clan Abbinante e ha descritto l'incontro avvenuto a Marano nel quale A. F., richiestone fra gli altri da P.V., aveva messo a disposizione degli scissionisti due killers, tali m.

e c., per comporre il gruppo di fuoco.

Si è aggiunta la considerazione di quanto riferito dai collaboratori Ma.Mi. e T.S., anch'essi indicanti A.R. tra i mandanti dell'omicidio M.F. per notizie apprese in carcere da compagni di detenzione anch'essi inseriti nello stesso contesto criminoso, l'argomento logico, secondo il quale A.F. mai avrebbe aderito alla richiesta del P. e compagni senza l'assenso del padre, capo del loro gruppo, gli accertamenti condotti sulla codetenzione in aula dibattimentale con P.R. fino al giugno 2004 per la celebrazione delle udienze del processo a loro carico, con la materiale possibilità di un accordo tra di essi, e sui numerosi colloqui in carcere avvenuti tra l' A. i suoi familiari ed altri affiliati al proprio clan, occasioni per esprimere il suo consenso e farne pervenire notizia ad altri aderenti allo stesso progetto di scissione.

7.1 Vanno disattese perchè infondate le censure difensive in ordine al difetto di vaglio critico sulla credibilità intrinseca soggettiva dei collaboratori di giustizia Pr.Ma. e P. G., oggetto nell'ordinanza impugnata ed in quella genetica di una breve ricostruzione delle loro vicende personali, della loro estrazione familiare e criminale, che li avevano posti nella condizione di apprendere e poter riferire le vicende specifiche, oggetto del procedimento, e della scelta della collaborazione, già ritenuti attendibili in separati procedimenti penali, riguardanti gli interessi illeciti del clan Di Lauro e specifici fatti di sangue.

7.2 Inoltre, emerge, contrariamente a quanto sostenuto col ricorso, che l'assenso preventivo era stato offerto, non già a generiche iniziative violente contro esponenti del clan Di Lauro, ma all'omicidio del M.F., contro il quale gli A. avrebbero avuto anche ragioni di rancore personale, secondo il narrato del Pr.Ma., per averli costui costretti alla fuga in occasione dell'uccisione di tale Tr. ed essere così divenuto testimone e causa della loro "brutta figura" e della diminuzione del loro prestigio criminale. Non risponde al vero che tutte le fonti dichiarative escusse sul tema siano riconducibili allo stesso informatore primario, in quanto non soltanto il C. ed il S. avevano appreso quanto riferito da affiliati diversi, ma il Pr.Ma. ed Pi.Gi. avevano descritto episodi vissuti personalmente e quindi non appurati in via secondaria e "de relato". Infine, anche il particolare della mancata partecipazione effettiva dei due killers designati dagli A. all'esecuzione dell'omicidio M.F. - S.C. non contraddice sotto il profilo logico la proiezione accusatoria, recepita dai giudici cautelari, dal momento che nulla esclude un'indisponibilità voluta o causale dell'ultima ora da parte del m. e del c., non riconducibile ad una diversa determinazione dei loro capi e mandanti del delitto. Tant'è che poi il c. era stato a sua volta soppresso. Ed anche le presunte ragioni di rancore del Pr.Ma. contro i ricorrenti perchè responsabili della decisione di allontanare i componenti del suo gruppo dalle loro abitazioni nel periodo della faida sono state già ritenute inconsistenti e non significative proprio nelle decisioni richiamate dalla difesa, tant'è che sulla base conoscitiva offerta da quel collaboratore si è fondata la condanna irrevocabile di A.R., giusta sentenza di questa stessa sezione n. 17702 del 2010. Il ricorso va dunque respinto perchè privo di fondamento.

7.3 Infine, più specificamente per la posizione di A. F., non risponde al vero che, per quanto esposto nell'ordinanza impugnata, gli unici elementi indiziari a suo carico si riducano alle propalazioni del solo Pi.Gi., unico ad avere riferito del coinvolgimento di esso ricorrente nell'organizzazione dell'omicidio M.F. - S. C. con la designazione di due uomini per prendervi parte, in quanto il Tribunale ha posto in relazione tali indicazioni con quanto riferito dal C. e dal S. proprio sul fatto che gli A., "rappresentati dal figlio di A.R., A.F., allora latitante, parteciparono mandando dei loro killers presso le case di Varcaturo...inoltre A. F. si era messo a disposizione durante la faida a darci degli appoggi nella 167, zona da loro gestita" (pag. 31 ordinanza impugnata); in tal modo ha evidenziato l'effettiva convergenza del molteplice sul ruolo di mandante e di partecipe alla fase organizzativa del delitto, senza essere incorso nella denunciata violazione di legge ed in alcun vizio di motivazione.

