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"Ti butto fuori casa e stacco le utenze" non è minaccia (Cass. 563/19)

8 gennaio 2019, Cassazione penale

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La prospettazione di adire le vie legali, in quanto esercizio di un diritto, non implica un danno ingiusto e, come tale, non può integrare ilk reato di minaccia.

sez. V Penale

 sentenza 29 novembre 2018 – 8 gennaio 2019, n. 563
Presidente Zaza – Relatore Morosini

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Catania, in riforma della condanna pronunciata dal Giudice di pace, ha assolto D’Ar. Vi. dal reato di minaccia, commesso ai danni di Bi. Ag..
2. Avverso la sentenza propone ricorso la parte civile, Bi. Ag., articolando due motivi, con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1 Secondo la ricorrente il reato di minaccia sarebbe pienamente integrato dalla condotta dell'imputato, che sarebbe consistita nel prospettare alla propria inquilina, in ritardo nel pagamento dei canoni e delle spese di locazione, di "buttare dalla finestra tutti i suoi effetti personali e di distaccare le utenze (idriche ed elettriche)" (terza pagina del ricorso).
2.2 Sotto il profilo motivazionale, il Tribunale avrebbe erroneamente valutato gli esiti dell'istruttoria dibattimentale ed in particolare:
- non avrebbe tenuto conto che D’Ar. si è rivolto all'autorità giudiziaria al fine di ottenere il pagamento del proprio credito solo dopo la presentazione della querela nei suoi confronti;
- avrebbe utilizzato i documenti prodotti dall'imputato, i quali però riguarderebbero un'abitazione diversa da quella occupata dalla persona offesa;
- avrebbe assegnato valore al contratto di locazione tra le parti, che sarebbe invalido perché non registrato;
- avrebbe ritenuto non credibile il racconto della persona offesa, in maniera immotivata e, comunque, senza applicare il principio della "credibilità frazionata".
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il dato fattuale con il quale confrontarsi è quello offerto dalla ricostruzione del Tribunale. La sentenza impugnata afferma che l'imputato, proprietario dell'immobile locato a Bi. Ag. - conduttrice morosa -, ha intimato alla stessa di lasciare l'appartamento (pag. 6).
In tale condotta difetta, all'evidenza, il requisito oggettivo del delitto punito dall'art. 612 cod. pen.
Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male possa essere cagionato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Scognamillo, Rv. 261678).
Nella specie il danno minacciato non è ingiusto, poiché rappresenta l'esercizio del diritto del proprietario di un immobile di intimare lo sfratto per morosità. Evento, peraltro, verificatosi, nella specie, all'esito di un procedimento giudiziario.
La prospettazione di adire le vie legali, in quanto esercizio di un diritto, non implica un danno ingiusto (Sez. 6, n. 20320 del 07/05/2015, Lobina, Rv. 263398) e, come tale, rimane estranea alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 cod. pen. (Sez. 5, n. 44381, 26/09/2017, in motivazione; Sez. 5, n. 51246 del 30/09/2014, Maratta, Rv. 261357).
5. Il secondo motivo è generico.
Il ricorso muove da una prospettazione diversa da quella contenuta in sentenza, contestando che quanto affermato dal Tribunale corrisponda alle reali emergenze istruttorie.
Tuttavia il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 2.000,00, a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende