L’intervento punitivo per atti di violenza sessuale consegue non già da un automatismo derivante dalla “malattia mentale” della vittima, quanto dal fatto che la persona offesa, la quale non deve versare necessariamente in uno stato di conclamata psicopatologia ma può anche trovarsi in una semplice condizione di menomazione dovuta sia a fenomeni patologici, permanenti o passeggeri, di carattere organico e funzionale, sia a traumi e fattori ambientali tali da incidere negativamente sulla formazione della personalità dell’individuo, venga indotta all’atto sessuale mediante abuso della predetta condizione di inferiorità. Ciò in quanto, in tale evenienza, il consenso, pur apparentemente prestato in un contesto di assoluta libertà, è in realtà viziato da una assente o diminuita capacità di resistenza agli stimoli esterni.
Il reato di violenza sessuale può essere realizzato com modalità costrittive o modalità induttive.
Modalità costrittive sono quelle realizzate con violenza fisica, o violenza morale consistente in una intimidazione psicologica in grado di provocare la coartazione della vittima (anche abusando dell’autorità derivante da una posizione sovraordinata di natura pubblicistica o privatistica) o con modalità insidiosamente repentine e con modalità induttive; modalità induttive sono quelle realizzate con una subdola attività di persuasione e di pressione, realizzati approfittando di una condizione personale di inferiorità psichica o fisica tale da viziare il consenso prestato dalla persona offesa (o addirittura traendola in inganno attraverso una sostituzione di persona).
Le condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto” costituiscono una situazione personale, indipendente da una patologia mentale, riferibile ad una condizione di particolare vulnerabilità connessa a un limitato processo evolutivo mentale o culturale ovvero a una peculiare situazione ambientale, familiare o relazionale, tale, appunto, da incidere sulla formazione del consenso.
La presenza di un deficit di competenze cognitivo-relazionali non comporta automaticamente la incapacità di determinarsi in maniera complessivamente adeguata rispetto alle sollecitazioni di natura erotica.
Chi ha in affidamento un minore fra i 16 e 18 anni e compie atti sessuali consensualmente commette reato se abusa dei poteri connessi alla sua posizione, cioè mediante una qualsiasi forma di esercizio dei poteri derivanti dall’ufficio svolto.
Per la riforma di una sentenza assolutoria, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Sent., (ud. 20-06-2017) 06-10-2017, n. 45947
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente –
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI TRENTO;
nel procedimento nei confronti di:
S.L., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 4/05/2016 della Corte d’appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RENOLDI Carlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. S.L. era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 81 cpv., 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., n. 5-bis per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nell’esercizio delle funzioni di docente presso l’Istituto di Formazione professionale alberghiero di (OMISSIS), abusato delle condizioni di inferiorità psichica di T.S., studentessa del medesimo istituto, affetta da “disturbo specifico misto degli apprendimenti” certificato ex lege n. 104 del 1992, costringendola a subire atti sessuali, consistenti: nel baciarla improvvisamente in bocca con la lingua e poi sul collo, mentre la ragazza si trovava nei locali scolastici, approfittando della temporanea assenza di terze persone; nel palpeggiarla, sul seno e sulla vagina, in un locale della scuola adibito a ripostiglio, dopo averla attesa nel corridoio, all’uscita dallo spogliatoio;
nel baciarla, con le stesse modalità prima indicate, palpeggiandola nuovamente sul seno e nella vagina, fuori dai locali scolastici, dopo averle chiesto, all’uscita di scuola, di accompagnarlo presso la sede dell’Istituto; fatti commessi in (OMISSIS) il (OMISSIS).
Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Trento in data 30/04/2014, emessa all’esito di giudizio abbreviato, S. fu, tuttavia, assolto dai reati ascrittigli; e la pronuncia di primo grado fu, poi, confermata dalla Corte d’appello di Trento con sentenza in data 4/05/2016.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trento, deducendo otto distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente al carattere repentino e improvviso della condotta dell’imputato e, dunque, in relazione alla presenza di una costrizione, a prescindere dalla situazione di inferiorità psichica della persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo, il Procuratore generale censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla omessa valutazione della documentazione clinica della persona offesa, costituita dalla relazione dell’Unità operativa di neuropsichiatria infantile di (OMISSIS), avente ad oggetto la condizione psichica della giovane, che ne aveva descritto il “bisogno educativo speciale scolastico”.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla relazione peritale disposta nel giudizio di appello e al conseguente esame dibattimentale del perito. In particolare, la sentenza di secondo grado non si sarebbe confrontata con quanto riferito dallo stesso perito in ordine agli effetti che la condizione di ritardo mentale lieve avrebbe prodotto sul “funzionamento sociale (…), relazionale, emotivo” della ragazza.
2.4. Con il quarto motivo, il Procuratore generale si duole, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta, formulata nell’atto di appello, di confrontare le risultanze della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero con quelle della consulenza tecnica della difesa dell’imputato.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla omessa considerazione delle risultanze delle informazioni testimoniali rese da B.M. e dall’insegnante C., i quali avevano riferito di una condizione emotivamente assai difficile, caratterizzata dal pianto della ragazza, nel raccontare l’accaduto il giorno dopo dei fatti; informazioni che sarebbero state indicative dell’assenza di un consenso da parte della T. rispetto alle condotte sessuali compiute, nei suoi confronti, dall’insegnante.
2.6. Con il sesto motivo, il Procuratore generale deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. B), l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1 in relazione alla qualificazione delle condizioni di inferiorità psichica, che i giudici di merito avrebbero erroneamente configurato in termini di “incapacità assoluta di una normale vita di relazione” ovvero di “un’infermità psichica”, dovendo invece ritenersi sufficiente “una situazione di inferiorità psichica” della persona offesa “di cui l’autore si approfitti per soddisfare i suoi desideri sessuali” (pag. 8 del ricorso).
2.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta capacità della persona offesa di individuare e controllare le proprio emozioni e alla assenza di costrizione da parte dell’imputato nella realizzazione delle condotte sessuali, entrambe dedotte dalle dichiarazioni con cui la ragazza, per un verso, si era rammaricata di non essersi allontanata subito dopo il primo episodio di abuso e, per altro verso, aveva rifiutato di seguire l’imputato nel bagno in quanto aveva “capito che voleva fare sesso con” lei.
2.8. Con l’ottavo motivo, il Procuratore generale si duole, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed E), dell’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 609-quater cod. pen. nonchè della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata prevista dal comma 2 della citata disposizione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Preliminarmente, giova rilevare che le censure dedotte si configurano come riferibili in parte all’asserito vizio di motivazione nella ricostruzione dei principali profili fattuali della vicenda (motivi dal primo al quinto nonchè settimo); e, in altra parte, a ritenuti errori di diritto nella ricostruzione della fattispecie contestata, prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1 ovvero nella mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 609-quater c.p., comma 2, (motivi sesto e ottavo).
3. Muovendo, secondo l’ordine logico, dalle censure in punto di motivazione, è opportuno ricordare la cornice entro la quale, nel vigente ordinamento processuale, può dispiegarsi il controllo sulla motivazione da parte del giudice di legittimità.
Sul punto, è necessario ricordare che alla Corte di cassazione è preclusa, nell’ambito del giudizio di legittimità, la possibilità non soltanto di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; in termini v. Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze probatorie acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o, ancora, un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 5/06/2014, P. civ. C.C. in proc. M.M., Rv. non massimata; Sez. 3, n. 30908 del 3/06/2014, I.S., Rv. non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, da P.G., Rv. non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Sotto altro profilo, va ricordato che l’omissione di una valutazione espressa, da parte del giudice di appello, di singole doglianze formulate in sede di gravame non è censurabile, in sede di legittimità, quando le stesse risultino disattese dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (così, tra le altre, Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Cento e altri, Rv. 259643).
4. Tanto premesso e venendo, quindi, all’analisi dei singoli profili di doglianza, rileva il Collegio la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente censura la mancanza di motivazione in ordine al carattere asseritamente repentino della condotta agita dall’imputato.
