Prospettare azioni legali ("ti faccio passare i guai perché ti denuncio") non è reato.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 giugno – 10 ottobre 2018, n. 45822
Presidente Vessichelli – Relatore Zaza
Ritenuto in fatto
1. Ca. Ve. ricorre avverso la sentenza del 3 luglio 2017 con la quale la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 7 luglio 2015, confermava l'affermazione di responsabilità del Ve. per il reato di minaccia, commesso il 18 giugno 2011 in danno di Gi. Co., assolvendo l'imputato dall'ulteriore addebito di ingiuria per non essere il fatto previsto come reato, e rideterminando la pena.
2. Il ricorrente, con due motivi che possono essere unitariamente esposti, deduce violazione di legge e vizio motivazionale sull'affermazione di responsabilità, lamentando l'impossibilità di ricondurre alla fattispecie incriminatrice della minaccia la condotta dell'imputato, consistita nel far valere il proprio diritto di rivolgersi alle forze dell'ordine per tutelare la propria posizione, e la contraddittorietà della sentenza impugnata ove si concludeva con una pronuncia di colpevolezza dopo che in motivazione vi si affermava che il Ve. doveva essere assolto dal delitto contestatogli al capo C, corrispondente per l'appunto a quello di minaccia, per insussistenza del fatto.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato con riguardo all'insussistenza del contestato reato di minaccia.
L'espressione minacciosa «ti faccio passare i guai», contestata con l'imputazione, si inseriva, secondo la stessa ricostruzione dei giudici di merito, in un contesto nel quale l'imputato, dopo aver trovato sulla propria autovettura in sosta la copia di un verbale di contravvenzione redatto dall'ausiliario al traffico Co., dava luogo ad un diverbio con quest'ultimo nel corso del quale manifestava l'intenzione di denunciarlo. E che tale fosse l'intento precipuamente manifestato dal Ve. nell'occasione emerge dalle dichiarazioni testimoniali riportate nella sentenza in ordine alle parole rivolte dall'imputato al Co., riportate dal teste Ce. «come dimmi il tuo nome perché ti devo denunciare», e dal teste Ri. come «ti faccio passare i guai perché ti denuncio».
In questa ottica, alla condotta dell'imputato non è attribuibile il significato della prospettazione di un male ingiusto, propria dell'offensività tipica del reato di minaccia; essendo il termine «guai», utilizzato dal Ve., chiaramente riferito alle conseguenze legali dell'azione giudiziaria o disciplinare che l'imputato si prometteva di intraprendere, e non altrimenti che come tale percepibile dalla persona offesa, considerato l'insieme delle espressioni verbali profferite dal Ve..
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.