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Spese legali: minimi tariffari sono inderogabili (Cass. 6686/19)

7 marzo 2019, Cassazione civile

L’abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma l’esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia allorquando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese del giudizio in applicazione del criterio della soccombenza ovvero alla liquidazione del compenso professionale spettante al difensore d’ufficio.

Vanno liquidate le spese del procedimento monitorio  e quelle maturate nella successiva fase esecutiva.

 

Corte di Cassazione

sez. II Civile, ordinanza 6 dicembre 2018 – 7 marzo 2019, n. 6686
Presidente Lombardo - Relatore Dongiacomo

Fatti di causa

L’avv. G.C. , ai sensi degli artt. 84 e 170 TUSG, con ricorso del 2013, ha proposto opposizione al decreto con il quale il tribunale di Milano, in data 28/2/2013, ha liquidato in suo favore la somma di Euro 300,00, oltre IVA e CP, per l’opera prestata quale difensore d’ufficio di Gh.Ab. , deducendo: - l’erronea applicazione del D.M. n. 140 del 2012, anziché della normativa previgente; - la mancata liquidazione delle spese e degli onorari con riferimento alla procedura monitoria intrapresa nei confronti dell’imputato innanzi al giudice di pace di Milano.

Il tribunale di Milano, con ordinanza del 25/11/2013, ha ritenuto che l’opposizione fosse fondata con riferimento alla dedotta violazione di legge: il decreto impugnato, infatti, ha applicato la normativa di cui al D.M. n. 140 del 2012, la quale, invece, non trova applicazione al caso in esame posto che l’istanza di liquidazione è stata presentata in data 14/12/2011 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore del D.M. n. 140 cit..

Il tribunale, quindi, nel procedere alla liquidazione secondo la normativa previgente, ha evidenziato che le tariffe professionali di cui al D.M. n. 127 del 2004, sono state abolite dal D.L. n. 223 del 2006, conv. in L. n. 248 del 2006, per cui, considerata l’estrema semplicità del processo, che non ha richiesto praticamente attività istruttoria e di studio e si è svolto in due sole udienze, la somma richiesta dal difensore, pari ad Euro 1.104,50, dev’essere ridotta ad un terzo e, quindi, ad Euro 368,17, oltre al 12,5% di spese forfettariamente liquidate, per l’importo complessivo di Euro 414,19. Il tribunale, infine, ha liquidato le spese del procedimento monitorio secondo le tabelle vigenti al momento della richiesta di liquidazione, per la somma complessiva di Euro 299,50.

Il tribunale, quindi, in riforma del decreto impugnato, ha liquidato in favore dell’opponente la somma di Euro 414,19, per l’opera prestata quale difensore d’ufficio di Gh.Ab. , e la somma di Euro 299,50, per il procedimento monitorio innanzi al giudice di pace di Milano, per un totale di Euro 713,69, oltre IVA e CPA.

L’avv. G.C. , con ricorso notificato al Ministero della giustizia in data 23/12/2013, ha chiesto, per due motivi, la cassazione dell’ordinanza del tribunale di Milano.

La ricorrente ha depositato memoria.

Disposta la rinnovazione della notifica, la ricorrente vi ha provveduto nel termine assegnato.
Il Ministero della giustizia ha depositato in giudizio "atto di costituzione per la partecipazione alla discussione orale".

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione di legge con riferimento all’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, del D.M. n. 127 del 2004, e del D.L. n. 223 del 2006, conv. con L. n. 248 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui il tribunale, dopo aver correttamente ritenuto che nel caso di specie trovavano applicazione le tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004, ha, tuttavia, violato le disposizioni in merito ai minimi tariffari stabiliti in tale provvedimento, riducendo arbitrariamente i richiesti compensi professionali ad un terzo in virtù dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, conv. con L. n. 248 del 2006, il quale, al contrario, dispone che "il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale". Secondo la normativa vigente, costituita dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, ha aggiunto la ricorrente, l’onorario e le spese spettanti al difensore d’ufficio o dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello stato, sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento osservando la tariffa professionale in modo che i valori non superino quelli medi, tenuto conto della natura e dell’impegno professionale.

In ogni caso, non possono essere liquidati valori inferiori ai minimi tariffari vigenti, vale a dire quelli previsti dal D.M. n. 127 del 2004. Nel caso di specie, ha aggiunto la ricorrente, il tribunale ha provveduto alla liquidazione non solo senza tenere conto della liquidazione della parcella effettuata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ma addirittura violando i minimi tariffari previsti dal D.M. n. 127 del 2004, che, sulla base dell’attività svolta, ammonterebbero ad Euro 573,00, oltre spese generali. Il tribunale, infine, si è limitato a liquidare i diritti e gli onorari limitatamente alla procedura monitoria omettendo di pronunciarsi sui diritti e gli onorari relativi alla successiva fase esecutiva, come la predisposizione e la notifica del precetto.