Sul punto, deve osservarsi che la relativa questione, lungi dall’essere stata ingiustificatamente obliterata, risulta essere stata implicitamente superata dalla complessiva ricostruzione “in fatto” compiuta dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto, con motivazione niente affatto illogica, che le condotte asseritamente repentine poste in essere in occasione del primo contatto tra l’imputato e la studentessa non fossero state connotate da alcun reale dissenso da parte della giovane, la quale le aveva, al contrario, assecondate. Sotto tale profilo, va, infatti, rimarcato che le due sentenze hanno puntualmente richiamato i concreti elementi di fatto, tratti principalmente dalle dichiarazioni della stessa T.S., indicativi dell’esistenza di un consenso al compimento degli atti sessuali da parte del suo insegnante e, in particolare, le emozioni, che “la facevano stare bene”, prodotte dal contatto fisico con l’imputato, il piacere provato (“per dire la verità un pò mi è piaciuto”), il gradimento verso l’insegnante (“per dire la verità, a me, il professore Luciano piaceva anche a me”). Tanto più che, come osservato in specie dal giudice di prime cure, vi erano stati “precedenti rapporti con l’alunna”, connotati da un “graduale avvicinamento sul piano psicologico e affettivo con la stessa” (v. sentenza di primo grado a foglio 6), secondo quanto confermato dall’educatrice M.V., la quale aveva riferito che la mattina del (OMISSIS), giorno dei fatti di cui all’imputazione, S. e la T. si scambiavano “sguardi ammiccanti” e “bacetti (…) da lontano”.
4.1. Le considerazioni che precedono rivelano l’infondatezza anche del quinto motivo di censura, con il quale il ricorrente lamenta il vizio di motivazione in relazione alla omessa considerazione delle informazioni testimoniali rese dallo scolaro B.M. e dall’insegnante C., i quali avevano riferito circa il pianto della ragazza; ciò che, secondo l’assunto del pubblico ministero, avrebbe dimostrato l’assenza di un consenso agli atti sessuali da parte della T.. Anche in tal caso, infatti, la valutazione tratta dalle dichiarazioni di univoco significato rese dalla giovane ha chiaramente reso superfluo il rinvio alle predette informazioni, anche in ragione della loro evidente non concludenza. Nè la sentenza, nè lo stesso ricorso, infatti, hanno fornito alcun ulteriore dettaglio sul pianto riferito dal compagno di scuola, sicchè non è chiaramente possibile, sul piano logico, nemmeno riferirlo ai fatti per cui è processo; laddove anche il pianto che aveva, invece, accompagnato il racconto dei fatti all’insegnante, per quanto espressione di un indiscutibile stato di partecipazione emotiva alla vicenda, non è stato evidentemente interpretato come manifestazione di disagio univocamente riferibile all’abuso sessuale ipotizzato.
4.2. Con il secondo, il terzo e il quarto motivo, il Procuratore generale ha svolto una serie di censure attinenti alla valutazione dei contenuti tecnici della documentazione sanitaria di Serena T. nonchè degli accertamenti compiuti dai consulenti tecnici delle parti e dal perito della Corte territoriale.
Sotto un primo profilo, infatti, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione della relazione predisposta dal personale dell’Unità operativa di neuropsichiatria infantile di (OMISSIS), attestante il “bisogno educativo speciale scolastico” della minore. Inoltre, la sentenza di appello non si sarebbe confrontata con le valutazioni del perito in ordine agli effetti che la condizione di ritardo mentale lieve avrebbe prodotto sul “funzionamento sociale (…), relazionale, emotivo” della ragazza. Infine, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta, formulata nell’atto di appello, di confrontare le risultanze della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero con quelle della consulenza tecnica richiesta dalla difesa dell’imputato.
