L’aereo DC9 ITAVIA non è precipitato nei cieli di Ustica per alcun naturale, spontaneo cedimento strutturale, bensì per una causa esterna.
Tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato che l’incidente occorso al DC-9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC-9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del DC-9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC-9.
Collegio Misiti (esclusi i suoi componenti Held e Casarosa), la presenza di aerei militari nella fase terminale del volo del DC9 e nelle sue immediate vicinanze permette di escludere l'ipotesi della bomba perchè una presenza puramente fortuita in concomitanza con l'esplosione di una bomba può essere considerata un evento altamente improbabile e comunque non darebbe conto della mancata segnalazione del fenomeno da parte dei piloti che non possono non averlo notato.
E' probabile l'inserimento di un velivolo nella scia del DC9 al fine di nascondersi al rilevamento dei radar e il compimento di un'operazione di intercettazione di tale velivolo da parte di due caccia nella fase finale del volo del DC9: in un tale contesto, definibile di guerra o di polizia internazionale, ascrivere la caduta del DC9 all'esplosione di una bomba collocata all’interno del DC9 sarebbe più che improbabile assurdo.
L'elemento della presenza di altri aerei, per quanto sinora esposto in ordine agli esiti delle perizie e consulenze tecniche, può ritenersi raggiunto con ragionevole certezza.
TRIBUNALE DI PALERMO
Sezione III Civile
in composizione monocratica
SENTENZA
dd. 10 settembre 2011 n. 4067/11
in persona del giudice Paola Proto Pisani ha pronunciato la seguente
nelle causa iscritta al n. 10354 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2007 (recante riunita quella n. 12865/2007 RG) vertente
tra
1) OSNATO Rossana, nata a Roma il 6/03/1951;
2) FONTANA Flavio, nato a Roma il 05/04/1979;
3) FUCARINO Lori, nata a Palermo il 9.06.1947;
4) CERAMI Ennio, nato a Palermo il 3.06.1975;
5) CERAMI Cristina, nata a Palermo il 31.03.1977,
6) PIRICO’ Fortunata nata a Palermo il 12.12.1939;
7) DAVI’ Francesco, nato a Palermo il 12.07.1964;
8) DAVI’ Maria Grazia, nata a Palermo il 23.09.1961;
9) DAVI’ Alessia, nata a Palermo il 27.11.1977;
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10) FULLONE Giovanni nato a Palermo il 23.03.1959;
11) GAMBINO Lina nata a Palermo il 24.03.1949;
12) VALENZA Filippo, nato a Palermo l’1.02.1973;
13) VALENZA Aurelio Natale, nato a Palermo il 19.06.1974,
14) ARICO’ Maria, nata a Palermo il 31.10.1922;
15) GUERINO Vincenzo nato a Palermo il 2.09.1958;
16) GUERINO Grazia, nata a Palermo il 7.10.1956,
17) MARFISI Enzo nato a Termini Imerese (PA) il 14/12/1937;
18) LICATA Leonarda, nata a Ribera (AG) il 2.08.1941;
19) LICATA Michelina, nata a Ribera (AG) il 5.10.1939;
20) PINOCCHIO Salvatore nato a Monreale (Pa) il 14.01.1927;
21) LEQUAGLIE Aurora, nata a Palermo il 2.07.1928;
22) PINOCCHIO Francesco, nato a Palermo il 23.06.1966,
23) MOSTACCI Giuseppe, nato a Palermo il 2.04.1923;
24) MOSTACCI Pietro Giuseppe, nato a Palermo l’8.06.1961;
25) GRANO Maria Roberta, nata a Bologna l’1.09.1948;
Tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Daniele Osnato, del Foro di Caltanissetta, ed Alfredo Galasso, del Foro di Palermo
ATTORI nel procedimento n. 10354/07 26) DIODATO Pasquale, nato a Mazara del Vallo (TP) il 23.3.1938,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Vanessa Fallica e Fabrizio Fallica del Foro di Palermo
ATTORE nel procedimento n. 12865/07
CONTRO
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro-tempore,
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro
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− −
pro-tempore,
MINISTERO DEGLI INTERNI, in persona del Ministro pro-tempore,
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro-
tempore
Tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo
CONVENUTI (i primi due nel procedimento n. 10354/07, tutti tranne il secondo nel procedimento n. 12865/07)
E NEI CONFRONTI DI
27) GUERRA Antonio, nato a Petralia Soprana (PA) il 2.06.1928
28) LA TONA Giuseppa, nata a Petralia Soprana (PA) il 2.06.1932
29) GUERRA Rosario, nato a Petralia Soprana (PA) l’1.02.1960
30) GUERRA Mirella, nata a Petralia Soprana (PA) il 15.07.1972
31) GUERRA Maria Santa, nata a Petralia Soprana (PA) il 23.07.1952 32) FONTANA Anna, nata a Roma il 30.11.1956
Tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Alfredo Galasso, del Foro di Palermo, e Daniele Osnato, del Foro di Caltanissetta
33) MANITTA Piera, nata il 19.04.1950
34) MANITTA Rosanna, nata il 6.11.1952
rappresentate e difese dall'avv. Massimiliano Pace del Foro di Palermo 35) SCIBILIA Antonina, nata a Marsala (TP) l'08.04.1923
36) LUPO Mariano, nato a Castelvetrano il 25.11.1950
37) LUPO Vincenza, nata, a Castelvetrano il 21.3.1952
38) LUPO Bartolomeo, nato a Castelvetrano il 22.1.1954
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rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Incandela del Foro di Marsala, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Gaetano Leto del Foro di Palermo
TERZI INTERVENUTI
nel procedimento n. 10354/07 39) DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, nata a Paceco il 27.03.1945
40) PARRINELLO Giuseppa Maria, nata a Marsala il 07.09.1964 41) PARRINELLO Caterina Anna, nata a Marsala il 15.10.1966 42) PARRINELLO Fausta Savia, nata a Marsala il 19.12.1971 rappresentate e difese dall'avv. Vanessa Fallica del Foro di Palermo
TERZI INTERVENUTI
nel procedimento n. 12865/07
MOTIVI DELLA DECISIONE
PREMESSA
1. Le domande e le eccezioni oggetto del presente processo. Le questioni relative all’ammissibilità degli interventi.
Gli attori del procedimento n. 10354/07, tutti familiari delle vittime del disastro di Ustica, con l'atto introduttivo del presente giudizio chiedono la condanna dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti convenuti, al risarcimento:
a) dei danni, iure ereditario e iure proprio, subiti in conseguenza del disastro aereo del 27 giugno 1980 per la perdita dei loro congiunti;
b) iure proprio, dei danni cagionati - fin dalle ore successive al disastro stesso e quindi nella successiva fase di svolgimento delle indagini, prima, e durante la celebrazione di processi penali, poi- dalle condotte tenute da vari soggetti, tutti organicamente riconducibili ai Ministeri convenuti, “attraverso le quali si è determinato un sistematico depistaggio ed un intralcio al più proficuo svolgimento delle indagini, mediante sottrazione di documentazione utile allo scopo, ritardi o omissioni nella trasmissione del materiale che
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gli inquirenti chiedevano via via di acquisire, nonché mediante gravissime reticenze, manifestate financo in sede di interrogatorio o deposizione testimoniale”.
Allegano gli attori che le numerose perizie che sono state svolte in sede penale, finalizzate ad accertare le cause che hanno portato al disastro aereo di Ustica, concordano sostanzialmente su di un punto cruciale: l’aereo non è precipitato per alcun naturale, spontaneo cedimento strutturale, bensì per una causa esterna, verosimilmente l’impatto con un missile.
Sulla base della considerazione che la sera del 27 giugno del 1980, lungo la rotta del DC9 dell’Itavia e nelle ore di effettivo transito di questo velivolo, “era in corso un’operazione aerea militare, coinvolgente numerosi velivoli in assetto da guerra” (fondata sul contesto radaristico accertato nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore e poi confermato dalla sentenza della Corte di Assise di Roma di primo grado) vengono quindi allegate precise condotte, imputabili alle amministrazioni convenute, che avrebbero concorso al prodursi del disastro nonché dei numerosi danni ad esso conseguenti.
Più esattamente, “negligenze ed omissioni di doveri di legge - legati alla garanzia di sicurezza del traffico lungo aerovie civili all’interno dello spazio aereo nazionale - tra cui spiccano la mancata segnalazione, da parte delle autorità militari a quelle responsabili del trasporto aereo civile, della presenza di altri velivoli lungo la rotta seguita dal DC9 della compagnia Itavia; così come la mancata tempestiva comunicazione, da parte delle autorità preposte al controllo del traffico aereo, al pilota del DC9, della necessità di modificare la rotta programmata, anche solo mediante una riduzione della quota di crociera fino a soglia di sicurezza, proprio in considerazione della situazione di pericolo legata alla presenza anche di altri velivoli lungo la rotta prestabilita . A ciò si aggiunga quanto consegue dell’esistenza di quel pericolosissimo “Punto Condor” oggetto di continue intersecazioni di voli militari in assetto operativo e la conseguente, sbalorditiva, assenza di provvedimenti assunti dalle amministrazioni convenute per porre rimedio a quell’ineluttabile situazione di precaria sicurezza”.
Allegano inoltre gli attori che le condotte di concreto ostacolo al raggiungimento della verità circa le cause del disastro aereo sarebbero state oggetto di accertamento in sede penale e stigmatizzate nell'ordinanza sentenza del Giudice Istruttore, e comunque il loro accertamento risulterebbe dagli atti del processo penale prodotti in questo giudizio. Concludono pertanto chiedendo la condanna dei Ministeri convenuti al risarcimento:
− del danno non patrimoniale da lesione del bene della vita iure ereditario;
− del danno non patrimoniale iure proprio per lesione del rapporto parentale;
− del danno patrimoniale derivante dalla perdita del contributo economico che il congiunto
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apportava o avrebbe loro apportato;
−del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla lesione del loro diritto all'accertamento della verità.
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Tempestivamente costituitisi in giudizio i Ministeri della Difesa e dei Trasporti convenuti
chiedono il rigetto delle domande spiegate nei loro confronti.
Riguardo alla dedotta responsabilità dei Ministeri convenuti in ordine alla produzione del disastro deducono:
− che anni e anni di indagini e di processi (tanto in sede civile che penale) non hanno consentito di accertare neppure i modi in cui l'evento ebbe a verificarsi, né tanto meno di identificare gli autori materiali dei fatti che hanno determinato la caduta del velivolo;
−che l'impossibilità di accertare, con esclusione di ragionevoli margini di dubbio, le concrete modalità con cui il disastro ebbe a verificarsi comporta che i profili di responsabilità riguardanti la caduta del velivolo allegati da parte attrice a carico dei Ministeri convenuti non possano essere considerate che mere ipotesi, sfornite di qualsiasi prova (richiamando in proposito quanto osservato dalla sentenza del 23 aprile 2007 con cui la Corte di Appello di Roma in accoglimento dell'Appello delle Amministrazioni, ha rigettato le domande proposte dalle Aerolinee Itavia);
− la “mancanza di concreti elementi di prova circa la conoscenza da parte di organi dello Stato della presenza di velivoli che potessero risultare anche solo potenzialmente pericolosi per l'aereo e per le vittime del disastro” e la considerazione che “pur in presenza di aerei militari stranieri ubicati nelle diverse basi militari NATO o sulle portaerei presenti nel mediterraneo il lancio di missili e l'abbattimento di un aereo civile costituiscono evenienze del tutto straordinarie e imprevedibili di certo non correlabili ad eventuali carenze nel controllo del traffico aereo” (considerazioni anche queste tratte dalla sentenza del 23 aprile 2007 della Corte di Appello di Roma);
− l'impossibilità di configurare (in quadro fattuale comunque del tutto nebuloso) un nesso causale tra le (non dimostrate) omissioni e l'evento, “in ragione dell'imprevedibilità, della repentinità e dell'inevitabilità degli ipotizzati accadimenti (salvo che non si voglia per assurdo immaginare un obbligo per il Ministero della Difesa di tenere costantemente in volo in tutti i cieli italiani quantità imprecisate ed inverosimili di pattuglie aeree pronte ad intervenire in qualsiasi caso di emergenza! Ma neppure in tal caso si potrebbero impedire con certezza eventi come il disastro di Ustica”);
− che i Ministeri convenuti all'epoca dei fatti non avevano competenza né sul controllo degli spazi aerei (in quanto il Ministero dei Trasporti era all'epoca chiamato solo a compiti
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di vigilanza consistenti nell'approvazione di regolamenti tecnici e non implicanti attività di controllo diretto sui velivoli e sullo spazio aereo, compito quest'ultimo demandato ad apposito ente di assistenza al volo, prima il R.A.I., oggi l'E.N.A.C.) né per il controllo del caricamento del velivolo (assicurato dal vettore e dai gestori aeroportuali).
In ordine alle ragioni risarcitorie collegate alla perpetrata violazione del diritto all'accertamento della verità l'Avvocatura dello Stato deduce:
− che il nostro ordinamento non configura (tanto meno come coessenziale diritto della persona) alcun astratto diritto alla verità;
− che l' ipotizzata lesione di tale asserito diritto (connessa ai presunti depistaggi) deve comunque ritenersi definitivamente esclusa alla stregua del giudicato penale di assoluzione, (che comporta preclusione per le pretese in parola) con cui si è definito il procedimento penale instaurato a carico degli Ufficiali dell'Aeronautica Militare per i reati di attentato agli organi costituzionali e alto tradimento, per la totale mancanza di prova dei fatti contestati;
− che gli ipotetici illeciti di dipendenti dell'Aeronautica non sarebbero comunque stati in alcun modo riferibili alle convenute Amministrazioni (e men che mai al Ministero dei Trasporti ai cui ruoli neppure appartenevano i dipendenti) perchè del tutto estranei agli scopi istituzionali perseguiti da qualsiasi amministrazione statale (il servizio presso la quale non potrebbe ritenersi neppure semplice occasione dell'illecito);
−che la mancata identificazione di altri soggetti, diversi da quelli sottoposti al procedimento penale, come autori degli ipotetici reati precluderebbe in questa sede ogni valutazione su fatti che non risulterebbero in realtà in alcun modo accertati e/o comprovati; − l'assurdità di una prospettazione secondo cui lo Stato, cui sono riferibili i poteri di polizia (anche giudiziaria) e quelli connessi all'Amministrazione della Giustizia, dovrebbe in un modo o nell'altro rispondere di qualsiasi accadimento che avvenga nel suo territorio, se non altro per non essere riuscito a identificare e ad assicurare alla giustizia i colpevoli.
I Ministeri convenuti eccepiscono, inoltre, l'intervenuta prescrizione quinquennale delle avverse pretese, tanto con riguardo a quelle ancorate alla caduta del velivolo, quanto relativamente a quelle riguardanti la dedotta lesione del diritto alla verità; per completezza aggiungono che la prescrizione dovrebbe comunque ritenersi maturata anche nel caso in cui si volesse far riferimento (pur in mancanza di accertamento della responsabilità di qualsiasi soggetto ed anzi in mancanza dell'individuazione di qualsiasi soggetto cui l'illecito possa essere anche in astratto addebitabile) ai termini di prescrizione di ipotetici illeciti penali (inammissibilmente configurati “in incertam personam”) di dipendenti dell'Amministrazione.
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L'Avvocatura dello Stato, infine, oltre a contestare la configurabilità di qualsivoglia condotta illecita che possa giustificare una responsabilità delle Amministrazioni convenute: − contesta la risarcibilità dei danni fatti valere iure hereditario conseguenti alla morte delle vittime del disastro richiamando in proposito la costante giurisprudenza che esclude la possibilità di insorgenza di un siffatto diritto quando la vittima non sopravviva per un apprezzabile lasso di tempo;
− deduce la mancanza di prova dei danni di natura patrimoniale collegati alla scomparsa dei congiunti;
− contesta la fondatezza delle pretese per danni di natura non patrimoniale “ancorate a lettura ingiustificatamente estensiva dei principi giurisprudenziali affermatisi in materia, con i quali le pretese in realtà contrastano”;
−allega che una serie di disposizioni di legge (legge 340/1995, con rinvio alla legge 302/1990; art. 1 comma 272 legge 266/2005; art.1 comma 1270 legge 296/2006, con rinvio alla legge 206/2004, alla legge 302/1990, alla legge 407/1998 e all'art. 82 legge 388/2000) hanno previsto la possibilità di concessione di specifici indennizzi ai familiari/eredi delle vittime del disastro non cumulabili con eventuali risarcimenti (cfr. in particolare artt. 10 e 13 della legge 302/1990), la determinazione del cui concreto ammontare non potrebbe dunque in alcun modo prescindere dal considerare le somme che gli interessati abbiano percepito o abbiano titolo a percepire a titolo di indennizzo; chiede pertanto in via subordinata che il Tribunale, in caso di accoglimento delle avverse pretese, ritenga e dichiari che vanno dedotte dal risarcimento riconosciuto le somme spettanti a ciascuno degli interessati per gli indennizzi previsti dalle citate disposizioni.
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Nel giudizio n. 10354/07 sono intervenuti i soggetti indicati in epigrafe, proponendo nei confronti dei Ministeri e della Difesa domande analoghe a quelle proposte dagli attori.
I Ministeri hanno eccepito l'inammissibilità degli interventi perchè si sostanziano in pratica in autonomi atti di citazione, proposti “dopo la scadenza del termine di costituzione fissato per il convenuto in dipendenza dell'originario atto introduttivo, quando cioè, in considerazione delle preclusioni imposte dal codice di procedura civile, si sarebbero potuti ammettere soltanto interventi adesivi dipendenti, caratterizzati dunque dall'assenza di domande giudiziali”; riguardo all'intervento spiegato da Guerra Antonio, La Tona Giuseppa, Guerra Rosario, Guerra Mirella e Guerra Maria Santa hanno inoltre eccepito l'estinzione di un precedente giudizio (n. 12/1981 RG) avente analogo oggetto; riguardo a tutti gli interventi hanno infine proposto, in ordine alle domande formulate dalle parti intervenute, le stesse eccezioni, difese e domande svolte con l'originaria comparsa di
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risposta.
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DIODATO Pasquale, attore del procedimento n.12865/07, con l'atto introduttivo del giudizio ha chiesto la condanna dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento dei danni morale e biologico per lo sconvolgimento esistenziale a lui derivato dalla perdita dell'intera famiglia, composta da moglie e tre figli, nel disastro aereo di Ustica, deducendo che dalle indagini svolte in sede penale sono emersi elementi probatori che dimostrano l'ascrivibilità dell'incidente a una carenza strutturale dei servizi pubblici di controllo del
traffico aereo.
I Ministeri convenuti, costituitisi in giudizio hanno sostanzialmente svolto le stesse difese ed eccezioni proposte nel procedimento n 10354/07.
Nel processo n.12865/07 sono intervenuti i soggetti indicati in epigrafe proponendo domande analoghe a quelle proposte dall'attore, di risarcimento danni per la perdita del congiunto deceduto nel medesimo disastro aereo.
Il processo n.12865/07 è stato riunito a quello recante numero 10354/07.
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Preliminarmente si rileva la non fondatezza dell'eccezione di inammissibilità degli interventi sollevata dall'Avvocatura in quanto ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 105 e 267 c.p.c. l'intervento, anche autonomo, può aver luogo finchè non vengano precisate le conclusioni, salve le preclusioni già maturate nel processo riguardo ai poteri
istruttori delle parti.
Parimenti infondata deve ritenersi l'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura con specifico riferimento all'intervento spiegato da Guerra Antonio, La Tona Giuseppa, Guerra Rosario, Guerra Mirella e Guerra Maria Santa, in quanto ai sensi dell'art. 310 c.p.c. l'estinzione del processo non estingue l'azione.
2. Il fatto
Il 27 giugno 1980 alle ore 20.59 ore locale (18.59 ora Zulu) avveniva il disastro aereo del DC9 I-Tigi della Società ITAVIA, inabissatosi nelle acque del Tirreno tra le isole di Ponza e di Ustica con 81 persone a bordo. In tale occasione perdevano la vita, tra gli altri, i congiunti degli odierni attori.
L'aeromobile, identificato con nominativo radio IH870, giunto a Bologna da Palermo alle ore 17.04 GMT, decollò nuovamente per il capoluogo siciliano alle successive 18.08 – tempo del meridiano di Greenwich, riportato nel testo anche con la sigla Z o Zulu. All’epoca essendo in vigore in Italia l’ora legale, tra l’ora Z e quella locale vi erano due ore di differenza. Il volo si svolse regolarmente, sempre in contatto con l’ente di controllo del
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traffico aereo, autorizzato a quote diverse sino al livello di crociera FL290, ovvero 29.000 piedi pari a m.8840, raggiunto ad ore 18.31’56”. Tale livello di volo fu mantenuto sino ad ore 18.46’31”, orario al quale il pilota lasciò FL290 in discesa per il livello 250 dietro sua specifica richiesta e regolare autorizzazione sull'appropriata frequenza di settore radio 127.35MHZ.
Ad ore 18.56’00” il pilota riferì al controllore radar di essere sulla posizione Ambra 13 Alpha e questi lo informò che l'aeromobile era leggermente spostato – di quattro miglia – sulla destra della posizione riportata, autorizzando il collegamento sulla frequenza 128.8MHZ di Roma Controllo, giacchè il servizio di Roma Radar terminava in quella posizione geografica. Il controllore in servizio su detta frequenza autorizzò il volo IH870 a collegarsi con Raisi VOR, specificando che nessun ritardo era previsto per l'avvicinamento. Ad ore 18.58 il pilota riferì – è l’ultima delle comunicazioni da bordo – alla torre di Palermo, la quale comunicò le condizioni del vento, la pista, il Cavok e la temperatura.
Ad ore 18.59’45”, secondo le registrazioni di Roma Ciampino, l'ultimo segnale secondario del transponder, corrispondente alle coordinate 39°43’Nord e 12°55’Est, mentre l'aeromobile era livellato a quota FL250 e stabilizzato sulla rotta assegnata.
Ad ore 19 04’28” il controllore in servizio a Palermo chiamò il volo IH870 autorizzando la discesa a FL110. Non avendo avuto risposta detto controllore ripetè più volte le sue chiamate e richiese anche ad altri aerei in volo di chiamare l’I-Tigi, senza però ricevere alcuna risposta.
Ad ore 19.06’00” iniziarono le azioni per la ricerca e soccorso di aeromobili. L’aeromobile – si accertò nell'ambito di breve tempo – era precipitato in mare in un punto dell'aerovia Ambra 13, dopo il punto Alpha, tra l'isola di Ponza e quella di Ustica. Nel disastro non vi furono superstiti.
Erano a bordo dell'aereo quattro membri dell'equipaggio e settantasette passeggeri. L'equipaggio era composto da Domenico Gatti, còrso, di anni 44, 1° comandante; Enzo Fontana, romano, di anni 32, 2° pilota; Paolo Morici, romano, di anni 39, assistente di volo responsabile di 2a; Rosa De Dominicis, romana, di anni 21, assistente di volo allieva. I passeggeri erano: Andres Luigi, da Pordenone, di anni 33; Baiamonte Francesco, da Palermo, di anni 55; Benedetti Cinzia, da Treviso, di anni 25; Bonati Paolo, da Pavia, di anni 16; Bonfietti Alberto, da Mantova, di anni 37; Bosco Alberto, da Valderice (TP), di anni 41; Calderone Maria Vincenza, da Marineo (PA), di anni 58; Cammarata Giuseppe, da S. Cataldo (CL), di anni 19; Campanini Arnaldo, da Milano, di anni 45; Casdia Antonio, da Palermo, di anni 32; Cappellini Maria Antonietta, da Rovigo, di anni 57; Cerami Giovanni, da Palermo, di anni 34; Croce Maria Grazia, da Venezia, di anni 7; D’Alfonso Salvatore, da
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Gela (CL), di anni 39; D’Alfonso Sebastiano, da Venezia, di anni 4; Davì Michele, da Palermo, di anni 45; De Cicco Calogero, da Ribera (AG), di anni 28; De Lisi Elvira, da Napoli, di anni 37; Di Natale Francesco, da Dolo (VE), di anni 2; Diodato Antonella, da Mazara del Vallo (TP), di anni 7; Diodato Giuseppe, da Mazara del Vallo (TP), di anni 1; Diodato Vincenzo, da Mazara del Vallo (TP), di anni 10; Filippi Giacomo, da Forlimpopoli (FO), di anni 47; Fullone Carmela, da Palermo, di anni 17; Fullone Rosario, da Collesano (PA), di anni 49; Gallo Vito, da Mazara del Vallo (TP), di anni 25; Greco Antonino, da Palermo, di anni 23; Gruber Marta, da Vilandro (BZ), di anni 55; Guarano Andrea, da Val d'Erice (TP), di anni 38; Guardì Vincenzo, da Palermo, di anni 26; Gherardi Guelfo, da Bologna, di anni 59; Guerino Giacomo, da Palermo, di anni 19; Guerra Graziella, da Blufi (PA), di anni 27;Guzzo Rita, da Marsala (TP), di anni 30; La China Giuseppe, da Caltanissetta, di anni 58; La Rocca Gaetano, da Palermo, di anni 39; Licata Paolo, da Palermo, di anni 71; Liotta Maria Rosa, da Palermo, di anni 24; Lupo Francesca, da Castelvetrano (TP), di anni 17; Lupo Giovanna, da Mazara del Vallo (TP), di anni 32; Manitta Giuseppe, da Palermo, di anni 54; Marchese Claudio, da Termini Imerese (PA), di anni 23; Marfisi Daniela, da Mantova, di anni 10; Marfisi Tiziana, da Mantova, di anni 5; Mazzel Rita Giovanna, da Campitello di Fassa (TN), di anni 37; Mazzel Erta Dora Erica, da Bressanone (BZ), di anni 48; Mignani Maria Assunta, da Bologna, di anni 30; Molteni Annino, da Bergamo, di anni 59; Norrito Guglielmo, da Campobello di Mazara (TP), di anni 37; Ongari Lorenzo, da Curtatone (MN), di anni 23; Papi Paola, da Verona, di anni 39; Parisi Alessandra, da Palermo, di anni 5; Parrinello Carlo, da Marsala (TP), di anni 43; Parrinello Francesca, da Marsala (TP), di anni 49; Pelliccioni Anna Paola (Sonia), da Bologna, di anni 44; Pinocchio Antonella, da Palermo, di anni 23; Pinocchio Giovanni, da Palermo, di anni 13; Prestileo Gaetano, da Palermo, di anni 36; Reina Andrea, da Partinico (PA), di anni 34 Reina Giulia, da Riesi (CL), di anni 51; Ronchini Costanzo, da S.Costanzo (PS), di anni 34; Siracusa Marianna, da Ribera (AG), di anni 61; Speciale Maria Elena, da Partinico (PA), di anni 55; Superchi Giuliana, da Palermo, di anni 11; Torres Pierantonio, da Pordenone, di anni 33; Tripiciano Giulia Maria Concetta, da Palermo, di anni 45; Ugolini Pier Paolo, da Montescudo (FO), di anni 33; Valentini Daniela, da Dolo (VE), di anni 29; Valenza Giuseppe, da Palermo, di anni 33; Venturi Massimo, da Bologna, di anni 31; Volanti Marco, da Rimini, di anni 36; Volpe Maria, da Collesano (PA), di anni 48; Zanetti Alessandro, da Camposampiero (PD), di anni 8; Zanetti Emanuele, da Venezia, di anni 31; Zanetti Nicola, da Camposampiero (PD), di anni 6.
Nell'immediatezza del disastro fu aperto un procedimento penale dalle Procure di Palermo e
di Bologna, poi passato per competenza alla Procura di Roma, la cui istruttoria formale è 11
stata definita con la sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore Rosario Priore depositata il 31.08.1999.
Con la sentenza-ordinanza è stato, tra l'altro:
− dichiarato non doversi procedere in ordine al delitto di strage perchè ignoti gli autori del reato;
−disposto il rinvio a giudizio di BARTOLUCCI Lamberto, FERRI Franco, MELILLO Corrado e TASCIO ZENO per i reati di cui agli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., commessi mediante la trasmissione al Governo di false informazioni sul coinvolgimento di altri aerei nel disastro;
− disposto non doversi procedere per cause estintive del reato (prescrizione, morte del reo e abrogazione della norma incriminatrice) o con formule di proscioglimento nel merito, in ordine a una serie di reati di falsa testimonianza, favoreggiamento, distruzione di atti pubblici, abuso d'ufficio ascritti prevalentemente ad appartenenti all'Aeronautica Militare per condotte di occultamento della verità in ordine alle cause del disastro.
Il giudizio a carico di BARTOLUCCI Lamberto, FERRI Franco, MELILLO Corrado e TASCIO ZENO per i reati di cui agli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., è stato definito:
− in primo grado con la sentenza della Corte di Assise di Roma n. 10 del 30 aprile 2004, che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di BARTOLUCCI e FERRI per alcuni dei fatti loro contestati nell'ambito dell'imputazione per il reato di cui all'art. 289 c.p., (previa riqualificazione dei medesimi quale violazione del II comma dell'art. 289 c.p.), per essersi il delitto estinto per intervenuta prescrizione, e ha assolto nel merito tutti gli imputati da tutte le residue imputazioni;
− in appello con la sentenza n. 23 del 15 dicembre 2005 della Corte di Assise di Appello di Roma - con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, BARTOLUCCI e FERRI sono stati assolti da tutte le imputazioni loro ascritte perchè il fatto non sussiste; tale sentenza è passata in giudicato in data 2.3.2007 con il deposito della sentenza n. 9174/2007 della Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale e rigettato il ricorso delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della Difesa.
3. Le fonti di prova
Nel presente giudizio parte attrice ha prodotto, tra l'altro, la sentenza ordinanza depositata in data 31.08.1999 (con la quale è stata definita l'istruttoria formale del procedimento penale relativo al reato di strage a carico di ignoti e ai reati di attentato agli organi costituzionali, falsa testimonianza, favoreggiamento, soppressione di atti pubblici e abuso d'ufficio a carico di vari appartenenti all'A.M.) e le sentenze di primo grado e di appello
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relative al processo per attentato agli organi costituzionali svoltosi innanzi al Corte di Assise di Roma.
Attraverso tali sentenze, nonché mediante la diretta produzione di alcune delle prove assunte in quei giudizi, sono state riversate nel presente giudizio tutte le prove assunte nei predetti procedimenti penali relativi alla strage di Ustica.
Nella motivazione della presente sentenza si farà ripetutamente riferimento agli elementi di prova che hanno costituito oggetto di valutazione da parte del Giudice Istruttore, mediante rinvio alla sua sentenza ordinanza. Appare opportuno avvertire che il rinvio alle parti del testo di tale sentenza può non essere preciso, in quanto la produzione di tale sentenza (che si compone di circa 5.000 pagine) è avvenuta in formato informatico con la conseguenza che la numerazione delle pagine può variare da computer a computer.
Nel presente processo sono state inoltre assunte le testimonianze degli On.li Cossiga e Amato, dalle quali però questo giudice non ritiene di trarre alcun elemento utile alla ricostruzione dei fatti in considerazione: a) della contraddittorietà delle dichiarazioni rese dall'On. Cossiga nel corso del tempo - avendo egli riferito nel presente processo fatti e circostanze (di essere stato informato dal direttore del SISMI, ammiraglio Fulvio Martini, molto tempo dopo il disastro, all'epoca in cui era Presidente della Repubblica, che ad abbattere il DC9 era stato per errore un aereo dell'Aviazione Marina Francese decollato da una portaerei al largo del sud della Corsica) mai riferite prima né innanzi al Giudice Istruttore né nel suo esame testimoniale reso innanzi alla Corte di Assise all'udienza del 26.2.2002; b) della mancanza di un puntuale riscontro di quanto da lui riferito nel presente processo nella deposizione resa dall'On. Amato (il quale ha escluso di essere mai stato informato di analoghe circostanze tanto in via ufficiale quanto in via ufficiosa, contrariamente a quanto sostenuto da Cossiga, secondo cui l'ammiraglio Martini gli avrebbe riferito di avere fornito la stessa informazione ad Amato); c) e del fatto che la fonte ultima dell'informazione – fornita dall'ammiraglio Martini all'on.le Cossiga secondo quanto da quest'ultimo dichiarato nel presente processo – è da ravvisarsi in “informazioni che giravano nell'ambiente dei servizi” - cioè in un elemento di cui non è possibile valutare l'attendibilità.