8. M.R. e D.C.A., oltre ad avere prospettato dettagliate censure al giudizio di attendibilità intrinseca dei quattro collaboratori di giustizia Me., S., C. ed E.B., hanno articolato censure analitiche sui punti di difformità delle loro rispettive narrazioni, che sono state già affrontate e disattese in premessa. Resta da aggiungere che, quanto alla presenza nel M.R. nel garage sottostante le "Case celesti" prima dell'agguato ed al suo ruolo nella sua esecuzione, sebbene il S. li avesse riferiti sin dal primo interrogatorio, mentre il C. ed il Me. in un momento successivo, resta indubbio, per quanto esposto nei provvedimenti cautelari, che tutti e tre i collaboratori hanno sostenuto della sua partecipazione materiale al delitto come un dato di fatto percepito direttamente, avendo assistito alla sua partenza con l' Ab.Ar. ed al suo ritorno ad omicidio compiuto ed ai successivi ed immediati racconti su quanto accaduto.

8.1 Per contro E.B., che all'inizio della collaborazione non era detenuto, essendolo soltanto il C., ha ammesso di aver appreso delle vicende dai cognati per essere stato in altra regione all'epoca dei fatti e poi anche dagli stessi indagati nel corso di successive riunioni tenutesi nelle ville di Varcaturo, divenute le basi degli scissionisti, e ha indicato, per averlo appreso da tali fonti, il M.C. come uccisore, con l' Ab.Ar., del M.F. e del S.C. e tanto è sufficiente, nel giudizio correttamente argomentato del Tribunale, a confermare il requisito di gravità indiziaria a suo carico.

8.2 Circa il ruolo assegnato al D.C.A., che il S. ed il C., ma anche il Me., hanno indicato come facente parte della seconda staffetta, partita per intercettare il M.F. a bordo di un ciclomotore con M.G., ma non quale partecipe alle fasi organizzative dell'agguato, va detto che tale rilievo non esplica nemmeno sotto il profilo logico alcun rilievo per smentire la fondatezza, la coerenza e la plausibilità del narrato dei collaboratori che avevano avuto percezione diretta della presenza e del compito assegnato al ricorrente. Del resto va ricordato che è stato evidenziato, a riprova della conoscenza fra il S. ed il D.C.A., che i erano stati assieme oggetto di controllo da parte delle forze dell'ordine il 6/6/2004 ed anche il 3/9/2004 con N.C., il che avvalora in modo oggettivo la possibilità di un loro comune coinvolgimento, appena poco più di un mese dopo nell'omicidio.

9. N.G., oltre ad esprimere censure riguardanti le divergenze nel narrato dei collaboratori, sostiene che il Tribunale avrebbe confuso chiamate in correità e quelle in reità e violato i criteri di valutazione dettate dall'

art. 192
c.p.p.. 

9.1 Qui richiamati i rilievi già svolti in via generale, va detto che quelle rese dal S. e dal C. costituiscono chiamate in correità a carico del ricorrente, dal momento che essi ne hanno riferito il coinvolgimento nella decisione e preparazione dello stesso omicidio, cui anch'essi avevano preso parte quale atto criminoso concorsuale, cui avevano dato un loro contributo personale.

Egli risulta essere stato indicato fra gli organizzatori del delitto dai predetti, dal Me. e da E.B., che l'avrebbe appreso da lui stesso. Il Tribunale ha quindi rilevato che anche Pi.Gi. gli ha attribuito in modo convergente, pur non essendo legato agli altri chiamanti da vincoli di parentela o affinità, il ruolo di organizzatore già descritto, allorchè ha riferito della sua visita, fatta a A.F., per ottenere due killers da impegnare nell'omicidio.

9.2 L'ordinanza in verifica ha quindi utilizzato quali ulteriori elementi di riscontro: la riportata condanna con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli del 4/4/2006 nel processo Ab.Ar.

+ 32, per l'adesione al clan degli scissionisti; il ritrovamento in data 2/11/2004, dunque quattro giorni dopo l'omicidio M. F. - S.C., nell'abitazione ove si stava preparando l'omicidio di D.L.U., a detta di C., da parte del gruppo di fuoco, che aveva annoverato tra i componenti anche il N.G., assieme al N.C., al S., allo stesso C. ed a Pa.Ca.; l'avvenuto arresto il 24/11/2004 con il M.C., l' Ab.Ar., il fratello N.V. e M.G. per la disponibilità di un arsenale di armi all'interno di un appartamento delle "Case celesti".

Tali circostanze, che il ricorso preferisce ignorare, sono state valorizzate per la conferma oggettiva offerta alla ricostruzione accusatola della vicenda ed all'individuazione dei suoi partecipanti.

9.3 Per contro, non assume alcun rilievo che il collaboratore Gi.Gi. non riferisca della sua presenza nel garage sottostante le "Case celesti" il giorno dell'agguato, dal momento che anche il S. ha sostenuto essersi egli trattenuto in Varcaturo quale custode dei due bambini rimasti ostaggio del P.C. a garanzia della puntuale esecuzione del mandato omicidiario da parte dell' Ab.Ar. e del M.C., il che comunque non smentisce il suo ruolo di organizzatore del delitto. Che poi altri propalanti, quali il Danese, il Ma.Mi. e C. C. abbiano fornito una diversa ricostruzione dei fatti rispetto ai quattro cognati, in assenza di una più puntuale illustrazione dell'argomentazione, ciò non contraddire la coerenza e la perfetta tenuta logica del percorso giustificativo del provvedimento in esame laddove ha ritenuto acquisiti gravi indizi di reità a suo carico.

10. Ab.Ar. a sua volta contesta l'attendibilità dei chiamanti in correità o in reità con argomenti già affrontati in precedenza; è sufficiente rilevare come egli sia stato indicato: dal C. quale appartenente al gruppo di fuoco, che inizialmente aveva perlustrato la zona a bordo di un veicolo Fiat Fiorino nel tentativo di omicidio del M.F., quindi che si era impegnato nell'aggressione armata contro la stessa vittima ed il S.C.; dal S. con lo stesso ruolo; dal Me.

quale organizzatore dei delitto nei giorni antecedenti e quale killer partito a bordo dell'autovettura e rientrato nei garage delle "Case celesti" ad esecuzione avvenuta; dall' E.B., informatone da esso ricorrente nel corso delle riunioni successive, tenutesi presso le ville nella disponibilità di P.D.A.;

da Pi.Gi. quale partecipe alla fase preparatoria ed alla designazione dei componenti del commando operativo. Il Tribunale a tale messe di informazioni concordi ha aggiunto:

- quanto riferito da M.G. e da V.S., ossia che, per quanto detto loro da altri associati dello stesso clan, fra gli autori dell'omicidio M.F. vi era stato A. A.;

- la sua accertata appartenenza, dapprima al clan Di Lauro, quindi a quello degli scissionisti, valsagli la condanna con la sentenza del 4/4/2006 del G.U.P. del Tribunale di Napoli;

- l'avvenuto arresto presso la casa della sorella assieme al M.C., ai N. ed al M.G., il 24/11/2004 con la disponibilità di un arsenale di armi, pronti per nuovi omicidi;

- l'avvenuto smarrimento di un cappellino con visiera nel corso dell'azione criminosa, effettivamente recuperato in sede di rilievi di p.g., risultato privo di tracce pilifere per avere il suo proprietario indossato un passamontagna o sottocasco, come riferito dal C. e dal S. e risultante anche dalla conversazione ambientale intercettata tra il Pe.Lu. ed il Ta.