Rileva, tuttavia, il Collegio come, anche in questo caso, la sentenza di appello, pur in maniera oggettivamente sintetica, abbia espressamente richiamato sia la documentazione sanitaria della ragazza, sia le risultanze della perizia ed abbia, quindi, ritenuto – con apprezzamento di merito che, in quanto motivato in maniera niente affatto illogica, non è censurabile in sede di legittimità – che il complesso di tali acquisizioni, pur indicativo di un deficit di competenze cognitivo-relazionali, non abbia comunque inficiato la capacità della giovane di comprendere il significato etico-sociale delle condotte di natura sessuale realizzate, di riconoscere gli effetti che le stesse producevano sulla sua dimensione psicologica ed affettiva, di determinarsi in maniera complessivamente adeguata rispetto alle sollecitazioni che riceveva. A questo riguardo, va ribadito che appare del tutto scevro dai profili di illogicità dedotti in particolare con il settimo motivo, il ragionamento svolto dalla sentenza di appello in relazione alle dichiarazioni con cui la ragazza ha espresso il proprio rammarico per non essersi allontanata subito dopo il primo approccio sessuale da parte dell’insegnante e con le quali ha raccontato di avere rifiutato di seguirlo nel bagno della scuola quando aveva “capito che voleva fare sesso con” lei. Una condotta complessiva che certamente non è illogico ritenere indicativa di una capacità di conservare, pur a fronte dell’azione inducente esercitata da S., un adeguato controllo delle proprie condotte, anche considerato che la perizia disposta in appello al fine di diradare le incertezze residuate dopo il primo giudizio ha in realtà fatto riferimento, in maniera assai ambigua, ad una incapacità di intendere e di volere della ragazza ma soltanto “in astratto”.
4.3. Alla stregua delle osservazioni che precedono deve, dunque, ritenersi che nella ricostruzione fattuale compiuta dai giudici di merito non ricorra alcun vizio della motivazione.
Sotto altro e concorrente profilo va, del resto, osservato che, coerentemente con il puntuale richiamo compiuto dalla Corte territoriale, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 17/02/2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 5/12/2013, dep. 14/03/2014, Ciaramella e altro, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, dep. 8/11/2013, Paparo e altri, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 8/11/2012, dep. 14/03/2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 10/01/2013, Andrini, Rv. 254024; Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, dep. 20/12/2012, G., Rv. 253909; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, dep. 4/12/2012, Aimone e altri, Rv. 253718; Sez. 2, n. 27018 del 27/03/2012, dep. 10/07/2012, Urciuoli, Rv. 253407; Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, dep. 7/11/2011, Galante, Rv. 251066; Sez. 6, n. 4996 del 26/10/2011, dep. 9/02/2012, Abbate e altro, Rv. 251782). Ciò che, nel caso di specie, la Corte territoriale non ha ritenuto di ravvisare nel complesso degli elementi istruttori raccolti, connotati, per le ragioni ampiamente poste in luce, da un significato probatorio chiaramente difforme rispetto all’impostazione accusatoria.
Consegue alle considerazioni che precedono che il fatto, quale ricostruito dalle sentenze di merito, può ritenersi cristallizzato nei termini del compimento di una sequenza di atti sessuali, realizzata sia all’interno che fuori dai locali scolastici, da parte dell’insegnante S. nei confronti dell’alunna T., all’epoca diciassettenne, consenziente, affetta da un ritardo mentale diagnosticato come di grado lieve; ritardo rispetto al quale i giudici di merito, con apprezzamento valutativo immune da censure logiche, hanno ritenuto indimostrato che la condizione di deficit (cognitivo e relazionale) avesse effettivamente viziato il consenso espresso dalla ragazza.
5. Tanto premesso in ordine ai profili in fatto della vicenda e venendo, quindi, alle questioni dedotte in punto di diritto, giova preliminarmente ricordare che, ai fini che qui interessano, le figure di reato contemplate dall’art. 609-bis c.p. sono riconducibili a due categoria fondamentali.