In ragione del numero e della qualità delle perizie tecniche che si sono svolte nel procedimento penale è stato ritenuto superfluo procedere a ulteriore c.t.u. sulle cause del sinistro; le parti peraltro hanno rinunziato alla relativa richiesta che era stata tempestivamente formulata.
Le prove assunte nel procedimento penale e confluite nel presente processo mediante le
suddette produzioni documentali costituiscono oggetto della valutazione di questo giudice 13
secondo i principi pacifici nella giurisprudenza della Suprema Corte per cui l'autonomia tra giudizio civile e quello penale:
− non preclude che la decisione del giudice civile possa fondarsi, anche in via esclusiva, sulla valutazione di elementi di fatto acquisiti in sede penale, e ricavati dalle sentenze o dagli atti di quel processo, ritualmente acquisiti in sede civile, poiché le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essi (cfr. Cass., n. 5009 del 2.3.2009; Cass., n. 28855 del 5.12.2008; Cass., 22020 del 19.10.2007; Cass., n. 14766 del 26.6.2007; Cass., 11426 del 16.5.2006; Cass., n. 6478 del 25.3.2005; Cass., 18131 del 9.9.2004; Cass., 11483 del 21.6.2004; Cass., n. 4118 dell'1.3.2004);
− non preclude al giudice civile di porre a fondamento del suo convincimento il materiale probatorio acquisito nel procedimento penale per l’accertamento della commissione di un reato, ritualmente introdotto nel giudizio civile, ancorché non valutato criticamente in dibattimento per essersi il reato estinto, anche ai fini della ricostruzione dei medesimi fatti per l’accertamento della responsabilità civile nei confronti dello stesso soggetto indiziato di reato, né preclude di utilizzare le dichiarazioni testimoniali rese alla polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni, ai sensi dell’art. 225 c.p.p. del 1930, per fatti anteriori all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, senza che perciò sia violato il diritto alla difesa della parte (Cass., sez. III, 10-05-2001, n. 6502);
−impone al giudice civile di accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana posta al suo esame, anche se integrante reato, con i mezzi di prova offerti dal rito civile alla sua decisione (tra i quali vi sono addirittura le cosiddette prove legali, completamente sconosciute all'ordinamento penale) e secondo i diversi standards di certezza probatoria propri del processo civile, fondato sulla regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”, anziché sulla diversa regola della prova, vigente nel processo penale, “oltre il ragionevole dubbio” (Cass., 5.5.2009, n. 10285; Cass., S.U., 11.1.2008, n. 584).
Nella presente sentenza nell’esame delle prove si deve necessariamente fare ricorso a un linguaggio di natura tecnica che presuppone, per la sua comprensione, la conoscenza di elementi relativi al funzionamento di un radar e al sistema di difesa aerea integrato nella NATO denominato NADGE, nonché alla tipologia di documentazione relativa ai dati radar tenuta dai Centri Radar della Difesa Aerea e alle articolazioni dell’organizzazione dell’Aeronautica Militare all’epoca dei fatti. Per la migliore comprensione di tali dati si fa espresso rinvio alle parti generali della sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore e della sentenza di primo grado della Corte di Assise di Roma (pagg. da 1 a 19) a ciò
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specificamente dedicate.
PARTE I: LA RESPONSABILITA DELLE AMMINISTRAZIONI CONVENUTE PER NON AVERE ASSICURATO LA SICUREZZA DEL VOLO
Nella prima parte della presente sentenza viene esaminata la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli attori per le concorse ascritte alle amministrazioni convenute di concorso alla produzione del disastro aereo.
L’esame di tale domanda impone una presa di posizione da parte di questo giudice in ordine alla causa del disastro, poiché è evidente che la domanda può trovare accoglimento soltanto laddove si ritenga provato che la caduta del DC9 sia ascrivibile all’interferenza di altri velivoli, anziché all’esplosione di una bomba collocata all’interno dell’aereo, poiché soltanto in tal caso è ravvisabile la dedotta condotta di omessa garanzia della sicurezza del volo da parte dei Ministeri convenuti, e il nesso causale tra tale condotta e il disastro.
Al riguardo si rileva che, secondo i principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 10285 del 2009, le conclusioni dei giudici penali circa l’impossibilità di determinare con certezza quale sia stata la causa del sinistro, non precludono ma anzi impongono al giudice civile di valutare autonomamente le prove raccolte in sede penale secondo i diversi standards di certezza probatoria richiesti nel processo civile, fondato sulla regola del “più probabile che non” anzichè sulla regola dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” vigente nel processo penale.
Circa le tre possibili cause della caduta dell'aereo tecnicamente sostenibili- e cioè la quasi collisione, l'abbattimento ad opera di un missile, e l'esplosione interna (non prendendosi in considerazione l’ipotesi del cedimento strutturale in quanto pacificamente esclusa da tutte le indagini di natura tecnica: cfr. sul punto pag. 3053 e ss. della sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore parte I, Libro I, capo I, titolo 3, sottotitolo II) - il Tribunale ritiene potersi escludere, nel rispetto degli standards di prova sopra sopra specificati, quella dell'esplosione interna per le motivazioni che si vanno ad esporre, dopo una breve sintesi dei principali dati e delle fondamentali tesi emerse dai numerosissimi elaborati di natura tecnica, d'ufficio e di parte, che si sono svolti nei 19 anni che sono trascorsi tra il verificarsi del disastro e la chiusura dell'istruttoria formale che ha archiviato le indagini relative al delitto di strage per essere rimasti ignoti gli autori del reato.
L'esclusione dell'esplosione di un ordigno collocato all'interno del velivolo quale causa del sinistro, e l'affermazione – in termini di maggiore probabilità- che la causa del disastro sia
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da individuare in un evento collegato alla presenza di velivoli militari nelle immediate vicinanze del DC9 al momento della sua caduta deve ritenersi sufficiente - ai fini del presente giudizio civile – per l'affermazione della responsabilità dei Ministeri convenuti in relazione alla caduta dell'aero, senza che si renda necessario un ulteriore livello di analisi delle cause al fine di discriminare la maggiore probabilità tra quella della quasi collisione e quella della detonazione di un missile (che richiederebbe un ulteriore approfondimento e l'espletamento di una ulteriore prova di natura tecnica), poiché entrambi gli scenari ritenuti più probabili (e, allo stato, parimenti probabili) consentono di configurare il medesimo contributo causale apportato all'evento caduta dell'aereo dai Ministeri convenuti, consistente nell'avere consentito (rectius: nel non avere evitato) che il volo civile si venisse a trovare nello scenario aereo che ha consentito il suo abbattimento, e che si presenta identico per l'ipotesi della quasi collisione e per quello dell'esplosione del missile.
1. La prova delle cause del disastro.
1.1. Lo standard di certezza probatoria in ordine alla prova della causa del disastro richiesto nel presente processo civile: la regola del “più probabile che non”.
Preliminarmente in merito alla prova della causa del disastro si rileva che le considerazioni e le conclusioni svolte dalla Corte di Appello di Roma (nella sentenza del 23 aprile 2007 con cui in accoglimento dell'appello delle Amministrazioni, è stata rigettata la domanda di risarcimento del danni proposta dalle Aerolinee Itavia) in ordine all'impossibilità di accertare, con esclusione di ragionevoli margini di dubbio, le concrete modalità con cui il disastro ebbe a verificarsi (richiamate da parte convenuta in comparsa di risposta) non possono considerarsi dirimenti, in quanto hanno già costituito oggetto di radicale censura da parte della Suprema Corte nella sentenza 10285 del 5.5.2009 (intervenuta nelle more di questo giudizio) con cui è stata cassata con rinvio la predetta sentenza della Corte di Appello di Roma.
Le considerazioni svolte dalla Suprema Corte in tale sentenza – che, sebbene non costituisca tecnicamente un giudicato (se non altro perchè resa in un giudizio tra parti diverse) rappresenta un precedente giurisprudenziale imprescindibile, non soltanto per la sua intrinseca autorevolezza ma anche perchè resa nell'ambito del giudizio risarcitorio promosso dalla compagnia Itavia in seguito al disastro di Ustica, connotato da un evidente parallelismo con il presente- contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato in sede di repliche orali all'udienza del 15.10.2010, non possono che essere condivise.
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Ed invero, poiché nel nuovo codice di procedura penale non è stata riprodotta la disposizione di cui all'art. 3, secondo comma, del codice abrogato, e poiché dall'art. 295 c.p.c. (in occasione della sua riformulazione ad opera dell'art. 35 della legge 26 novembre 1990 n. 353) è stato eliminato ogni riferimento alla cosiddetta pregiudiziale penale, si deve ritenere che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio dell'unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, e che viceversa sia stato instaurato dal legislatore il sistema della pressoché completa autonomia e separazione fra i due giudizi, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art. 75, terzo comma, del nuovo codice di procedura penale, da un lato il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale.
L'autonomia tra giudizio civile e quello penale, come già rilevato, se da un lato impone al giudice civile di accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana posta al suo esame, anche se integrante reato, con i mezzi di prova offerti dal rito civile alla sua decisione (tra i quali vi sono addirittura le cosiddette prove legali, completamente sconosciute all'ordinamento penale) e secondo i diversi standards di certezza probatoria propri del processo civile (fondato sulla regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”, anziché sulla diversa regola della prova, vigente nel processo penale, “oltre il ragionevole dubbio”), dall'altro lato non preclude che la decisione del giudice civile possa fondarsi, anche in via esclusiva, sulla valutazione di elementi di fatto acquisiti in sede penale, e ricavati dalle sentenze o dagli atti di quel processo, ritualmente acquisiti in sede civile, (poiché le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolarne la valutazione giudiziale su di essi); ciò comporta la possibilità che, a fronte di una situazione probatoria che non consenta di ritenere raggiunti nel dibattimento penale sufficienti risultati ai fini dell'affermazione della responsabilità penale, il giudice civile possa ritenere sussistente il fatto dannoso e la conseguente responsabilità civile.
L'esplicita affermazione della sussistenza diversi standards di certezza probatoria propri del processo civile e del processo penale nella Giurisprudenza della Suprema Corte, si è avuta dapprima in tema di valutazione della sussistenza del nesso causale, che deve essere condotto secondo il criterio del “più probabile che non”, non essendo necessario, nell’ambito del giudizio civile, che la prova di un fatto sia raggiunta al livello di quella rigorosa “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio” richiesta invece nell’ambito del
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giudizio penale, anche in ragione delle più gravi conseguenze che derivano da tale ultimo giudizio.
Ed invero le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza dell'11 gennaio 2008 n. 584 (pronunciata in materia di responsabilità del Ministero della Salute per i danni derivanti dalle infezioni epatiche contratte tramite emotrasfusione di sangue infetto), dopo aver distinto nell’ambito dell’illecito aquiliano i due momenti del giudizio della causalità materiale (tra condotta e danno inteso come evento lesivo) e del giudizio della causalità giuridica (tra condotta e danno inteso come insieme di conseguenze risarcibili), ed aver ribadito l’applicabilità con riguardo al primo giudizio, anche in materia civile, dei principi generali che regolano la causalità di fatto “delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale in assenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso eziologico ed integrando essi principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza” hanno affermato:
− “ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e il processo civile è la regola probatoria in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass., 10 luglio 2002, Franzese) mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti”;
−“detto standard di certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana) che potrebbe anche mancare o essere inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma”.
Tale regola di giudizio, propria del processo civile, è stata ribadita anche da successive sentenze della Suprema Corte, tra le quali si ricorda proprio quella pronunciata dalla III sezione civile il 5/5/2009, n. 10285, (sempre in tema di responsabilità civile, in una fattispecie relativa al disastro di Ustica), nella quale la Corte, dopo avere analizzato il fondamento e il significato dell’autonomia tra il processo civile e quello penale (che trova le sue radici nelle diverse struttura e finalità dei due processi) ne evidenzia i riflessi - tra
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l'altro – “sui diversi standards di certezza probatoria, esistenti tra i due processi”, e si richiama espressamente e letteralmente anche alle sentenze delle Sezioni Unite dell’11 gennaio 2008 e ai principi da queste ultime espressi con stretto riferimento al tema del nesso causale (e proprio al passo appena riportato e alla regola probatoria “del più probabile che non”), ampliandone però l’ambito di applicazione a tutto il processo civile, e specificamente al caso che si pone nel presente processo, in cui vi sia un problema di scelta tra “una pluralità di ipotesi tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto”: “esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorchè vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perchè in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all'una o all'altra ipotesi”; con la conseguenza che è stata riconosciuta affetta da vizio di motivazione la sentenza della Corte di Appello di Roma in merito alla causa del disastro aereo (e cioè se dovuto ad esplosione interna per bomba, a cedimento strutturale dell'aereo ovvero ad esplosione esterna dovuta a missile lanciato da altro aereo) nella parte in cui si era riportata acriticamente alle conclusioni dei giudici penali sull'inesistenza di certezza in merito alla causa del sinistro, “senza valutare autonomamente le prove raccolte in sede penale” e “senza adottare i diversi standards di certezza probatoria richiesti in materia civile”.
1.2. Sintesi delle perizie e alle consulenze tecniche di parte rilevanti per la ricostruzione della causa del disastro
Prima di esprimere le valutazioni di questo giudice in ordine all'individuazione della causa del disastro, appare opportuno esporre sinteticamente le risultanze delle principali indagini di natura tecnica (relazioni delle commissioni di inchiesta svolte fuori del procedimento penale e perizie tecniche d'ufficio e consulenze tecniche di parte svolte nell'ambito del procedimento penale) che attraverso un numero elevatissimo di documenti tecnici (più di cento relazioni) nel corso di un ventennio hanno progressivamente approfondito quasi tutte le questioni di natura tecnica implicate dal problema dell'individuazione della causa del
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sinistro.
Tale disanima appare quanto mai utile non soltanto perchè spiega le ragioni per le quali è stato ritenuto superfluo lo svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio nel presente processo, ma anche perchè rileva ai fini dell'individuazione di dati fondamentali per la valutazione della sollevata eccezione di prescrizione (dando atto come l'evoluzione della conoscenza, particolarmente rapida soltanto e soprattutto negli ultimi tempi dell'istruzione formale grazie all'acquisizione- in forza anche del contributo prestato dalla Nato a partire dal 1995- di importanti conoscenze radaristiche, ha determinato nel suo incessante sviluppo il continuo superamento dei risultati) e, inoltre, in considerazione della condivisione da parte di questo giudice delle osservazioni critiche mosse dall'Ufficio del Giudice Istruttore e dai consulenti tecnici di parte civile alle conclusioni della maggioranza dei periti del Collegio Misiti che individua nella bomba la causa del disastro.
Ci si limita in questa sede, per non appesantire inutilmente la motivazione, a riportare le conclusioni dei principali documenti, rinviando espressamente per ogni utile approfondimento al testo della sentenza- ordinanza del Giudice Istruttore Rosario Priore prodotta agli atti del presente giudizio (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III).
1.2.1. Le perizie svolte fino al 1994: in particolare la perizia svolta dal collegio Blasi e l’ipotesi del missile.
Tra le Perizie svolte dall'Autorità Giudiziaria di Palermo (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo I, pag. 1356 ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore), titolare dell'inchiesta fino alla trasmissione degli atti per competenza territoriale a Roma, si evidenziano le Indagini medico legali (autoptiche, di ispezione esterna, radiografiche ed otoscopiche) che, senza essere mai state contestate da alcuno, rilevano: a) la mancanza di segni di ustioni e di annegamento sui cadaveri e l'assenza di piccole schegge metalliche infisse superficialmente sui tegumenti; b) l'assenza di ossido di carbonio e di acido cianidrico (cioè di residui di combustione) nel sangue e nei polmoni; c) la presenza di lesioni traumatiche di tipo contusivo e di fratture multiple; tali indagini evidenziano quindi la mancanza di segni di esplosione sui cadaveri e consentono di concludere che l'intervento di una brusca decompressione abbia causato l'abolizione del sensorio e la perdita di conoscenza dei passeggeri i quali sono poi deceduti a causa delle lesioni contusive da precipitazione da grande altezza.
Nella Relazione della Commissione di inchiesta tecnico formale istituita dal Ministero 20
dei trasporti il 28.6.1980 e presieduta da Carlo Luzzatti, depositata 16.3.1982 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo II pag. 1372 ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) la causa dell'incidente viene individuata nella deflagrazione di un ordigno esplosivo: la Commissione non si ritiene in grado di affermare se l'ordigno sia stato collocato a bordo prima della partenza ovvero sia provenuto dall'esterno dell'aeromobile, in ragione della limitatezza dei dati a sua disposizione, non disponendo del relitto dell'aeromobile – che all'epoca non era ancora stato recuperato - e ritenendo necessarie anche ulteriori analisi di laboratorio per individuare la natura dell'ordigno esplosivo e il suo funzionamento. Vengono escluse le ipotesi del cedimento strutturale spontaneo e della collisione con altro aeromobile.
Nell'ambito di tale inchiesta vengono svolte le prime analisi dei dati radar risultanti dalle registrazioni relative ai radar civili Selenia e Marconi operativi presso il sito di Ciampino, effettuate dalla Selenia prima e dall'NTSB (National Transportation Safety Board: Ente per la Sicurezza dei Trasporti degli Stati Uniti d'America) poi.
Riguardo ai plot -17, -12 e 2b di solo primario rilevati dal radar in sostanziale concomitanza temporale e spaziale con l'incidente la Selenia formula le due ipotesi alternative: a) della presenza di un velivolo che si sposta in direzione ovest -est con velocità 500-600 nodi e che attraversa la traiettoria del velivolo I-TIGI dopo che è avvenuto l'incidente, a una distanza di non meno di tre miglia nautiche; b) dei falsi allarmi.
La NTSB invece giudica poco verosimile l'ipotesi dei falsi echi, in ragione dell'alta improbabilità di avere tre falsi segnali tra loro correlabili, e ritiene che i tre echi primari rilevati dal radar individuino un oggetto non identificato che viaggiava ad una velocità compresa tra 300 e 550 nodi parallelamente al DC9 nei primi due echi (-17 e -12) e che poi si dirigeva verso il DC9 nell'ultimo eco (2B), e che non aveva colliso con il DC9.
Nella Relazione della Direzione laboratori dell'A.M. - IV Divisione Esplosivi e Propellenti (Torri) del 5.10.1982 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo III della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) la causa dell'incidente viene individuata nella detonazione di una massa di esplosivo presente a bordo del velivolo, in ragione della rilevata presenza su alcuni reperti di tracce di T4, e dell'assenza di tracce TNT.
Alcuni anni dopo però la Perizia chimica Malorni Acampora del 3.2.1987 (disposta dal G.I. nel corso della perizia Blasi: parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo IV pag. 1399 e ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) rileva la presenza chiara e
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inequivocabile sia di T4 che di TNT (nel frammento dello schienale n. 2 rosso), miscela la cui presenza è tipica degli ordigni di guerra.
La Perizia tecnica svolta dal c.d. Collegio BLASI - I RELAZIONE del marzo 1989 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo V, pag. 1400 e ss. della sentenza ordinanza del G.I.) individua la causa dell'incidente nell'esplosione di un missile in prossimità della parte anteriore dell'aereo.
Si tratta della prima valutazione tecnica che dispone del relitto del velivolo, riportato in superficie a seguito delle campagne di recupero del maggio – luglio 1987 e dell'aprile - maggio 1988.
Tale conclusione si fonda, tra l'altro: a) sull'analisi dei dati radar, approfondita anche tramite una simulazione di volo svolta per verificare se un velivolo del tipo caccia F 104 manovrante fosse visibile da parte dei due radar di Ciampino e con quale frequenza di detezione, che porta alla conclusione per cui i plots -17, -12 e 2b rilevati dai radar Marconi e Selenia individuino un aeromobile (la cui sezione radar era paragonabile a quella di un caccia intercettore) la cui traiettoria in proiezione orizzontale era quasi normale a quella del DC9 I TIGI, che non è venuto in collisione del DC9, e che successivamente all'incidente si è allontanato; b) sull'analisi dei reperti, che rivela (tra l'altro) la presenza nei cuscini di elementi provenienti da rivestimento esterno, la presenza di T4 e TNT su un gancio recuperato nello schienale 2 rosso, l'assenza di tracce di incendio e di tracce visibili di residui di esplosione a bordo, la presenza sulla superficie esterna del portello vano portabagagli anteriore di fori con senso di penetrazione dall'esterno verso l'interno non addebitabili all'impatto dell'aereo in mare; c) sull'analisi dei cadaveri da cui si rileva la mancanza di ustioni, e la mancanza di tracce di CO e HCN nei polmoni e nel sangue; d) sulla considerazione del raggio limitato dell'esplosione desumibile dalla circostanza che la maggior parte delle schegge sono state ritrovate su una proporzione piccola dei cuscini e degli schienali recuperati, elemento questo che mal si concilia con un'esplosione nella cabina passeggeri; e) sull'esame del CVR (Cockpit Voice Recorder) dal quale viene rilevata l'ultima parola ( “gua” ) pronunciata dall'equipaggio, e in relazione al quale vengono effettuate prove acustiche che dimostrerebbero la presenza di un evento fonico indice di esplosione esterna (sul punto si rileva che poi la perizia fonica IBBA PAOLONI del 30.5.1991 ha escluso che questi impulsi, ricondotti all'esplosione esterna dalla I relazione BLASI, abbiano natura acustica, accertandone la natura elettrica: Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XIX, pag. 1655 e ss. della sentenza-ordinanza del G.I. ).
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Seguono a questo punto in ordine temporale la Relazione dello SMA PISANO del 5.5.1989 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VI), che evidenzia che i radar non hanno captato nulla di significativo e di anomalo e critica le conclusioni della relazione Blasi, e la Relazione della Presidenza del Consiglio PRATIS del 17.11.1989 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VII) che ripropone l'ipotesi della bomba affermando che non può essere scartata l'ipotesi che a provocare l'incidente sia stato un ordigno esplosivo collocato a bordo dell'aereo, oltre che per considerazioni di natura tecnica, anche perchè nel giorno e nell'ora dell'incidente i radar di Licola e Marsala non registrarono la presenza di altri aerei e non erano in corso esercitazioni aeree o navali né delle forze italiane né di quelle alleate.
Interviene quindi la Relazione degli ausiliari radaristi del collegio Blasi (GIACCARI, PARDINI E GALATI, dipendenti della Selenia s.p.a.) del 5.2.1990 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VIII pag. 1487) nella quale, in base a uno studio sul funzionamento dei radar Marconi e Selenia e dei loro estrattori, si esclude che dai dati radar possa desumersi la presenza di altro velivolo e si afferma che le due traiettorie ricavabili dai plots registrati al momento dell'incidente tanto dal radar Marconi quanto dal radar Selenia sono da ricondurre una alla parte principale del relitto e l'altra ai suoi frammenti.
In risposta ai quesiti aggiuntivi posti al Collegio Blasi dal Giudice Istruttore in data 18.09.1989 - volti a accertare il tipo di testata missilistica che aveva cagionato la strage e a chiarire le traiettorie degli aerei – viene depositata la II RELAZIONE BLASI del 26.5.1990 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo IX pag. 1510) che evidenzia lo spaccamento del collegio peritale, sopravvenuto al deposito della I Relazione.
Ed invero la maggioranza del collegio peritale composta dai periti IMBIMBO, LECCE e MIGLIACCIO, insiste nella tesi del missile, individuando la possibile testata responsabile dell'incidente in un missile aria-aria, a medio raggio a guida semiattiva o a guida passiva ma di tipo avanzato, verosimilmente del tipo “continuous road” (trattandosi di teste che hanno maggiori possibilità di non lasciare tracce di esplosione, in quanto creano un danno di tipo strutturale per effetto dell'elevata densità di energia trasferita impulsivamente sulla superficie del bersaglio), di un tipo non in dotazione all'A.M. italiana all'epoca dell'incidente; i periti BLASI e CERRA propongono invece l'ipotesi della bomba ed escludono che dai dati radar sia desumibile la presenza di un altro velivolo.
In tale relazione i periti dopo aver esaminato il lavoro svolto dalla Commissione Pratis e l'inchiesta SMA Pisano criticano l'ipotesi della bomba, proponendo una serie di specifici
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argomenti relativi all'esame dei reperti, ed effettuano un riesame dei dati radar alla luce dell'approfondimento delle conoscenze relative al funzionamento dei radar del sistema ATCAS e del sistema NADGE, all'esito del quale IMBIMBO LECCE e MIGLIACCIO– in contrasto con le conclusioni degli ausiliari Giaccari e altri- ribadiscono la loro conclusione per cui una delle due traiettorie individuabili sulla base dei plot rilevati al momento dell'incidente appartiene ad un altro velivolo, mentre BLASI e CERRA aderiscono alle conclusioni degli ausiliari. Il lavoro dei periti si avvale anche del contributo di ausiliari esperti in missili (ing. Spoletini) secondo cui l'ispezione diretta del relitto non consente di ricondurre senza ambiguità la causa del disastro all'effetto prodotto dall'esplosione di una testa da guerra di un missile aria – aria in quanto sulle parti recuperate dell'aereo non sono visibili tracce di perforazione riconducibili a una testa di guerra né è stata trovata traccia dei suoi frammenti; non si può tuttavia neppure escludere che la zona eventualmente colpita dalle schegge sia proprio quella mancante (zona compresa tra le ali e la cabina di pilotaggio) anche se si ritiene che le teste da guerra preframmentate lascino caratteristiche tracce su vaste zone del bersaglio; vengono presi in specifico esame anche i fori presenti nella porta del bagagliaio anteriore che non vengono ritenuti di utilità per una serie di ragioni, tra le quali la circostanza che presentano caratteristiche diverse da quelle provocate di norma da frammenti provenienti dall'esplosione di una testa di guerra e il fatto che avrebbero dovuto presentare tracce di materiale estraneo provenienti da frammenti del missile.
La Perizia balistica esplosivistica IBISCH e altri del 14.4.1994 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XXX pag. 1700 della sentenza-ordinanza) ritiene poco probabile tanto l'ipotesi del missile quanto l'ipotesi dell'esplosione di una bomba a bordo.
L'ipotesi del missile è ritenuta poco probabile per l'assenza nei relitti di fratture, deformazioni o perforazioni sicuramente attribuibili all'azione diretta di una carica esplosiva; in relazione a tale ipotesi si rileva che le perforazioni del vano portabagagli anteriore non sono compatibili con l'impatto sul medesimo delle schegge provenienti dalla testa di guerra di un missile in quanto la velocità di impatto di tali corpi sarebbe stata sicuramente più elevata; tali perforazioni vengono ritenute compatibili con l'impatto di componenti del missile estranei alla testa in guerra, ma il loro numero limitato e l'assenza di altre perforazioni nelle zone circostanti dell'aereo inducono a ritenere poco probabile l'ipotesi; infine sempre riguardo all'ipotesi del missile si evidenzia l'improbabilità che tracce di esplosivo siano veicolate all'interno dell'aero tramite schegge e tramite i gas di esplosione.
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In ordine all'ipotesi della bomba, pure ritenuta poco probabile per il mancato riscontro nell'aereo dei danni inequivoci e ben più estesi che avrebbe dovuto provocare, si rileva che l'unica collocazione possibile dell'ordigno è data dalla toilette, trattandosi dell'unica zona che presenta danneggiamenti in qualche modo attribuibili agli effetti di un'esplosione, ma si evidenzia come tale ipotesi non abbia trovato convincente riscontro nei risultati delle prove numeriche e delle prove pratiche di scoppio.
La Consulenza radaristica PENT VALDACCHINO del 21.5.1992 di parte civile (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XXIV pag. 1762 della sentenza-ordinanza) ritiene che sulla base dei rilevamenti dei radar di Fiumicino si può sostenere con buona probabilità la presenza di un altro aereo che ha volato con il transponder spento vicino al DC9 per alcune decine di minuti prima dell'incidente, a una distanza di meno di due km per la maggior parte del tempo e così non modificando sensibilmente i dati radar, allontanandosi in modo visibile dal DC9 per due volte: alle 18.40 circa quando il DC9 volava a Nord Est di Roma (tra le ore 18.39 e 18.41 si ha infatti presenza di rilevamenti primari paralleli alla traccia del DC9) e alcuni secondi prima dell'incidente (in corrispondenza dei plot -17 e -12 rilevati dai radar Marconi e Selenia).
Tale consulenza viene criticata dalla consulenza radaristica di parte imputata NERI GIUBBOLINI del 25.5.1993 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XL e XLI pag. 1810 ss.) nella quale, tra l'altro, si rileva che, anche supponendo che un aereo privo di transponder abbia volato per circa 20 minuti nell'ombra radar del DC9, rimarrebbe da spiegare come e quando tale aereo, senza essere osservato, sia entrato nell'ombra e come sia riuscito a uscirvi quando il DC9 è precipitato senza essere stato osservato dai radar civili e militari, e si ritiene che i plot -17 e – 12 siano falsi plot.
La Consulenza tecnica ALGOSTINO VALDACCHINO del 16.7.1993 di parte civile (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XLII pag. 1848) individua una serie di posizioni di esplosione della testata missilistica per le quali pochissime schegge o addirittura nessuna riescono a incontrare la fusoliera.
1.2.2. La Perizia Misiti: l’ipotesi della bomba e relativa valutazione critica
La PERIZIA MISITI depositata il 23 luglio 1994 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XLVIII) individua la causa dell'incidente nella detonazione di una carica esplosiva dentro la toilette, sulla base dell'analisi delle deformazioni e dei segni presentati nei reperti recuperati appartenenti a questa zona e delle conclusioni formulate in merito ai dati
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radaristici secondo le quali “i vari tracciati radar, identificati o meno non rendono ragione di uno scenario radar particolarmente complesso: non esiste evidenza radar di uno o più aerei che si immettono nella traccia del DC9 I TIGI al fine di averne copertura radar. E' possibile asserire che non esiste evidenza di un altro aereo nella fase terminale di volo” .
Tale perizia mise in evidenza un non completo accordo fra gli undici membri del collegio peritale sulle possibili cause dell'incidente stesso. Infatti, nove di essi ritennero che l'unica causa possibile dell'incidente fosse da considerarsi l'esplosione di un ordigno all'interno della toilette del velivolo, mentre due membri del collegio peritale, il prof. Ing. CarloCasarosa e il prof. Dott. Manfred Held non concordarono con questa conclusione e, a chiarimento del loro pensiero aggiunsero alla perizia tecnica una nota, conosciuta come “nota aggiuntiva”, nella quale pur riconoscendo che l'ipotesi esplosione interna potesse essere tecnicamente sostenibile, ritennero che essa non potesse essere considerata l'unica possibile a causa di non trascurabili elementi di dubbio che su di essa gravavano e formularono l'ulteriore ipotesi che l'incidente potesse essere stato causato da una “quasi collisione” con altro velivolo, evidenziando come l'elemento discriminante tra le due ipotesi non potesse essere che lo scenario al momento dell'incidente, cioè la presenza o meno di altri aerei (non esclusa ma neppure affermata sulla base delle indagini radaristiche effettuate nell'ambito della perizia tecnica) .
In ordine alle indagini radaristiche effettuate nell'ambito della perizia tecnica si rileva, anche sulla base delle risposte fornite sui quesiti a chiarimento della relazione posti dal Giudice Istruttore, che i periti concludono che lo scenario radar non determina con certezza l'assenza o la presenza di un altro aereo al momento dell'incidente; riguardo ai dati dei radar civili concludono che i plots che compaiono parallelamente al DC9 e che possono far pensare a voli paralleli siano falsi plots dovuti al blanking, ma contemporaneamente rilevano il valore bassissimo della probabilità di falso allarme pari a 10 elevato a meno 5; riguardo ai dati dei radar militari rilevano l'incongruenza tra la posizione delle tracce che emergono dalle conversazioni telefoniche e le posizioni che emergono dai dati disponibili del radar di Licola, e risolvono questo contrasto in favore dell'attendibilità delle posizioni risultanti dal plottaggio, considerando inattendibili le conversazioni telefoniche perchè gli interlocutori di Licola erano stressati (pag. 301 della sentenza ordinanza).