S. sopra citata.

11. La posizione di M.C. presenta numerose analogie con quella dell' Ab.Ar. per il ruolo concorsuale addebitatogli e per le fonti di prova utilizzate, ossia i collaboratori C., S. e Me., autori di chiamate in correità, E. B. e Pi.Gi., chiamanti in reità, cui si aggiunge altro chiamante in reità "de relato", ossia Ca.Ca., S. il quale il ricorrente sarebbe stato riconosciuto da tale Ba.Sa., presente al delitto, tra i suoi esecutori. Egli contesta che sussista realmente una convergenza tra tali fonti quanto al "nucleo essenziale" del loro racconto, che, per assumere valore dimostrativo, non poteva non essere riferito alla dinamica con la quale l'omicidio era stato commesso: si è già detto come il provvedimento in verifica contenga l'esposizione molto analitica ed approfondita delle ragioni della ritenuta concordanza nella descrizione della vicenda omicidiaria, che include anche la partecipazione del M.C. ed il suo ruolo organizzativo ed esecutivo, non compromessa dai profili di discordanza su dettagli del tutto secondari circa la dinamica del delitto, riportati per estratto dai verbali di interrogatorio dei collaboratori in quadro sinottico nel ricorso, perchè nessuno di essi tale da compromettere la tenuta logica della ricostruzione del fatto ed in grado di dimostrarne la incompatibilità col "thema decidendum" proprio della pronuncia cautelare e la sua complessiva irrazionalità.

12. Am.Ra. in ordine al merito della vicenda cautelare solleva questioni analoghe a quelle dei coindagati, ma in più prospetta degli autonomi profili di illegalità nella valutazione del materiale indiziario e di illogicità della decisione e della relativa motivazione quanto alla riferibilità alla sua persona della decisione di sopprimere il M.F..

12.1 Sostiene, infatti, che sarebbe mancata da parte del Tribunale la considerazione dei casi giudiziari, per i quali i soggetti, accusati dai collaboratori coinvolti nel presente procedimento, erano stati mandati assolti in sede di cognizione, cosa accaduta per le dichiarazioni di Pr.Ma. a carico di D.L.C. per l'omicidio di V.G. e ad esso ricorrente per il tentato omicidio di R.A. e Va.Gi.. Ebbene, questa Corte ignora tali vicende e non può certamente prenderne cognizione, nemmeno in via incidentale, se non debitamente illustrate e documentate, cosa che la difesa ha mancato di fare.

12.2 Parimenti destituito di qualsiasi fondamento è addebito, mosso agli inquirenti, di avere sollecitato le risposte dei collaboratori, che in tal modo sarebbero state private di ogni spontaneità: è sufficiente replicare che, secondo quanto esposto nell'ordinanza, le indagini sull'omicidio M.F. - S.C. erano state archiviate e che soltanto il contributo conoscitivo dei collaboratori cognati su fatti, mai conosciuti in precedenza, ne ha consentito la riapertura.

12.3 Quanto alla questione dell'assunzione della decisione di realizzare l'omicidio del M.F., la stessa ha già trovato soluzione del tutto logica nell'ordinanza impugnata, che ha osservato come la fonte di accusa primaria a carico dell' Am.

R. fosse offerta dal C., suo stretto collaboratore, trasferitosi in Spagna al seguito suo e di P.C., presente anche quando egli era stato tratto in arresto in quel paese, autore di una puntuale descrizione degli incontri che avevano preceduto in chiave preparatoria e decisionale l'omicidio; è lo stesso C. a riferire di essere stato inviato espressamente dall' Am.

R. a Napoli il 25/10/2004 per prendere parte all'azione criminosa dopo che la proposta del M.G. e dell' A. A., veicolata da P.V. anche a nome del fratello P.R. e degli A., era stata recepita dal ricorrente. Dichiarazioni conformi sul mandato omicidiario proveniente dall' Am.Ra. hanno reso anche S.L., per il quale anche il P.C. aveva fatto rientro in Campania per lo stesso scopo, e Me.Lu., questi non appena era stato scarcerato una settimana prima dell'omicidio ed entrambi l'avevano appreso dall'interno della fazione degli scissionisti, rimasti a Napoli e lì ancora attivi; si sono aggiunte le propalazioni dell' E.B., di Pr.An. ed P.A., secondo quanto appreso da esponenti lealisti del clan Di Lauro, di Ma.Mi. e di T.S. per esserne stati questi ultimi informati "de relato" da altri camorristi ben individuati.

12.3.1 Ebbene, il S. ha in effetti riferito della discussione nuovamente accesasi in Varcaturo il giorno stesso dell'omicidio tra P.C. e M.G. in ordine all'obiettivo da colpire, che il primo avrebbe voluto fosse uno dei figli di D.L. P. contro la volontà degli altri scissionisti, confronto risolto con la pronta disponibilità dell' Ab.Ar. e del M. C. di procedere immediatamente all'omicidio del M. F., che però non era stato deciso in quel momento, ma in precedenza dai conferenti il mandato nei termini già descritti.

