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Stalking e avviso orale (Cons. Stato, 2599/15)

25 maggio 2015, Consiglio di Stato

Il decreto di ammonimento per atti persecutori (stalking) emesso dal Questore non richiede l'acquisizione di prove tali da poter resistere nel giudizio penale, essendo invece sufficiente che siano assunti nel procedimento elementi che consentano nell'Autorità emanante il formarsi del convincimento sulla fondatezza dell'istanza.

 

 Consiglio di Stato

Sezione III

sentenza n. 2599

 

sul ricorso numero di registro generale 6860 del 2014, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Soprano, con domicilio eletto presso l'avv. Enrico Soprano in Roma, Via degli Avignonesi n. 5;

contro

Ministero dell'Interno e Questura di Trento, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

-OMISSIS-;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00209/2014, resa tra le parti, concernente ammonimento orale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e Questura di Trento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l' art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2015 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Soprano e dello Stato Tito Varrone;
Svolgimento del processo

Con atto notificato i giorni 1, 5 ed 8 agosto 2014 e depositato il giorno 6 dello stesso mese il signor -OMISSIS- ha appellato la sentenza 28 maggio 2014 n. 209 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, notificata il 18 giugno 2014, con la quale è stato respinto il suo ricorso avverso il provvedimento in data 19 giugno 2013 del Questore di Trento, di ammonizione orale ai sensi dell' art. 8 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 su richiesta presentata dalla signora -OMISSIS-, già convivente dell'ammonito.

A sostegno dell'appello ha dedotto:

1.- Error in iudicando in relazione all'applicazione degli artt. 7 e 8 D.L. n. 11 del 2009. Falsità dei presupposti. Carenza di istruttoria.

Il primo giudice ha ritenuto che non occorra la prova di un fatto penalmente irrilevante, in questa fase essendo sufficiente un reiterato comportamento vessatorio idoneo a cagionare un perdurante e grave stato d'ansia o di paura nella persona destinataria di quel comportamento. Diversamente, è identico il presupposto, consistente in un fatto accertato e non semplicemente denunciato, sia del reato di cui all' art. 7 del D.L. n. 11 del 2009, sia del provvedimento di cui al successivo art. 8.

Nella specie, la condotta dell'attuale appellante, come descritta dalla stessa denunciante, non è ascrivibile a qualsivoglia forma di vessazione né è tale da determinare il predetto stato d'ansia o di paura o il cambiamento delle abitudini di vita, sicché l'indicato presupposto non sussiste. I fatti denunciati non sono stati accertati dal Questore, che si è limitato ad affermarne la verosimiglianza, e quanto affermato dalla denunciante sulla scorta di meri appunti non è stato da lei provato ed è stato screditato dalle persone informate dei fatti, onde il provvedimento si fonda su un'istruttoria carente, in particolare mancante dell'acquisizione dei tabulati telefonici, nonché di adeguato sostegno probatorio in ordine al presunto stato d'ansia o di paura, essendo restate immutate le abitudini di vita. Pertanto il provvedimento si è trasformato in strumento di offesa piuttosto che di prevenzione. Tali doglianze sono state superate dalla sentenza senza addurre alcun elemento concreto.

2. Error in iudicando in relazione alla violazione dell' art. 3 L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per carenza di motivazione sotto altro aspetto.

La sentenza è manchevole anche nella parte in cui respinge la censura di difetto di motivazione poiché non chiarisce le ragioni per cui si comprenderebbe l'iter logico seguito dal Questore ed utilizza l'appiglio delle esigenze cautelari. Tuttavia, come detto la condotta dell'attuale appellante non risponde ai presupposti di legge ed il verbale di ammonimento contiene solo un'acritica elencazione di elementi acquisiti con un'istruttoria parziale e carente, mentre la gravità del provvedimento ed il suo carattere ampiamente discrezionale impongono una motivazione esaustiva a riprova dello svolgimento di una seria istruttoria. Di contro, non sono state documentate e in alcun modo provate le addotte circostanze della "perdurata sequenza di telefonate anonime" e dei "continui appostamenti e pedinamenti", nonché manca ogni specificazione sulle concrete modalità delle molestie.

La sentenza non esplicita neppure le ragioni per cui il difetto di motivazione non è stato riscontrato in relazione alla mancata audizione diretta del ricorrente, non sostituita dalle memorie prodotte a seguito della comunicazione di avvio del procedimento.

3.- Error in iudicando in relazione all'ulteriore violazione degli artt. 7 e 8 D.L. n. 11 del 2009. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost.. Violazione degli artt. 7 e segg. L. n. 241 del 1990.