Le conclusioni della perizia MISITI hanno costituito oggetto di durissima critica da parte del Giudice Istruttore (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LI e LII pag. 1973 e ss. della sentenza ordinanza) che, riguardo alle analisi dei dati radar, rileva la bassissima
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probabilità (evidenziata dagli stessi periti) di interpretare come falsi plots quelli -17 e -12, mentre sull'analisi dei reperti dell’aereo osserva che la maggior parte degli elementi indicati a favore dell'ipotesi dell'esplosione interna sono o plurivalenti o in contrasto con tale ipotesi.
In particolare il Giudice Istruttore e i consulenti di parte civile (Osservazioni dei consulenti di parte civile Algostino e altri sulla relazione dei Periti d'Ufficio del Collegio Misiti – 23.11.1994: Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXVII, pag. 2231 e ss.), anche sulla base dei chiarimenti forniti dai collegi balistico-esplosivistico e metallografico-frattografico, hanno mosso le seguenti critiche alla perizia Misiti, che si ritiene opportuno elencare in quanto pienamente condivise da questo giudice:
− vi è contraddizione tra motivazione e conclusioni della perizia in quanto le conclusioni che individuano le cause dell'incidente nella detonazione di una carica esplosiva dentro la toilette posteriore sono formulate in maniera netta e decisa in contrasto con la nota aggiuntiva HELD CASAROSA e con lo sviluppo di tutta la perizia nella quale tutto è espresso in termini possibilistici;
− in particolare la conclusione per cui “non esiste evidenza radar di uno o più aerei che si immettono sulla traccia del DC9 I TIGI al fine di averne copertura radar” ha carattere di assertività ed è in contrasto con lo sviluppo della perizia nella quale tutto è espresso in termini di possibilità: possibili interpretazioni, possibile verificarsi di fenomeni e funzionamenti del radar, possibile verificarsi di errori;
− la stessa perizia ammette la possibilità di interpretare i plots -17 e -12 quali indici della presenza di un altro aereo, e che tale possibilità potrebbe assurgere ad alta probabilità se fosse presente in zona un'attività bellica o un'esercitazione militare; la conclusione che si tratti di falsi plots si fonda sulla maggiore probabilità che un altro aereo fosse assente rispetto alla probabilità che un altro aereo fosse presente, a sua volta fondata sull'assenza di uno scenario di guerra; in tale valutazione si trascura il dato che lo stesso collegio Misiti, proprio basandosi sull'interpretazione che tali plots appartenessero a una traccia che rappresentasse un caccia, aveva recuperato proprio il serbatoio supplementare di un caccia in un'area individuata dalla velocità e direzione di tale traccia (area nella quale, subito dopo il rinvenimento del serbatoio, il Collegio Misiti poneva termine immediatamente a ogni ricerca);
− la parte radaristica della perizia è affetta da un “inquinamento peritale” (pagg. 2154 ss. 27
Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXII): dopo il deposito della perizia l'Ufficio del Giudice Istruttore infatti accertò impropri rapporti intercorsi, durante lo svolgimento della perizia stessa, tra ambienti dell'A.M. ambienti di imputati e consulenti di parte dell'A.M, da un lato, e periti d'ufficio dall'altro, che determinarono la revoca da parte del G.I. dei periti Picardi e Castellani;
− su nessuno dei frammenti esaminati vengono rilevati segni macroscopici di esplosioni quali pitting, fusioni, segnature di schegge o altro; mancano cioè i segni tipici dell'esplosione (che ne avrebbero fornito una prova pressochè certa) che la letteratura del settore e le ispezioni effettuate dal collegio dei periti di ufficio presso i rottami degli aerei caduti a Lockerbie e Tenerè, nonché gli esperimenti condotti nel corso dell'indagine, indicano come “inequivocabili e sempre presenti nel caso di esplosione” (gas washing, pitting, petalature particolari forme di rottura ai bordi di frammenti, fratture o impronte di schegge secondarie, cioè non appartenenti al contenitore dell'esplosivo); tale mancato rinvenimento, rilevato dallo stesso collegio dei periti d'ufficio, risulta dalle indagini metallografiche e frattografiche (svolte dal Collegio Firrao-Reale-Roberti- Relazione del 29.7.1994) e dalle indagini balistico esplosivistiche (svolte da Brandimarte-Ibish – Kolla Relazione del 14.4.1993 );
−vi è contrasto tra le conclusioni della perizia tecnica e le conclusioni dei collegi metallografico-frattografico e balistico esplosivistico;
− non viene individuata nessuna possibile posizione dell'ordigno nella toilette in grado di conciliarsi con tutti i dati disponibili;
−il collegio metallografico-frattografico infatti esclude su numerosi reperti posizionati nella toilette la presenza di segni di esposizione ad alta pressione e ad alta temperatura, deformazioni a livello microcristallino o fenomeni connessi con una ricristallizzazione; e anche con specifico riferimento ai reperti AZ497 e AZ534 (ai quali la perizia Misiti attribuisce un ruolo determinante per la formulazione dell'ipotesi dell'esplosione, nel senso che quest'ultima è l'unica causa che può spiegare i segni rilevati sui reperti, senza peraltro richiederne analisi frattografiche o metallografiche da svolgere a cura del collegio metallografico - frattografico o a cura di altro laboratorio) il collegio metallografico frattografico (cfr. Quesiti a chiarimento Firrao e altri – 18.3.1995: pagg. 21136 ss. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LVIII) conclude nel senso dell'assenza di segni di deformazione a livello microcristallino o altri fenomeni riconducibili all'effetto di un'esposizione ad onde di elevata sovrappressione o di elevata temperatura connesse ad un
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evento esplosivo a breve distanza da essi;
− secondo il collegio balistico esplosivistico “si può concludere che l'esplosione di un ordigno all'interno dell'aeromobile può essere considerato allo stato attuale come un evento con scarsi riscontri obiettivi e quindi estremamente improbabile”, rilevando altresì (cfr. Risposte Brandimarte e altri del 21.7.1994, del 4.08.1994 e 18.2.1995: pagg. 2142 ss. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitoli LIX, LX e LXI) che è impossibile che un'esplosione a bordo dell'aereo, nella toilette, possa produrre effetti così vari e contrastanti tra loro come quelli riscontrati sul DC9, evidenziando come le prove di Ghedi (prove di esplosione) hanno prodotto effetti ben diversi da quelli riscontrati sul DC9 e che “la spiegazione dell'impossibilità di riprodurre con un'unica geometria di scoppio tutte le tipologie di danneggiamento osservate sul relitto del DC9 (zona toilette) non deve essere ricercata nell'errato dimensionamento e/o posizionamento della carica ma, più ovviamente, nel fatto che è impossibile che un'esplosione a bordo dell'aereo, nella toilette, possa produrre effetti così vari e contrastanti tra loro”;
− sulla base di tali considerazioni del collegio balistico esplosivistico risulta pienamente fondata la critica dei consulenti tecnici di parte civile secondo cui “l'impossibilità di trovare una posizione univoca della bomba partendo dall'insieme delle deformazioni presenti sui pezzi della toilette dimostra come gli elementi, tra l'altro neanche in numero rilevante, sui quali si fonda l'asserzione di una esplosione nella toilette, siano contraddittori tra loro. In altre parole le deformazioni presenti sul DC9 non possono essere state prodotte da un'unica onda di detonazione proveniente dal centro dell'esplosione, come si avrebbe nel caso di una bomba esplosa in un qualche punto della toilette” in quanto per ciascuna posizione ipotizzata per la collocazione della bomba si ha la presenza di pezzi che, pur contigui all'esplosione non presentano di essa alcun segno;
− non è stato possibile identificare né il tipo di esplosivo né il metodo di detonazione della bomba;
− il tipo di esplosivo rinvenuto, cioè la miscela di TNT e T4, è tipicamente presente nelle testate di guerra e non è mai stato usato negli attentati terroristici in Italia, per cui non è un elemento che depone a favore dell'ipotesi della bomba collocata all'interno del velivolo;
Nelle Osservazioni dei consulenti di parte civile Algostino e altri sulla relazione dei Periti d'Ufficio (del Collegio Misiti) – 23.11.1994 (pagg. 2231 e ss. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXVII), oltre a essere svolte molte delle critiche appena passate in
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rassegna, vengono effettuate censure in ordine all'esame dei dati radar svolto dal collegio Misiti, caratterizzate da un elevato grado di tecnicismo, puntuali e motivate, alla cui lettura in questa sede ci si limita a rinviare. Nelle conclusioni i c.t.p. denunciano la violazione da parte della perizia dei due criteri che sono alla base del metodo scientifico e cioè:
− l'analisi e la considerazione di tutti gli elementi acquisiti;
− l'applicazione di un unico criterio nella valutazione del ruolo di questi elementi rispetto
alle varie ipotesi.
La Consulenza radaristica di parte civile Algostino e altri – 31.10.1995 (pag. 2349 ss. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXXVIII) riprende e sviluppa le critiche alla parte della perizia Misiti relativa all'analisi dei dati radar. Conclude che lo scenario desumibile dall'osservazione dei radar civili situati a Fiumicino può essere così riassunto (con grandissima probabilità): “Nell'ultima parte del volo il DC9 è affiancato da due velivoli che percorrono una rotta circa parallela a quella del DC9 a una distanza di circa 30NM a ovest del DC9; poco prima dell'incidente i due velivoli compiono una virata verso est e si separano percorrendo due traiettorie distinte. Le due traiettorie convergono su un'unica traiettoria in direzione est che i due aerei percorrono distanziati di circa 30 s. scomparendo al radar in direzione est.
Il DC9 è seguito nell'ultima parte del volo da un velivolo relativamente piccolo che percorre approssimativamente la stessa rotta del DC9 mantenendosi nella sua ombra radar. Poco prima del momento dell'incidente il velivolo in questione compie una virata verso sinistra e quindi scompare al radar in direzione approssimativamente verso est”.
1.2.3. Le valutazioni tecniche a partire dalla perizia Dalle Mese: l’ipotesi di uno scenario aereo complesso lungo la rotta del DC9 e della presenza di un velivolo nascosto nella scia del DC9.
Si arriva quindi alla Perizia radaristica DALLE MESE-TIBERIO-DONALI del 16 giugno 1997 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXXXVII pagg. 2445 ss. della sentenza-ordinanza).
L'esigenza del conferimento dell'incarico, avvenuto nell'ottobre del 1995 nasce da quanto accertato da G.I. a seguito del deposito della perizia Misiti, in particolare sulle vicende della parte radaristica, di cui al capitolo sull'inquinamento peritale (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo LXII).
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I risultati di questa perizia possono ritenersi più attendibili di quelli del collegio Misiti, non soltanto in ragione del c.d. inquinamento che aveva colpito la parte radaristica di quella perizia, ma anche perchè i periti Dalle Mese Tiberio e Donali hanno potuto disporre di dati più completi, a seguito delle informazioni acquisite dall'Ufficio del Giudice Istruttore presso la Nato a partire dal 1995, necessarie per la corretta interpretazione dei dati radar disponibili (sul punto cfr. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitoli LXIII LXIV e LXV) e, in particolare, dei fondamentali elementi radaristici emersi presso il “Nato Programming Center” di Bruxelles (d'ora in poi NPC), rivelatisi indispensabili per la corretta lettura ed interpretazione dei dati contenuti nei nastri del sito radar di Marsala e delle THR dei siti radar di Poggio Ballone e Potenza Picena.
Viene chiesto al collegio peritale di determinare lo scenario aereo durante l'intera traiettoria del DC9 Itavia sulla base dei dati radar disponibili e cioè:
−nastri di registrazione dei radar civili Marconi e Selenia, installati all'epoca presso l'aeroporto di Fiumicino;
− nastri di registrazione nn. 99 e 100 del Centro Radar dell'Aeronautica Militare di Marsala (nastro n. 99 registra fino alle 19.04 e poi dalle 19.48; il nastro 100 registra dalle 19.12. alle 19.22);
− nastro magnetico (raid tape) contenente i dati di input per l'esercitazione Synadex svolta il 27.6.1980;
−THR del 27.6.1980 del Centro Radar dell'Aeronautica Militare di Poggio Ballone acquisito in originale il 30.6.1990 presso il I ROC/SOC (di cui sono state sequestrate anche altre due copie presso l'ITAV e presso la I Regione Aerea);
−THR del 27.6.1980 del Centro Radar dell'Aeronautica Militare di Poggio Ballone sequestrato il 27.3.1996 presso il G.L.U. dello SMA, che presenta alcune differenze rispetto al precedente ;
− THR del 27.6.1980 del Centro Radar dell'Aeronautica Militare di Potenza Picena; −Plottaggio del giorno 27.6.1980 effettuato dall'Ufficio operazioni del centro radar di
Marsala e trasmesso per essere consegnato all'Autorità giudiziaria l'11.7.1980.
In ordine all'attendibilità dei dati radar disponibili forniti dall'A.M. il collegio peritale rileva che:
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− il tabulato di Poggio Ballone consegnato all'AG manca di dati che sicuramente nel nastro originale di registrazione erano presenti;
− il nastro raid tape fornito all'AG come il nastro da cui è stata tratta l'esercitazione Synadex del 27.6.1980 è un nastro di esercitazione ma non quello usato la sera dell'incidente;
−il plottaggio delle tracce avvistate da Licola la sera del 27.6.1980 è palesemente in contrasto con il DA1 come emerge da quanto comunicato a viva voce relativamente alle tracce AG 266 e LK 477.
All'esito di un lungo esame caratterizzato da un elevatissimo livello di tecnicismo, la perizia Dalle Mese conclude che i dati registrati rendono plausibile l'ipotesi di un velivolo nascosto nella scia del DC9 (individuando, nella rotta del DC9, 12 eventi significativi dal punto di vista radaristico - indicati a pag. 2686 della sentenza ordinanza del G.I. - che hanno naturale e logica spiegazione con la presenza di un velivolo nascosto), inseritosi nell'area tra Bologna e Siena, zona che presenta uno scenario aereo molto più complesso di quanto non sia evidenziato nella perizia Misiti (in particolare dai radar della D.A. emerge la presenza di una traccia non correlabile con le altre presenti nello scenario: la LG461 che cessa in prossimità della traiettoria del DC9 Itavia); inoltre sono state rilevate alcune traiettorie di soli primari emergenti dalle registrazioni del radar di Fiumicino, che disegnano uno scenario intorno al volo del DC9 molto più complesso di quanto non emergesse dalla perizia Misiti, individuando la presenza di velivoli militari (di cui non si ha riscontro nei tabulati della D.A.) sia lungo la rotta del DC9 ed est di Roma sia all'altezza di Ponza (PR1, PR2, PR3, PR6 PR7 e PR8: presenza di velivoli militari che si muovono paralleli alla rotta del DC9 ).
A seguito del deposito della perizia si aprono forti osservazioni critiche da parte dei consulenti tecnici di parte e compiute ed esaurienti risposte dei periti d'ufficio: a) sulle irregolarità lungo la rotta del DC9 evidenziate in perizia (dalle quali è stata desunta la presenza di un altro aereo nascosto nella scia del DC9), e sulle possibili spiegazioni alternative di esse (riconducibili per Giubbolini a malfunzionamento del radar Marconi, a percorsi multipli dovuti all'orografia del terreno, a problemi di fruit e garbling); b) sulle tracce individuate in perizia come aerei che volano nelle vicinanze del DC9, ricondotte da Giubbolini ad echi spuri dovuti a risposte sui lobi laterali; c) sulla possibile manovra di inserimento nella scia del DC9 della traccia LG461 (limitandosi al richiamo di quelli che appaiono i contributi più importanti cfr. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III: Consulenza radaristica Giubbolini 13.12.1997: capitolo XC; Consulenza tecnica Di Marco
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16.12.1997: capitolo XCI ; Consulenza tecnica Pent Valdacchino 1.08.1998: capitoli XCIX e C; Risposte Dalle Mese e altri ai quesiti aggiuntivi – 6.12.1997: capitolo XCIII; Perizia radaristica note aggiuntive Dalle Mese e altri del 22.12.1997: capitolo XCIV; Note conclusive Dalle Mese – Donali Tiberio 8.4.1999: capitolo CIV).
A seguito del deposito della perizia radaristica Dalle Mese, inoltre, i periti Casarosa e Held (che avevano fatto parte del collegio Blasi ed erano stati autori della citata nota aggiuntiva) ritengono che l'ipotesi della quasi collisione risulti rafforzata e tale da potersi ritenere la più probabile (e segnatamente più probabile dell'ipotesi dell'esplosione interna), potendosi individuare il velivolo che ha provocato la quasi collisione in quello che volava di conserva al DC9, e potendosi ipotizzare che la quasi collisione sia stata determinata da tale velivolo nel momento del sorpasso del DC9 e durante la virata verso la costa nel tentativo di sfuggire all'operazione di intercettazione e/o riconoscimento posto in atto dai due velivoli che nella parte finale del volo del DC9 volano su una traiettoria parallela ad esso (Osservazioni Casarosa – 30.12.1998; Note conclusive Casarosa – Held - 8.4.1999; Note Casarosa Held del 7 luglio 1999: Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III capitoli CI, CIII, CVI).
I periti Casarosa e Held evidenziano come tale schema non possa essere convalidato da rilevamenti radar in quanto l'unico sito in grado di effettuarli era quello di Licola operante all'epoca in fonetico manuale la cui documentazione non è più disponibile essendo stata distrutta in epoca successiva all'incidente; e rilevano inoltre come tale schema, in base al quale la quasi collisione sarebbe stato determinata dal velivolo che viaggiava di conserva al DC9, fa venir meno i dubbi sui tempi di esposizione dell'ala del DC9 ai fenomeni aerodinamici generati dal velivolo interferente, sollevati al tempo del deposito della perizia Misiti, poiché, provenendo il velivolo interferente da poppa del DC9 e con velocità sostanzialmente non diversa da quella del DC9, si avrebbe un tempo di esposizione tale da poter provocare la rottura della semiala sinistra e i danni strutturali che hanno determinato la caduta del velivolo.
Dal canto loro i consulenti di parte civile, dopo il deposito della perizia Dalle Mese, insistono nel sostenere che causa dell'incidente è stata l'esplosione di un missile lanciato da uno degli aerei che avevano accompagnato il DC9 durante il suo volo da Bologna, e deducono che questo sia l'unico scenario in grado di spiegare la globalità dei dati acquisiti secondo la metodologia dell'albero delle probabilità, utilizzabile quando tra più ipotesi possibili nessuna è di per sé dimostrata, che costituisce la fase conclusiva di un processo di
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tipo probabilistico basato sulla capacità di accettare o rifiutare le singole ipotesi (Ricostruzione dei fatti ALGOSTINO – PENT – VALDACCHINO – 24.3.1999 : capitolo CII). I consulenti tecnici di parte civile in particolare applicando la metodologia dell'albero delle probabilità, evidenziano la valenza fortemente discriminante che, rispetto ai tre possibili scenari che descrivono le cause dell'incidente, assumono i dati tecnici relativi alla presenza di velivoli contigui al DC9, presenza che porta a escludere l'ipotesi della bomba; rilevano inoltre la valenza discriminante dei dati tecnici relativi alla presenza di segni di esplosione (tracce di TNT e T4 e vestito della bambola con segni di bruciature), che permettono di escludere l'ipotesi della quasi collisione e rendono più probabile l'ipotesi del missile rispetto a quella della bomba, non essendo tali segni collocati in una parte precisa del relitto, e tanto meno nella toilette come sarebbe dovuto accadere in caso di esplosione di una bomba, (poichè è pacifico che l'esplosione di una bomba possa essersi verificata soltanto nella toilette); ritengono quindi che l'esplosione esterna di un missile sia l'unico scenario possibile in base alla metodologia applicata, in quanto è l'unico che può spiegare contemporaneamente i dati relativi alla presenza di altri aerei e alla presenza dei segni di esplosione come in concreto rinvenuti, oltre ad essere compatibile con gli altri dati tecnici disponibili, e cioè con le modalità di collasso del velivolo, secondo la sequenza temporale accertata dal collegio Misiti e confermata dalle indagini frattografiche e dalle risultanze del CPV (distacco, nell'ordine: del motore destro, seguito quasi contemporaneamente dal motore sinistro, dalla parte finale della fusoliera e dalla parte estrema dell'ala sinistra) nonché con i segni e le deformazioni presenti sui reperti del relitto.
1.3. Valutazione della più probabile causa del disastro all'esito delle perizie e consulenze tecniche di parte
1.3.1. Valutazione dei dati tecnici.
Le possibili cause del disastro, all'esito dell'esame delle numerosissime perizie e consulenze tecniche svoltesi sull'argomento, sono quindi tre e cioè:
− l'esplosione di una bomba collocata a bordo dell'aereo, nella toilette posteriore;
− l'esplosione di un missile lanciato da un aereo militare nell'ultimo tratto di volo del DC9
Itavia;
− la quasi collisione verificatasi tra un velivolo militare e il velivolo civile nell'ultimo tratto di
volo di quest'ultimo.
Ed invero l'ipotesi del cedimento strutturale del velivolo, pure formulata nell'immediatezza della sciagura, è stata sempre scartata dalle analisi di natura tecnica in ragione della rapidità
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dell'evento che non consentì l'attivazione del sistema di erogazione dell'ossigeno. Tale ipotesi può pacificamente ritenersi esclusa e pertanto in ordine alla stessa ci si limita a rinviare alle considerazioni svolte nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore (pag. 3053 ss. della sentenza-ordinanza).
Con riferimento alle altre tre possibili cause del disastro occorre in primo luogo rilevare che sulla base delle sole perizie tecniche d'ufficio e consulenze tecniche di parte non può ritenersi raggiunta la prova certa del verificarsi di alcuna di esse, intendendosi con prova certa l'emergenza di elementi di natura tecnica tali da consentire senza margini di dubbio l'affermazione della sussistenza di una determinata causa del disastro e la contemporanea esclusione della sussistenza delle altre.
In particolare il recupero del relitto del DC9 non ha consentito di rilevare sui reperti:
− né segni tipici dell'esplosione di un ordigno collocato all'interno del velivolo (che ne avrebbero fornito una prova pressochè certa) che la letteratura del settore e le ispezioni effettuate dal collegio dei periti di ufficio (Misiti e altri) presso i rottami degli aerei caduti a Lockerbie e Tenerè, nonché gli esperimenti condotti nel corso dell'indagine, indicano come “inequivocabili e sempre presenti nel caso di esplosione” (gas washing, pitting, petalature particolari forme di rottura ai bordi di frammenti, fratture o impronte di schegge secondarie, cioè non appartenenti al contenitore dell'esplosivo); tale mancato rinvenimento, rilevato dallo stesso collegio dei periti d'ufficio, risulta dalle indagini metallografiche e frattografiche (svolte dal Collegio Firrao-Reale-Roberti- Relazione del 29.7.1994) e dalle indagini balistico esplosivistiche (svolte da Brandimarte-Ibish – Kolla Relazione del 14.4.1993 );
− né danni da impatto di schegge prodotte dall'esplosione di testata missilistica o da impatto con il missile.
Il Collegio Misiti – sostenitore dell'ipotesi della bomba- ha giustificato la compatibilità dell'individuazione della causa del disastro nell'esplosione di una bomba con l'assenza di segni primari e secondari dell'esplosione ricorrendo a tre argomenti:
− a) la possibile lontananza dei pezzi dal centro di esplosione; giustificazione questa che, secondo quanto osservato dai consulenti di parte civile, appare insufficiente per una bomba esplosa in una toilette che ha dimensioni di pochi metri quadri;
− b) il numero estremamente ridotto di frammenti; giustificazione questa che, secondo quanto osservato dai consulenti di parte civile, non è verificabile in quanto, non essendo comunque possibile concepire un recupero integrale di tutti i frammenti, esisterà sempre un pezzo sul quale
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si può ipotizzare la presenza dei segni;
− c) l'effetto di schermatura prodotto da altri pezzi; giustificazione questa che, secondo quanto osservato dai consulenti di parte civile, non spiega perchè i segni di esplosione non si siano rinvenuti sui pezzi schermanti.
Dal canto loro i consulenti tecnici di parte civile – sostenitori dell'ipotesi del missile- giustificano l'assenza di danni da impatto di schegge prodotte dall'esplosione di testata missilistica o da impatto con il missile sostenendo che il disastro è stato causato dall'esplosione di una testata missilistica nelle vicinanze del DC9 per effetto dell'azione di natura aerodinamica attribuibile all'esplosione della testata (e non dell'azione delle sue schegge), cioè per effetto della sola onda di detonazione che ha applicato sul motore destro una pressione tale da rompere i vincoli che lo collegavano alla fusoliera; e dimostrano l'esistenza di non poche posizioni di esplosione della testata per le quali pochissime schegge o addirittura nessuna riescono ad incontrare la fusoliera; rilevano inoltre che ci sono parti del fianco destro del velivolo che non sono state recuperate sulle quali potrebbero trovarsi i danni in questione, anche se al riguardo deve estendersi la critica, svolta a proposito dell'ipotesi della bomba, che trattasi di giustificazione del mancato rinvenimento di segni inequivocabili non verificabile in quanto, non essendo comunque possibile concepire un recupero integrale di tutti i frammenti, esisterà sempre un pezzo sul quale si può ipotizzare la presenza dei segni.
Le giustificazioni offerte dai periti e dai consulenti tecnici di parte circa la compatibilità dell'ipotesi (esplosione interna o esterna) da loro sostenuta con la mancanza di prove tecniche certe e dirette dell'ipotesi salvano in tal modo la possibilità del verificarsi delle ipotesi stesse e inducono a ricercare ulteriori elementi di conferma o di esclusione delle ipotesi in questione, anche al di fuori dei dati tecnici disponibili, e sulla base di considerazioni sia di natura tecnica che di natura logica.
Per quanto concerne gli elementi di conferma o di esclusione desumibili dai dati tecnici disponibili appare utile a questo giudice rifarsi al raggruppamento dell'enorme mole dei dati tecnici disponibili proposto dai consulenti tecnici di parte civile Algostino – Pent- Valdacchino nella relazione del 24.3.1999 nella quale è stata proposta una ricostruzione dei fatti basata sulla metodologia del c.d. Albero delle probabilità.
L'insieme dei dati tecnici disponibili può essere suddiviso in quattro gruppi:
1) dati tecnici relativi alla presenza di altri velivoli contigui al DC9 (rilevamenti dei radar civili
e della difesa aerea);
2) dati tecnici relativi alla presenza di segni di esplosione (tracce di TNT e T4 e segni di
bruciatura sul vestito della bambola) ;
3) dati tecnici desumibili dai segni presenti sui reperti del relitto dell'aereo e sui cadaveri;
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4) modalità di collasso della struttura dell'aereo.
Il grado di affidabilità dei dati tecnici può risultare molto diverso, e ciò sia in ragione della natura intrinseca dei dati sia per le modalità con cui sono stati acquisiti.
Deve rilevarsi in primo luogo la valenza fortemente discriminante dei dati tecnici relativi alla presenza di altri aerei, rispetto alle tre possibili cause dell'incidente, in quanto:
− l'elemento della presenza di altri aerei deve evidentemente necessariamente sussistere
perchè risultino ammissibili le ipotesi di esplosione esterna per causa missile e di quasi
collisione;
− l'elemento della presenza di altri aerei, ad avviso di questo giudice, consente anche di
escludere l'ipotesi della bomba, almeno nel senso di farla ritenere meno probabile di quella della esplosione esterna e della quasi collisione, e quindi in termini sufficienti – secondo gli standards probatori che vigono nel processo civile- a consentire la configurabilità di un apporto causale della condotta dei Ministeri convenuti nell'evento e l'affermazione della loro responsabilità civile per l'accaduto.
Ed invero, nonostante la contraria opinione espressa al riguardo dal Collegio Misiti (esclusi i suoi componenti Held e Casarosa), la presenza di aerei militari nella fase terminale del volo del DC9 e nelle sue immediate vicinanze permette di escludere l'ipotesi della bomba perchè una presenza puramente fortuita in concomitanza con l'esplosione di una bomba può essere considerata un evento altamente improbabile e comunque non darebbe conto della mancata segnalazione del fenomeno da parte dei piloti che non possono non averlo notato.
Più in particolare l'efficacia discriminante dell'elemento presenza di altri aerei deriva dal modo in cui viene configurata tale presenza in base alla perizia radaristica Dalle Mese - che ritiene probabile l'inserimento di un velivolo nella scia del DC9 al fine di nascondersi al rilevamento dei radar e il compimento di un'operazione di intercettazione di tale velivolo da parte di due caccia nella fase finale del volo del DC9: in un tale contesto, definibile di guerra o di polizia internazionale, ascrivere la caduta del DC9 all'esplosione di una bomba collocata all’interno del DC9 sarebbe più che improbabile assurdo.
L'elemento della presenza di altri aerei, per quanto sinora esposto in ordine agli esiti delle perizie e consulenze tecniche, può ritenersi raggiunto con ragionevole certezza sulla base della perizia Dalle Mese e ciò in considerazione:
− della logicità e linearità di quella perizia, e della compiuta risposta fornita dai periti a tutte le
osservazioni critiche mosse al loro lavoro dai consulenti tecnici di parte imputata;
− della maggiore completezza dei dati a disposizione del collegio Dalle Mese rispetto a quelli a disposizione del collegio Misiti (che peraltro non escludeva che dai dati radar fosse
desumibile la presenza di altri aerei, limitandosi a rilevare la mancanza di evidenze in tal 37
− −
−
senso), in ragione della sopravvenuta collaborazione della Nato che ha fornito elementi indispensabili per l'interpretazione dei dati radar;
della considerazione da parte della perizia Dalle Mese dello scenario aereo presente nelle vicinanze del DC9 durante l'intero arco del suo volo e non soltanto nella sua fase terminale; della ben diversa affidabilità dei componenti di quel collegio radaristico rispetto a quella mostrata dai periti radaristi del collegio Misiti ed evidenziata dal G.I. nella parte della sentenza ordinanza dedicata agli inquinamenti peritali;
infine - per quanto si va ad esporre - del riscontro esterno alle emergenze dei dati radar come ricostruite dal collegio Dalle Mese fornito da elementi di natura non tecnica (testimonianze relative al rilevamento da parte degli operatori di altri velivoli, conversazioni TBT e tra siti durante il volo del DC9 e anche dopo l'incidente, e prove di natura indiziaria) .
D'altra parte tanto l'ipotesi del missile quanto quella della quasi collisione (che rimangono in gioco dopo la discriminazione operata dai dati tecnici relativi alla presenza di altri aerei) risultano compatibili con i dati tecnici relativi alle modalità di collasso della struttura dell'aereo (sul punto per quanto riguarda la quasi collisione si vedano i chiarimenti forniti dai periti Casarosa e Held nelle note del 7.7.1999, rispetto alle specifiche critiche mosse dai consulenti di parte civile), le quali peraltro risultano coerenti con tutte e tre le ipotesi in discussione.
Efficacia discriminante, ad avviso di questo giudice, non può attribuirsi ai dati tecnici relativi ai segni di esplosione, costituiti dal rinvenimento di tracce di miscela di TNT e T4 su alcuni reperti e di segni di bruciatura sul vestito della bambola rinvenuta nella cabina di pilotaggio, in considerazione delle forti critiche svolte dai periti Casarosa ed Held in ordine alla valenza di tali elementi, in ragione della probabilità che la loro presenza sui reperti sia da ricondurre a inquinamenti ambientali dei reperti avvenuti al momento del loro recupero (sul punto si vedano anche i chiarimenti forniti dai periti Casarosa e Held nelle note del 7.7.1999, anche rispetto al meccanismo di trasporto dell'esplosivo incombusto sui reperti) ed in considerazione del giudizio di improbabilità espresso dalla perizia balistica esplosivistica Ibisch e altri del 14.4.1994 che tracce di esplosivo siano state veicolate all'interno dell'aereo tramite schegge e tramite gas di esplosione.