All’interno della prima, concernente il fatto di colui il quale “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”, rientrano le condotte realizzate con modalità costrittive, tra le quali vengono in rilievo sia gli atti sessuali posti in essere esercitando sulla vittima comportamenti di violenza fisica scricto sensu, di violenza morale consistente in una intimidazione psicologica in grado di provocare la coartazione della vittima (in ipotesi abusando dell’autorità derivante da una posizione sovraordinata di natura pubblicistica o privatistica: v. infra) nonchè, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le condotte realizzate con modalità insidiosamente repentine, tali da sorprendere la persona offesa impedendole di opporre il proprio dissenso e, per questa via, ponendola nell’impossibilità di difendersi (Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, dep. 10/11/2014, J., Rv. 260985; Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010. dep. 14/07/2010, M., Rv. 247932; Sez. 3, n. 40443 del 28/11/2006, dep. 12/12/2006, Zannelli, Rv. 235579; Sez. 3, n. 6340 del 1/02/2006, dep. 17/02/2006, Giuliani, Rv. 233315; Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004, dep. 19/02/2004, Manta, Rv. 228493; Sez. 3, n. 3990 del 24/11/2000, dep. 1/02/2001, Invidia, Rv. 218540). Dissenso che, peraltro, deve essere ovviamente sussistente; cosicchè l’eventuale consenso, manifestato in un momento immediatamente successivo all’atto sessuale repentino, non consente di configurare alcuna condotta costrittiva.
All’interno dell’altra categoria, rientrano, invece, le condotte caratterizzate da modalità induttive, ovvero attraverso comportamenti positivi, consistenti nell’esercizio di una subdola attività di persuasione e di pressione (Sez. 3, n. 38787 del 23/06/2015, dep. 24/09/2015, P., Rv. 264698; Sez. 3, n. 16899 del 27/11/2014, dep. 23/04/2015, I., Rv. 263344; Sez. 3, n. 20766 del 14/04/2010, dep. 3/06/2010, T. e altro, Rv. 247654), realizzati approfittando di una condizione personale di inferiorità psichica o fisica tale da viziare il consenso prestato dalla persona offesa (o addirittura, ipotesi qui non pertinente, traendola in inganno attraverso una sostituzione di persona).
Tale fattispecie, prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, era stata introdotta dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, art. 3 al fine di eliminare la fattispecie autonoma della violenza carnale presunta in danno dei malati di mente o dei soggetti che versassero, comunque, in condizioni di inferiorità psichica, originariamente contemplata dall’art. 519 cod. pen., consentendo anche a tale categoria di persone la possibilità di una piena realizzazione della loro personalità, anche sotto il profilo sessuale (Sez. 3, n. 12110 del 24/09/1999, dep. 22/10/1999, Cosentino, Rv. 214557).
Per effetto della nuova formulazione del delitto in esame, dunque, l’intervento punitivo consegue non già da un automatismo derivante dalla “malattia mentale” della vittima, quanto dal fatto che la persona offesa, la quale non deve versare necessariamente in uno stato di conclamata psicopatologia ma può anche trovarsi in una semplice condizione di menomazione dovuta sia a fenomeni patologici, permanenti o passeggeri, di carattere organico e funzionale, sia a traumi e fattori ambientali tali da incidere negativamente sulla formazione della personalità dell’individuo (cfr. Sez. 3, n. 4114 del 3/12/1996, dep. 15/02/1997, Pennese, Rv. 207326), venga indotta all’atto sessuale mediante abuso della predetta condizione di inferiorità. Ciò in quanto, in tale evenienza, il consenso, pur apparentemente prestato in un contesto di assoluta libertà, è in realtà viziato da una assente o diminuita capacità di resistenza agli stimoli esterni (Sez. 3, n. 15910 del 12/02/2009, dep. 16/04/2009, Figus ed altro, Rv. 243403).
A partire da tale premessa, che focalizza la tutela sulla condizione di minorata difesa conseguente al vulnus prodottosi sul processo di formazione del consenso, la giurisprudenza di legittimità ha ricostruito “le condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto” in termini di una situazione personale, come detto indipendente da una patologia mentale, riferibile ad una condizione di particolare vulnerabilità connessa a un limitato processo evolutivo mentale o culturale ovvero a una peculiare situazione ambientale, familiare o relazionale, tale, appunto, da incidere sulla formazione del consenso (in termini Sez. 3, n. 52041 del 11/10/2016, dep. 7/12/2016, M e altri, Rv. 268615; Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007, dep. 17/10/2007, Fronteddu, Rv. 237826).