Il TRGA ha respinto il motivo di ricorso relativo all'imparzialità della p.a. per violazione dei diritti di partecipazione, osservando che egli aveva prodotto due memorie menzionate nel provvedimento impugnato. Ma in realtà tali memorie non sono state tenute in alcuna considerazione ed ai fini del proprio convincimento il Questore ha ritenuto sufficienti le sole dichiarazioni rese dalla denunciante e dalle persone informate dei fatti, ad essa legate da vincoli parentali o di amicizia. Né la deposizione volontaria dei testi, finalizzata ad avvalorare la denunciante, è sufficiente per escludere l'audizione personale dell'interessato, sia perché esso ne ha fatto richiesta, sia perché anche l'ammonito è persona informata dei fatti. La mancata audizione gli ha impedito di controdedurre in modo puntuale ma anche di esercitare la facoltà di avere conoscenza degli elementi sino ad allora acquisiti dal Questore, pur in presenza di circostanze non gravi, considerato che la denunciante non ha comprovato lo stato psichico di soggetto vittima di stalking, né di aver adottato misure per far fronte a presunti atti persecutori o rinunciato alla proprie abitudini di vita. L'omissione non si giustifica in forza dell'urgenza del provvedimento, essendo decorso un certo periodo di tempo dalla presentazione della richiesta di ammonimento. In sostanza le garanzie di partecipazione sono state ossequiate soltanto formalmente.

4.- Error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell' art. 8 del D.L. n. 11 del 2009 e dell'art. 612 bis c.p.. Travisamento dei fatti.

È fuorviante la motivazione della sentenza laddove attribuisce carattere rilevante alla circostanza che l'appellante abbia frequentato luoghi lontani dalla propria abitazione e dal proprio luogo di lavoro, senza attribuire rilevanza al fatto che tali luoghi sono il centro di Trento, dov'è normale che ciascun cittadino si porti senza che ciò possa costituire ex se sintomo di comportamento molesto. Dagli elementi addotti dalla signora -OMISSIS- non si evince un comportamento fastidioso o molesto né finalizzato a sorvegliare, pedinare o ricercare un contatto, trattandosi di episodi riferiti al passaggio in lontananza in bici o a piedi. È evidente l'intenzione della denunciante di far apparire pedinamenti o appostamenti le attività normali che un qualunque cittadino libero possa compiere. Le deposizioni della sorella della denunciante e delle altre due persone informate dei fatti sono generiche e/o inverosimili e, comunque, si tratta di comportamenti di per sé soli insufficienti a fondare il provvedimento, mancando qualsiasi forma di contatto.

V.- Ulteriore error in iudicando con riferimento agli artt. 7 e 8 D.L. n. 11 del 2009.

Il Ministero dell'interno e la Questura di Trento si sono costituiti in giudizio ed hanno prodotto documenti.

Con memoria del 9 febbraio 2015 l'appellante ha insistito nelle proprie tesi e richieste.

L'appello è stato introitato in decisione all'udienza pubblica del 12 marzo 2015.

Motivi della decisione

Com'è esposto nella narrativa che precede, la controversia in esame ha ad oggetto la legittimità di un provvedimento amministrativo emesso sulla base dell' art. 8 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 , convertito in L. 23 aprile 2009, n. 38 .

La norma dispone, per quanto qui rileva, che

"1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'articolo 612 bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito".

L'art. 612 bis, co. 1, cod. pen. (stalking, ndr) stabilisce a sua volta che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

Com'è noto, la giurisprudenza penale ha ritenuto in proposito la necessità della compresenza dei seguenti elementi:

a) sussistenza di condotte reiterate di minaccia o molestia nei confronti di taluno;

b) insorgenza nella vittima di uno stato d'animo di ansia, di paura o di timore per l'incolumità propria o di un congiunto ovvero alterazione delle sue abitudini di vita;

c) sussistenza di un nesso di causalità fra la condotta del persecutore e lo stato d'animo o l'alterazione delle abitudini di vita della vittima.

Quanto al primo elemento, la norma richiede condotte reiterate, quindi almeno due episodi, i quali consistano in una minaccia, vale a dire nella prospettazione di una futura inflizione di un danno ingiusto ad un soggetto, oppure in una semplice molestia, cioè un qualsiasi comportamento idoneo ad arrecare fastidio a colui che ne subisce le conseguenze.

Circa il secondo elemento, occorre accertare che la vittima degli atti persecutori sia indotta a sentimenti di ansia o di paura ovvero, alternativamente, a mutare le proprie abitudini di vita, laddove anche il timore per l'incolumità di terzi (prossimi congiunti o persone legate da vincoli affettivi) comporta comunque l'insorgenza di un negativo stato d'animo in capo alla vittima degli atti persecutori, in tal caso per un pericolo di altri.

In relazione ai rapporti tra l'ammonimento amministrativo e il procedimento penale, va evidenziato che la diversità delle rispettive conseguenze giustifica una differente intensità dell'attività investigativa che si richiede nelle due ipotesi, laddove, ai fini dell'ammonimento non è necessario che si sia raggiunta la prova del reato, bensì è sufficiente che sia fatto riferimento ad elementi dai quali sia possibile desumere, con un sufficiente grado di attendibilità, un comportamento persecutorio che ha ingenerato nella vittima un "perdurante" e "grave" stato di ansia e di paura.