Invece, efficacia discriminante delle ipotesi in gioco può essere attribuita anche ai dati tecnici relativi ai segni riscontrati sul relitto e sui cadaveri nonostante che gli stessi non presentino segni inequivocabili di esplosione né interna né esterna e sembrino quindi astrattamente compatibili con tutte le ipotesi in gioco (in quanto le perizie medico legali hanno evidenziato la mancanza sui cadaveri di tracce di esplosione e di incendio, di ustioni e la mancanza di tracce di CO e HCN nei polmoni e nel sangue, nonché la presenza sui cadaveri di poche lesioni esterne e
le perizie metallografiche - frattografiche ed esplosivistico balistiche svolte dai collegi ausiliari 38
di quello Misiti hanno escluso la presenza di segni obiettivi di esplosione interna).
Ed invero da un lato la mancanza di segni inequivocabili di esplosione interna sui reperti del relitto e sui cadaveri rende l'ipotesi della bomba meno probabile rispetto alle altre due ipotesi in gioco poiché si tratta di mancanza di elementi che sono normalmente presenti nei casi di esplosione interna; inoltre i segni riscontrati sui reperti del relitto hanno una ulteriore valenza discriminante se si tiene in considerazione il complesso degli elementi e la loro contraddittorietà evidenziata dal collegio balistico esplosivistico costituito in seno alla Commissione Misiti, nel senso che, non essendo individuabile una misura della carica esplosiva e una collocazione dell'ordigno che spieghi perchè certi pezzi della toilette abbiano subito determinate deformazioni e perchè altri (come la tavolozza del water) risultino invece intatti, l'ipotesi della bomba deve ritenersi improbabile.
Una valenza discriminante può pertanto attribuirsi anche ai segni riscontrati sul relitto, nel senso che il mancato riscontro di segni evidenti di esplosione interna e i segni riportati dai reperti considerati nel loro complesso, rendono meno probabile l'ipotesi della bomba rispetto alle altre due ipotesi in gioco, così confermando le conclusioni che si traggono dai dati tecnici relativi alla presenza di altri aerei, cioè la tesi del coinvolgimento di altri velivoli nell'incidente occorso al DC9 Itavia.
D'altra parte analoga valenza discriminante dovrebbe essere attribuita alla mancanza di segni inequivocabili di esplosione esterna sui reperti del relitto (come peraltro fatto dall'Ing. Spoletini nell'ambito della perizia Blasi) nel senso che tale mancanza:
− isolatamente considerata, dovrebbe far ritenere l'ipotesi del missile meno probabile rispetto a quella della bomba e rispetto a quella della quasi collisione;
− mentre, considerata unitamente alla mancanza di segni inequivocabili di esplosione interna e alla contraddittorietà dei segni riportati dal relitto nel loro complesso rispetto all'ipotesi della bomba, dovrebbe far ritenere l'ipotesi della quasi collisione come la più probabile tra le tre. Tuttavia deve rilevarsi che i consulenti tecnici di parte civile hanno dimostrato come i danni riportati dal velivolo possano essere ricondotti all'effetto della sola onda di detonazione del missile, senza che alcuna scheggia colpisca l'aereo, e che comunque nell'ambito dei segni riscontrati sul relitto si evidenziano a favore dell'ipotesi del missile elementi forse non sufficientemente approfonditi dalla perizia Misiti (cfr. pag. 3142 della sentenza ordinanza del G.I.) e cioè:
− la presenza di due (dei quattro) fori con petalature verso l'interno riscontrati sul portellone
del bagagliaio anteriore che secondo il DRA sono stati prodotti con una velocità di impatto superiore a quella di frammenti all'impatto con la superficie del mare, con la conseguenza che (anche se l'ipotesi invero non risulta ulteriormente approfondita dalle perizie e
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consulenze tecniche in atti) i due fori potrebbero forse ricondursi all'impatto con frammenti
di struttura del missile (sia pure non appartenente alla parte della testata);
− la presenza di schegge provenienti dalla “pelle” del velivolo;
− il rinvenimento in zona A (ove è stato rinvenuto il tronco di coda) di reperti del rivestimento
esterno della fusoliera anteriore anziché in zona C ove sono stati rinvenuti tutti gli altri
frammenti circostanti della fusoliera.
Quanto appena rilevato, seppure non ha la forza necessaria per imporre l'ipotesi del missile quale ipotesi più probabile, bilancia però nel giudizio di comparazione tra la probabilità dell'ipotesi della quasi collisione e la probabilità dell'ipotesi del missile, il dato della mancanza di segni certi dell'esplosione esterna che di per sé farebbe propendere tale giudizio in favore della tesi della quasi collisione; consente inoltre di escludere che la mancanza di segni inequivocabili di esplosione esterna sui reperti del relitto, anche isolatamente considerata (cioè a prescindere dalla valenza discriminante riconosciuta alla presenza di altri aerei e alla mancanza di segni inequivocabili di esplosione interna nonchè alla contraddittorietà dei segni riportati dal relitto nel loro complesso rispetto all'ipotesi della bomba), possa rendere l'ipotesi del missile meno probabile di quella della bomba.
Si deve concludere pertanto che, all'esito delle perizie e consulenze tecniche, sulla base dei dati tecnici disponibili le ipotesi della quasi collisione e del missile sono più probabili rispetto all'ipotesi della bomba.
1.3.2. Prove dirette di natura non tecnica che confermano il coinvolgimento di altri aerei nell'incidente.
Elementi di conferma o di esclusione delle ipotesi in gioco possono e devono essere desunti anche al di fuori dell'ambito dei dati tecnici, in un ambito in cui la professionalità del giudice recupera il suo dominio, e che è quello delle prove dirette, testimoniali e documentali, e delle prove indirette cioè del ragionamento per presunzioni.
Ritiene questo giudice che in questo ambito emergano importanti elementi di conferma dell'elemento relativo alla presenza di altri aerei durante il volo dello stesso e nella sua fase terminale, che per le ragioni già esposte rafforzano le ipotesi della quasi collsione e del missile e rendono meno probabile quella della bomba.
Prove dirette di natura non tecnica che confermano la presenza di uno scenario aereo complesso in occasione del disastro, e che quindi contribuiscono a fornire affidabilità ai dati tecnici che emergono dai rilevamenti dei radar, come interpretati dal Collegio Dalle Mese, emergono:
− dalle testimonianze rese da Cucchiarelli, Diamanti e Colonnelli su quanto rilevato dalla sala
operativa del radar civile di Ciampino, e cioè la presenza di traffico militare a ovest, sud ovest di Ponza il giorno 27.06.80 nell'imminenza dell'incidente;
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− dalle testimonianze rese dal Generale Bozzo e dal fratello sull'intensa attività di velivoli militari dalla base militare di Solenzara (Corsica) verso il Medio Tirreno anche in orario coincidente con quello dell'incidente;
− e dalle testimonianze rese da Carico e Del Zoppo, all'epoca dei fatti in servizio presso il centro radar della difesa aerea di Marsala in ordine a quanto rilevato dal sito Marsala o comunque avvenuto in questo sito nell'immediatezza dell'incidente, e cioè sull'individuazione da parte di tale sito di una traccia che scendeva da Ponza con la stessa rotta del DC9 e sull'effettuazione da parte del sito di una riduzione dati la sera dell'incidente.
1.3.2.1. Più dettagliatamente riguardo alle testimonianze rese dagli operatori presso la sala operativa del radar di Ciampino si rileva che:
− il capitano Cucchiarelli Pierfranco, controllore al settore FSO, ha dichiarato di aver notato sul radar, sicuramente prima della scomparsa del DC9 Itavia, delle tracce “operative” cioè traffico militare ad Ovest, Sud Ovest di Ponza,: “Quella sera vidi traffico operativo, tra le ore 20.15 e 20.30 locali (ore 18.15-18.30 Zulu). Per quanto ricordo l’incidente avvenne alle 21.00”; ha affermato di aver visto dalle due alle tre tracce, con codice e quota (con transponder attivo), e che le quote erano variabili tra 19.000 e 24.000 piedi; ha riferito che quel pomeriggio doveva esserci un’esercitazione ma il termine di questa era scaduto diverso tempo prima che scorgesse il traffico operativo; ha specificato che “Tale traffico era del tipo di quello che in genere si ha quando nel Tirreno opera una portaerei” (v. esame Cucchiarelli Pierfranco, GI 09.01.95, 13.02.95 e 10.02.97; cfr. anche esame nel processo di assise di primo grado udienza del 17.1.2001 );
− il maresciallo Diamanti, controllore al settore arrivi UNR, ha riferito che, quella sera, erano in corso delle manovre Nato nel Tirreno, tra Ponza e la Sicilia ad Est ed a Ovest dell’Aerovia Ambra 13, con quote più basse di quelle tenute dai velivoli civili; ha dichiarato che dal momento in cui era montato di servizio sino a quello in cui l’aereo Itavia era scomparso dagli schermi, aveva notato il protrarsi di presenze militari; ha inoltre riferito che dopo l'incidente furono fatte delle telefonate all’Ambasciata (da parte del maggiore Chiarotti che però non era riuscito a parlare con nessuno) perchè “... volevamo sapere dove erano finite tutte le tracce che si erano viste prima dell’incidente e sapere perciò se le esercitazioni erano finite o meno” (v. esami Diamanti Guglielmo GI 10.01.95 e 04.04.95);
− il sergente Colonnelli, assistente al settore partenze PIA, ha riferito di aver notato traffico militare quella sera a Sud di Ponza e di aver visto sul radar tracce che apparivano e scomparivano: “dopo aver preso servizio, certamente prima che venisse segnalata la scomparsa del DC9, nel settore limitrofo al mio (TSR), sentii commenti del personale addetto circa la
presenza di aerei militari ai limiti della copertura radar, nella zona a Sud di Ponza, mi
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avvicinai e notai sul radar tracce di traffico militare, non ricordo se apparissero anche i numeri di codice ma sono certo che si vedeva traffico aereo militare...”. Il sottufficiale ha aggiunto che quei commenti sulle tracce che avevano attirato la sua attenzione si riferivano al fatto che a quell’ora le esercitazioni militari segnalate dovevano essere già esaurite (v. esami Colonnelli Pierangelo, GI 13.01.95 e 13.02.95; cfr. anche esame nel processo di assise di primo grado udienza del 17.1.2001 ).
Tali testimonianze sono supportate da riscontri esterni in quanto:
− coerentemente con quanto affermato dai suddetti operatori, gli esperti del NPC, nell’ultima relazione trasmessa al GI del giugno 97, affermano, con ogni probabilità sulla base degli IFF presenti sulle THR e dei dati emersi dal radar civile di Fiumicino (che la Commissione ad hoc ha esaminato) nonché, in generale, dei movimenti dei velivoli militari nell’area del Tirreno, la presenza di una portaerei. In particolare affermano che “tale attività si configura in pattugliamenti di routine e voli in transito”;
− ed inoltre dall'analisi dei dati del radar civile di Fiumicino tra le 18.40Z e le 19.13Z si rileva la presenza di una serie di plots, tutti primari che dalle Bocche di Bonifacio si dirigono verso il centro del Tirreno;
− le testimonianze di Cucchiarelli, Diamanti e Colonnelli trovano conferma nelle conversazioni telefoniche relative al sito di Ciampino e in particolare in quelle: a) delle ore 20.23 tra il Ten. Col. Guido Guidi, responsabile della RIV, e il Col. Fiorito De Falco capo del II reparto dell'ITAV, nella quale, dopo che è avvenuto l'incidente, Guidi dice che sono stati visti razzolare diversi aerei americani e formula l'ipotesi di un'eventuale collisione e parla della necessità di stabilire un contatto con gli americani in relazione a queste esercitazioni, b) delle 20.22 tra Marzulli e Bruschina nella quale pure si fa espresso riferimento a un traffico molto intenso di velivoli statunitensi nella zona e alla necessità di contattare l'ambasciata americana (cfr. pagg. 311 e 743 della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore); tali conversazioni, sebbene come correttamente rilevato nella sentenza della Corte di Assise di Roma non implichino affatto la fondatezza della notizia dell'intenso traffico americano in zona (smentito dalla Nato) rappresentano però adeguato diretto riscontro delle dichiarazioni del maresciallo Diamanti circa la diffusione da parte dell'ACC di Ciampino della notizia e delle conseguenti verifiche; e quindi riscontrano anche le dichiarazioni dei tre operatori di Ciampino circa il rilevamento sul radar di tracce di aerei militari, perchè è evidente che la notizia relativa alla presenza del traffico militare americano poteva essere nata dal rilevamento sul radar di tracce di aerei (di nazionalità sconosciuta);
− d'altra parte quanto riferito da Cucchiarelli, Diamanti e Colonnelli con specifico riferimento
al giorno dell'incidente si concilia perfettamente con una situazione più generale ripetutamente 42
rilevata in epoca precedente all'incidente, anche con specifico riferimento alla zona a sud ovest di Ponza: infatti alcuni testi esaminati nel processo di assise di primo grado hanno riferito che, nel periodo immediatamente precedente a quello dell'incidente, era accaduto spesso di rilevare sui radar la presenza di traffico militare operativo cui non corrispondeva una esercitazione notificata; e che in tal caso, qualora si trattasse di attività che interessava le aerovia civili, i controllori di volo avvisavano i piloti che l'aerovia era interessata da traffico aereo sconosciuto e quindi suggerivano loro di cambiare rotta (CUCCHIARELLI PIERFRANCO: udienza 17.1.2001; CHIAROTTI ELIO udienza del 21.2.2001); analogamente numerosi testi, sempre esaminati nel processo di Assise di primo grado, hanno riferito che, prima dell'incidente occorso al DC9 vi erano state ripetute segnalazioni da parte di piloti di attraversamenti di rotte di velivoli civili da parte di velivoli militari (anche e proprio sull'Ambra 13 a sud di Ponza), tanto che, trattandosi di segnalazioni anche recenti, la sera dell'incidente era stata ipotizzata nell'immediato la possibilità di una collisione in volo (cfr esame ARPINO MARIO, all'epoca dei fatti Capo del Secondo Ufficio del Terzo Reparto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, Ufficio Operazioni, udienza 6.2.2001; Paolucci Bernardino, all'epoca dei fatti Capo Sezione Inchieste, presso il Centro di Controllo di Ciampino, udienza 7.2.2001; CORVARI UMBERTO, all'epoca dei fatti udienza 6.2.2001; LAGORIO LELIO, all'epoca dei fatti Ministro della Difesa, udienza del 6.12.2001; GUIDI GUIDO udienza del 19.1.2001).
1.3.2.2. Dalle deposizioni rese dai fratelli Santo e Nicolò Bozzo, quest’ultimo generale dei CC., entrambi in villeggiatura in Corsica a Solenzara, è emerso che il 27.6.1980 vi era stata una intensa attività di velivoli militari da Solenzara verso il medio Tirreno, iniziata nella mattinata e divenuta sempre più intensa con il passare delle ore, fino a raggiungere il culmine nel tardo pomeriggio, per poi terminare verso le ore 22.00/23.00 locali; (v. esami Bozzo Santo e Bozzo Nicolò, GI 25.10.91 e 15.11.91): “c’era stata attività aerea intorno alle 12.00 (del 27.06.80; nde). Questa attività mi colpì in particolare perché a differenza dell’anno prima, avevo notato in volo anche aerei diversi dai Mirage, che avevo invece visto l’anno precedente. Conosco bene questo tipo di aereo e sono in grado di distinguerlo da altri velivoli da caccia. Questa attività è continuata sino al sul far della sera, quando si è intensificata. E’ durata sino alle 21.00 circa, quando è diminuita. Ricordo con precisione questi perché mio fratello era molto disturbato dal rumore degli aerei, al punto tale che voleva andar via da quell’albergo. Io quella sera andai a letto intorno alle 23.00 e non fui disturbato dall’attività, sia perché era scemata sia perché occupavo una stanza sul retro. Mio fratello invece non sopportava quel rumore ed io così gli proposi il cambio di stanza che egli accettò. I decolli e gli atterraggi, sempre a coppie, si susseguivano ad intervalli di circa 10 minuti”.
Tali dichiarazioni forniscono riscontro al dato tratto dall'analisi dei dati del radar civile di 43
Fiumicino - per cui tra le 18.40Z e le 19.13Z si rileva la presenza di una serie di plots, tutti primari che dalle Bocche di Bonifacio si dirigono verso il centro del Tirreno- e alle testimonianze di Cucchiarelli, Diamanti e Colonnelli.
Inoltre, a proposito delle deposizioni degli operatori di Ciampino e dei fratelli Bozzo, si rileva inoltre che il generale Arpino, capo di Stato Maggiore dell'A.M. dal 1995 al 1999, sentito dalla Commissione stragi in data 13.11.1998, riferiva che le esercitazioni di aeronautiche diverse dalla nostra avvenivano nel Tirreno- peraltro su acque internazionali- senza alcuna notifica alle autorità nazionali nelle cui FIR quell'area ricadeva e passavano diverse aerovie civili ribadendo, anche al riguardo della Francia, che la conoscenza di esercitazioni cui non partecipava l'A.M. italiano era “alquanto ridotta” e stimando molto credibile l'esercitazione che si sarebbe tenuta il 27.6.1980 tra il tardo pomeriggio e la sera indicata dal Gen. Bozzo (cfr. Parte I, Libro I, Capo I, TitoloII, Capitolo XI, paragrafo 5, pag. 950 della sentenza ordinanza del G.I.).
1.3.2.3. Infine quanto alle testimonianze rese dagli operatori presso il Centro Radar dell'A.M. Di Marsala si rileva che:
− il m.llo Carico, identificatore IO in servizio presso il Centro Radar dell'A.M. di Marsala la sera del disastro, ha dichiarato di avere visto sul PPI “due tracce all’altezza di Ponza che scendevano insieme, da lui ricondotte al DC9 Itavia e a un Boeing 720 in rotta verso Malta; di avere seguito la traccia del DC9 e di averla vista poi scomparire, comunicando la circostanza al tenente Giordano e ai suoi superiori; ha ricordato, con riferimento a queste due tracce, di aver fatto la battuta “Sta a vedere che quello di dietro mette la freccia e sorpassa!”, precisando che il velivolo che seguiva il DC9 aveva una velocità superiore a quella del DC9; ha affermato di di aver visto una delle due tracce proseguire dopo la perdita di qualità del DC9; ha osservato inoltre di non ricordare né se la Synadex fosse effettivamente partita, né se fosse stato dato lo Stop Synadex, ma di essere comunque certo “che se si é dato avvio alla Synadex, lo si é fatto per evitare di registrare quanto accadeva dopo l'incidente”(v. esame Carico Luciano, PM Marsala 30.05.88; interrogatorio Carico Luciano, GI 26.09.89; interrogatorio Carico Luciano, GI 03.04.95; interrogatorio Carico Luciano, GI 16.05.97 riportati nella prima parte della sentenza ordinanza del G.I. fino a pag. 242).
− le dichiarazioni di Carico trovano riscontro nelle telefonate tra il Centro Radar dell'A.M. di Licola e il SOC di Martina Franca (delle ore 19.32- 19.36- 19.41- 20.07-20.11-21.20-23.05- 23.18 riportate a pag. 734 ss. della sentenza ordinanza del G.I.) dalle quali emerge che, subito dopo l'incidente, gli operatori di Licola plottano, contemporaneamente e nella stessa zona, due tracce: LK477 ed AG266, quest'ultima inizialmente ricondotta al DC9 (correlazione poi esclusa nella conversazione delle ore 23.18), e con riferimento alla quale gli interlocutori nella
conversazione delle ore 23.18 commentano che “c'è un punto che fa un salto da canguro che è 44
impossibile crederci”; dalle conversazioni telefoniche risulta che la traccia AG 266 dapprima risulta avvistata da Licola alle ore 18.50 sul punto Papa Lima 00.50, cioè su Ponza (cfr. conversazione delle ore 19.36 tra Licola e il SOC) e poi risulta avvistata da Licola alle ore 19.04 sul punto Papa Lima 00.50 (cfr. conversazione 23.23 e 23.31 tra SOC e Iacotenente);
− da tali conversazioni ( in particolare da quella delle ore 19.41, 19.42, 20.11 e 21.20) risulta che la sera dell'incidente Licola trasmette per telescrivente a Martina Franca i plottaggi effettuati (sulla base dei dati del DA1) in riferimento alle tracce LK477 ed AG266; tali plottaggi non sono mai stati acquisiti dall'autorità giudiziaria, nonostante fossero riconducibili all'oggetto del decreto di sequestro emesso dalla Procura di Palermo, e avrebbero consentito di verificare se la traccia che Carico aveva visto seguire il DC9 (e cioè l'AG266 rilevata da Licola) immediatamente prima dell'incidente fosse o meno riconducibile a un velivolo diverso dall'Air Malta; sarebbe stato infatti indispensabile comprendere l'esatto orario in cui tale traccia fu rilevata da Licola sul punto Papa Lima 00.50 (cioè su Ponza), in quanto se ciò fosse avvenuto alle ore 18.50 come risulta da una delle conversazioni sopra indicate, si potrebbe escludere trattarsi dell'Air Malta che era in ritardo di 13 minuti (circostanza trascurata dagli operatori di Marsala) e che in quel momento si trovava ancora al largo dell'Argentario;
− le dichiarazioni di Carico circa il rilevamento da parte del sito di Marsala di una traccia che seguiva il DC9 subito prima l'incidente trovano conferma in quelle rese dal tenente colonnello Del Zoppo (al tempo dei fatti era ufficiale dell’Ufficio Operazioni di Marsala e proprio quel giorno si trovava a sostituire il titolare dell’ufficio, capitano Pugliese), il quale ha riferito alla Commissione Stragi che intorno alle ore 22.00 locali del giorno dell'incidente ricevette una comunicazione telefonica presso la propria abitazione dal capitano Ballini che lo invitava a raggiungerlo in sala operativa; giunto sul posto si recava nell’ufficio del Combatt Staff, sito a fianco della postazione del capo controllore, ove controllava e verificava i dati riportati su una Track History - già effettuata dal personale di sala - individuando, anche attraverso l’IFF accertato e comunicato dall’ACC di Ciampino, una traccia che scendeva da Ponza, con la stessa rotta del DC9; ricordava di aver svolto queste operazioni unitamente al sergente Tozio (v audizione Del Zoppo alla Commissione stragi 21.03.91);
− in ordine all'attendibilità di Del Zoppo si osserva che, nonostante che l’effettuazione di una riduzione dati sia stata negata da tutti gli operatori del sito di Marsala e confermata dal solo Del Zoppo, la sua effettuazione si desume dalla circostanza – emersa inconfutabilmente dalla perizia Dalle Mese anche a seguito delle più compiute informazioni acquisite presso la Nato- che almeno a partire dalle 19.48 Z l’IC di Marsala ha compiuto guida assistita di un velivolo sul punto dell’incidente, la cui individuazione richiedeva l'estrapolazione di una THR dai nastri di registrazione.
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1.3.3. Prove indiziarie del coinvolgimento di un velivolo militare nell'incidente.
D'altra parte prove indiziarie del coinvolgimento di un velivolo militare nell'incidente occorso al DC9 possono desumersi:
− dal rinvenimento da parte del collegio Misiti del serbatoio supplementare di un caccia in un'area individuata basandosi sull'interpretazione che i plots -17 e -12 appartenessero a una traccia che rappresentasse un caccia;
− dalle tracce rilevate sul fondo del mare (striature e crateri) in occasione delle campagne di recupero, indice del fatto che prima delle campagne ufficiali di recupero del relitto qualcuno raggiunse il fondo e recuperò degli oggetti ( cfr. sentenza ordinanza del Giudice Istruttore, Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo LVII, pagg. 2124 e ss., in particolare pagg. 2133 e 2134); eloquentissimo il condivisibile commento che Giudice Priore svolge al riguardo, dopo aver evidenziato che all'epoca potevano raggiungere la profondità di quei fondali soltanto sommergibili francesi e statunitensi: “questi fatti non costituiscono certo indizi in pro dell'ipotesi dell'esplosione interna. Di sicuro non si scandagliano fondali a 3.500 metri di profondità e se ne riportano in superficie reperti, anche di peso, per accertare i danni di un ordigno collocato su quel mezzo di trasporto per finalità di terrorismo interno, che peraltro aveva cagionato vittime di nazionalità solo italiana”;
− dalla mancata consegna all'autorità giudiziaria di rilevantissima documentazione relativa ai dati rilevati dai radar della Difesa Aerea il giorno 27.6.1980 nonostante i decreti di sequestro della Procura di Palermo del 5.7.1980 prima e della Procura di Roma del 16.7.1980 poi. Limitando in questa sede ogni considerazione ai documenti più evidentemente indispensabili per il compiuto accertamento dei fatti, si rileva infatti che non sono stati messi a disposizione dell'autorità giudiziaria da parte dell'Aeronautica Militare:
− il DA1 dei Centri Radar dell'Aeronautica Militare di Licola e di Siracusa, siti all'epoca operanti in fonetico-manuale, e quindi privi di un sistema di registrazione su nastri magnetici di quanto rilevato dal radar, che però veniva trascritto dall'operatore su appositi registri di sala tra i quali quello fondamentale è il DA1;
− i plottaggi relativi alle tracce AG266 e LK 477 trasmessi dal sito della difesa aerea Licola la sera stessa del disastro al III SOC di Martina Franca come risulta dalle conversazioni telefoniche registrate quella sera tra il sito di Licola e il SOC (delle ore 19.32- 19.36- 19.41- 20.07-20.11-21.20-23.05-23.18 riportate a pag. 734 ss. della sentenza ordinanza del G.I.);
− i nastri magnetici relativi alle registrazioni dei radar dei siti di Poggio Renatico, Poggio Ballone, Potenza Picena, Jacotenente, cioè di tutti i CRAM interessati dalla rotta del DC9;
− le registrazioni delle comunicazioni della Difesa Aerea esistenti presso il sito di Ciampino
(in relazione a tale sito furono consegnate solo le registrazioni delle comunicazioni 46
concernenti il Traffico civile);
− il DA1 del centro di Marsala che era obbligatorio redigere in caso di sospensione dell'attività
in semiautomatico (cioè della registrazione su nastro), e tutti i registri di sala (sono stati consegnati all'autorità giudiziaria soltanto il MIO e quello dell'IC che però risulta strappato proprio nella pagina del turno notturno del 27 giugno 1980);
Al riguardo si rileva che:
− la disponibilità del DA1 di Licola avrebbe dato un chiarimento fondamentale del problema
della presenza o meno di altri aerei nei pressi del DC9 al momento dell'incidente, trattandosi del CRAM che si trovava in posizione privilegiata per vedere sul Tirreno centrale e meridionale e quindi per seguire l'ultimo segmento della rotta del DC9, e per vedere anche il prima e il dopo del disastro; tale registro avrebbe consentito di trovare i necessari dati in merito alla traccia AG266 rilevata da quel sito sulla stessa rotta del DC9 (in ordine alla quale vi è discordanza tra quanto emerge dalle conversazioni telefoniche e quanto riportato nel plottaggio consegnato all'autorità giudiziaria) e di individuare l'esistenza o meno di una traiettoria finale di altri aerei coinvolti nell'incidente, cui correlare i tanto discussi plots -17 e -12 ;
− anche i plottaggi relativi alle tracce AG266 e LK 477 trasmessi da Licola la sera stessa del disastro a Martina Franca avrebbero consentito i necessari chiarimenti in merito alla traccia AG266 rilevata da quel sito sulla stessa rotta del DC9, in ordine alla quale vi è discordanza tra quanto emerge dalle conversazioni telefoniche e quanto riportato nel plottaggio consegnato all'autorità giudiziaria;
− i nastri magnetici relativi alle registrazioni dei radar dei siti di Poggio Ballone e e di Poggio Renatico (siti che avevano la detezione sul segmento iniziale della rotta del DC9) avrebbero consentito di colmare il buco dalle ore 18.31 alle ore 18.33 presente nelle Track History relativa ai dati radar di Poggio Ballone, proprio nel momento in cui la perizia Dalle Mese ipotizza la possibilità dell'inserimento di un velivolo sconosciuto nella scia del DC9, subito dopo che la coppia degli F 104 in volo in prossimità del DC9 aveva lanciato il segnale di emergenza generale e che Ciampino aveva segnalato la fuoriuscita di un velivolo militare dalla zona Delta, e di chiarire tali circostanze, oltre a consentire una più chiara ricostruzione di tutto il complessivo scenario dei velivoli militari in volo lungo tutta la rotta del DC9, e in particolare di spiegare la presenza e i movimenti dell'Awacs orbitante sull'appennino tosco- emiliano; i nastri magnetici di Poggio Ballone avrebbero inoltre permesso di verificare quanto riportato nel foglietto manoscritto dal titolo “Plottaggio della LE157 DC9 IH870 da Bologna a Palermo” (sequestrato nel luglio 1994 a Poggio Ballone a seguito del suo
rinvenimento nella cartella “Attività Giugno 1980” ed allegato ad un foglio intercettazioni 47
velivoli del 27.06.80, riportante dati radar dalle ore 18.23 alle 18.32) con riferimento al velivolo identificato come “LE157 DC9 IH da Bologna a Palermo” che, in tale documento, tra le ore 18.29 e le ore 18.32 risulta navigare progressivamente dagli 11.400 piedi ai 14.800 piedi (con quota che non può ritenersi frutto di un errore in quanto è progressivamente aggiornata, dato questo che presuppone una costante attività dell’addetto al quotametro) mentre è fatto certo che il DC9 Itavia navigava, in quel frangente, alla quota di 27.000 piedi, elemento questo ritenuto significativo della presenza in tale frangente di un volo che si è immesso nella scia del DC9.
La mancata messa a disposizione dell'autorità giudiziaria da parte della Aeronautica Militare di tutti i documenti relativi ai rilevamenti dei radar della difesa aerea indispensabili per il compiuto accertamento dei fatti – indipendentemente dalle vicende relative al tenore letterale e alla notifica del decreto di sequestro emesso dalla Procura di Palermo - può considerarsi non casuale né frutto di mera negligenza in considerazione non soltanto della sua natura sistematica e della enorme rilevanza dei dati omessi rispetto a quelli forniti – che non poteva non essere percepita da chi appartenendo al sistema di Difesa Aerea conosceva perfettamente la tipologia natura e importanza della documentazione disponibile, a differenza dell'Autorità Giudiziaria che ha necessariamente impiegato molto tempo soltanto per comprendere quale fosse la tipologia della documentazione disponibile presso i siti radar (e per tale motivo usato formule necessariamente generiche per individuare l'oggetto dei decreti di sequestro) e cosa non le fosse stato consegnato – ma anche in ragione di specifiche prove positive emerse sul punto nel corso dell'istruttoria formale, tra le quali ci si limita in questa sede a richiamare l'appunto dell'agenda di De Falco del 2.10.1980 nel quale con riferimento all'esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma del 16.7.1980 e alla mancata immediata consegna dei nastri di registrazione del sito di marsala si da atto di “aver trovato una formula ambigua per dare tempo all'A.M. di pensarci su”.
D'altra parte deve evidenziarsi che un'esecuzione dei decreti di sequestro secondo buona fede e ispirata ai principi di buon andamento dell'amministrazione e di piena collaborazione con l'autorità giudiziaria - che avrebbero dovuto guidare l'operato dell'A.M. nei rapporti con l'autorità giudiziaria nella fase successiva all'incidente - avrebbe dovuto indurre l'A.M. (e non soltanto in occasione dell'esecuzione dei decreti di sequestro) a consegnare all'autorità giudiziaria anche quanto non espressamente previsto dai decreti di sequestro ma di sicura rilevanza per le indagini secondo quello che, in quel momento, apparteneva alla conoscenza della sola Aeronautica Militare.
Ne consegue che la mancata consegna di documenti così rilevanti per il compiuto accertamento
dei fatti deve spiegarsi in ragione del contenuto dei documenti non consegnati, dai quali deve 48
ritenersi verosimile che emergessero elementi di responsabilità per l'Aeronautica Militare in relazione al disastro, non spiegandosi altrimenti una forma così grave di mancata collaborazione, e anzi dovendosi ritenere che – secondo l'id quod plerumque accidit- laddove da tali documenti non fossero emersi elementi indicativi del coinvolgimento di velivoli militari nell'incidente occorso al DC9 l'Aeronautica Militare li avrebbe messi a immediata disposizione dell'autorità giudiziaria.