12.3.2 Del resto, da quanto accertato anche in separati procedimenti, richiamato più volte nei due provvedimenti cautelari, i presenti diversi dal P.C. non avrebbero avuto la forza decisionale, la caratura criminale e l'autorevolezza di assumere in modo autonomo dagli altri capi assenti, l' Am.Ra. in Spagna, P. R. e A.R. in carcere, una determinazione così netta, dalle conseguenze devastanti per quanti ne fossero stati coinvolti e da imporla al P.C., il quale si era dovuto attenere a quanto già stabilito, salvo poi pretendere di trattenere, a propria salvaguardia, i figli dei due killers sino al loro ritorno ad incarico eseguito. Inoltre, non si ritiene irrazionale e meramente ipotetica la possibilità, affermata dal Tribunale, che la decisione di dare corso alla guerra ai Di Lauro avesse incluso la soppressione del M.F. e di D.L.C., ma che poi per ragioni di prudenza e per lasciare aperta la possibilità di un negoziato con i dilauriani si fosse scelto di uccidere soltanto il primo.

13. Per la posizione di P.C., oltre a doversi richiamare i rilievi sul corretto e ben giustificato procedimento di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, deve anche escludersi la ricorrenza degli altri vizi denunciati col ricorso.

Quanto all'utilizzo in funzione di riscontro individualizzante al narrato del S. delle propalazioni del C., per quanto questi non risulta abbia confermato la discussione avvenuta nella villa di Varcaturo prima di eseguire l'omicidio, ha però riferito che già nei mesi precedenti, dopo l'iniziale indicazione dell'uccisione di D.L.C. o di uno degli altri figli di D. L.P., quale mossa iniziale per scatenare la guerra di camorra, sia l' Am.Ra., che il P.C. avevano acconsentito, su pressioni degli scissionisti rimasti nel napoletano M.G. ed Ab.Ar., a scegliere altro obiettivo, che non avrebbe definitivamente precluso ogni possibilità di successivo accordo con i Di Lauro. Il suo consenso prestato il giorno dell'omicidio dopo la discussione con gli altri scissionisti, descritto dal solo S., ha quindi dato seguito all'accordo già intervenuto, mentre le sue titubanze sono state collegate proprio dal C., come riportato a pag. 48 del ricorso, ai timori del P.C. per la propria incolumità personale nel momento in cui si stava scatenando la guerra e l'esecuzione dell'omicidio veniva affidata a personaggi ancora in rapporti di frequentazione con D. L.C., come il M.C. ed il N.G..

L'ordinanza ha già risolto anche la questione della mancata narrazione da parte del C. della pretesa del P.C. di trattenersi in "pegno" i figli dell' Ab.Ar. e del M.C., che va letta nell'ottica di quelle stesse preoccupazioni, perchè egli non sarebbe stato presente in quel momento, siccome impegnato ad esercitarsi con le armi.

13.1 Inoltre, vanno disattese anche le altre contestazioni in ordine al travisamento dei dati probatori in punto di convergenza del molteplice, poichè:

- quanto riferito dal Me. e da E.B. non può ritenersi frutto esclusivamente delle confidenze ricevute dagli altri cognati S. e C., quindi prive di autonomia, se si considera che essi erano pienamente inseriti nel gruppo degli scissionisti, avevano rapporti autonomi con molti dei protagonisti della presente vicenda, che il Me. aveva appreso anche da M.G. quanto riferito e che l' E.B. ha affermato di avere partecipato a più riunioni a Varcaturo ove si era discusso proprio di questo omicidio e della scissione;

- dei due collaboratori Pr.An. ed P.A., è certo che il S. ha reso indicazioni sul ruolo di mandante dell'omicidio, svolto dal P.C., quale notizia appresa da D.L.C. o dai suoi affiliati, perchè tanto trova riscontro proprio nell'ordinanza genetica, la quale alla pag. 126 riporta che il P.A. aveva affermato di aver appreso nel 2006, quando tutto il gruppo Prestieri era transitato nelle fila degli scissionisti, da Ca.Ri., emigrato in Spagna con l' A. R. ed il P.C. e loro stretto collaboratore, che anche il ricorrente aveva concorso nella decisione di sopprimere il M.F.;

