Nessuna revoca della donazione in caso la pensione percepita dal donante a soddisfare le sue necessità quotidiane, vi siano altre altre fonti di reddito (connesse alla titolarità del diritto di usufrutto su alcuni immobili e alla percezione di canoni locativi) e dell’ulteriore utilità derivante dal diritto di abitazione su altri immobili.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 8 novembre 2013, n. 25248
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del giugno 1997 F.F. conveniva in giudizio il figlio F.M. , per sentir revocare per ingratitudine la donazione indiretta della proprietà degli immobili siti in (omissis) int. 16 e 16 bis, intestati al convenuto (e alla sorella Roberta) con atto di vendita del 16-7-1962 per notaio Colosso, nonché dell’immobile in (omissis) , intestato con atto del 20-9-1957 per notaio Saturnini. L’attore esponeva che il donatario si era reso responsabile di ingiuria grave nei suoi confronti, attraverso la proposizione di denunzie ed azioni giudiziarie e la privazione dei mezzi di sussistenza. Faceva presente di aver dovuto sostenere rilevanti spese giudiziarie sino ad esaurire le sue possibilità, avendo solo una pensione di lire 17.370.000 annue.
Nel costituirsi, il convenuto contestava l’avversa domanda, asserendo che nella specie si trattava di effettiva vendita di immobili, e che non vi erano mai state ingiurie da parte sua, ma solo azioni derivate dal comportamento del padre, il quale aveva occultato per molti anni il testamento della madre P.M. a lui favorevole. Rilevava, inoltre, che il padre godeva di pensione e aveva proprietà immobiliari, e quindi non versava in condizioni di disagio. Deduceva, comunque, che la domanda di revocazione era prescritta, essendo stata proposta dopo oltre un anno dalla conoscenza dei fatti lamentati.
A seguito del decesso dell’attore, si costituivano in giudizio la figlia Ro. e il nipote A.F.E. , quali eredi testamentari, i quali facevano propria la domanda.
Si costituiva altresì, quale erede testamentaria, la convivente L.T., alla quale era stato assegnato l’usufrutto degli immobili in contestazione, facendo anch’essa propria la domanda attrice.
Con sentenza in data 28-3-2006 la Corte di Appello di Roma rigettava l’appello. La Corte territoriale accertava che le somme di denaro utilizzate per creino i libretti di risparmio intestati ai figli minori erano state approntate dal defunto genitore e che, pertanto, là nuda proprietà degli immobili aveva costituito oggetto di donazioni indirette, come tali revocabili per ingratitudine. Essa, tuttavia, con riguardo al dedotto rifiuto della richiesta di alimenti avanzata dall’attore con missiva del 22-4-1997, escludeva la sussistenza dello stato di bisogno del donante, rilevando che il defunto godeva di pensione idonea per le necessità quotidiane, aveva mantenuto l’usufrutto degli immobili, il diritto di abitazione e godeva di alcuni canoni locativi. Il giudice del gravame, inoltre, pur dando atto che F.R. , con la ripetitiva e pervicace proposizione di denunce contro il padre, aveva leso gravemente il patrimonio morale di quest’ultimo, ponendo in essere degli atti di ingiuria grave nei confronti del donante, riteneva maturato il termine di decadenza di un anno previsto dall’art. 802 c.c. per la proposizione della domanda di revocazione, rilevando che la consapevolezza, da parte dell’attore, dell’ingratitudine del figlio, risaliva al più tardi alla fine dell’anno 1991.
Fr.Ro. , A.F.E. e T..L. hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso il capo della sentenza di appello con cui è stata respinta la domanda di revocazione fondata sul rifiuto, da parte del donatario, di prestare gli alimenti previsti dall’art. 433 c.c..
Hanno resistito con controricorso F.R. e F.A. , quali eredi ab intestato di F.M. , proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi.
I.F. , intimata anch’essa nelle vesta di erede di F.M. , non ha svolto alcuna attività difensiva.
All’udienza del 4-4-2013 questa Corte, preso atto dell’intervenuto decesso del difensore dei resistenti, al quale era stato notificato l’avviso di udienza, rinviava la causa all’udienza del 2-10-2013, mandando alla Cancelleria di notificare personalmente ai resistenti il relativo avviso.
La Cancelleria ha provveduto a tale incombente.
Motivi della decisione
1) Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei ricorsi.
2) Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione del combinato disposto degli artt. 801, 433 e 438 c.c. Deducono che, alla stregua delle norme richiamate, lo stato di bisogno non può essere accertato sulla sola base delle disponibilità economiche di colui che richiede gli alimenti, dovendosi al contrario tener conto anche delle esigenze di vita, in relazione all’età, alla posizione sociale, allo stato di salute, alle capacità di lavoro e agli impegni economici normalmente gravanti sull’alimentando. La Corte di Appello, pertanto, ha errato nel tener conto solo delle disponibilità economiche dell’attore, senza prendere in alcuna considerazione le concrete condizioni di vita del medesimo.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis cpc: “Dica la Suprema Corte se il giudice abbia violato il combinato disposto degli artt. 433, 438 e 801 c.c., per non aver preso minimamente in considerazione, nel pronunziare sullo stato di bisogno, le necessità di vita dell’alimentando, desumibili dalla sua tarda età, dal suo stato di salute, dai suoi concreti impegni economici e dalla sua posizione sociale, avendo invece basato il suo convincimento sul solo criterio dell’ammontare delle entrate”.
Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi. Sostengono che la Corte di Appello si è espressa in termini del tutto generici sul tema delle disponibilità economiche dell’attore, non ha indicato le fonti del proprio convincimento al riguardo, e non ha neppure menzionato le prove offerte dall’attore sulle sue esigenze di vita e sui mezzi di cui disponeva per soddisfarle. Deducono, in particolare, che dalle deposizioni rese dai testi A.U. e Q.M. si evince che l’attore era gravato da rilevanti e continui oneri economici, nascenti sia da obblighi morali e legali (assistenza alla sorella cieca con lui convivente, non in grado di provvedere a se stessa), sia dalle azioni giudiziarie implacabilmente promosse nei suoi confronti dal figlio M. a partire dal 1991. Rilevano, inoltre, che la Corte di Appello non ha considerato che l’usufrutto degli appartamenti non era fonte di reddito per l’attore, in quanto due degli appartamenti in usufrutto venivano utilizzati dal loro dante causa come casa di abitazione sua, della sorella C. e della famiglia della figlia Ro. , dalla quale il predetto era assistito, e il terzo era locato per l’intero a terzi dalla sorella L.T. , cousufruttuaria. Aggiungono che F.F. non era in condizioni di trasferirsi negli immobili fuori XXXX sui quali vantava il diritto di abitazione, e che l’affermazione secondo cui l’attore godeva di alcuni canoni locativi è del tutto generica.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 801 e 802 comma 1 c.c., in relazione alla declaratoria di decadenza dell’attore dall’azione di revocazione, basata sull’assunto secondo cui il predetto avrebbe acquistato la consapevolezza dell’ingratitudine del figlio sin dal 1991. Deducono che i casi di revocazione per ingratitudine elencati dall’art. 801 c.c. devono essere considerati autonomi l’uno dall’altro e che, pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere tempestiva l’azione proposta in relazione all’evento ostile (mancata risposta del figlio alla richiesta di alimenti rivoltagli dal padre) verificatosi nell’aprile del 1997.
3) Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato i controricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 345 cpc, 801, 802 e 433 c.c. Sostengono che la Corte di Appello ha errato nel non dichiarare nuova la richiesta dell’appellante di riconoscere, quale termine iniziale di decadenza ai fini della revoca della donazione, la data (aprile-maggio 1997) in cui l’attore avrebbe preso coscienza della ingratitudine del figlio, per non aver questi risposto alla sua lettera. Rilevano, inoltre, che il parametro di riferimento ai fini della valutazione del comportamento disdicevole del donatario non è quello della coscienza del donante, ma quello della coscienza sociale.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 769 c.c.. Deducono che la Corte di Appello ha erroneamente qualificato il negozio come donazione indiretta anziché come compravendita, ritenendo che incombesse sul convenuto l’onere di provare che il denaro utilizzato per l’acquisto degli immobili era proprio o della propria genitrice. Sostengono che, al contrario, era l’attore a dover provare che tale denaro era di sua provenienza.
Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 801 c.c., per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto che le azioni legali proposte dal convenuto nei confronti del padre costituissero di per sé un’ingiuria, a prescindere dalla loro fondatezza.
4) Il primo motivo di ricorso principale è infondato.
L’art. 438 c.c., nello stabilire che “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento”, impone al giudice di valutare, in ordine all’an di tale corresponsione, gli imprescindibili presupposti sia dello stato di bisogno sia della impossibilità di mantenersi (Cass.6-10-2006 n. 21572).