Al riguardo, la Sezione ha già più volte osservato come il provvedimento di ammonimento assolva ad una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto preordinato a che gli atti persecutori posti in essere contro la persona non siano più ripetuti e non cagionino esiti irreparabili (cfr., ad es., Cons. St., sez. III, 19 luglio 2011 n. 4365).

Ciò posto in linea generale, nella specie va in particolare verificata la rispondenza ai principi suesposti delle ragioni poste a sostegno del provvedimento a suo tempo impugnato dall'attuale appellante, nel quale si espone che egli ha attuato un "reiterato comportamento persecutorio" nei confronti della richiedente l'emissione del provvedimento stesso, consistente in "molestie telefoniche mediante telefonate mute, appostamenti sotto casa", "pedinamenti" nel "posto di lavoro" e nei "luoghi abitualmente frequentati dalla stessa"; "comportamento che ha inequivocabilmente prodotto" nella medesima "un perdurante stato di ansia e di paura tale da ingenerare in lei un fondato timore per la sua incolumità e da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita".

Sotto il profilo motivazionale, non è dubbio che quanto così esplicitato concreti l'esternazione dei presupposti per l'adozione del provvedimento.

Sotto il profilo fattuale ed istruttorio, è parimenti indubbio che ai fini in questione la rappresentazione del descritto comportamento, che si risolve quanto meno nelle tipiche "molestie" integranti "atti persecutori" nei sensi sopra indicati, sia idoneamente sorretta dalla documentazione raccolta dal Questore, relativa non solo alla richiesta di emissione del provvedimento, ma anche dalle minuziose annotazioni dell'interessata circa le date e gli orari degli appostamenti con i nomi dei testimoni, nonché delle telefonate ricevute sul suo telefono cellulare, dalle fotografie scattate dalla sorella in occasione di un pedinamento avvenuto in un parco e dalle testimonianze confermative, puntuali e concordanti, rese nel procedimento.

Si è detto, infatti, che il decreto di ammonimento emesso dal Questore non richiede l'acquisizione di prove tali da poter resistere nel giudizio penale, essendo invece sufficiente che siano assunti nel procedimento elementi che consentano nell'Autorità emanante il formarsi del convincimento sulla fondatezza dell'istanza. Ed in via logica gli episodi di cui innanzi, i quali hanno fatto seguito all'interruzione di una relazione sentimentale, giustificano pienamente tale convincimento, tenuto anche conto della loro significativa frequenza anche nell'ultimo periodo e che, come esposto in primo grado dalla difesa dell'Amministrazione, la localizzazione dell'abitazione, del posto di lavoro e dei siti di frequentazione della vittima, confrontata con la localizzazione dell'abitazione e del posto di lavoro dell'ammonito, ben difficilmente consentono di ipotizzare la casualità degli incontri.

Quanto poi allo stato d'ansia e di paura, ne sono prova i dati che l'interessata si è rivolta ad un Centro antiviolenza e poi ad un avvocato, ma pure ha avvertito l'esigenza di interessare la sorella (abitante in Milano) ed amiche, le quali hanno a loro volta confermato in qualità di persone informate dei fatti precise manifestazioni (quali agitazione, preoccupazione, alterazione del sonno/veglia) che evidenziano la reale sussistenza di uno stato d'ansia, paura e timore vissuto dalla signora -OMISSIS- per sé e per il figlio minore.

Giova aggiungere, quanto al dato che non siano stati acquisiti i tabulati telefonici nell'ambito del procedimento amministrativo, che, come anche in tal caso bene sottolineava in primo grado la difesa dell'Amministrazione, la loro acquisizione è subordinata ad apposito decreto dell'Autorità giudiziaria solo nell'ambito di un procedimento penale; e, quanto alla mancata audizione personale dell'ammonito, che il medesimo è stato destinatario di comunicazione di avvio del procedimento, ha avuto modo di produrre due memorie, chiesto ed ottenuto di accedere agli atti del procedimento stesso per ben 46 fogli, sicché neanche sotto l'aspetto sostanziale si ravvisano carenze partecipative.

D'altra parte, la norma richiede che siano "sentite le persone informate dei fatti", tra le quali rientra sicuramente il soggetto nei cui confronti è chiesto l'ammonimento, ma non significa che quest'ultimo debba essere necessariamente convocato per rendere oralmente le dichiarazioni che egli ben può esporre per iscritto, oltretutto con maggior ponderazione, quindi con maggior completezza ed efficacia.

Va dunque esclusa la ricorrenza dei prospettati vizi di violazione di legge, di manifesta ingiustizia, di difetto di motivazione e di istruttoria, il resto, compreso l'apprezzamento delle osservazioni formulate in sede partecipativa, rimanendo attratto nella discrezionalità riservata in materia al Questore, insuscettibile di sindacato giurisdizionale se non nei noti limiti dell'illogicità ed irrazionalità e del travisamento dei fatti, nella specie non riscontrabili.

Pertanto l'appello non può che essere respinto.

Tuttavia, attesa la particolarità del caso, le spese del grado possono restare compensate tra le parti presenti.


P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all' art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell'appellante e della controinteressata, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore

Roberto Capuzzi, Consigliere