1.3.4. Lo scenario più probabile in cui è avvenuto il disastro.
Infine, posta la valenza fondamentale, ai fini dell'individuazione della causa del disastro, attribuita da questo giudice alla presenza di altri velivoli od oggetti volanti nell’intorno spaziale e temporale del volo del DC9, appare opportuno a questo punto approfondire la connessione tra i dati tecnici che emergono dai rilevamenti radar come esaminati dalla Perizia Dalla Mese, e i riscontri esterni a tali dati forniti da elementi di natura diversa, e ciò al fine di rappresentare quale sia lo scenario più probabile nel quale è avvenuto il disastro.
I fatti rilevati dalle 18.26.10Z alle 18.30.00Z rivelano una situazione aerea complessa che può avere consentito l'inserimento di un velivolo nella scia del DC9 al fine di evitare di essere rilevato dai radar, e una serie di anomalie sia nella rilevazioni radar che nel comportamento dei velivoli presenti nelle immediate vicinanze del DC9 che possono trovare agevole spiegazione con tale evenienza. Ed invero:
− nella conversazione TBT delle 18.26.06Z, tra il controllore di Roma-Ciampino e il pilota del DC9, Roma controllo, dopo aver chiesto al pilota del DC9 di identificarsi – fatto di una certa stranezza, dato che il transponder 1136 abbinato al volo IH870 era stato assegnato dallo stesso operatore di Ciampino ben sei minuti prima (v. conversazione TBT delle 18.20.26Z) – comunica al pilota: “Ok, è sotto radar, vediamo che sta andando verso Grosseto, che prua ha?”; il pilota del DC9, esprimendo sorpresa, risponde: “l’870 è perfettamente allineato sulla radiale di Firenze, abbiamo 153 in prua” – quindi Sud-Est e non Sud-Ovest, come sembra vedere Ciampino; quindi il controllore di Roma-Ciampino: “Adesso vedo che sta rientrando, quindi praticamente, diciamo che è allineato. Mantenga questa prua”. La risposta del pilota del DC9 esprime nuovamente stupore: “Noi non ci siamo mossi, eh?”;
− nello stesso contesto temporale ad ore 18.24.42, 18.24.59, 18.25.52, 18.26.45 la perizia Dalle Mese evidenzia quattro delle dodici irregolarità nelle registrazioni del radar civile della traccia del DC9 che la perizia riconduce alla presenza di un velivolo nascosto nella scia del DC9 (cfr. pag. 2686 della sentenza-ordinanza, lettere a),c), f) e g): rispettivamente doppia risposta da SSR, mancata rilevazione di SSR, elevati errori angolari e doppia risposta SSR, elevati errori angolari e doppia risposta SSR);
− alle ore 18.29.05 e 18.29.11 la perizia Dalle Mese evidenzia altre due delle dodici 49
irregolarità nelle registrazioni del radar civile della traccia del DC9 che la perizia riconduce alla presenza di un velivolo nascosto nella scia del DC9 (cfr. pag. 2686 della sentenza-ordinanza, rilevazione di un plot primario non correlabile con nessun secondario e localizzato in posizione intermedia tra il DC9 e l'F104, e elevato errore angolare nella determinazione della posizione del DC9);
− il transponder 1136 viene associato dal radar civile di Ciampino al volo IH870 solo sei minuti dopo la sua assegnazione avvenuta alle 18.20 perchè in precedenza la risposta 1136 viene recepita in modo insufficiente (cfr. pag. 379 della sentenza-ordinanza): tale fatto (poiché è certo che il transponder del DC9 era perfettamente funzionante) può essere spiegato: a) con la presenza di altro velivolo diverso da quelli identificati in quel contesto (e cioè i due F 104 identificati con codice 4200 e il volo Bergamo Ciampino di codice 1133, parallelo e contemporaneo al DC9 ma a una quota di 25.000 piedi, mentre il DC9 si trova in fase di salita a quota 19.000 piedi) nelle vicinanze e poi in scia al DC9 che disturbi le frequenze e la ricezione del transponder del DC9; b) con il fatto che trovandosi il DC9 in fase di salita alla quota di 19.000 piedi e distanza di 125 miglia è ai limiti della portata del radar primario, e viene identificato dal solo radar secondario (cfr. sul punto perizia Dalle Mese pagg. 2593 e 2687 della sentenza ordinanza del G.I.);
− nel corso di una comunicazione tra Ciampino e Poggio Ballone, registrata sul canale 15 del sito romano ad h.18.30Z, viene data allerta su un velivolo che, in uscita dalla zona Delta (zona di esercitazioni militari denominata “Delta”, geograficamente posta al centro della Toscana), sarebbe sul punto di inserirsi nella aerovia civile A-14 in prossimità del passaggio del DC9 Itavia;
− alle ore 18.26Z e 18.31Z, un F104 che naviga poche miglia a Nord-Ovest del DC9 (e che alle 18.28.43 è così vicina al DC9 che di esso assume SIF 3 pari a 1136 : cfr. perizia Dalle Mese pag. 2451 della sentenza-ordinanza) segnala con codice 73 di SIF1 una situazione di emergenza, che gli esperti dell’NPC qualificano come emergenza generale (cioè non relativa al velivolo) confermata (evento rilevabile dalla THR di Poggio Ballone);
− sulla base delle THR di Potenza Picena e di Poggio Ballone, si individua la traccia LG461, corrispondente a un velivolo in volo contemporaneamente al DC9 e ai due F104, nelle immediate vicinanze, non associabile a nessuno dei velivoli identificati in quel contesto spaziale e temporale, di cui si perde la traccia nel contesto temporale in esame in prossimità del DC9 Itavia, individuato nella perizia dalle Mese quale possibile candidato a rappresentare l'aereo che ha effettuato la manovra di inserimento;
− è presente un Awacs sull’Appennino tosco-emiliano dalle ore 18.20 Z in costanza del
passaggio del DC9 Itavia, rilevabile dalla THR di Poggio Ballone, durante gli accadimenti sopra 50
elencati, che si verificano tutti tra le 18.26Z e le 18.30Z.
Tra le 18.30 e le 18.33Z circa non soccorrono più, a causa di un “buco” sulla THR, i dati del sito di Poggio Ballone; si tratta di un elemento di cui non è stata fornita alcuna spiegazione; inoltre come s’è detto, la scomparsa del nastro di registrazione, nonostante che costituisse oggetto di sequestro da parte dell'A.G., ha sottratto all’inchiesta la relativa CDR, la cui analisi avrebbe avuto una funzione di sommo rilievo per l’interpretazione dei dati sopra descritti, in particolare per i dati del codice di emergenza squoccato dall'F104 e per quello della presenza del Awacs. Il buco presente nella THR di Poggio Ballone e la mancata messa a disposizione dell'autorità giudiziaria dei nastri di registrazione di Poggio Ballone, considerati unitamente a tutti gli elementi appena descritti, possono spiegarsi in ragione della validità dell'ipotesi dell'inserimento, proprio in questo contesto spazio-temporale, di un velivolo nella scia del DC9 al fine di evitare di essere rilevato dai radar.
Tra le 18.40.09 e le 18.44 Dalla Mese individua due eventi radaristici che identificano una traiettoria di un secondo velivolo parallelo al DC9 ad una distanza di 1.04 miglia, che ha naturale e logica spiegazione con la presenza di un velivolo nascosto; e alle 18.44 secondo quanto desumibile dalla figura E 28 della perizia il DC9 si immette sul Tirreno all'altezza dell'isola di Ponza; la perizia Dalle Mese individua inoltre le tracce PR6 e PR7 presenti nella zona di Ponza tra le 18.43 e le 18.46.
I testi Cucchiarelli, Diamanti e Colonnelli hanno rilevato dalla sala operativa del radar di Ciampino, la presenza di traffico militare a ovest, sud ovest, di Ponza il giorno 27.06.80 nell'imminenza dell'incidente, descritto come traffico collegato con la presenza di una portaerei; gli esperti del Nato Programming Center di Bruxelles, nella relazione trasmessa al GI del giugno 97, confermano, sulla base degli IFF presenti sulle THR e dei dati emersi dal radar civile di Fiumicino (che la Commissione ad hoc ha esaminato) nonché, in generale, dei movimenti dei velivoli militari nell’area del Tirreno, la presenza di una portaerei.
La mancanza del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone non consente di verificare se i radar militari avessero registrato la presenza di velivoli militari lungo la rotta del DC9 nella zona di Ponza.
Nell'immediatezza dell'incidente (18.59 Z):
− i plots -17 e -12 sono stati attribuiti dalla Perizia Dalla Mese (e prima dagli esperti americani Lund e Macidull e Transue e dalla Perizia BLASI del marzo 1989) alla traiettoria di un altro velivolo che, nella parte finale del volo del DC9 viaggia parallelamente ad esso in direzione sud, per poi virare verso il DC9;
− questa tesi trova conferma in elementi di carattere indiziario quali, oltre al contesto sopra
descritto che rende ipotizzabile la presenza di un velivolo nascosto nella scia del DC9, il 51
rinvenimento del serbatoio di un caccia in una zona del mare individuata sulla base della predetta traiettoria e la mancata messa a disposizione dell'Autorità giudiziaria del DA1 del sito della Difesa Aerea di Licola, che avrebbe consentito di vedere se la traiettoria ipotizzata sulla base dei plot -17 e -12 proseguisse o meno dopo l'incidente;
− tale dato considerato unitamente a quello di un velivolo nascosto nella scia del DC9, ritenuto plausibile dalla perizia Dalle Mese, rende verosimile l'effettuazione da parte dell'aereo o della coppia di aerei che viaggia su traiettoria parallela al DC9 di una manovra di attacco o di intercettazione nei confronti del velivolo nascosto nella scia del DC9, nell'ambito della quale spiegare il disastro o per la quasi collisione avvenuta tra il DC9 e il velivolo che volava di conserva (nella fase in cui quest'ultimo effettuava il sorpasso del DC9, come sostenuto, in termini di ipotesi più probabile, dai periti Casarosa ed Held) o per l'esplosione di una testata missilistica lanciata dai velivoli intercettori (come sostenuto dai consulenti tecnici di parte civile).
Subito dopo l'incidente:
− mancano i dati radaristici in quanto dalle 19.04 alle 19.12 e poi dalle 19.22. alle 19.48 si ha una interruzione nella registrazione dei nastri del sito di Marsala e non si dispone del DA1 né di Marsala né di Licola né di Siracusa;
− dalle registrazioni del sito di Marsala a partire dalle 19.48 emerge che tale sito della difesa aerea ha effettuato operazioni di guida assistita sul luogo dell'incidente di un velivolo diverso da quelli del soccorso ufficiale, intervenuti solo successivamente.
Tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato – secondo gli standards di certezza propri del giudizio civile- che l'incidente occorso al DC9 si sia verificato a causa dell'operazione di intercettamento realizzata da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC9 viaggiano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del DC9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell'esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l'aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l'aereo nascosto e il DC9.
Tale ricostruzione della dinamica del sinistro potrebbe trovare ulteriore conforto nell'elemento dedotto da parte attrice, ma non sufficientemente provato, per cui nella zona della aerovia civile Ambra 13 in cui si è verificato l'incidente (punto Condor o Doras) passava una aerovia militare. In ordine all'insufficienza della prova di tale allegazione si rileva che le dichiarazioni rese dal teste Chiarotti Elio all'udienza del 21.22001 del processo di assise di primo grado non sono sufficientemente chiare né in ordine alla natura della advisory rout identificata come Delta Whisky 12 , né in ordine alla sua collocazione spaziale.
2. Gli obblighi gravanti sui Ministeri convenuti e il nesso causale. La Condotta omessa
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idonea a impedire l'evento.
Poichè rappresenta un dato pacifico che il DC9 I-TIGI al momento dell'esplosione procedeva sulla rotta assegnata ove era regolarmente stabilizzato, secondo il piano di volo, la circolazione di altri aerei lungo la stessa rotta è un fatto colposo imputabile in concorso al Ministero della Difesa e dei Trasporti.
I predetti ministeri avrebbero infatti dovuto garantire l'assenza di ostacoli alla circolazione aerea e/o di altri velivoli lungo la rotta assegnata al DC9, e comunque adottare misure idonee a prevenire l'incidente, ad esempio non autorizzando il decollo del DC9 o il volo sulla solita rotta o assegnando altra rotta per il volo di quel giorno.
E' emersa la prova che quel giorno, nei cieli vi era una situazione particolare che imponeva l'adozione di speciali misure.
In ordine agli obblighi di condotta gravanti sui Ministeri convenuti alla cui omissione è correlata la responsabilità oggetto del presente processo si precisa che (come peraltro rilevato da Cass. 10285/2009) sul Ministero della Difesa gravava l'obbligo di garantire la sicurezza dei cieli e di impedire l'accesso ad aerei non autorizzati o nemici (d.p.r. 18.11.1965, n. 1477, art. 12; d.p.r. 18.11.1965 n. 1478, art. 23; l. 16.2.1977 n. 38) e sul Ministero dei Trasporti, attraverso l'apposito commissariato, l'assistenza e la sicurezza del volo (d.l. 24.10.1979, n. 511).
Con particolare riferimento alle attribuzioni relative ai servizi di assistenza al volo si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, all'epoca dei fatti le attività di controllo diretto sui velivoli e sullo spazio aereo, rientravano nei compiti dei Ministeri convenuti e non di un apposito ente di assistenza al volo, dotato di autonoma personalità giuridica.
Al riguardo si rileva infatti che:
− con la legge 30 gennaio 1963 n. 141 si ha la devoluzione dal Ministero della Difesa al Ministero dei Trasporti di “tutti i compiti e le attribuzioni esercitati dal Ministero della Difesa in materia di aviazione civile” nonché di “tutte le competenze già attribuite dal codice della navigazione al Ministero dell'Aeronautica”; tale legge istituisce nell'ambito del Ministero dei Trasporti un Ispettorato Generale dell'Aviazione Civile per l'esercizio dei compiti e delle attribuzioni devolute al Ministero dei Trasporti, ma prevede altresì che “i servizi di assistenza al volo continuano ad essere forniti all'Ispettorato Generale dell'Aviazione civile dall'Ispettorato delle Telecomunicazioni e dell'Assistenza al volo del Ministero della difesa” (art. 2);
−con l'introduzione di tale legge pertanto i servizi di assistenza al volo, pur devoluti nell'ambito delle attribuzioni del Ministero dei Trasporti, continuavano a essere svolti da organi del Ministero della Difesa, tra le cui attribuzioni all'epoca dei fatti giova evidenziare
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che vi era quella di “presiedere all'alta direzione tecnica, operativa e di controllo dell'intero traffico aereo” di specifica competenza del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, da esercitare mediante l'apposito Ispettorato delle Telecomunicazioni e dell'Assistenza al volo (art. 12 lett. b DPR 18 novembre 1965 n. 1477);
−con il d.l. 24 ottobre 1979 n. 511 si ha l'istituzione, nell'ambito del Ministero dei Trasporti, del Commissariato per l'Assistenza al volo il quale, per le legge, deve provvedere: a) “ad assumere progressivamente la gestione dei servizi di assistenza al volo sugli aeroporti civili e la direzione operativa dei centri di controllo”, attraverso l'inquadramento nell'ambito del “Ruolo Transitorio del personale controllore del traffico aereo e assistente del traffico aereo” istituito presso il Ministero dei Trasporti, degli ufficiali, dei sottoufficiali e del personale civile dell'Aeronautica Militare che svolgono attività operativa nel settore dell'assistenza al volo (artt. 2 e 4); “ a predisporre un piano per il graduale trasferimento di tali competenze agli organi che saranno istituiti con la legge di ristrutturazione dei servizi per l'assistenza al volo civile” (art. 2 lett. c);
− con l'introduzione di tale legge pertanto si prevede che i servizi di assistenza al volo vengano a essere svolti direttamente dal Ministero dei Trasporti, attraverso l'apposito Commissariato (non dotato di autonoma personalità giuridica) e personale direttamente dipendente dal Ministero dei Trasporti, attraverso l'inserimento nell'organizzazione del Ministero dei Trasporti del personale che prima svolgeva tale servizio nell'ambito del Ministero della Difesa;
− quindi con la legge 27 luglio 1979 n. 299 (art. 4-ter) si prevede che entro la fine di
quell'anno il Ministero dei Trasporti debba presentare al Parlamento le linee e le proposte
“per la riorganizzazione della Direzione Generale dell'Aviazione Civile”, e poi, solo con la
legge 23 maggio 1980 n. 242 (. G.U. n. 163 del 16.6.1980) di Delega al Governo per la
ristrutturazione dei servizi di assistenza al volo si prevede l'istituzione dell'Azienda
Autonoma di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale, dotata di personalità
giuridica di diritto pubblico: “in attesa della ristrutturazione della direzione generale
dell'aviazione civile ai sensi dell'art. 4-ter del d.l. 26 maggio 1979 n. 151 convertito in
legge, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 1979 n. 299 e nell'ambito della riforma delle
aziende autonome di stato il Governo è autorizzato ad emanare entro diciotto mesi dalla
entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti aventi valore di legge per la
disciplina dell'Azienda Autonoma di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo generale”, la
quale provvede “1.) all'organizzazione e all'esercizio dell'assistenza al volo mediante la
gestione dei servizi relativi al controllo del traffico aereo, alle telecomunicazioni
aeronautiche, alle informazioni aeronautiche, ai servizi meteorologici aeroportuali, nonché
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dei necessari servizi amministrativi, tecnici e di supporto; 2.) all'approvigionamento, installazione e manutenzione degli impianti ed apparati occorrenti al servizio di assistenza al volo; (omissis) 5.) al reclutamento e, direttamente o indirettamente alla formazione e all'addestramento del personale da impiegare per l'espletamento dei servizi di assistenza al volo” (art. 2); tale legge prevede che nell'emanazione dei decreti delegati il governo debba osservare i principi e criteri direttivi: a) dell'armonizzazione dell'azienda con l'azione svolta dall'Aeronautica Militare, cioè delle esigenze del traffico aereo generale con le esigenze della difesa; b) del mantenimento delle competenze dell'Aeronautica Militare in merito al servizio di assistenza al volo per quanto concerne il traffico aereo militare che non segue le procedure formulate dall'organizzazione internazionale per l'aviazione civile (ICAO) e il traffico aereo militare sugli aeroporti militari nonché il traffico aereo civile sugli aeroporti militari (art. 3);
− in attuazione della legge delega del 23 maggio 1980 n. 242 il governo emana, tra l'altro il DPR 145/1981 relativo all'ordinamento dell'Azienda Autonoma di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale; il DPR 16 dicembre 1981 n. 842, di approvazione dello Statuto dell' Azienda Autonoma di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale; e il DPR 27 luglio 1981 n. 484 relativo alla ripartizione degli spazi aerei di competenza dell' Azienda di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale e della Aeronautica Militare e dei relativi servizi di assistenza al volo;
− quindi con decreto 21.1.1982 si ha la soppressione del Commissariato per l'assistenza al volo civile, e successivamente con il d.l. 497/1995 avviene la trasformazione dell'Azienda di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale in ente di diritto pubblico economico, denominato Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV).
Dalla disanima che precede risulta evidente che alla data dell'incidente occorso al DC9 Itavia, 27 giugno 1980:
− la gestione dei servizi di assistenza ai voli civili non era ancora stata assunta dall' Azienda di Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, in quanto a tale data non era ancora neppure entrata in vigore la legge delega 23 maggio 1980 n. 242 (G.U. n. 163 del 16.6.1980) che prevedeva l'istituzione di tale azienda;
−sul Ministero della Difesa gravava l'obbligo di garantire la sicurezza dei cieli e di impedire l'accesso ad aerei non autorizzati o nemici (d.p.r. 18.11.1965, n. 1477, art. 12; d.p.r. 18.11.1965 n. 1478, art. 23; l. 16.2.1977 n. 38) e sul Ministero dei Trasporti, attraverso l'apposito commissariato, l'assistenza e la sicurezza del volo (d.l. 24.10.1979, n. 511).
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Tali disposizioni impongono a carico dei Ministeri convenuti obblighi specifici volti ad assicurare la sicurezza dei cieli e quindi ad evitare una serie di eventi nel cui novero rientra quello verificatosi e cioè che un velivolo di guerra non autorizzato possa penetrare nello spazio aereo italiano e si possa nascondere in coda ad un aereo di linea.
L'omissione di tali condotte, secondo un giudizio ipotetico controfattuale, ha determinato l'evento caduta del DC9 (per abbattimento da parte del missile o quasi collisione con un velivolo militare in ragione della imprudente manovra di sorpasso di quest'ultimo e della inadeguata distanza tenuta dal DC9), in quanto se i Ministeri avessero adottato il comportamento cui erano tenuti, sorvegliando adeguatamente la situazione dei cieli, percependo la presenza di altri aerei lungo la rotta del DC9 I-TIGI, e avvertendo il suo pilota della necessità di cambiare rotta onde sottrarsi ai pericoli connessi alla presenza di aerei militari, l'evento non si sarebbe verificato.
Una volta dimostrata la sussistenza di uno specifico obbligo di impedire l'evento ed una volta appurato che l'evento appartiene al novero di quelli che norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto ed omesso non ha nessuna rilevanza – come evidenziato da Cass., n. 10285 del 5.5.2009 – la “mancanza di concreti elementi di prova circa la conoscenza da parte di organi dello Stato della presenza di velivoli che potessero risultare anche solo potenzialmente pericolosi per l'aereo e per le vittime del disastro”dedotta da parte convenuta, in quanto “il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell'evento è già formulato dalla norma che pone l'obbligo di attivarsi ed impedire l'evento e l'evento non è altro che la concretizzazione del rischio che la norma (sia specifica sia generica) mira ad evitare. In questo caso la colpa esiste pur sempre e consiste nel porre in essere il comportamento omissivo, in modo cosciente e volontario, in violazione del dovere specifico o generico” ; infatti “il solo fatto che i predetti convenuti non avessero conoscenza della presenza di velivoli nell'aerovia assegnata ad Itavia, ed a maggior ragione che si trattasse di aerei militari non identificati, di per sé non è elemento idoneo ad escludere la colpevolezza, poiché integra proprio se non altrimenti giustificato, l'inosservanza delle norme di condotta e di sorveglianza e controllo o quanto meno il difettoso esercizio di tali attività”(Cass., n. 10285 del 5.5.2009).
In altri termini la responsabilità dei Ministeri convenuti potrebbe ritenersi esclusa soltanto ove vi fosse la prova “che, nonostante il controllo degli spazi aerei secondo le tecniche dell'epoca, l'intrusione dell'aero militare ostile non fu percepita per fattori eccezionali ed imprevedibili ovvero che l'evento non fu evitabile” (Cass., n. 10285 del 5.5.2009).
Deve quindi ritenersi sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità dei Ministeri
convenuti la conoscibilità da parte dei medesimi, attraverso il corretto esercizio delle 56
funzioni di controllo dei cieli ad essi demandate, della presenza di velivoli nell'aerovia assegnata ad Itavia: la prova di tale conoscibilità può ritenersi raggiunta per presunzioni, tenuto conto dell'avanzato sistema radaristico di difesa aerea di cui l'Italia disponeva all'epoca dei fatti, anche in ragione del suo inserimento nel sistema NATO e della sua posizione geografica particolarmente strategica all'epoca della guerra fredda.
In questo quadro la mancata conoscenza della presenza di velivoli nell'aerovia assegnata ad Itavia potrebbe rilevare soltanto laddove vi fosse la prova (a carico dei Ministeri convenuti) che l'intrusione dell'aero militare ostile non fu percepita per fattori eccezionali ed imprevedibili. L'onere di tale prova, in presenza delle presunzioni gravi precise e concordanti sopra esplicitate deve ritenersi a carico dei Ministeri convenuti e non è stato assolto.
Anche in ordine alla dedotta imprevedibilità e inevitabilità dell'evento, sulla base della
considerazione che “pur in presenza di aerei militari stranieri ubicati nelle diverse basi
militari NATO o sulle portaerei presenti nel mediterraneo il lancio di missili e
l'abbattimento di un aereo civile costituiscono evenienze del tutto straordinarie e
imprevedibili di certo non correlabili ad eventuali carenze nel controllo del traffico aereo”
ed “in ragione dell'imprevedibilità, della repentinità e dell'inevitabilità degli ipotizzati
accadimenti (salvo che non si voglia per assurdo immaginare un obbligo per il Ministero
della Difesa di tenere costantemente in volo in tutti i cieli italiani quantità imprecisate ed
inverosimili di pattuglie aeree pronte ad intervenire in qualsiasi caso di emergenza! Ma
neppure in tal caso si potrebbero impedire con certezza eventi come il disastro di Ustica”)”
(considerazioni dell'Avvocatura dello Stato tratte dalla sentenza del 23 aprile 2007 della
Corte di Appello di Roma) devono richiamarsi – in quanto condivisibili- le valutazioni
svolte da Cass., n. 10285 del 5.5.2009 secondo cui l'imprevedibilità e straordinarietà del
lancio di missili “in linea logica poteva sussistere se l'aereo, armato con i missili, fosse
stato identificato ed autorizzato all'ingresso nei confini nazionali. Se invece l'aereo era non
identificato e si nascondeva in coda ad un aereo di linea, non poteva ritenersi
imprevedibile una condotta pericolosa in danno di tale ultimo aereo, che veniva inseguito
in violazione delle norme internazionali sugli spazi aerei” e in base alle quali, per valutare
la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento, attraverso l'assegnazione di altra rotta all'Itavia o
l'interdizione al decollo o l'obbligo di atterraggio del DC9 o l'intercettazione dell'aero ostile
da parte di aerei intercettori italiani, occorre fare riferimento “non al momento
dell'esplosione del missile ma al momento della conoscibilità dell'esistenza di tale aero
nemico da parte degli operatori dei Ministeri convenuti. Inoltre con riferimento a tale
momento doveva essere effettuato il giudizio controfattuale, al fine di stabilire se,
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adottando la condotta dovuta di sorveglianza e controllo e pretesamente omessa, nonché le misure conseguenti all'avvistamento di aereo da guerra non identificato nell'aerovia del DC9, il disastro si sarebbe evitato”.
In altri termini anche la prova della prevedibilità ed evitabilità dell'evento lancio di un missile da parte di un aereo militare non identificato (evento ascrivibile al genere eventi di attentato alla sicurezza dei cieli) può ritenersi raggiunta per presunzioni, tenuto conto dell'avanzato sistema radaristico di difesa aerea di cui l'Italia disponeva all'epoca dei fatti, anche in ragione del suo inserimento nel sistema NATO e della sua posizione geografica particolarmente strategica all'epoca della guerra fredda.
In questo quadro il nesso causale e la responsabilità dei Ministeri convenuti potrebbe essere esclusa laddove vi fosse la prova (a carico dei Ministeri convenuti) che l'evento lancio del missile da parte dell'aero militare ostile non fu evitabile per fattori eccezionali ed imprevedibili. L'onere di tale prova, in presenza delle presunzioni gravi precise e concordanti sopra esplicitate (e comunque trattandosi di prova del caso fortuito) deve ritenersi a carico dei Ministeri convenuti e non è stato assolto.
PARTE II : LA RESPONSABILITA DELLE AMMINISTRAZIONI CONVENUTE PER LE CONDOTTE DI OSTACOLO ALL' ACCERTAMENTO DELLA VERITA' IN ORDINE ALLE CAUSE DEL DISASTRO
Premessa
Gli attori chiedono nel presente processo il risarcimento del danno connesso alla condotta di concreto ostacolo all'accertamento delle cause del sinistro tenuta dagli appartenenti all'Aeronautica Militare sin dalle prime fasi successive al disastro, durante tutto il procedimento penale poi, con conseguente impossibilità di identificazione degli autori materiali del reato di strage i quali, grazie alle rilevanti omissioni perpetrate negli anni da appartenenti alle Amministrazioni convenute, sono potuti rimanere impuniti.
In particolare viene chiesto il risarcimento dei danni sotto il duplice profilo patrimoniale e non patrimoniale delle conseguenze che sono derivate da tale condotta, e cioè:
− a) dell'impossibilità di soddisfare i diritti risarcitori di cui gli odierni Attori sono portatori nei confronti dei citati ignoti individui;
− b) delle conseguenze di ordine esistenziale subite sul piano emozionale (collegabile a lesioni di norme di rango costituzionale) derivate direttamente dalla travagliatissima
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vicenda trentennale “la quale ha costantemente, di giorno in giorno e per così tanto tempo, sconvolto e torturato l’esistenza degli Attori, i quali hanno vissuto in balìa di continue ed incessanti ipotesi, smentite, diversioni, speranze, delusioni, depistaggi ed ostruzionismi, e tutto quant’altro il Tribunale adito è in grado, da solo, di appurare senza null’altra specificazione”.
Al riguardo, anche in specifica considerazione delle contestazioni mosse da parte convenuta sul punto, devono essere esattamente configurate quali siano le specifiche condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del sinistro ascritte a parte convenuta, e quale sia la situazione soggettiva di cui viene chiesta tutela sul piano risarcitorio, trattandosi di elemento imprescindibile della fattispecie di responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c. attraverso il richiamo operato da tale disposizione al requisito dell'ingiustizia del danno. Deve altresì chiarirsi quali siano i danni risarcibili in conseguenza della lesione della predetta situazione soggettiva, e in particolare affrontarsi il problema della risarcibilità o meno dei danni non patrimoniali derivati agli attori.
1. Le condotte di occultamento delle cause del disastro.
1.1. Le condotte evidenziate nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore.
Le condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del sinistro tenute dagli appartenenti all'Aeronautica Militare vengono individuate in atto di citazione per relationem mediante rinvio a quelle stigmatizzate dalla sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore.
Nell'epigrafe di tale sentenza sono elencati i capi di imputazione e gli imputati a cui sono ascritti, con la conseguenza che non appare condivisibile l'osservazione mossa sul punto dai Ministeri convenuti anche in comparsa conclusionale, per cui si tratterebbe di “ipotetici illeciti penali inammissibilmente configurati in incertam personam di dipendenti dell'amministrazione”, avendo parte attrice fatto riferimento a specifici illeciti individuati per relationem mediante il rinvio alle imputazioni e agli accertamenti contenuti nella sentenza-ordinanza del Giudice Priore.
D'altra parte l'analisi che segue consente di individuare i soggetti appartenenti all'Aeronautica Militare autori delle specifiche condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del disastro, con la conseguenza che anche sotto tale profilo non sussiste un problema di ascrivibilità dell'illecito al Ministero della Difesa convenuto.