2. Il motivo è fondato.

Intanto, il decreto con il quale il tribunale di Milano ha provveduto alla liquidazione del compenso risulta pronunciato in data 28/2/2013 ma con riguardo ad un’attività professionale svolta ed esaurita nel 2006. Ed è noto che, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, - il quale ha dato attuazione al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012 - i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle precedenti tariffe professionali, sono applicabili ogni volta che la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla entrata in vigore del predetto decreto (23/8/2012) e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale (Cass. SU n. 17405 del 2012; Cass. n. 30529 del 2017).

I nuovi parametri di liquidazione delle spese processuali, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 41 in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano, infatti, in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto purché, a tale data, l’attività difensiva non sia ancora completata; invece, essi non operano, quando la liquidazione venga effettuata dopo l’esaurimento dell’attività difensiva (Cass. n. 17577 del 2018): come, appunto, accade nel caso in esame.

Stabilito, dunque, che la liquidazione in questione dev’essere operata alla luce della tariffa penale di cui al D.M. n. 127 del 2004, la Corte non può che ribadire il principio in forza del quale il giudice, come imposto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116, comma 1, ("l’onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio sono liquidati dal magistrato, nella misura e con le modalità previste dall’art. 82, ed è ammessa opposizione ai sensi dell’art. 84, quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali"), è tenuto a conformarsi alla norma prevista dal D.P.R. n. 115 cit., art. 82, comma 1 ("l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità... tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa"), il quale, prevedendo l’osservanza delle tariffe professionali "in modo che, in ogni caso, l’onorario e le spese liquidati non risultino superiori ai valori medi" delle stesse, lascia, attraverso tale richiamo, implicitamente salva l’inderogabilità dei minimi, prevista dall’art. 1, comma 5, della tariffa penale di cui al D.M. n. 127 cit. (Cass. n. 2725 del 2012, in motiv.).

Non può, quindi, essere condivisa la tesi, sostenuta dal tribunale di Milano nell’ordinanza impugnata, secondo cui sarebbe venuta meno l’obbligatorietà dei minimi tariffari con riferimento alla liquidazione giudiziale delle spese di lite: se è vero, infatti, che il D.L. n. 223 del 2006, ha disposto, all’art. 2, comma 1, che, "in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti...", è altresì vero che, al comma 2, il medesimo articolo dispone che "sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale".

Risulta, quindi, evidente che l’abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma l’esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia allorquando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese del giudizio in applicazione del criterio della soccombenza (Cass. n. 7293 del 2011) ovvero, come nel caso di specie, alla liquidazione del compenso professionale spettante al difensore d’ufficio.

Il decreto impugnato, inoltre, ha liquidato le spese del procedimento monitorio ma non risulta aver provveduto sull’istanza con la quale la ricorrente aveva chiesto (v. il ricorso in opposizione, p. 2 ss., agli atti del giudizio di merito cui la Corte, a fronte della natura processuale del vizio denunciato, accede d’ufficio) la liquidazione dei diritti e degli onorari maturati nella successiva fase esecutiva.

Ed è, invece, noto che, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116, il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva, volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione degli stessi da parte del giudice (Cass. n. 30484 del 2017). In tal senso, del resto, depone la lettera del D.P.R. n. 115 cit., art. 116, il quale, come visto, subordina la possibilità per il difensore nominato d’ufficio di vedersi corrisposto il compenso professionale dallo Stato all’infruttuoso esperimento delle procedure di recupero del credito nei confronti di chi ha beneficiato della prestazione (cfr. Cass. n. 27854 del 2011; Cass. n. 24104 del 2011; Cass. n. 15394 del 2012).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso esame di una domanda oggetto di discussione con conseguente omessa motivazione e violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui il tribunale ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di liquidazione dei compensi professionali e di rifusione delle spese sostenute per la proposizione dell’opposizione, in virtù del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., laddove, al contrario, è illegittima sia l’omessa disamina del parere del Consiglio dell’Ordine, sia l’omessa presa in considerazione della richiesta di liquidazione dei compensi e delle spese del procedimento che si è concluso con l’accoglimento dell’opposizione, trovando applicazione, al riguardo, le norme del codice di procedura civile in materia di responsabilità delle parti per le spese.

4. Il motivo è fondato.

Il difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170, proponga opposizione avverso il decreto di pagamento dei compensi, agisce, infatti, in forza di una propria autonoma legittimazione a tutela di un diritto soggettivo patrimoniale, con la conseguenza che il diritto alla liquidazione degli onorari del procedimento medesimo e l’eventuale obbligo del pagamento delle spese sono regolati dalle disposizioni di cui all’art. 91 c.p.c., e art. 92, commi 1 e 2, relative alla "responsabilità delle parti per le spese" (Cass. n. 7072 del 2018; conf. Cass. n. 17247 del 2011). Il decreto impugnato, non avendo provveduto sulle spese processuali relative al giudizio d’opposizione, non si è attenuto al predetto principio.

5. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e l’ordinanza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio al tribunale di Milano che, in persona di diverso magistrato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte così provvede: accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa con rinvio al tribunale di Milano che, in persona di diverso magistrato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.