6. Tanto premesso, si opina che, nel caso di specie, alcune delle condotte ascritte all’odierno imputato siano state realizzate in maniera repentina, sicchè le stesse avrebbero dovuto essere ricondotte nell’alveo dell’art. 609-bis cod. pen., comma 1: ciò vale, essenzialmente, per gli atti sessuali commessi nel ripostiglio della scuola tra le 13.20 e le 13.30, che rappresentarono la prima, inattesa, manifestazione di interesse sessuale verso la ragazza.
Tuttavia, i giudici di merito hanno spiegato, alla stregua di specifiche circostanze di fatto, per quale ragione non potesse affermarsi che vi fosse stato un autentico dissenso da parte della ragazza: dalle sue dichiarazioni sulle sensazioni positive provate al momento del contatto fisico con l’insegnante, alla mancata verbalizzazione di un rifiuto, fino ai baci che i due si mandavano la mattina dei fatti, secondo quanto riferito da una degli insegnanti, episodio evidentemente evocativo di un legame che andava oltre il rapporto tra insegnante e studentessa.
Peraltro, anche per escludere la rilevanza penale delle condotte sessuali repentine non è sufficiente il consenso o comunque la mancanza di dissenso, dovendo verificarsi se tale stato psicologico da parte di chi subisce gli atti sessuali sia eventualmente viziato. Nel caso di specie, tuttavia, le sentenze di merito hanno escluso l’acquisizione di elementi istruttori di univoco significato in ordine alla incapacità della ragazza di determinarsi rispetto ad una scelta che le dichiarazioni della stessa T. hanno dimostrato poter rientrare nell’ambito delle sua sfera di autodeterminazione. Con motivazione niente affatto illogica, la Corte di appello ha, infatti, puntualmente richiamato, in proposito, la decisione della giovane di non accompagnare l’insegnante nel bagno proprio in quanto le aveva “già capito che voleva fare sesso con” lei; sicchè ogni ipotesi di vizio del consenso è stata coerentemente esclusa, così come la menzionata condizione di inferiorità, fisica o psichica, della quale l’agente abbia abusato.
7. Quanto all’ottavo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata prevista dall’art. 609-quater cod. pen., comma 2, giova innanzitutto ricordare il tenore della relativa disposizione incriminatrice, la quale punisce “fuori dei casi previsti dall’art. 609-bis c.p.”, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici”.
Tale disposizione, come anticipato, definisce il perimetro della relativa incriminazione innanzitutto attraverso il ricorso ad una clausola di riserva (“fuori dei casi previsti dall’art. 609-bis c.p.”), la quale impone di escludere dall’ambito applicativo della fattispecie i casi di atti sessuali realizzati, nei confronti del minore, con violenza, minaccia o con modalità repentine, i quali rientrano, come ricordato, nella previsione dell’art. 609-bis cod. pen., comma 1, nonchè le condotte di induzione che si realizzino con abuso di una condizione di inferiorità (fisica o) psichica della persona offesa.
Sul piano dei requisiti positivi, la fattispecie configura, sotto un primo profilo, la necessaria qualifica soggettiva dell’agente, individuata, per quanto qui interessa, in una relazione di affidamento del minore “per ragioni di istruzione” e, sotto altro aspetto, una peculiare modalità di condotta sessuale, la quale deve essere realizzata, nei confronti di un soggetto minore ultrasedicenne, “con l’abuso dei poteri connessi alla (…) posizione” del soggetto agente.