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Le imputazioni che hanno costituito oggetto della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore riguardano:
− il reato di attentato agli organi costituzionali di cui all'art. 289 c.p. ascritto agli alti ufficiali dello SMA per avere “omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare statunitense, la ricerca di mezzi aeronavali statunitensi a partire dal 27 giugno 1980, l'ipotesi di un'esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dell'analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino, nonchè l’emergenza di circostanze di fatto non conciliabili con la collocazione della caduta del MiG Libico sulla Sila nelle ore mattutine del 18 luglio 1980, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche, che ne avevano fatto richiesta, informazioni errate - tra l'altro escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei e affermando che non era stato possibile esaminare i dati del radar di Fiumicino/Ciampino perchè in possesso esclusivo della Magistratura - anche tramite la predisposizione di informative scritte” per il quale è stato poi celebrato il processo innanzi alla Corte di Assise di Roma definito con sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto;
− una serie di reati di favoreggiamento, falsi documentali, false testimonianze e abuso d'ufficio relativi all'occultamento della notizia della presenza di traffico americano nella zona dell'incidente diffusasi nell'ambiente dell'aeronautica militare immediatamente dopo l'incidente (capi da B a G), in relazione ai quali la sentenza ordinanza del Giudice Istruttore dichiara non doversi procedere per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato riguardo alle contestazioni per abuso d'ufficio, e per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, per gli altri reati contestati;
−alcuni fatti specifici di vero e proprio depistaggio ascritti a soggetti non appartenenti all'A.M. (capi G, H e I ascritti a Sinigaglia e Zuliani);
−una serie di reati di false testimonianze, favoreggiamento, falsi documentali, soppressione di atti pubblici ascritti ad appartenenti al CRAM di Marsala e relativi all' identificazione delle tracce radar registrate in coincidenza del momento e del punto di caduta del DC9 Itavia (capi M, N, e O) in relazione ai quali la sentenza ordinanza del Giudice Istruttore dichiara non doversi procedere perchè il fatto non sussiste riguardo alle contestazioni per falso documentale, e per estinzione del reato per intervenuta prescrizione per le false testimonianze ed il favoreggiamento;
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−una serie di reati di violazione di pubblica custodia (art. 351 c.p.) e falsi documentali (tra cui la soppressione di atti pubblici ex artt. 476 e 490 c.p.) ascritti ad alcuni appartenenti al CRAM di Licola in relazione al fatto della mancata consegna all'A.G.. e dell'avvenuta distruzione del DA1 di Licola e dei plottaggi inviati la sera dell'incidente da Licola a Martina Franca via telex (capi S, T, U, V, Z, AA, e AB) in relazione ai quali la sentenza ordinanza del Giudice Istruttore dichiara non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti del capitano De Angelis, e per non aver commesso il fatto nei confronti degli imputati;
− i reati di falsa testimonianza, favoreggiamento e violazione di pubblica custodia ascritti al colonnello Fiorito De Falco, all'epoca comandante del II reparto dell'ITAV al quale era stato conferito l'incarico di accentrare tutto il materiale raccolto da Ciampino e dai vari siti della Difesa Aerea interessati all'evento, sia per l'esecuzione dei sequestri dell'Autorità Giudiziaria che per la commissione di inchiesta Luzzatti, in relazione alle vicende della ritardata messa a disposizione dei nastri di registrazione del sito di Marsala e della dispersione dei nastri di registrazione del sito di Poggio Ballone (capi AC, AD, AE) per i quali la sentenza ordinanza del Giudice Istruttore dichiara non doversi procedere per intervenuta prescrizione e per morte del reo;
− tutta una altra serie di varie false testimonianze commesse nel corso dell'istruttoria da vari appartenenti all'A.M (capi da AF in poi), relativamente ai quali per alcuni imputati è stato disposto il rinvio a giudizio mentre per altri è stato dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
E' evidente che ai sensi dell'art. 652 c.p. risulta precluso il giudizio civile in ordine alle condotte degli appartenenti delle amministrazioni convenute che hanno costituito oggetto del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Assise di Roma definito con sentenza irrevocabile di assoluzione nei confronti degli alti ufficiali dello SMA; non è pertanto in relazione alle condotte di omessa informazione del livello politico -circa la presenza ( o la notizia diffusasi della presenza) di traffico militare in zona in orario prossimo a quello del disastro e circa le risultanze dei dati radar- che può affermarsi nel presente giudizio la responsabilità civile delle amministrazioni convenute.
E altrettanto evidente che però non sussiste alcuna preclusione all'accertamento, nel presente giudizio, della responsabilità dei Ministeri convenuti per le altre condotte degli appartenenti all'A.M. che hanno costituito oggetto dell'istruttoria formale e in relazione alle quali è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per una
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causa estintiva del reato (prescrizione o morte del reo), quali quelle ascritte nei capi di imputazione per falsa testimonianza e favoreggiamento a carico degli appartenenti al CRAM di Marsala , per violazione di pubblica custodia e soppressione di atti pubblici ascritti agli appartenenti al CRAM di Licola (in relazione al fatto della mancata consegna all'A.G. e dell'avvenuta distruzione del DA1 di Licola e dei plottaggi inviati la sera dell'incidente da Licola a Martina Franca via telex), per falsa testimonianza, favoreggiamento e violazione di pubblica custodia ascritti al col. Fiorito De Falco (in relazione alla mancata consegna e dispersione dei nastri di registrazione di Poggio Ballone e alla ritardata consegna dei nastri di Marsala).
In relazione alla vicenda della mancata consegna all'A.G. e dell'avvenuta distruzione del DA1 di Licola e dei plottaggi inviati la sera dell'incidente da Licola a Martina Franca via telex, si rileva infatti che, anche se nei confronti di alcuni imputati è stato dichiarato non doversi procedere per non aver commesso il fatto, il fatto in sé risulta accertato dalla sentenza ordinanza del Giudice Istruttore, ed infatti nei confronti dell'imputato De Angelis è dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
D'altra parte la prescrizione del reato non incide, nel caso di specie, sulla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, per il diverso dies a quo di decorrenza dei due termini di prescrizione (del reato e del diritto al risarcimento del danno), come verrà motivato nella parte della presente sentenza dedicata all'eccezione di prescrizione.
Così chiariti i limiti delle preclusioni derivanti dal procedimento penale questo giudice ritiene superfluo prendere in considerazione le condotte di occultamento della verità analizzate nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore relative alla notizia, diffusasi nell'immediatezza del sinistro, circa la presenza di traffico americano nella zona, e anche quelle contestate nei vari reati falsa testimonianza; infatti, ai fini del riconoscimento della fattispecie di responsabilità in esame, è sufficiente considerare la sola mancata messa a disposizione dell'autorità giudiziaria di tutta la documentazione disponibile al momento del disastro relativa ai dati radar concernenti il volo del DC9 dal suo inizio alla sua fine (nastri di registrazione, registri DA1 e altri registri di sala dei vari CRAM interessati dalla rotta del volo, con particolare riguardo ai nastri di registrazione di Poggio Ballone, al DA1 di Licola e al DA1 di Marsala per i periodi di tempo del 27.6.1980 in cui questo sito non ha
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proceduto a registrazione) e la sua avvenuta distruzione in contrasto con gli obblighi che derivavano dai decreti sequestro emessi fin dall'immediatezza dalle Procure di Palermo e di Roma, e dal fatto che riguardavano un incidente di volo, e comunque in contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione che avrebbero imposto la massima collaborazione con l'autorità giudiziaria che stava indagando sulle cause del disastro.
L'obbligo dell'A.M. di mettere a immediata disposizione dell'A.G. tutta la documentazione utile per l'accertamento delle cause del disastro (e comunque di non distruggerla poi negli anni, nonostante fosse in corso un'inchiesta giudiziaria sulle cause del disastro nell'ambito della quale, come era noto all'A.M., uno degli elementi più controversi sin da subito è sempre stato quello del coinvolgimento o meno di un velivolo militare nell'incidente) è configurabile, in base ai principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione anche a prescindere dal tenore letterale e dalle vicende relative agli iniziali decreti di sequestro, i quali peraltro sono stati negativamente influenzati (nella determinazione del loro oggetto che è stata fatta con ricorso a formule generali e non con specifico riferimento alla tipologia di registri richiesti) dalla mancanza di conoscenza da parte dei magistrati del modo di funzionamento di un sito radar e della tipologia di documentazione esistente in relazione ai dati registrati dai radar militari e alle operazioni compiute al radar dagli operatori.
Tali condotte omissive (mancata consegna all'autorità giudiziaria della documentazione relativa ai rilevamenti radar dei siti della D.A. interessati dalla rotta del DC9) e attive (avvenuta distruzione della predetta documentazione nonostante concernesse un fatto così grave per il quale erano in corso complesse e discusse indagini della magistratura), hanno in concreto ostacolato l'accertamento delle cause del disastro, come evidenziato nella parte della presente motivazione relativa alla ricostruzione di tali cause, nella quale sono stati specificamente indicati i principali documenti mancanti e la ragione per cui la loro disponibilità avrebbe apportato un indispensabile contributo all'accertamento dei fatti (e alla quale pertanto sul punto si rinvia).
Tali condotte devono ritenersi quanto meno gravemente colpevoli in pendenza di un'indagine dell'autorità giudiziaria su un fato così grave, nel quale avevano perso la vita 81 persone, anche per l'evidenziato contrasto con i principi di buon andamento e
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imparzialità dell'amministrazione.
L'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per gli ostacoli frapposti dal Ministero della Difesa all'accertamento delle cause del sinistro, per le condotte appena descritte, assorbe ogni altra questione prospettata dagli attori quale titolo per il risarcimento di tale voce di danno.
1.2. La vicenda della mancata consegna e dell'avvenuta distruzione della documentazione relativa ai dati radar
Per consentire una migliore comprensione della gravità delle condotte di omessa consegna alla A.G. e successiva distruzione della documentazione in questione, nonché dell'elemento soggettivo che tali condotte ha accompagnato, appare opportuno un approfondimento in relazione all'oggetto e alle vicende relative ai primi decreti di sequestro emessi dall'A.G.
Il decreto di sequestro emesso in data 5 luglio 1980 dalla Procura di Palermo concerneva “le registrazioni delle intercettazioni dei radar militari comunque operanti sul Mar Tirreno nella notte tra venerdì 27 giugno e sabato 28 giugno 80, tra le ore 20.00 e le ore 23.15”. In tale provvedimento era disposto che “le registrazioni fossero immediatamente consegnate, da chiunque le avesse detenute ed ovunque si fossero trovate, all’ufficiale di PG all’uopo incaricato”.
Dal tenore letterale di tale decreto risulta evidente che quell’AG voleva acquisire i dati radar relativi non solo al momento della caduta o ad un tempo di poco precedente l’evento, ma su tutto il volo – è ovvio che gli orari indicati nel provvedimento sono in ora locale – e ben oltre, per più di due ore oltre il disastro, nel chiaro intento di ricostruire le modalità del volo dal decollo all’evento di caduta, e anche quanto verificatosi nel cielo del Tirreno nei tempi successivi al disastro.
Nell'oggetto di tale decreto rientravano pertanto indubbiamente sia i nastri di registrazione di Poggio Ballone sia il DA1 di Licola, sito che all'epoca operava in fonetico manuale e non disponeva pertanto di registrazioni su supporto magnetico dei dati rilevati dal radar e delle operazioni compiute in sala operativa su tali dati, ma solo di registri di sala in cui venivano registrati i dati fondamentali relativi ai rilevamenti del radar; vi rientrava senza dubbio anche il DA1 di Marsala registro che avrebbe dovuto essere tenuto nei periodi in cui in tale sito (che all'epoca era semiautomatizzato) non ha proceduto alle registrazioni su nastro magnetico dei dati
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rilevati dal radar e cioè dalle ore 19.04Z alle ore 19.12Z e dalle ore 19.22Z alle ore 19.48Z.
Deve tuttavia evidenziarsi la peculiarità e l'anomalia della fase di esecuzione di tale decreto di sequestro, delegata al comandante del Gruppo Carabinieri di Palermo con facoltà di subdelega (v. decreto di sequestro Procura di Palermo, 05.07.80; cfr. sulla vicenda quanto analiticamente esposto nella sentenza ordinanza del G.I. a pagg. 56 e ss. PARTE 1a LIBRO 1°, CAPO 1°, TITOLO 1, Capitolo I, par. 3.1. e 3.4.), caratterizzata da tre circostanze:
− il decreto di sequestro non venne mai formalmente notificato ma solo comunicato il 7 luglio 1980 mediante invio di un messaggio in cifra al Comando della 3a Regione Aerea a Bari;
−nella sua comunicazione all'A.M. venne aggiunta in fase di esecuzione una limitazione al suo oggetto;
− la documentazione oggetto del decreto non venne direttamente acquisita dalla p.g. incaricata dell'esecuzione, ma concentrata presso l'aeroporto di Trapani Birgi e poi trasmessa all'ITAV;
− in data 12 luglio 80 il comandante del Gruppo Carabinieri di Palermo, tenente colonnello Valentini Francesco, riferiva alla Procura della Repubblica di Palermo che il Comando della 3a Regione Aerea aveva fatto presente che per poter procedere alla consegna di detto materiale era necessaria una comunicazione da parte dell’AG al Gabinetto del Ministro per la Difesa, anche a mezzo telegramma.
Ed invero il 7 luglio 1980 il comandante del Gruppo, tenente colonnello Francesco Valentini, inviava un messaggio in cifra al Comando della 3a Regione Aerea a Bari, comunicando la delega ricevuta, ma aggiungendo all’oggetto del sequestro, lì ove si indicavano i radar militari comunque operanti sul mar Tirreno, una precisazione limitativa e cioè la frase “con particolare riferimento all’allineamento Latina-Ponza- Palermo”. Richiedeva poi, il colonnello Valentini, l’accentramento del materiale presso il Comando della 3a Regione e di essere avvisato al momento della disponibilità di esso (v. messaggio da CC. Gruppo Palermo a Comando 3a Regione Aerea, 07.07.80). Con la limitazione sopra specificata venivano esclusi dal provvedimento tutti quei radar che comunque vedono sul Tirreno e comunque seguono il volo del DC9, e di cui nel prosieguo dell’istruttoria emergerà tutta
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l’importanza, ovvero Poggio Ballone, Potenza Picena, Poggio Renatico, Capo Mele, Siracusa. Il colonnello Valentini non è stato in grado di chiarire per quale ragione abbia apposto tale limitazione al contenuto del sequestro.
Il decreto non fu mai formalmente notificato ad alcun organo dell’Aeronautica Militare (anche perché nel frattempo l’inchiesta viene trasferita a Roma e il sostituto procuratore incaricato emette il 16 luglio successivo un autonomo, anche se analogo, provvedimento) anche se il Comando della 3a Regione Aerea ne era venuto a conoscenza.
Altra “stranezza” verificatasi nel corso di questa esecuzione è l’“invito” da parte dell’A.M. al magistrato di informare il Gabinetto del Ministero della Difesa. L’esercizio del potere di acquisizione del PM – come si legge anche nel documento della Commissione Stragi avente ad oggetto questa specifica vicenda – non prevede l’assolvimento di formalità preventive di tal genere. Né quell’invito poteva stimarsi preordinato alla proposizione di eccezione di insequestrabilità, giacchè l’AM avrebbe potuto direttamente ed autonomamente sollevare la questione del segreto militare senza essere condizionata dalla comunicazione del magistrato al Gabinetto della Difesa (v. scheda Commissione Stragi sul sequestro dei nastri di registrazione del Centro Radar di Marsala, 02.04.90).
Comunque - nonostante la mancanza di formale notificazione, nonostante la limitazione all'oggetto del decreto impropriamente inserita dalla p.g. delegata all'esecuzione del provvedimento e nonostante la rappresentata necessità del nulla osta del Ministero della Difesa per dare esecuzione al sequestro - nel frattempo l'A.M. procedette alla concentrazione del materiale indicato nel decreto di sequestro, raccogliendo presso l’aeroporto di Trapani-Birgi le registrazioni di più Centri Radar. Infatti il 10 luglio il comandante della 3a Regione Aerea ordinava quell’accentramento, rivolgendosi alla 1a Regione Aerea di Milano, al 21° CRAM di Poggio Ballone – e questi due indirizzi potrebbero dimostrare che si stava operando nonostante la limitazione Valentini – al 22° CRAM di Licola e al 35° CRAM di Marsala, e disponendo che il 3° ROC di Martina Franca provvedesse a formare tre copie del materiale da destinare rispettivamente all’ITAV 2° Reparto, allo Stato Maggiore della 3a Regione e al Comando dell’aeroporto di Trapani-Birgi (v. telex Stato Maggiore 3a Regione Aerea, 10.07.80).
E' evidente pertanto che il comando della 3a Regione Aerea era a perfetta conoscenza
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dell'esistenza e dell'oggetto del decreto di sequestro, e risulta difficile comprendere allora perchè il DA1 di Licola, i nastri di Poggio Ballone e il DA1 di Marsala non siano stati conservati e consegnati all'A.G.
Infatti tale documentazione non venne mai consegnata ad alcuna A.G., nonostante che la Procura di Palermo, anche dopo il passaggio per competenza dell'indagine alla Procura di Roma, su delega di quest'ultima avesse instaurato i rapporti con il Ministero della Difesa rappresentati come necessari per ottenere la consegna all'A.G. della documentazione oggetto di sequestro. Ed invero:
− il 28 agosto il sostituto procuratore di Palermo Guarino comunicò al Comando del Gruppo CC. di Palermo di aver informato il Ministero della Difesa del provvedimento di sequestro e ne sollecitò la pronta esecuzione (v. nota Procura di Palermo, 28.08.80);
− il 6 settembre il Comando Carabinieri di Palermo chiese all’ITAV-Traffico presso quale ufficio potesse prelevare la documentazione sottoposta a sequestro dal dr. Guarino, avendo il comando dell’aeroporto Trapani-Birgi informato che essa era stata inviata all’ITAV (v. nota Comando CC. Palermo, 06.09.80);
− il 9 successivo l’ITAV comunicò al Comando del Gruppo Carabinieri di Palermo che la documentazione inviata da Trapani-Birgi era stata consegnata il 22 luglio alla Guardia di Finanza, in esecuzione al decreto di sequestro del dr. Santacroce (v. messaggio da ITAV-Traff Roma-EUR a CC. Gruppo Palermo, 09.09.80);
− il 10 seguente il tenente colonnello Guglielmo D’Auria, del Comando del Gruppo CC. di Palermo, informò il dr. Guarino che l’ITAV aveva già comunicato che la documentazione radar richiesta, già inviata all’ITAV dal Comando dell’aeroporto militare di Trapani-Birgi, era stata consegnata il 22.07.80 tramite Guardia di Finanza al p.m. di Roma dr. Santacroce in esito al suo decreto emesso il 16.07.80 (v. nota da Gruppo CC. Palermo a Procura Palermo, 10.09.80).
Ma non corrisponde a verità che il 22 luglio, in occasione dell'esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma fu consegnata a quella A.G. anche la documentazione che era stata oggetto del decreto di sequestro della Procura di Palermo, perchè sicuramente in tale occasione non furono consegnati né il DA1 di Licola né il DA1 di Marsala né i nastri di registrazione di Poggio Ballone ( che non è chiaro se siano mai stati concentrati presso Trapani Birgi e da qui inviati all'ITAV) e
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neppure la THR sicuramente trasmessa da Poggio Ballone a Trapani Birgi e da qui all'ITAV.
Ed invero in relazione all'esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma si rileva quanto segue:
− il 16 luglio la Procura di Roma, oramai titolare dell’inchiesta, emise nuovo decreto di sequestro delle registrazioni. Questo provvedimento concerneva specificamente, tra l'altro : 1. le registrazioni su nastro magnetico dei tracciati del radar della difesa aero- territoriale operante nella zona compresa tra Latina-Ponza-Palermo, “da ricercarsi presso l’ITAV-Traffic di Roma-Eur”; 2. le registrazioni su nastro magnetico dei tracciati radar “Marconi e Selenia” riguardanti il volo IH-870 Bologna-Palermo del 27.06.80, “da ricercarsi come sopra” (cfr. sulla vicenda relativa a tale decreto di sequestro quanto analiticamente esposto a pagg. 56 e ss. della sentenza ordinanza PARTE 1a LIBRO 1°, CAPO 1°, TITOLO 1, Capitolo I, par. 3.4.);
− nell'oggetto letterale di tale decreto non possono ricondursi né il DA1 di Licola né i nastri di Poggio Ballone in quanto esso riguardava, a differenza di quello emesso dalla Procura di Palermo, le sole “registrazioni su nastro magnetico” dei tracciati radar e con la limitazione della “zona compresa tra Latina-Ponza-Palermo”;
− tale decreto veniva notificato il 21 luglio nelle mani del comandante del 2° Reparto dell’ITAV, il colonnello Fiorito De Falco;
− costui nel verbale di notifica rendeva le seguenti dichiarazioni: “le registrazioni dei tracciati radar della Difesa Aerea operanti nella zona tra Latina-Ponza e Palermo (CRAM Licola e CRAM Palermo) sono state accentrate presso l’aeroporto di Palermo a seguito di accordi precedenti con l’AG di Palermo per facilitarne la messa a disposizione della predetta Procura, precedentemente incaricata del caso in esame. Le registrazioni magnetiche dei radar Selenia e Marconi sono ancora in possesso di questa RIV di Ciampino, ente presso il quale sono attestati i predetti radar. Le registrazioni magnetiche inerenti le comunicazioni TBT tra velivolo IH-870 e l’ente di controllo principale (Roma) sono parimenti giacenti presso la Direzione RIV di Ciampino, in quanto sottoposte a sequestro da parte della Magistratura di Palermo, precedentemente interessata alle indagini. Per quanto sopra disporrò immediatamente di far affluire presso l’ITAV-Traff. il materiale di cui sopra per la consegna alla Procura della Repubblica di Roma in ottemperanza a quanto disposto
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dalla stessa” (v. processo verbale di notifica, 21.07.80);
−il giorno seguente avvenne la consegna del seguente materiale: “- nr.1 nastro magnetico dei tracciati radar “Marconi e Selenia” riguardante il volo IH-870 Bologna-Palermo del 27.06.80, contrassegnato dal nr.A0041, corredato di “Listing Plots” e di “Planimetria” 1:1.000.000, contenente lo sviluppo grafico della traiettoria. - nr.3 bobine delle comunicazioni TBT e telefoniche inerenti il volo IH- 870 Bologna-Palermo del 27.06.80 contrassegnate a cifre romane in I, VI e VII, relative a Roma controllo, mentre per quanto riguarda le bobine delle comunicazioni TBT e telefoniche relative a Bologna TWR, sono già state messe a disposizione della AG di Bologna, e precisamente sono state consegnate al dr. Bucciarelli Luigi della Questura di Padova in data 04.07.80. - Stralcio delle registrazioni dei tracciati radar della Difesa Aerea territoriale di Licola e Marsala”. A proposito di queste ultime registrazioni il detto colonnello specificava a verbale che il radar di Licola non aveva nastri di registrazioni in quanto basato su sistema fonetico-manuale. Le registrazioni su nastro relative al radar di Marsala erano invece inserite nell’elaboratore elettronico di tale radar e “disponibili per l’eventuale decodifica da parte della Commissione d’inchiesta, perché sulle stesse sono riportati dati di carattere classificato”. (v. processo verbale di sequestro, 22.07.80).
Così come emerge da questo verbale il Fiorito De Falco non consegnava la documentazione di Poggio Ballone, pur pervenuta da Trapani Birgi, documentazione che unitamente a quella di Licola e Marsala era stata concentrata in quell’aeroporto (e non in quello di Palermo, come asserito dal Fiorito il 21 luglio), per essere consegnata ad un ufficiale dei Carabinieri del Gruppo di Palermo a seguito del decreto di sequestro emesso dall’Autorità Giudiziaria di Palermo il 5 luglio.
La circostanza che l'ITAV avesse ricevuto dall'aeroporto di Trapani Birgi anche la documentazione di Poggio Ballone emerge inconfutabilmente dalla lettera che accompagnava il plico a firma del comandante dell’aeroporto di Trapani Birgi, colonnello Pentericci Giorgio, indirizzata all’attenzione del colonnello Fiorito De Falco, con la quale si comunicava che: “Seguito contatti verbali con capo Ufficio Operazioni della 3a Regione Aerea, in allegato si trasmettono le registrazioni effettuate dai CRC di Marsala, Licola e Poggio Ballone il 27.06.80 dalle ore 18.00 alle ore 21.34”.
Nonostante dalle dichiarazioni rese da Fiorito De Falco in sede di notifica ed
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esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma costui sembrerebbe fare riferimento tanto all'oggetto di tale decreto quanto all'oggetto del decreto di sequestro della Procura di Palermo, (riferendosi, nel verbale di notifica anche alle registrazioni di dati radar di Licola, su supporto diverso da quello magnetico, accentrate presso l’aeroporto di Palermo, e consegnando lo “Stralcio delle registrazioni dei tracciati radar della Difesa Aerea territoriale di Licola e Marsala”) è innegabile che in sede di esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma non furono consegnati all'A.G. né il DA1 di Licola né i nastri di registrazione di Poggio Ballone, né le THR di Poggio Ballone.
La mancata consegna, il 22 luglio in occasione dell'esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma, del DA1 di Licola e dei nastri di Poggio Ballone e delle THR di Poggio Ballone (oggetto del decreto di sequestro della Procura Palermo), contrasta con quanto sarebbe dato credere avvenuto sulla base della risposta fornita il 10 settembre al p.m. di Palermo dal tenente colonnello Guglielmo D’Auria, del Comando del Gruppo CC. di Palermo, relativa alla sollecitazione di dare esecuzione immediata al decreto di sequestro di Palermo, rivolta a quel Comando (incaricato dell'esecuzione del decreto di sequestro) il 28 agosto dal sostituto procuratore di Palermo Guarino. In tale risposta quel Comando dichiara che quanto concentrato presso l'aeroporto di Trapani Birgi è stato trasmesso all'ITAV e da quest'ultima consegnato all'A.G. di Roma il 22 luglio. Sulla base di tale risposta sarebbe stato legittimo attendersi l'avvenuta consegna da parte dell'ITAV all'A.G. di Roma anche del DA1 di Licola, dei nastri di Poggio Ballone e delle THR di Poggio Ballone, non evidenziandosi in tale risposta né che presso l'aeroporto di Trapani Birgi non erano stati concentrati tutti i i documenti oggetto del decreto di sequestro di Palermo, né che non tutti i documenti trasmessi da Trapani Birgi all'ITAV erano stati consegnati all'A.G. di Roma.
La mancata consegna all'A.G. del DA1 di Licola, e dei nastri di registrazione e della THR di Poggio Ballone può essere dipesa:
− dal fatto che tali documenti non siano mai pervenuti tra quelli concentrati presso l'aeroporto di Trapani Birgi, poi trasmessi da questo aeroporto all'ITAV;
− dal fatto che pur essendo pervenuti a Trapani Birgi tali documenti non siano stati trasmessi da tale aeroporto all'ITAV;
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−dal fatto che l'ITAV, pur avendoli ricevuti dall'aeroporto di Trapani Birgi non li abbia poi consegnati all'A.G..
La THR di Poggio Ballone risulta accentrata a Trapani-Birgi e poi trasmessa all'ITAV, sulla base delle dichiarazioni rese dal capo Ufficio Operazioni del sito di Poggio Ballone, capitano Pongiluppi, che aveva recapitato all'aeroporto di Grosseto il plico da consegnare all'areoporto di Trapani Birgi, e della nota di accompagnamento del plico a firma del comandante dell’aeroporto di Trapani Birgi, colonnello Pentericci Giorgio, indirizzata all’attenzione del colonnello Fiorito De Falco, di cui si è detto sopra.
Per quanto concerne i nastri di registrazione di Poggio Ballone non vi è invece nessuna certezza che essi siano stati trasmessi da Poggio Ballone all'aeroporto di Trapani Birgi, e da quest'ultimo all'ITAV, stante il contrasto sul punto tra le dichiarazioni rese dal capo Ufficio Operazioni del sito di Poggio Ballone, capitano Pongiluppi, che aveva recapitato all'aeroporto di Grosseto il plico da consegnare all'aeroporto di Trapani Birgi, e quelle rese dai tenenti colonnelli Maresio Luigi, vice comandante del 4° stormo e Gon Alessandro, che in aereo avevano portato il plico a Trapani Birgi e che sostengono che il plico recapitato conteneva i nastri di registrazione (per le vicende relative alla documentazione del sito di Poggio Ballone si rinvia alla parte della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore specificamente dedicata al 21° CRAM di Poggio Ballone, pagg. 396 e ss. PARTE 1a LIBRO 1°, CAPO 1°, TITOLO 2, Capitolo I, par. 4).
Appare opportuno riportare la ricostruzione dei fatti effettuata in proposito nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore. “Il 10 luglio, alle ore 13.50 era pervenuto al 21° CRAM dalla 3a Regione Aerea il telex nr.TR3-134/3032/NC/G53-1, relativo al decreto di sequestro emesso dall’AG di Palermo delle registrazioni, come detto, intercettazioni radar militari comunque operanti nel mar Tirreno tra le ore 20.00 e le 23.15 del 27.06.80. Nel telex si precisava che la documentazione doveva essere inviata presso l’aeroporto di Trapani-Birgi, ove sarebbe stata consegnata ai Carabinieri di Palermo. Il telex era stato posto in visione al capitano Felici Lino, capo controllore di sala operativa nel turno pomeridiano del 10.07.80, che vi aveva apposto la propria sigla senza alcuna determinazione. Il messaggio era stato poi protocollato dal CRAM in data 11.07.80 con il nr.G37-4/0739/2-1 ed il capo Ufficio Operazioni, capitano Pongiluppi, aveva annotato, di proprio pugno sulla cedola di
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smistamento pratiche, che la Track History era stata già inviata al Comando del 1°
ROC/SOC a mezzo corriere. Il 13 luglio 80, domenica, il capitano Pongiluppi
predisponeva e firmava una missiva indirizzata al Comando aeroporto di Trapani
Birgi, avente come oggetto: “incidente del DC9 Itavia”, e come riferimento il telex
della 3a Regione Aerea. Con essa si trasmetteva la documentazione richiesta
telefonicamente dal Comando del 1° SOC/ROC. Lo stesso giorno Pongiluppi da
Poggio Ballone si recava presso la sede del 4° stormo cioè all’aeroporto di Grosseto
per consegnare il plico da recapitare a mezzo corriere aereo al Comando aeroporto
di Trapani-Birgi. Prima della consegna passava per la stazione ferroviaria di
Grosseto, ove effettuava alcune fotocopie delle undici cartine costituenti il plico, in
quanto presso la sede del CRAM non era disponibile la macchina fotocopiatrice.
Subito dopo presso la sede del 4° Stormo consegnava il plico, non ricordando però a
chi. Agli atti risulta una ricevuta di consegna di detto plico a firma del tenente
colonnello Gon Alessandro, capo Ufficio Operazioni del 4° Stormo. Il capitano
Pongiluppi non ricordava se avesse avvertito il Comando aeroporto di Trapani-Birgi
dell’arrivo del corriere da Grosseto. (v. esame Pongiluppi Dante, GI 03.10.95). Alle
ore 11.00 sempre di quel 13 i tenenti colonnelli Maresio Luigi, vice comandante del
4° stormo e Gon Alessandro, con un velivolo MB326, decollavano da Grosseto con
destinazione Trapani Birgi, ove atterravano alle ore 12.20. Qui consegnavano il
plico ad un ufficiale dell’Aeronautica Militare di cui non ricordavano nè nominativo
nè grado. Maresio e Gon hanno sempre dichiarato agli inquirenti che il plico
trasportato e recapitato a Trapani conteneva nastri di registrazione, in quanto era di
forma circolare e di consistenza metallica. (v. esami Maresio Luigi e Gon
Alessandro, GI 26.03.92). Il Pongiluppi ha invece dichiarato che il plico da lui
confezionato e recapitato a Grosseto conteneva documentazione cartacea consistente
in una Track History e undici cartine riportanti alcune tracce. (v. esami Pongiluppi
Dante, GI 03.10.95 e 08.11.95). Il 14 luglio veniva predisposta una missiva per
l’invio all’ITAV - 2° Reparto concernente le copie di undici cartine che erano state
recapitate il giorno prima anche a Trapani (...)Il 21.07.80 il colonnello Fiorito
firmava un messaggio indirizzato per competenza agli aeroporti di Ciampino e
Trapani Birgi e per conoscenza alla 2a e 3a RA e al 2° e 3° Reparto dello SMA, nel
quale si richiedeva la trasmissione di quanto richiesto nel decreto di sequestro
(16.07.80), a seguito di accordi intercorsi con le Regioni Aeree competenti, con la
massima urgenza. Il messaggio veniva trasmesso la mattina del 22.07.80 alle ore
07.30. Il 21.07.80, alle ore 13.20 locali un velivolo G91T del 32°Stormo di Brindisi
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con i piloti capitano Gorga Pasqualino (deceduto) e Gennari Cosimo, decollava dall’aeroporto di Brindisi con destinazione Trapani Birgi per ritiro plico da consegnare all’ITAV. Alle ore 17.45 locali atterravano all’aeroporto di Ciampino. Il plico veniva consegnato a personale, di cui il tenente Gennari non ricordava il Reparto di appartenenza. Sempre costui non era in grado di riferire nulla sul contenuto del plico. (v. esame Gennari Cosimo, GI 21.03.96). Il plico recapitato era accompagnato da una lettera a firma del comandante dell’aeroporto di Trapani Birgi, colonnello Pentericci Giorgio, indirizzata all’attenzione del colonnello Fiorito De Falco, con la quale si comunicava che: “Seguito contatti verbali con capo Ufficio Operazioni della 3a Regione Aerea, in allegato si trasmettono le registrazioni effettuate dai CRC di Marsala, Licola e Poggio Ballone il 27.06.80 dalle ore 18.00 alle ore 21.34”. Il 22.07.80 il colonnello Fiorito De Falco consegnava ai sottufficiali della Guardia di Finanza la documentazione richiesta dalla Procura di Roma. Veniva così acquisito lo stralcio delle registrazioni dei tracciati radar della Difesa Aerea territoriale di Licola e Marsala. Nell’occasione il Fiorito De Falco riferiva che il radar di Licola non aveva nastri di registrazione in quanto basato su sistema fonetico-manuale, mentre le registrazioni su nastro relative al radar di Marsala erano inserite nell’elaboratore elettronico del citato radar. ”.