Quale presupposto di legittimità, lo stato di bisogno esprime l’impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure mediche. Esso va valutato con riferimento alle effettive condizioni del soggetto, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto.
Il diritto agli alimenti, pertanto, è legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità da parte dell’alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento, per la mancanza di mezzi insufficienti al soddisfacimento delle sue necessità primarie.
Nella specie, la Corte di Appello, nell’escludere il diritto del donante agli alimenti, si è attenuta agli enunciati principi, avendo accertato che F.F. percepiva una pensione idonea per far fronte alle necessità quotidiane e, inoltre, aveva mantenuto l’usufrutto sugli immobili, era titolare del diritto di abitazione e godeva di alcuni canoni locatizi.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge, in quanto il giudice del gravame, nel ritenere l’insussistenza del dedotto stato di bisogno, non ha tenuto conto solo delle risorse economiche del donante, ma anche della idoneità delle stesse a soddisfare le esigenze vitali di quest’ultimo.
5) Anche il secondo motivo di ricorso principale deve essere disatteso.
La Corte di Appello ha dato sufficiente conto delle ragioni per le quali ha escluso che F.F. versasse in uno stato di bisogno.
La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo espressione di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed essendo sorretto da una motivazione immune da vizi logici, con cui è stato dato atto, all’esito di una valutazione globale delle risultanze processuali, della idoneità della pensione percepita dal donante a soddisfare le sue necessità quotidiane, dell’esistenza di altre fonti di reddito connesse alla titolarità del diritto di usufrutto su alcuni immobili e alla percezione di canoni locativi, e dell’ulteriore utilità derivante dal diritto di abitazione su altri immobili. Si tratta di argomentazioni che, sia pure in maniera succinta, valgono a sorreggere il convincimento del giudice territoriale circa la disponibilità, da parte dell’alimentando, di mezzi economici idonei a far fronte ai suoi bisogni primari.
Si rammenta, al riguardo, che l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, ne1 che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte. È, infatti, sufficiente che il giudice esponga, anche in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (tra le tante v. Cass. 20-11-2009 n. 24542; Cass. 12-1-2006 n. 407; Cass. 2-8-2001, n. 10569).
La validità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello non rimane scalfita dal contenuto delle deposizioni rese in corso di causa dai testi A.U. e Q.M. , richiamate nel ricorso.
Giova, in proposito, ricordare che, per consolidato orientamento della giurisprudenza, il vizio di motivazione per omesso esame di una prova decisiva può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando la prova non esaminata offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (tra le tante v. Cass. 13-2-2006 n. 3075; Cass. 17-5-2007 n. 11457; Cass. 23-2-2009 n. 4369).
Nella specie, le dichiarazioni testimoniali di cui i ricorrenti lamentano il mancato esame, pur facendo riferimento alle consistenti spese sostenute da F.F. per l’assistenza propria e della sorella convivente non vedente, nonché per le vertenze giudiziarie sorte con il figlio M. , non contengono elementi idonei a scalfire, in termini di certezza, l’apprezzamento espresso dalla Corte territoriale riguardo alla congruità delle entrate del donante in rapporto ai suoi bisogni primari: generica, oltre che espressione di una valutazione soggettiva, appare, al riguardo, l’affermazione del teste A. di essere a conoscenza delle richieste di aiuto economico rivolte da F.F. al figlio “perché non era in grado di provvedere al proprio sostentamento”.
Le ulteriori affermazioni dei ricorrenti, secondo cui F.F. non traeva alcun reddito dai tre appartamenti in … di cui era usufruttuario e non aveva la possibilità di godere dei due appartamenti in … e in (omissis) , sui quali vantava un diritto di abitazione, si risolvono, attraverso l’apparente denuncia di vizi di motivazione, nella sostanziale prospettazione di una diversa valutazione economica delle utilità ricavabili dai menzionati diritti reali, dei quali non viene contestata la titolarità in capo al donante.
In tal modo, peraltro, viene introdotta, nel giudizio di legittimità, un’inammissibile istanza di riesame del merito della causa.
6) 11 rigetto dei primi due motivi di ricorso principale comporta l’assorbimento sia del terzo motivo di tale ricorso, sia del ricorso incidentale condizionato.
Segue, per rigore di soccombenza, la condanna dei ricorrenti principali al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dai controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti il terzo motivo di tale ricorso e il ricorso incidentale condizionato; condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese sostenute dai controricorrenti, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.