Tale nozione è stata indagata dalla giurisprudenza in specie con riferimento ai rapporti con l’ipotesi di violenza sessuale compiuta, ai sensi dell’art. 609-bis cod. pen., comma 1, con “abuso di autorità”, nozione quest’ultima che le Sezioni unite di questa Corte hanno definito nei termini di una “posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico” (così Sez. U, n. 13 del 31/05/2000, dep. 5/07/2000, PM, Rv. 216338; negli stessi termini anche Sez. 3, n. 16107 del 24/03/2015, dep. 17/04/2015, P.C. in proc. M., Rv. 263333; Sez. 3, n. 47869 del 4/10/2012, dep. 10/12/2012, M., Rv. 253870) e che altre pronunce più recenti hanno, invece, condivisibilmente esteso anche alle situazione di supremazia derivante da un’autorità privata (Sez. 3, n. 33049 del 17/05/2016, dep. 28/07/2016, B., Rv. 267402; Sez. 3, n. 33042 del 8/03/2016, dep. 28/07/2016, P.G. in proc. F., Rv. 267453; Sez. 3, n. 49990 del 30/04/2014, dep. 1/12/2014, G., Rv. 261594; Sez. 3, n. 36704 del 27/03/2014, dep. 3/09/2014, A., Rv. 260172; Sez. 3, n. 19419 del 19/04/2012, dep. 22/05/2012, I., Rv. 252768), considerato l’argomento letterale (facendo la norma riferimento alla nozione di “autorità”, senza ulteriori specificazioni), storico (valorizzandosi la progressiva estensione dell’ambito di tutela penale del diritto alla libertà personale dagli abusi di natura sessuale e la mancata riproduzione della formulazione del vecchio art. 520 cod. pen., che sanzionava le condotte con abuso di autorità da parte del pubblico ufficiale) e logico-sistematico (evidenziandosi come l’analoga locuzione, dettata dall’art. 61 c.p., n. 11, venga comunemente interpretata nella più ampia estensione).
Ora, è evidente che ove il discrimine tra la menzionata ipotesi contemplata dall’art. 609-bis c.p., comma 1 e quella disciplinata dall’art. 609-quater c.p., comma 2 venisse individuato nella natura pubblicistica o meno dell’autorità abusivamente esercitata, nel caso di specie dovrebbe automaticamente precludersi l’applicabilità dell’art. 609-quater c.p., considerata la qualifica soggettiva dell’imputato e la presenza di un affidamento della minore di natura squisitamente pubblicistica. Tuttavia, come anticipato, questo Collegio ritiene preferibile l’orientamento che estende la nozione di “abuso di autorità” anche alle condotte connotate da una relazione asimmetrica di potere che inerisca a un rapporto di natura privatistica.
Tuttavia, diversamente da quanto ritenuto da questa Corte in altro frangente (si veda, in proposito, Sez. 3, n. 2681 del 11/10/2011, dep. 23/01/2012, R. e altro, Rv. 251885), dalla estensione della nozione di abuso di autorità anche ai rapporti privatistici non deriva alcuna interpretatio abrogans dell’art. 609-quater c.p., comma 2, atteso che, come posto in luce in altra occasione da questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 33042 del 8/03/2016, dep. 28/07/2016, P.G. in proc. F., Rv. 267453), quest’ultima fattispecie concerne i casi, affatto diversi, in cui l’agente abusi dei poteri inerenti alla sua posizione e non le semplici condotte realizzate con “abuso di autorità”.
In altri termini, mentre nel caso dell’art. 609-bis c.p., viene configurata “una strumentalizzazione della dimensione “soggettiva” dell’autorità”, nel caso contemplato dall’art. 609-quater la penalizzazione concerne i casi di “strumentalizzazione della dimensione “oggettiva”, funzionale, dei poteri connessi alla posizione”.
Consegue a quanto appena evidenziato che, nel caso di specie, non è dato configurare alcun abuso dei poteri connessi alla posizione di docente. Tale soluzione, non contestabile per le condotte realizzate al di fuori dei locali dell’istituto, si impone, invero, anche per quelle poste in essere negli ambienti scolastici. Infatti, gli atti sessuali non ebbero luogo attraverso una qualche forma di esercizio dei poteri derivanti dall’ufficio svolto, non emergendo affatto, quantomeno alla stregua di quanto riportato dalla sentenza impugnata, che il docente avesse, ad esempio, costretto la ragazza a trattenersi nei locali contro la sua volontà, che avesse allontanato altri studenti per poter stare solo con lei: in breve che si fosse avvalso di qualunque delle facoltà derivanti dal suo status per commettere le contestate attività sessuali.
Pertanto, anche l’ottavo motivo di ricorso deve essere ritenuto manifestamente infondato.
8. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso del pubblico ministero deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017