- quanto riferito "de relato", ma per informazione appresa da fonte diretta del tutto autonoma dalle altre, da T.S. può validamente fungere da riscontro, perchè non limitato alle decisioni sull'inizio della faida di Secondigliano, ma riguardante più specificamente l'omicidio M.F., i cui mandanti egli ha riferito essere Am.Ra., P.C., i vecchi militanti del clan Di Lauro ossia i P. e gli A., come riportato a pag. 136 dell'ordinanza genetica; inoltre, il T.S. ha aggiunto che il P.C. aveva un ruolo operativo sul territorio, cosa che riscontra perfettamente il ruolo attribuitogli dal S.;

- l'utilizzo dell'argomento logico circa la necessità del preventivo assenso del P.C. per realizzare l'omicidio trova un aggancio dimostrativo nella sua posizione dirigenziale, descritta da più fonti ritenute attendibili, assunta all'interno della fazione degli scissionisti e nell'importanza del gesto criminale per le sue conseguenze ed il suo significato di formale dichiarazione di guerra contro la fazione sino ad allora egemone dei Di Lauro, sicchè tale decisione non poteva essere stata assunta senza anche il suo assenso;

del resto ad ulteriore riscontro si è utilizzato l'argomento dell'invio del C., uomo di fiducia dei cognati Am. e P.C., dalla Spagna a Varcaturo proprio per realizzare l'omicidio.

13.2 Deve dunque concludersi che anche per la sua posizione l'ordinanza resiste alle censure che le sono state mosse e supera il vaglio conducibile nel giudizio di legittimità.

14. A conclusioni difformi deve, invece, pervenirsi quanto alla posizione di D.L.C., cui si è addebitato il delitto di cui al capo F) quanto al concorso quale mandante nella detenzione ed al porto delle armi impiegate nell'attentato commesso contro gli scissionisti il 31/10/2004 quale reazione all'omicidio M. F. - S.C..

14.1 Va premesso che il Tribunale ha ritenuto accertata la sparatoria verificatasi nella serata di quel giorno sulla scorta dei rilievi tecnici sui bossoli di proiettili da arma da fuoco, rinvenuti in via (OMISSIS) di Arzano dopo la segnalazione del ferimento di una persona, in seguito identificata in B.G. e risultati alle indagini balistiche appartenere a due pistole semiautomatiche, una cal. 9 x 21, l'altra cal. 9 x 19. Quanto ai mandanti ed autori dell'episodio, avvenuto nei pressi dei garage sottostanti le "Case celesti", divenuti la base logistica del gruppo degli scissionisti, il collaboratore S.L. aveva riferito di avere riconosciuto tra gli sparatori Me.An., detto " e.n.", E. F., A.L., un Ma.Lu. detto " u.M." e G.L., detto " Cu." e che l'episodio si era verificato dopo un primo incontro, avvenuto tra D.L.M., figlio di D.L.P. e fratello di D.L.C., con il loro gruppo il 30 ottobre, finalizzato a comprendere se anche l' Ab.Ar. ed il M.G. avessero scelto l'opposta fazione, cui era seguito un secondo contatto presso l'abitazione di N.C., nella quale occasione l'emissario di Di.La.

C. si era scusato per la sparatoria, frutto di un'iniziativa dei suoi sottoposti, salvo poi provocare il loro controllo da parte delle forze dell'ordine, che li avevano circondati e condotti in Questura a distanza di appena due ore. Anche il Me. aveva assistito dalle finestre della sua abitazione, sita nei pressi, alla sparatoria, posta in essere da soggetti dei quali aveva riconosciuto l' E. F. ed il G.L., mentre il C. ed aveva descritto quanto appreso dai cognati ed il successivo abbandono della zona da parte del gruppo del Marino, rifugiatosi al Villaggio Coppola. Sulla base di tali informazioni il Tribunale ha escluso fosse stata raggiunta la necessaria gravità indiziaria per confermare l'ipotesi del tentato omicidio in danno del B. V., rimasto ferito nella sparatoria, che ha ravvisato per i delitti di detenzione e porto illegali delle armi in uso agli sparatori, avendo ritenuto "pacifico" la loro disponibilità in capo all' E.F. e compagni ed altrettanto "pacifica" l'identità del mandato del raid, ossia di D.L.C..