La copia della THR di Poggio Ballone verrà poi acquisita da parte dell'autorità giudiziaria grazie ai sequestri del 2.7.1990 presso il I ROC di Monte Venda, del 25.5.1995 presso la I Regione Aerea di Milano e del 27.3.1996 presso lo SMA.
Da tali sequestri alla data del 27.03.96, dopo varie e difficili ricerche, sono acquisite
quattro THR prodotte dal sito di Poggio Ballone; in proposito Priore riscontra la
presente anomalia “confrontate, si riscontrava che tre - sequestrate la prima in data 2
luglio 90 al 1° ROC, la seconda il 25 maggio 95 alla 1a Regione Aerea e l’ultima il
27.03.96 presso lo SMA - (quest’ultima pervenuta dalla 1a Regione Aerea in data
04.07.88) - risultavano uguali tra di loro, con una mancanza di dati tra le ore 18.30Z
e le ore 18.33Z; e che invece la quarta - sequestrata in data 27.03.96 presso lo SMA,
ov’era pervenuta in data 01.06.90 dal 1° ROC - confrontata con le altre tre
presentava le seguenti differenze: - non aveva una numerazione progressiva come le
altre copie da pagina 1 a pagina 305, bensì presentava alcune ripetizioni, da pagina
2 a pagina 69; da pagina 1 a pagina 21; da pagina 1 a pagina 228; - vi era un vuoto
di registrazione da ore 18.31.540Z a ore 18.36.251Z, mentre nelle altre tre copie il
vuoto è compreso tra le ore 18.30.180Z e le ore 18.33.536Z; - non vi era la
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ripetizione di dati da ore 19.32.276Z a ore 19.37.186Z, invece presente nelle altre tre copie; - mostrava degli “Zero Length Record” in orari diversi rispetto alle altre tre copie; - era stampata in unica copia originale a modulo continuo, mentre le altre tre risultavano esser copie di una stampata a modulo continuo formata da quattro fogli.”
I nastri di registrazione di Poggio Ballone, non sono mai stati acquisiti acquisiti dalla A.G. (nonostante che molti anni dopo siano stati emessi decreti di sequestro del G.I. aventi tale specifico oggetto) e risulterebbero rimessi in circolo il 22.08.80, secondo le normali consuetudini per cui i nastri di registrazione numerati, una volta terminati in un primo tempo venivano conservati e dopo 30 giorni rimessi in circolo (sebbene in realtà i nastri nr.60 e 61 non siano stati reimpiegati subito dopo l’ultimazione del ciclo dei nastri a disposizione e cioè il 31 luglio, ma bensì il 22.08.80, come risulta dal registro MIO e dall’ordine cronologico; questo differimento lascia supporre al Giudice Priore che fosse giunto l’ordine di non rimetterli in circolo, oppure che fossero stati inviati, a seguito di sequestro dell’AG di Palermo, all’aeroporto di Trapani Birgi il 13 luglio 80, come dichiarato dai tenenti colonnelli Gon e Maresio).
Quanto al DA1 di Licola non è dato comprendere se lo stesso sia mai stato trasmesso presso l'aeroporto di Trapani Birgi unitamente al plottaggio (che è una mera estrapolazione dei dati del DA1) che risulta essere stato accentrato presso questo sito e poi trasmesso all'ITAV e da questa all'autorità giudiziaria.
Ed invero sebbene il Tenente colonnello Mandes, all'epoca comandante del CRAM di Licola abbia dichiarato che secondo consuetudine il DA1 dovesse essere allegato alle minute dei plottaggi, esso non risulta allegato alla copia della missiva e dei plottaggi inviati dal CRAM di Licola all'ITAV l'11.7.1980 (acquisiti dall'A.G. presso l'ITAV il 25.11.1988) né alla copia della medesima missiva e dei plottaggi trasmessa all'A.G. dalla 2a Regione Aerea - Stato Maggiore - 3° Ufficio Operazioni Addestramento, con missiva del 21.11.88; d'altra parte dai registri di protocollo tenuti negli anni 80 e 84 presso il 22° GRAM di Licola, sequestrati, non emerge alcun riferimento alla distruzione del brogliaccio DA1 e risulta, invece, l’avvenuta distruzione della lettera nr.G33-9/589/1 dell’11.07.80, concernente la trasmissione dei plottaggi (sulle vicende relative alla documentazione del sito di Licola cfr. sentenza ordinanza del Giudice Istruttore PARTE 1a LIBRO 1°, CAPO 1°, TITOLO I, Capitolo III, par. 5 e PARTE 1a LIBRO 1°, CAPO 1°, TITOLO 2, Capitolo I, par. 2.3).
Le successive ricerche del DA1 di Licola effettuate dal Giudice Istruttore, mediante
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l'emissione di un decreto di sequestro in data 3.11.1989 avente tale specifico oggetto, presso le varie articolazioni dell'A.M ( e in particolare presso il CRAM di Licola, lo SMA della III Regione aerea, il III ROC di Martina Franca e l'ITAV) hanno sempre avuto esito negativo.
Il DA1 di Marsala non risulta sia mai stato inviato all'aeroporto di Trapani Birgi, né mai consegnato all'A.G.; tale registro avrebbe dovuto essere tenuto nei periodi in cui in tale sito (che all'epoca era semiautomatizzato) non ha proceduto alle registrazioni su nastro magnetico dei dati rilevati dal radar e cioè dalle ore 19.04Z alle ore 19.12Z e dalle ore 19.22Z alle ore 19.48Z, buchi di registrazione giustificati dagli operatori del sito adducendo trattarsi del tempo necessario per procedere al cambio dei nastri resosi necessario in ragione dell'esecuzione dell'esercitazione simulata Synadex.
A proposito della condotta tenuta dagli operatori del CRAM di Marsala si osserva che, anche ad ammettere che l'esercitazione simulata Synadex sia effettivamente iniziata in orario immediatamente successivo alle ore 19.00 (come sostenuto da molti degli operatori di quel sito) la condotta di tale sito radar non può non considerarsi almeno gravemente colpevole in quanto:
− la sospensione della registrazione dopo l'incidente, sia pure per lo svolgimento della ripetutamente invocata esercitazione simulata, non trova alcuna valida giustificazione in presenza di un evento così grave che si era appena verificato, quale la scomparsa ai radar di un velivolo civile, che avrebbe dovuto indurre il comandante di quel sito a non iniziare proprio l'esercitazione prevista per le ore 19.00;
− i tempi in concreto usati per i presunti cambi di nastro non si giustificano alla luce dei tempi indicati dagli stessi operatori MIO quali tempi necessari per tale operazione (3-4 minuti) con la conseguenza che, anche a voler ritenere vero che la causa dei buchi di registrazione sia quella invocata dal comandante del sito di Marsala, è ravvisabile una condotta gravemente colpevole di quel sito in relazione alla mancata registrazione del traffico reale nella fase immediatamente successiva all'incidente;
− comunque lo svolgimento di tale esercitazione simulata non esonerava quel sito, e in generale il sistema di difesa aerea, dal proseguire nella rilevazione e nel controllo del traffico reale, e nella sua correlativa documentazione, almeno secondo il sistema fonetico-manuale e cioè mediante la tenuta del registro DA1;
− deve ritenersi che durante i periodi in cui il CRAM di Marsala non ha proceduto
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alla registrazione su nastro magnetico il traffico reale sia stato comunque seguito, anche se non documentato, come risulta dalle circostanze evidenziate dall'NPC di Bruxelles che ha esaminato i nastri di Marsala (cfr. pag. 2213 ss. Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, cap. LXV della sentenza ordinanza del G.I.): a) che nel periodo intorno all'incidente manca l'inizializzazione e il tracciamento della traccia relativa alla entry 51 che deve essere stata usata tra le ore 19.02 e le ore 19.14, in quanto in quei momenti vengono usate le entry 41 e 61; b) che dalla registrazione dopo le ore 19.48 risulta che erano in atto operazioni di guida assistita di un velivolo sul luogo dell'incidente che era necessariamente iniziata nel periodo di tempo in cui vi è assenza di registrazione;
− risulta evidente la gravità della condotta di mancata tenuta della documentazione (o di mancata consegna di essa all'Autorità Giudiziaria) relativa ai rilevamenti dei dati radar operati da questo sito nella fase di tempo immediatamente successiva all'incidente, trattandosi di dati indispensabili per la compiuta ricostruzione dello scenario del sinistro, avvenuto in zona ricadente nell'ambito di detezione di quel radar.
2. L’elemento soggettivo dell’illecito consistito negli ostacoli frapposti all’accertamento delle cause del disastro.
Dalla superiore ricostruzione della vicenda della mancata consegna all'autorità giudiziaria e della successiva distruzione (quest'ultima peraltro neppure certa) del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone, oltre che della ritardatissima consegna delle THR di Poggio Ballone e della presenza di buchi nelle registrazioni di Marsala non colmati tramite consegna di idonea documentazione cartacea dei rilevamenti radar (DA1), emerge in modo evidente quanto meno la colpa gravissima degli apici delle varie articolazioni dell'A.M..
Ed invero, indipendentemente dal dato della formale notifica del decreto di sequestro della Procura di Palermo che aveva ad oggetto tali documenti, è certo che tale provvedimento era noto ai principali organi interessati dalla vicenda, in quanto avevano ricevuto il telex dello Stato Maggiore 3a Regione Aerea, 10.07.80 con il quale, al fine di dare esecuzione al decreto di sequestro della Procura di Palermo che veniva trascritto, veniva disposto di inviare la documentazione relativa ai dati radar dei CRAM di Poggio Ballone, Licola e Marsala al 3° ROC di Martina Franca il quale a sua volta avrebbe dovuto inviare il tutto al Comando dell’aeroporto di Trapani-Birgi
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(oltre che all'ITAV e allo scrivente Stato Maggiore 3a Regione Aerea).
Ne consegue che l'omessa consegna della documentazione relativa ai siti di Poggio Ballone, Licola e Marsala è avvenuta per fatto imputabile almeno ad una delle articolazioni dell'A.M. coinvolti dallo Stato Maggiore della 3 Regione Aerea nella catena di trasmissione che doveva portare alla consegna alla A.G. (CRAM di Poggio Ballone, Licola, e Marsala, 3° ROC di Martina Franca, Aeroporto di Trapani Birgi, ITAV) e con la necessaria consapevolezza della contrarietà di tale condotta al decreto di sequestro emesso dalla Procura di Palermo oltre che dell'articolazione che non ha curato la trasmissione dei documenti, almeno anche di quella che tali documenti doveva ricevere.
Al riguardo deve infatti evidenziarsi che le varie articolazioni dell'A.M. coinvolte nella catena di trasmissione che doveva portare alla consegna alla A.G. della documentazione relativa ai rilevamenti dei radar militari (Stato Maggiore della 3 Regione Aerea, CRAM di Poggio Ballone, Licola, e Marsala, 3° ROC di Martina Franca, Aeroporto di Trapani Birgi, ITAV) erano a perfetta conoscenza della tipologia della documentazione esistente presso i centri radar relativamente ai rilevamenti dei dati radar, e non possono non essersi resi conto immediatamente della mancata trasmissione del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone.
Deve inoltre rilevarsi che, nell'incertezza di quale sia l'articolazione dell'organizzazione dell'Aeronautica Militare alla quale sia imputabile la mancata consegna alla A.G. del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone (se cioè siano stati i CRAM di Licola e Poggio Ballone a non trasmettere i documenti in questione al 3° ROC di Martina Franca, ovvero sia stato quest'ultimo a non trasmetterli all'aeroporto di Trapani Birgi, pur avendo ricevuto dai CRAM il DA1 di Licola e i nastri di Poggio Ballone, ovvero ancora sia stato l'aeroporto di Trapani Birgi a non trasmettere all'ITAV i documenti trasmessi dai CRAM e da lui ricevuti per il tramite del 3° ROC di Martina Franca, ovvero ancora sia stata l'ITAV a non consegnare all'autorità giudiziaria il DA1 di Licola e i nastri di registrazione di Poggio Ballone trasmessi dai CRAM per il tramite del del 3° ROC di Martina Franca e dell'aeroporto di Trapani Birgi), è comunque evidente che tale mancata consegna all'A.G. è avvenuta con la necessaria consapevolezza:
− del 3° ROC di Martina Franca e dello Stato Maggiore della 3 Regione Aerea ove
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siano stati i CRAM a non trasmettere i documenti richiesti, in quanto il III ROC sapeva di doverli ricevere, e doveva a sua volta trasmettere copia di quanto ricevuto allo SMA 3 Regione Aerea oltre che all'aeroporto di Trapani Birgi;
− dell'Aeroporto di Trapani Birgi (ed eventualmente anche dello SMA 3 Regione Aerea e dell'ITAV) ove sia stato il III ROC a non trasmettere all'aeroporto di Trapani Birgi il DA1 di Licola e i nastri di registrazione di poggio Ballone ricevuti dai CRAM ( la consapevolezza in tal caso da parte dello Stato Maggiore 3 Regione Aerea e dell'ITAV non è certa, avendosi soltanto nel caso in cui il III ROC non abbia trasmesso neppure ad essi la copia del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone);
− dell'ITAV nel caso in cui sia stato l'aeroporto di Trapani Birgi a non trasmettere all'ITAV il DA1 di Licola e i nastri di registrazione di Poggio Ballone ricevuti dal III ROC.
Pertanto pur nell'incertezza di quale sia l'articolazione dell'organizzazione dell'Aeronautica Militare alla quale sia imputabile la mancata consegna alla A.G. del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone, è certo che almeno il III ROC o l'ITAV o sono direttamente responsabili della mancata consegna (rispettivamente all'aeroporto di Trapani Birgi o alla A.G.) o erano a conoscenza della mancata trasmissione (rispettivamente da parte dei CRAM o dell'aeroporto di Trapani Birgi).
D'altra parte è pure certamente configurabile una condotta gravemente colpevole dello Stato Maggiore della III Regione Aerea, in quanto, non essendo stata rinvenuta copia della documentazione in questione presso di esso, deve ritenersi alternativamente che lo SMA della III Regione Aerea o non ha ricevuto dal III ROC la documentazione in questione (e avrebbe pertanto dovuto attivarsi ulteriormente per curare che il decreto di sequestro della Procura di Palermo avesse compiuta esecuzione) o non la ha conservata.
Quanto alla condotta ascrivibile al 3° ROC di Martina Franca si rileva inoltre che tale organo (competente nell'area di caduta di velivolo), che risulta aver ricevuto il telex dello Stato Maggiore della III Regione aerea contenente il riferimento al decreto di sequestro del p.m. di Palermo, aveva ricevuto la sera dell'incidente dal CRAM di Licola i plottaggi relativi alle tracce AG266 e LK477 (come emerge dalle
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conversazioni telefoniche già richiamate nella parte della presente motivazione dedicata alle cause del disastro), mai consegnati all'A.G. e sicuramente riconducibili all'oggetto del decreto di sequestro del p.m. di Palermo, e che sarebbero state indispensabili per comprendere se, sulla base dei dati radar del sito di Licola, fosse stato rilevata la presenza di un velivolo non identificato, diverso dall'Air Malta che immediatamente prima dell'incidente seguiva il DC9.
Si ribadisce inoltre che se si ritiene che Poggio Ballone e Licola abbiano ottemperato all'ordine dello Stato Maggiore 3a Regione Aerea del 10.07.80, (inviando al 3° ROC i nastri di registrazione e il DA1) sussisterebbe la colpa gravissima o del Comando del 3° ROC - per non avere provveduto, una volta ricevuta tutta la documentazione oggetto di sequestro, a curare che la stessa pervenisse all'A.G (trasmettendola all'aeroporto di Trapani Birgi come ordinato dallo Stato Maggiore della 3a Regione Aerea) - o, comunque, quella dello Stato Maggiore della 3a Regione per non aver provveduto a conservare copia della documentazione in questione, nel caso in cui si voglia ammettere che il III ROC una volta ricevuti il DA1 di Licola e i nastri Poggio Ballone li abbia trasmessi all'aeroporto di Trapani Birgi e in copia allo Stato Maggiore della 3a Regione Aerea, come da quest'ultimo ordinato. Se invece si ritiene che Poggio Ballone e Licola non abbiano trasmesso al III ROC i nastri di registrazione e il DA1, sussisterebbe la colpa gravissima dello SMA della III Regione Aerea per non avere assunto ulteriori iniziative affinchè il decreto di sequestro della Procura di Palermo avesse compiuta esecuzione.
L'elemento della colpa è sufficiente ad avviso di questo giudice per ritenere integrata, a carico dei Ministeri convenuti, la fattispecie di responsabilità civile dedotta dagli attori per avere impedito il compiuto accertamento delle cause del sinistro, per le motivazione che si vanno ad esporre in ordine alla configurabilità della lesione di un loro diritto fondamentale attinente alla persona costituzionalmente garantito.
Peraltro, ove non si volesse aderire a tale soluzione del problema della risarcibilità del danno non patrimoniale risentito dagli attori in conseguenza delle condotte in esame ascrivibili ai Ministeri convenuti, resterebbe la possibilità di configurare l'elemento soggettivo del dolo in capo alle amministrazioni convenute per la mancata consegna prima e la distruzione poi del DA1 di Licola e delle registrazioni su supporto magnetico di Poggio Ballone, e quindi la possibilità di ravvisare nelle condotte in esame gli estremi di fattispecie penalmente rilevanti.
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Ed invero la mancata consegna dei documenti in questione all'A.G. qualora si ritenga, come questo giudice ritiene (per le ragioni esposte nella parte relativa all'individuazione delle cause del sinistro), che tali documenti contenessero elementi relativi alla presenza di altri velivoli che hanno causato la caduta del DC9, e che questa sia la ragione della loro omessa consegna, integra i reati di favoreggiamento e soppressione di atti pubblici.
Quanto al reato di favoreggiamento è infatti evidente che la mancata consegna di documenti relativi ai radar militari da cui emergesse il coinvolgimento di velivoli militari nell'incidente ha aiutato gli autori della strage ad eludere le investigazioni dell'autorità giudiziaria.
Riguardo alla possibilità di configurare l’elemento soggettivo del dolo si richiamano i seguenti elementi evidenziati nella sentenza ordinanza del Giudice Priore:
− l'obiettiva gravità della condotta - considerata l'immane gravità della vicenda che riguardava, e la circostanza che è avvenuta in pendenza di un'indagine penale per il delitto di strage nella quale l'elemento più notoriamente controverso era proprio quello dell'eventuale coinvolgimento di un velivolo militare - che difficilmente trova giustificazione in un atteggiamento psicologico meramente colposo;
− la natura sistematica delle sparizioni dei documenti relativi alle rilevazioni dei radar della Difesa Aerea (relativa a tutti i siti radar di interesse per l'inchiesta) e in molti casi puntuali (ci si riferisce a tutti i casi pure evidenziati nella sentenza del Giudice Istruttore in cui la distruzione ha riguardato proprio e soltanto la documentazione relativa al 27.6.1980) , evidenziata nella sentenza ordinanza (Parte I, Libro I, Capo VII, capitolo II, paragrafo 2: La distruzione delle prove, e Parte I, Libro II, Capo I, Titolo I, capitolo 1, Paragrafo 1.2: Le carenze documentali) che ad avviso del Giudice Istruttore esclude che la condotta ascrivibile ai dipendenti della p.a. possa ritenersi casuale e non riconducibile a un preciso progetto di impedire ogni fondata e ragionevole ricostruzione dell'evento, dei fatti che lo avevano determinato e dei quelli che ne erano conseguiti;
− gli appunti dell'agenda sequestrata al colonnello Fiorito De Falco nei quali con riferimento all'esecuzione del decreto di sequestro della Procura di Roma del 16.7.1980 e alla ritardata consegna dei nastri di registrazione di Marsala egli da atto di aver trovato una formula ambigua per dare tempo all'A.M. di pensarci su;
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− la relazione del Sergente Tozio in ordine alla testimonianza resa innanzi al Giudice Istruttore in data 15.10.1986.
Ed invero per meglio comprendere gli atti compiuti dal colonnello Fiorito De Falco in relazione alla consegna della documentazione, e lo stato di confusione creatosi a seguito dei provvedimenti di sequestro, è di utilità l’analisi dell’agenda del predetto (sequestrata con provvedimento del 6.10.95) ove:
−al 12 settembre 80 annota: “qtn - per questione; nde - La Franca a nome procuratore Guarino vuole sapere dove ritirare i tracciati di Licola e P. Ballone ...”. Il 13 settembre annota: “Comunicato Stataereo 3° - sic. volo richiesta di Procura Palermo attraverso perito La Franca prof. universitario ... di andar c/o Cram Licola e Poggio Ballone per sequestro tracciati non nastri in quanto questi fanno parte del Nadge ove applicabile. suggerito Sidoti di fare richiesta at Aeroregione Seconda Roma ...”;
− e al 2 ottobre annota: “Parlato con Pacini (V.Com. 3° ROC 094-250 opp. 4195) e spiegato qtn (nota dell’estensore) CRAM Marsala - La pizza è disponibile, ecc. ecc. Suggerito di non intralciare ingresso Procuratore in installazione per sequestro pizza. Questi potrebbe ritenere che stiamo facendo ostruzionismo perchè abbiamo qualcosa da nascondere - quando sappiamo bene che ciò non è vero. Del resto SMA è informato e 3a R.A. pure”. Ancora: “- Sidoti: spiegato che quando, per ordine di Stataereo (colonnello Brindisi) ho consegnato il materiale richiesto a Magistratura, ho trovato una formula ambigua per dare tempo all’AM di pensarci su, con la quale facevo capire che la pizza del CRAM di Marsala non poteva essere tolta dall’elaboratore perchè ne fa parte integrante. Ciò è vero nel senso che il soft Nadge è peculiare per il Nadge e non può essere girato su altro calcolatore che non sia quello Nadge. Suggerivo che il magistrato fosse “autorizzato” ad accedere al CRAM per l’eventuale trascrizione della pizza su moduli.” (v. agenda Fiorito De Falco, 02.10.80).
D'altra parte nella sentenza ordinanza viene evidenziata la relazione che il sergente Tozio redigeva ai suoi superiori a seguito della testimonianza resa all'ufficio del Giudice Istruttore in data 15.10.86, nella quale venivano riportate testualmente sia le domande che l’Ufficio rivolse al Tozio che le risposte da lui fornite, nonché le impressioni suscitate nel giudice istruttore dalle risposte date, e il consiglio di “consultare il mio capo Servizio che ha emanato delle disposizioni in merito” onde
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evitare il ripetersi della questione inerenti i buchi nella registrazione dei nastri del sito radar di Marsala. Il documento “sembra rappresentare per chi l’ha scritto ma soprattutto per coloro ai quali probabilmente doveva essere sottoposto in visione, quasi una serie di regole da seguire per fronteggiare gli esami testimoniali” e pertanto viene riportato integralmente nella sentenza ordinanza, alla cui lettura sul punto si rinvia (PARTE 1a ; LIBRO 1°; CAPO 1°, titolo II, paragrafo 1).
3. La risarcibilità dei danni conseguenti alle condotte di occultamento delle cause del disastro.
Quanto all'elemento dell'ingiustizia del danno in relazione al profilo del danno patrimoniale fatto valere quale conseguenza della condotta in esame la situazione giuridica lesa è da individuarsi nel diritto di credito sorto in favore degli attori nei confronti degli autori del reato di strage rimasti ignoti a causa delle condotte delle amministrazioni convenute.
Ed invero è innegabile che gli attori, a seguito del disastro aereo, siano divenuti titolari di un diritto al risarcimento del danno nei confronti dei soggetti responsabili del disastro (che pur nella ridda delle ipotesi che in questo trentennio sono state formulate non è mai stato ricondotto a una tragica fatalità) rimasti ignoti, quanto meno per la perdita del rapporto parentale e per le conseguenze economiche connesse alla morte dei loro congiunti.
Nulla osta alla risarcibilità di tale danno stanti i risultati ormai acquisiti sul piano dell'interpretazione dell'art. 2043 c.c., e in particolare in ragione dell'ormai indiscusso riconoscimento dell'ingiustizia del danno nel caso di “lesione del credito”, a cui è senza dubbio riconducibile quello in esame.
D'altra parte è innegabile che il comportamento delle Amministrazioni convenute ha ostacolato la ricostruzione della dinamica del disastro aereo, e così di fatto, fino ad oggi, ha concretamente impedito e reso impossibile l'esercizio, da parte degli odierni attori, del loro diritto al risarcimento del danno nei confronti dei soggetti responsabili del disastro aereo, (compagnia aerea, nel caso dell'ipotesi di destrutturazione, terroristi autori della strage nell'ipotesi della bomba; conducenti degli aerei militari – e amministrazioni di appartenenza - nell'ipotesi del missile o della quasi collisione).
Tuttavia il riconoscimento, che viene operato con la presente sentenza, del concorso delle condotte colpose tenute dalle Amministrazioni convenute nella determinazione
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del disastro aereo, e la loro conseguente condanna al risarcimento nei confronti degli attori dei danni che ne sono derivati, preclude una autonoma liquidazione del danno in questione, che costituirebbe un'inammissibile duplicazione delle stesse voci di danno.
I Ministeri con la presente sentenza vengono infatti condannati al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori per la perdita dei loro congiunti, per avere concorso colposamente a provocare la caduta dell'aereo; l'eventuale accoglimento della domanda di risarcimento danni per avere reso impossibile agli attori l'esercizio del diritto al risarcimento nei confronti dei soggetti responsabili del disastro implicherebbe una condanna delle amministrazioni convenute per le stesse voci di danno, quali conseguenze della lesione del credito.
In termini ben diversi si pone la questione dell'individuazione della situazione giuridica lesa riguardo ai profili di danno non patrimoniale di cui gli attori chiedono il risarcimento.
L'ubi consistam dell'interesse di cui viene invocata la tutela e della voce di danno non patrimoniale fatta valere è invero stata immediatamente percepita da questo giudice non soltanto dalla lettura degli atti processuali e degli esami resi dagli odierni attori nel processo penale (al cui ascolto si rinvia espressamente per forza e l'immediatezza con cui esprimono quello che in questa sede si tenta di descrivere) ma soprattutto dal contegno tenuto dagli attori nel presente processo.
Al riguardo non si può non evidenziare l'assidua presenza alle udienze di questo processo degli attori e l'interesse vivissimo con cui essi i quali, provenendo da varie città d'Italia, con contegno ineccepibile hanno ascoltato, soprattutto nella fase delle repliche ex art. 281 quinquies secondo comma c,.c., l'esposizione fatta dal loro difensore delle varie ipotesi della dinamica del disastro emerse dalle varie perizie che si sono susseguite negli anni.
Deve inoltre darsi conto del fatto che gli attori non hanno ritenuto di dare alcun rilievo mediatico al presente processo, con ciò dimostrando uno specifico ed esclusivo interesse a un accertamento puramente giurisdizionale dei fatti, e un totale disinteresse per tutto quanto collateralmente potesse emergere, anche da fonti altamente qualificate, quali personaggi politici di rilievo.
Deve inoltre rilevarsi la condotta tenuta dagli odierni attori nell'ambito del processo
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penale nel quale essi si sono costituiti parte civile allo scopo primario di contribuire alla ricostruzione giurisdizionale del “contesto” in cui si erano inseriti i reati contestati agli imputati, cioè allo scopo di partecipare all'accertamento della verità sulle cause del disastro.
Non si può infine non considerare che gli attori hanno costituito unitamente agli altri familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica, un'associazione che in questi trent'anni ha cercato con ogni mezzo e su ogni piano di conoscere la verità sulle cause del disastro, tanto da caratterizzare la personalità degli attori stessi, quali “familiari delle vittime di Ustica” e da connotare l'esistenza di ciascuno di loro per questa incessante esigenza di verità.
Tale interesse degli attori all'accertamento delle cause del disastro aereo, (manifestato costantemente anche nel presente processo, sia dal loro personale contegno, sia dall'impostazione che la loro difesa ha dato al processo, ponendo in primo piano, anche in sede di repliche ex art. 281-quinquies c.p.c. l'accertamento dei fatti) ha un indubbio carattere non patrimoniale, consistendo nell'interesse a conoscere come e perchè i loro congiunti sono morti, e anche perchè tale conoscenza sia stata loro così evidentemente preclusa per trent'anni, quale esigenza la cui soddisfazione è indispensabile per poter definitivamente seppellire i loro morti, e compiutamente elaborare il lutto che è conseguito al disastro aereo di Ustica.
Orbene sul piano della rilevanza giuridica di tale interesse di natura non patrimoniale non può, ad avviso di questo giudice, non individuarsi un rilievo costituzionale quale interesse attinente alla persona e alla possibilità della piena e libera estrinsecazione della personalità dell'individuo, tutelato dall'art. 2 della Cost.
Ed invero è innegabile che la vicenda in esame ha profondamente segnato e caratterizzato l'esistenza degli attori nei trent'anni che ad oggi sono seguiti al disastro non solo e non tanto per la perdita dei loro congiunti che ne sono rimasti vittime quanto per la costante negazione da parte delle istituzioni convenute di qualsivoglia doveroso contributo alla ricostruzione delle cause della caduta del DC9.
La vicenda in esame ha inciso talmente sulla formazione e l'estrinsecazione della personalità degli attori tali da farne una categoria di cittadini distinta da tutti gli altri e caratterizzata proprio da questo bisogno negato di verità, che ne ha contrassegnato l'esistenza per un trentennio, e che verosimilmente continuerà a contrassegnarne
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l'esistenza per sempre.
E' innegabile che la personalità degli attori – ove gli stessi avessero potuto conoscere in tempi ragionevoli la ragione della morte dei loro congiunti- avrebbe potuto evolversi ed esprimersi con una libertà molto maggiore, potendo gli stessi elaborare il lutto della morte dei loro congiunti, senza restare nella prigione di questa verità negata, e potendo dedicare le energie che hanno impiegato nella ricerca di tale verità ad altre forme di realizzazione della propria personalità.
D'altra parte la rilevanza giuridica dell'interesse della persona offesa dal reato all'accertamento giudiziario del fatto che ha recato offesa alla sua sfera giuridica è desumibile dalle disposizioni del codice di procedura penale che riconoscono poteri nella fase delle indagini preliminari alla persona offesa prima ed indipendentemente dalla sua costituzione di parte civile, tra i quali, a titolo meramente esemplificativo, si ricorda quello di presentare memorie e indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento, con esclusione del giudizio di cassazione (art. 90 c.p.c.) e quello di opporsi alla richiesta di archiviazione (art. 410 c.p.c.).
Inoltre, ai fini del riconoscimento della rilevanza dell'interesse dell'individuo al compiuto accertamento delle gravi condotte che ledono la sua sfera mettendo a repentaglio altresì i principi basilari della convivenza civile, alle quali l'ordinamento riconosce rilevanza penale (tra le quali sicuramente rientra quella che ha causato la caduta del DC9 che sicuramente integra il reato di strage, quale che sia l'opzione tra le tre ipotesi – bomba, quasi collisione, missile – che sono possibili sulla causa del disastro) – milita la funzione stessa del processo penale che, in un ordinamento evoluto, non può essere ridotta soltanto a quella di punire il colpevole ma deve ritenersi che comprenda anche quella di accertare le responsabilità per la commissione di fatti che l'ordinamento reputa particolarmente gravi nell'ambito del sistema di tutela dei diritti fondamentali della persona tra i quali indubbiamente rientra quello alla vita.
Il compiuto accertamento di tali fatti, che l'ordinamento garantisce ai cittadini attraverso l'esplicazione della funzione giudiziaria penale, ha una rilevanza autonoma e non soltanto funzionale all'irrogazione della pena.
Ed è proprio da tale accertamento giurisdizionale dello svolgimento dei fatti e dalla dichiarazione di responsabilità penale del suo autore, prima che dalla punizione del
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colpevole (cioè dal contenuto di accertamento del processo e della sentenza penale), che la persona offesa riceve riparazione per la lesione dei sui primari interessi compiuta mediante condotte di rilevanza penale.