14.2 Ciò posto, premesso che non può essere revocata in dubbio la verificazione effettiva di una violenta sparatoria, posta in essere con armi da fuoco da più soggetti contro la base logistica degli scissionisti del M.G. e dell' Ab.Ar., riscontrata da dati oggettivi certi, quali i rilievi condotti dalla polizia giudiziaria ed il ferimento in quel contesto del B. V., la motivazione del provvedimento in verifica risulta carente ed affetta da manifesta illogicità: dalla ritenuta pacifica partecipazione di E.F. al raid armato, dai propositi di vendetta espressi da D.L.C. dopo l'omicidio M. F. - S.C. e dalla sua posizione di capo dell'omonimo clan, provocato dall'iniziativa criminosa degli "scissionisti", ha ritenuto di poter ascrivere l'impiego di quelle armi alla sua volontà ed al suo mandato. Ha però trascurato di replicare alle obiezioni difensive e di tener conto che:

- la conversazione intervenuta tra l' E.F. e P. L. dopo la sparatoria non aveva contenuto alcun riferimento alla partecipazione del primo a quell'azione, nonostante il tenore confidenziale del dialogo tra due appartenenti allo stesso sodalizio, suo presunto autore;

- la conversazione, intercorsa tra il Ta.Sa. ed il Pe.Lu. del 29/10/2004, già citata in precedenza, nel corso della quale essi, affiliati al clan Di Lauro, avevano commentato il duplice omicidio M.F. - S.C. ed i propositi ritorsivi di D.L.C., non poteva avere incluso argomenti quali la scorribanda armata del 30/10/2004 ed il disappunto del D.L.C. per il ferimento di persona estranea a quella contesa, a dimostrazione della volontà di colpire chi in realtà aveva ucciso il suo collaboratore, perchè il raid armato non si era ancora verificato;

- il S. aveva riferito di come qualche giorno dopo il ferimento di B.V. un emissario del clan Di Lauro si fosse presentato ed a N.C. avesse affermato di essere stato inviato a scusarsi per l'accaduto, addebitato a qualcuno dei ragazzi del gruppo, che aveva agito d'impulso e senza il preventivo assenso di D.L.C. e di Di.La.Ci., iniziativa interpretata come volta a tastare il terreno e verificare chi avesse intrapreso la scelta della scissione e chi fosse rimasto fedele al gruppo originario;

- sempre il S. aveva anche indicato che erano stati i figli di D.L.P. in età adulta e liberi in quel momento, ossia D. L.C., Di.La.Ci. e D.L.M., ad occuparsi di dirigere il clan durante la detenzione del padre e che, sebbene il capo fosse divenuto D.L.C., anche il fratello D.L. M. si era occupato di contattare il gruppo del M.G. alle "Case celesti" per chiedere notizie sulla provenienza e sulle vie di fuga degli autori dell'omicidio M.F..

Ebbene, l'omessa considerazione di tali elementi rende tutt'altro che compiuta e corretta la motivazione e nemmeno provata e pacifica l'ipotesi accusatoria che riconduce l'iniziativa del raid armato alla decisione ed alla volontà di D.L.C. sulla base del solo movente ritorsivo contro gli autori dell'uccisione del suo collaboratore; per quanto tale proposito possa dirsi dimostrato, ciò nonostante appare non sufficientemente argomentato il profilo fattuale del suo coinvolgimento nella vicenda, che potrei essere stata frutto di una iniziativa dl uno dei fratelli.

Per le considerazioni svolte l'ordinanza impugnata va dunque annullata parzialmente con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame dell'istanza del D.L. e per quanto attiene all'esecutività della misura custodiale applicata nei riguardi dell' Am.Ra.. Gli altri ricorsi, infondati in tutte le loro deduzioni, vanno, invece, respinti con la condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata nei confronti di Am.Ra.

limitatamente all'esecutività della misura cautelare applicata in relazione al principio di specialità e nei confronti di D.L. C. e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso di Am.Ra.. Rigetta i ricorsi di M.C., M.R., A.R., A.F., D.C.A., P.R., P.C., P.V., Ab.Ar. e N. G., che condanna al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell' art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. 

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.