Nel caso di specie non si tratta di ritenere lo Stato responsabile per tutti i delitti che vengano commessi nel suo territorio e di cui rimangano ignoti gli autori (così come sostenuto dall'Avvocatura), bensì di ritenere civilmente responsabile il soggetto che indebitamente ostacoli il corretto funzionamento della funzione giurisdizionale, nell'accertamento della verità prima e nella punizione dei colpevoli poi.
La circostanza che tale soggetto nel caso di specie coincida con un'articolazione dello stesso Stato al quale è affidata la funzione giurisdizionale è una paradossale coincidenza che connota la vicenda in esame in modo da ledere non soltanto i diritti degli odierni attori, ma la dignità dell'intero paese.
Ed infatti si ha palese violazione dei principi costituzionali del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione ove l'autorità amministrativa entrando in rapporto con l'autorità giudiziaria tenga condotte che ostacolino l'esercizio della funzione giudiziaria la quale è prevista nell'interesse della collettività e dei singoli, i cui diritti soggettivi siano lesi.
Peraltro alla risarcibilità della voce di danno non patrimoniale in questione si perviene anche se non si ritenga ravvisabile la lesione nel caso di specie di un diritto della persona costituzionalmente garantito, poiché come si è visto le condotte ostative all'accertamento dei fatti tenute dagli appartenenti ai Ministeri convenuti possono considerarsi dolose, ed quindi integranti precise fattispecie penali, e cioè i reati di falsa testimonianza e favoreggiamento e soppressione di atti pubblici.
Ed invero secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite del 2008 la risarcibilità del danno non patrimoniale è da riconoscersi automaticamente in ipotesi di danni derivanti da reato, senza necessità di alcun ulteriore approfondimento circa la rilevanza dell'interesse giuridico leso, perchè tale giudizio di rilevanza è stato già effettuato dal legislatore attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice.
Al riguardo si rileva come il Giudice Istruttore abbia stigmatizzato la falsità e reticenza delle deposizioni rese nel corso dell'istruttoria dalla maggior parte degli appartenenti ai CRAM interessati dalla rotta del DC9 (si rinvia al riguardo alla lettura della prima parte della sentenza del Giudice Istruttore a ciò specificamente dedicata,
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nonché a quella dedicata alle posizioni dei singoli imputati).
D'altra parte la mancata messa a disposizione dell'autorità giudiziaria della documentazione relativa ai dati radar e la sua distruzione, che secondo le valutazioni del Giudice Istruttore ha integrato i reati di favoreggiamento estinti per prescrizione, può effettivamente considerarsi dolosa per le ragioni già esposte nel precedente paragrafo.
E i reati contro l'amministrazione della giustizia quali quello di falsa testimonianza o di favoreggiamento sono ad avviso di questo giudice lesivi dell'interesse alla corretta amministrazione della giustizia, il quale fa capo non soltanto allo Stato e all'Amministrazione giudiziaria, ma anche ai singoli, cioè alle parti del processo ivi comprese le persone offese quali i familiari delle vittime. Se è evidente infatti che una falsa testimonianza in un giudizio civile lede anche l'interesse della parte per la quale tale testimonianza sia sfavorevole, è innegabile anche che una falsa testimonianza in un giudizio penale, o un reato di favoreggiamento personale, ledono anche l'interesse della persona offesa dal reato alla quale il nostro sistema processuale riconosce poteri e facoltà, fin dalla fase delle indagini preliminari, anche non strumentalmente connessi alla tutela del suo diritto al risarcimento del danno.
Ne consegue che anche in quest'ottica può pacificamente riconoscersi la risarcibilità della voce di danno in esame.
Infine non si può trascurare che del profilo di danno in questione dovrebbe comunque tenersi conto in sede di liquidazione del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, al cui risarcimento le amministrazioni convenute sono tenute, in base alla presente sentenza, per avere concorso con la loro condotta omissiva a causare la caduta del velivolo.
E' infatti innegabile che viene in gioco la lesione di un interesse inerente alla persona che attiene al modo in cui gli attori hanno vissuto la perdita dei congiunti, contrassegnato da una particolare gravità in ragione degli inaccettabili ritardi e ambiguità sull'individuazione delle cause del disastro (e quindi delle ragioni di tale perdita) che hanno ostacolato la compiuta elaborazione del lutto e che hanno determinato la ripetuta riapertura della ferita in ragione del continuo e incessante succedersi di ipotesi e smentite.
Peraltro, pur potendosi tenere conto del danno in esame in sede di liquidazione del
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danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale – atteso che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare integralmente il pregiudizio e deve provvedere alla integrale riparazione di tutte le ripercussioni negative che si siano verificate sul valore uomo- si evidenzia come questa prospettiva appaia alquanto riduttiva, negando l'autonomia di un illecito che è invece evidente tanto sul piano dell'elemento della condotta (trattandosi di danno causato non dall'uccisione del congiunto, ma dalla autonoma condotta di ostacolo all'accertamento delle cause della morte del congiunto) quanto sul piano dell'evento di danno (rappresentato non dalla perdita del congiunto, ma dal non aver potuto conoscere le cause di tale perdita).
PARTE III: RIFERIBILITÀ AI MINISTERI CONVENUTI DEGLI ILLECITI ACCERTATI
In ordine alla riferibilità degli illeciti accertati ai Ministeri convenuti si rileva in primo luogo che la responsabilità della P.A., al pari di quella delle persone giuridiche
di diritto privato, per le condotte materialmente poste in essere dai suoi dipendenti si configura come responsabilità diretta, ricadente nell'ambito di applicazione dell'art. 2043 c.c. e non come responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c., fondata sul rapporto di immedesimazione organica; tale responsabilità presuppone quindi che l'attività posta in essere dal dipendente, che ha causato l'evento dannoso, “sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto”. La riferibilità all'amministrazione del comportamento del dipendente, secondo la pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, viene meno “quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione- o addirittura contrario ai fini che essa persegue- ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la p.a.” (Cass., 12.4.2011, n. 8306; Cass., 8.10.2007, n. 20986; Cass., 21.11.2006, n. 24744; Cass., 18.3.2003, n. 3980).
Ciò posto si osserva che nessun problema di riferibilità ai Ministeri convenuti si pone in ordine all'illecito consistito nel non aver garantito la sicurezza del volo (ed infatti l'Avvocatura dello Stato non ha mosso alcun rilievo al riguardo) trattandosi di condotte indubbiamente poste in essere nell'esercizio delle funzioni demandate per
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legge alle amministrazioni parti in causa.
La riferibilità dell'illecito è stata invece contestata riguardo alle condotte di occultamento delle cause del sinistro.
In proposito appare opportuno rilevare che il problema della riferibilità si pone in modo diverso a seconda che le esaminate condotte di occultamento delle cause del disastro si considerino colpose o dolose.
Ed invero secondo la prospettazione offerta nella presente sentenza, per cui la valutazione in termini di colpa è sufficiente a configurare la responsabilità del Ministero della Difesa, non si pone alcun problema di configurabilità della responsabilità diretta dell'amministrazione, non venendo in gioco alcun fine privato dei dipendenti che hanno posto in essere le condotte di omessa consegna all'autorità giudiziaria e distruzione dei documenti relativi alle rilevazioni dei radar militari essenziali per il compiuto accertamento dei fatti.
Il problema della configurabilità della responsabilità del Ministero della Difesa si pone soltanto ove tale ricostruzione non venga ritenuta sufficiente a fondare il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale degli attori, non ravvisandosi la lesione di un diritto attinente alla persona costituzionalmente garantito: in tal caso infatti, ai fini della risarcibilità del danno in questione, deve essere esaminata la questione della ravvisabilità nelle condotte di occultamento della verità degli estremi di fattispecie penalmente rilevanti (e si impone all'uopo un'indagine ulteriore in ordine alla consistenza dell'elemento soggettivo che ha accompagnato le condotte di omessa consegna dei documenti all'autorità giudiziaria e di distruzione degli stessi) e quindi, ai fini della configurabilità della responsabilità del Ministero della Difesa, deve valutarsi in che rapporto le eventuali condotte dei suoi dipendenti mosse da fini privati (di occultamento della propria o altrui responsabilità) si pongano con le funzioni esercitate.
Al riguardo comunque si rileva che anche ritenendo che l'omessa consegna e la distruzione dei dati radar siano state realizzate dai dipendenti dell'A.M. dolosamente per fini in senso lato egoistici - cioè esulanti da quelli che devono guidare l'operato dell'amministrazione di appartenenza – deve ritenersi configurabile la responsabilità del Ministero del Difesa, non venendo meno il nesso di occasionalità necessaria tra le condotte illecite e le funzioni amministrative esercitate da tali dipendenti, in quanto essi hanno potuto evitare che i documenti relativi ai rilevamenti dei radar entrassero nella disponibilità dell'Autorità giudiziaria soltanto in ragione delle funzioni amministrative esercitate, e cioè soltanto in quanto, quali organi dell'A.M., erano i
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soggetti chiamati ad adempiere i decreti di sequestro dell'A.G. , nonché' avevano il potere di accedere a quei documenti e di procedere alle distruzioni di routine.
D'altra parte l'omessa consegna all'A.G. della documentazione relativa ai rilevamenti dei radar indispensabili per l'accertamento delle cause del sinistro - seppure può essere ipoteticamente direttamente ascrivibile ai comandanti dei CRAM interessati dalla rotta del DC9 e quindi, in quanto direttamente responsabili dell'incidente, direttamente interessati a coprire le proprie personali responsabilità per l'incidente - è sicuramente imputabile anche all'inerzia dei comandanti degli uffici dell'A.M. sovraordinati a tali CRAM (per non avere tempestivamente adottato gli opportuni provvedimenti per neutralizzare gli effetti dell'inottemperanza da parte dei comandanti dei CRAM ai decreti di sequestro dell'AG e all'ordine loro impartito, proprio al fine di dare esecuzione a tali decreti, dallo Stato Maggiore della III Regione Aerea) in capo ai quali non è ravvisabile un interesse a coprire la propria personale responsabilità per l'incidente, ma solo l'interesse a coprire la responsabilità del corpo Aeronautica Militare.
La condotta tenuta dai comandanti degli uffici dell'A.M. sovraordinati ai CRAM di Licola e Poggio Ballone (e consistita - nell'incertezza sull'individuazione di quale sia l'articolazione dell'A.M. coinvolta nella catena di trasmissione che avrebbe dovuto portare alla consegna dei dati all'A.G. a cui sia imputabile la mancata consegna - alternativamente nel non avere tempestivamente adottato gli opportuni provvedimenti per neutralizzare gli effetti dell'inottemperanza da parte dei comandanti dei CRAM ai decreti di sequestro dell'AG e all'ordine loro impartito, o nel non aver trasmesso i dati ricevuti dai CRAM di Licola e Poggio Ballone) non essendo rivolta a coprire la propria personale responsabilità – ma casomai quella dei comandanti dei CRAM di Licola e Poggio Ballone- si manifesta come esplicazione dell'attività dell'ente, non solo perchè si è potuta realizzare soltanto in ragione delle funzioni (sovraordinate a quelle dei singoli CRAM ) pubbliche esercitate, ma anche perchè è tesa a realizzare un interesse riferibile non al singolo agente, ma all'ente stesso.
La circostanza che il fine di coprire le responsabilità dell'Aeronautica Militare nell'incidente occorso al DC9 non sia riconducibile agli scopi cui per legge deve essere rivolta l'azione dell'Aeronautica Militare, ma devii evidentemente da tali scopi, non è sufficiente ad avviso di questo giudice ad escludere la riferibilità della condotta all'Amministrazione trattandosi di condotta realizzata non per fini strettamente privati ed egoistici del dipendente, bensì per fini sia pure deviati dell'ente stesso.
Ai fini di un compiuto esame della riferibilità al Ministero della Difesa delle condotte
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di ostacolo all'accertamento della verità poste in essere dagli appartenenti all'A.M. si rende opportuna una analisi delle possibili situazioni che si sono verificate nell'incertezza sull'individuazione di quale sia l'articolazione dell'A.M. coinvolta nella catena di trasmissione che avrebbe dovuto portare alla consegna dei dati all'A.G. a cui sia imputabile tale mancata consegna.
Qualora si ritenesse che siano stati i comandanti dei CRAM di Licola e Poggio Ballone, una volta ricevuto il telex dello Stato Maggiore della III Regione Aerea del 10.7.1980 a non trasmettere al 3° ROC di Martina Franca il DA1 di Licola e i nastri di registrazione di Poggio Ballone, al fine di coprire la propria o l'altrui responsabilità nell'incidente occorso al DC9 - così trasgredendo l'ordine loro rivolto dallo Stato Maggiore 3a Regione Aerea con il telex del 10.7.1980 al fine di dare esecuzione al decreto di sequestro della Procura di Palermo – e a procedere poi alla distruzione di tali documenti al medesimo fine, è evidente in primo luogo che i comandanti dei CRAM di Licola e Poggio Ballone avrebbero potuto porre in essere tali condotte di occultamento delle cause del sinistro proprio in ragione delle funzioni di comandanti dei CRAM esercitate.
In secondo luogo sarebbe comunque attribuibile al Ministero della Difesa la condotta del 3° ROC di Martina Franca e quella dello Stato Maggiore 3a Regione Aerea, i quali a fronte dell'inottemperanza da parte dei CRAM interessati all'ordine impartito con il telex del 10.7.1980 nulla avrebbero fatto per consentire comunque l'acquisizione dei documenti da parte dell'A.G. che ne aveva ordinato il sequestro. Peraltro, nel caso ipotizzato, proprio la circostanza che la mancata consegna all'A.G. dei documenti relativi ai rilevamenti dei radar militari indispensabili per l'accertamento dei fatti sarebbe avvenuta con la necessaria consapevolezza tanto del 3° ROC di Martina Franca (al quale, per ordine dello Stato Maggiore 3a Regione Aerea, tali documenti dovevano essere inviati dai CRAM, e che avrebbe dovuto procedere alla loro trasmissione all'aeroporto di Trapani Birgi per consentirne la consegna all'A.G.) quanto dello Stato Maggiore 3a Regione Aerea (al quale, in base al medesimo ordine, il 3° ROC di Martina Franca avrebbe dovuto trasmettere copia della documentazione ricevuta dai CRAM) evidenzia la configurabilità della responsabilità del Ministero, poiché la condotta di occultamento delle cause dell'incidente si sarebbe potuta realizzare anche grazie all'inerzia degli organi dell'A.M. sovraordinati ai singoli CRAM.
Il 3° ROC di Martina Franca e lo Stato Maggiore della 3a Regione Aerea infatti, a
differenza dell'Autorità Giudiziaria procedente, erano a perfetta conoscenza della
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tipologia della documentazione esistente presso i centri radar relativamente ai rilevamenti dei dati radar, e pertanto avrebbero dovuto rendersi conto immediatamente della mancata trasmissione del DA1 di Licola e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone, dai quali peraltro, non sarebbe potuta emergere alcuna loro diretta e immediata responsabilità per il verificarsi dell'incidente, a differenza che per i comandanti dei singoli CRAM.
L'inerzia del 3° ROC di Martina Franca e dello Stato Maggiore della 3a Regione Aerea a fronte dell'inottemperanza da parte dei comandanti dei singoli CRAM al decreto di sequestro dell'A.G. e all'ordine loro impartito con il telex del 10.7.1980 potrebbe trovare allora spiegazione soltanto o in una gravissima colpa dei loro organi di vertice o nella volontà di occultare la responsabilità dei comandanti dei CRAM per l'incidente occorso al DC9. In entrambi i casi sarebbe configurabile la responsabilità del Ministero in quanto gli organi di vertice del 3° ROC di Martina Franca e dello Stato Maggiore della 3a Regione Aerea, anche se mossi dal fine certamente non istituzionale di coprire la responsabilità dei comandanti dei CRAM interessati per l'incidente occorso al DC9, non avrebbero agito per un fine meramente privato privo di ogni collegamento con le funzioni esercitate, bensì avrebbero commesso un abuso strumentalmente connesso, anche se in maniera anomala, con i fini istituzionali dell'ente, e cioè per coprire la responsabilità dell'ente stesso.
D'altra parte anche qualora si ritenesse che i comandanti dei CRAM di Licola e Poggio Ballone, una volta ricevuto il telex dello SMA abbiano trasmesso al 3° ROC di Martina Franca il DA1 di Licola e i nastri di registrazione di Poggio Ballone, e che tale documentazione non sia poi pervenuta all'A.G. per un'omissione imputabile ad altra articolazione dell'A.M. coinvolta nella catena di trasmissione dal telex della III Regione Aerea del 10.7.1980 (III ROC, Aeroporto di Trapani Birgi o ITAV) è evidente che una tale omissione sarebbe connotata o da colpa grave – con la conseguenza che nessun problema si pone in ordine alla configurabilità della responsabilità del Ministero della difesa- o dalla volontà di occultare la responsabilità dei CRAM interessati, in ragione del contenuto della documentazione. L'eventuale volontà da parte dei vertici di articolazioni dell'A.M. diversi dai centri radar di occultare la responsabilità dei comandanti dei CRAM per l'incidente occorso al DC9 non può considerarsi idonea a escludere il nesso di occasionalità necessaria con le funzioni esercitate trattandosi di un abuso strumentalmente connesso, anche se in maniera anomala, con i fini istituzionali dell'ente, e cioè per coprire la responsabilità dell'ente stesso.
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Infine si ritiene che non costituisca ostacolo alla configurazione di una diretta responsabilità del Ministero della Difesa l'incertezza sull'individuazione di quale sia l'articolazione dell'A.M. coinvolta nella catena di trasmissione che avrebbe dovuto portare alla consegna dei dati all'A.G. a cui sia imputabile tale mancata consegna.
Ed invero nell'ambito di tale incertezza si ha un numero definito di situazioni che possono essersi verificate, ciascuna delle quali implica delle condotte da parte dei vertici di una delle articolazioni dell'A.M. sicuramente riferibili all'amministrazione di appartenenza.
PARTE IV: L’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE
1. Premessa.
Deve infine essere esaminata l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno azionato dagli attori.
Sostiene l'Avvocatura dello Stato che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno sarebbe ampiamente decorsa tanto per quanto concerne le asserite condotte illecite che avrebbero causalmente contribuito al verificarsi del disastro aereo, quanto alle dedotte condotte di occultamento della verità; e che la prescrizione delle avverse pretese dovrebbe comunque ritenersi maturata anche nel caso in cui si volesse far riferimento ai termini di prescrizione di “ipotetici illeciti penali”.
Fin dalla memoria ex art. 183 comma 6 n.1) c.p.c. gli attori hanno allegato che il termine di prescrizione andrebbe fatto decorrere dalla data della sentenza emessa della Corte di Assise all'esito del giudizio di primo grado avviato a seguito della sentenza/ordinanza del Giudice Istruttore, in quanto, pur essendovi già in tale ordinanza “ una enorme mole di elementi che avrebbero potuto giustificare un’azione risarcitoria ai danni degli odierni Ministeri convenuti, si è reso comunque necessario un ulteriore vaglio di tali fatti e circostanze, svoltosi nella opportuna sede di merito, che – alla fine - ha confermato le analisi dei fatti svolte dal Giudice Istruttore”.
Secondo la prospettazione di parte attrice è soltanto a seguito del deposito della sentenza di primo grado della Corte di Assise di Roma che può ritenersi acquisita da parte degli attori “la consapevolezza giuridicamente rilevante” dei fatti allegati quale fonte di responsabili dei Ministeri convenuti “ in quanto:
− l'accertamento contenuto in tale sentenza della presenza di altri aerei coinvolti nel sinistro occorso al DC9 deve ritenersi ben più pregnante, sotto il profilo probatorio di quello contenuto nell'ordinanza di rinvio a giudizio, in quanto è avvenuto all'esito di un giudizio nel quale gli elementi valutati dal G.I. nella sentenza ordinanza sono stati vagliati nel
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contraddittorio tra le parti (tra cui gli odierni attori costituiti parte civile in quel processo), e nell'ambito del quale è stata approfondita anche l'analisi dei dati radar;
− nel processo di Assise di primo grado sono emersi elementi di novità che, da un lato hanno confortato sia la tesi della presenza di altri aerei nel luogo e al momento del disastro, cui quest'ultimo è causalmente collegabile, sia quella dell'avvenuto depistaggio nelle indagini da parte di appartenenti alle Amministrazioni convenute, e che, dall'altro lato, hanno consentito di delineare ulteriori condotte colpose integranti una responsabilità dei Ministeri convenuti nel verificarsi del disastro; in particolare sarebbe emerso che il “punto condor” in cui si è verificato il disastro costituiva un punto di intersecazione tra un'aerovia civile e un'aerovia militare;
− nella sentenza di primo grado la Corte di Assise, avrebbe affermato “un'inedita ipotesi di responsabilità in capo agli apici politici di quei Ministeri che avrebbero potuto ma che, invece e inopinatamente”, non fecero nulla; più precisamente, tale nuova ipotesi di responsabilità dei Ministeri convenuti deriverebbe, nella prospettazione degli attori, dalla riqualificazione dei fatti operata dalla Corte di Assise di primo grado come reato di cui all’art. 289, comma II c.p., (rispetto alla contestazione del reato di cui al I comma dell'art. 289 c.p.) avendo la Corte ravvisato nella condotta degli imputati - consistita nell'aver omesso di riferire all’autorità governativa i risultati dell’analisi dei dati emergenti dalle registrazioni dei radar di Ciampino- soltanto un concreto turbamento e non un impedimento delle attribuzioni del Ministero della Difesa, poiché quest'ultimo poteva avere autonoma contezza del fatto che dai dati del radar civile emergeva la presenza di altri aerei in base ai risultati già conseguiti dalle indagini della Commissione Ministeriale di inchiesta.
In ordine alla durata del termine di prescrizione della presente azione civile gli attori invocano l'applicazione del comma 3 dell'art. 2947 c,c.. ed identificando nel caso di specie il fatto reato in una strage sostengono l'imprescrittibilità dell'azione civile; in via subordinata allegano che sarebbe comunque identificabile nel reato di “disastro aviatorio colposo” di cui al 2° comma dell'art.449 c.p., la cui prescrizione maturerebbe in quindici anni.
*
Ciò posto osserva preliminarmente il Tribunale che la questione della prescrizione deve essere esaminata separatamente in riferimento alle due fattispecie di illecito civile ascrivibile alle amministrazioni convenute, oggetto del presente processo.
Ed invero diversi sono i termini di prescrizione per l'illecito consistito nel non aver assicurato la sicurezza del volo e per l'illecito consistito nel non aver consentito l'accertamento delle
cause del disastro, poiché il primo integra il reato di disastro aviatorio colposo, con 94
conseguente applicazione del termine quindicinale di prescrizione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2947 comma 3 c.c. 157 c.p. e 449 comma 2 c.p., mentre al secondo si applica il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 comma 1 c.c.
A proposito del termine di prescrizione applicabile al reato di disastro aereo colposo si rileva che il termine di quindici anni si individua alla stregua del testo dell'art 157 c.p. nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dall'art. 6 legge 5 dicembre 2005 n. 251, trattandosi di disposizione più favorevole, in quanto in base al combinato disposto di cui agli artt. 157 commi 1 e 6 (nuova formulazione) e 449 c.p. il termine di prescrizione del reato di disastro aviatorio colposo è oggi di 20 anni.
Diverso è anche il dies a quo per la decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno connesso ai due illeciti, poiché diversamente individuabile è nei due casi il momento in cui gli attori hanno potuto acquisire sufficiente consapevolezza degli elementi costitutivi (diversi) dei due illeciti.
In ordine all'individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione in generale devono infatti richiamarsi i principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2008 (Cass., S.U., 11 gennaio 2008 n. 576 e n. 583) in ipotesi di fatto dannoso lungolatente (quale è quello relativo a malattia da contagio da trasfusione di sangue infetto) secondo cui “ il diritto al risarcimento del danno di chi assume di avere contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell'art. 2947 c.c., comma 1, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Qualora invece non sia conoscibile la causa del contagio, la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non è idonea in sè a concretizzare il "fatto" che l'art. 2947 c.c., comma 1, individua quale esordio della prescrizione”.
Con tali sentenze le Sezioni Unite hanno aderito all'indirizzo che applica, in tema di individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione unitamente al principio della "conoscibilità del danno", quello della "rapportabilità causale", in quanto “l'individuazione del dies a quo ancorata solo ed esclusivamente al parametro dell'"esteriorizzazione del danno" può rivelarsi limitante ed impedire una piena comprensione delle ragioni che giustificano l'inattività (incolpevole) della vittima rispetto all'esercizio dei suoi diritti”.
Di conseguenza l'approccio all'individuazione del dies a quo si sposta “da una mera 95
disamina dell'evolversi e dello snodarsi nel tempo delle conseguenze lesive del fatto illecito o dell'inadempimento - e cioè delle diverse tappe che caratterizzano il passaggio dal danno "occulto" a quello che si manifesta nelle sue componenti essenziali ed irreversibili - ad una rigorosa analisi delle informazioni, cui la vittima ha avuto accesso o per la cui acquisizione si sarebbe dovuta diligentemente attivare, della loro idoneità a consentire al danneggiato una conoscenza, ragionevolmente completa, circa i dati necessari per l'instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti) e della loro disponibilità in capo al convenuto, con conseguenti riflessi sulla condotta tenuta da quest'ultimo eventualmente colpevole di non avere fornito quelle informazioni alla vittima, nei casi in cui era a ciò tenuto ( ciò è pacifico negli ordinamenti anglosassoni, in tema di medical malpractice)”.
Nelle stesse sentenze le Sezioni Unite si sono preoccupate di specificare che il principio da loro affermato in tema di exordium praescriptionis “non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. Esso deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi, l'uno interno e l'altro esterno al soggetto, e cioè da un lato al parametro dell'ordinaria diligenza, dall'altro al livello di conoscenze scientifiche dell'epoca, comunque entrambi verificabili dal giudice senza scivolare verso un'indagine di tipo psicologico. In particolare, per quanto riguarda l'elemento esterno delle comuni conoscenze scientifiche esso non andrà apprezzato in relazione al soggetto leso, in relazione al quale l'ordinaria diligenza dell'uomo medio si esaurisce con il portarlo presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti, ma in relazione alla comune conoscenza scientifica che in merito a tale patologia era ragionevole richiedere in una data epoca ai soggetti a cui si è rivolta (o avrebbe dovuto rivolgersi) la persona lesa”.
La Suprema Corte ha, infine, ribadito che il debitore, che eccepisce la prescrizione, ha l'onere di provare la stessa (quale fatto estintivo del diritto azionato) e quindi anche la data di decorrenza (Cass. 13/12/2002, n. 17832; Cass. 05/02/2000, n. 1300).
I principi espressi dalle Sezioni Unite in tema di risarcimento del danno nei confronti del Ministero della Salute per il contagio di infezioni a causa di somministrazione di sangue infetto si attagliano perfettamente al caso di specie, nel quale come in quello del risarcimento del danno da emotrasfusioni e in quello di diritto alla rendita in caso di malattia professionale “ multifattoriale” - tale cioè da poter essere ricondotta a cause diverse e da non fornire all'interessato la sicurezza propria della tecnopatia e quindi la piena consapevolezza o conoscibilità del diritto alla rendita e la possibilità di esercitare la relativa azione- il danno derivante dalla caduta del velivolo e dalla morte dei congiunti è stato per lungo tempo
riconducibile a una pluralità di ipotesi diversissime (cedimento strutturale, bomba, missile o 96
quasi collisione o comunque evento connesso alla presenza di altri aerei militari) implicanti responsabilità alternative di soggetti diversi (Itavia, terrorista responsabile, Ministero della Difesa ed eventuale stato estero di nazionalità dell'aereo militare coinvolto), con conseguente impossibilità di fatto per gli attori di intentare fondatamente un'azione risarcitoria nei confronti di uno di questi soggetti, stante la situazione di sostanziale equivalenza delle ipotesi di causa del disastro, che è perdurata per molto tempo.
Deve inoltre ribadirsi come tale situazione di incertezza sia addebitabile anche proprio alle amministrazioni convenute, per non aver messo a disposizione dell'A.G. la documentazione fondamentale relativa ai rilevamenti dei radar militari, oggetto di decreti di sequestro.
D'altra parte anche la consapevolezza degli attori circa la lesione al loro diritto derivante dalle condotte delle amministrazioni convenute di occultamento dei dati indispensabili per l'accertamento delle cause del sinistro ha risentito dell'evoluzione delle conoscenze acquisite dall'A.G. e della valutazione che di tali conoscenze è stata operata dalla Corte di Assise in primo e in secondo grado.
Al riguardo appare opportuno evidenziare che le Sezioni Unite citate (in particolare nella sentenza n. 576/2008) fanno esplicito riferimento, per l'individuazione del dies a quo, alla differenza tra la situazione di “conoscibilità del danno” e quella di “conoscibilità del fatto giuridicamente rilevante ai fini di un'azione risarcitoria” ovvero di “conoscibilità del fatto illecito”, scegliendo di ancorare a tale seconda situazione l'individuazione del dies a quo e riconducendo a tale seconda situazione i casi in cui “la vittima, senza sua negligenza, si trova a ignorare la causa del suo stato psicofisico o, al massimo, può sul punto formulare mere ipotesi, prive tuttavia di riscontri sufficientemente oggettivi anche ai fini dell'istruzione di una causa sul piano probatorio e certo tali da escludere che l'inattività della stessa possa esplicare effetti negativi sotto il profilo dell'interruzione della prescrizione”.
2. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente all'illecito costituito dalle condotte ascritte al Ministero consistite nel non avere avvisato il DC9 della presenza di altri aerei e non avergli indicato altra e idonea rotta da seguire.
Ciò posto ritiene il Tribunale il diritto al risarcimento del danno conseguente all'illecito costituito dalle condotte ascritte al Ministero consistite nel non avere avvisato il DC9 della presenza di altri aerei e non avergli indicato altra e idonea rotta da seguire non può ritenersi prescritto, perchè il termine di prescrizione quindicinale (applicabile ai sensi del combinato
disposto di cui agli artt. 2947 comma 3 c.c. 157 n. 2) c.p., nella formulazione precedente alle 97
modifiche introdotte con la legge 5 dicembre 2005 n. 151, e 449 comma 2 c.p., poiché tali condotte integrano il reato di disastro aviatorio colposo) non può essere computato da data anteriore a quella della fine della fase dell'istruttoria formale (cioè alla data di deposito della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore: il 31.08.1999 ).
Ed invero solo nell'ultimissima fase dell'istruzione formale l'ipotesi che a determinare la caduta dell'aereo sia stato un evento (missile o quasi collisione) connesso alla presenza di velivoli militari vicini al DC9 inizia ad acquisire consistenza, in quanto la perizia Dalle Mese (depositata nella sua prima relazione il 16.6.1997, e proseguita con le risposte a quesiti aggiuntivi e le note aggiuntive del 6.12.1997 e del 22.12.1997 e conclusasi con le note conclusive dell' 8.4.1999 ) ha apportato un contributo tecnico indispensabile al riguardo.
Tale perizia infatti – a differenza di tutte le precedenti analisi tecniche dei dati radar che si erano sostanzialmente limitate all'esame degli istanti finali del volo del DC9- esamina il complessivo scenario aereo in cui si inserisce l'intera traiettoria del volo DC9 dall'inizio alla fine, elemento questo che, come si è visto, è di fondamentale rilievo per supportare l'ipotesi del coinvolgimento nell'incidente di un velivolo militare; inoltre ha consentito di accertare le operazioni di guida assistita effettuate subito dopo l'incidente dall'IC di Marsala, e l'avvenuta effettuazione di una riduzione presso lo stesso sito in corrispondenza dei buchi nei nastri di registrazione, elementi anche questi di fondamentale rilievo per supportare l'ipotesi descritta e accettata da questo giudice.
D'altra parte deve evidenziarsi come fino agli anni 1995 e 1996 i periti d'ufficio non abbiano potuto disporre delle conoscenze necessarie per la corretta interpretazione dei dati radar e come al riguardo sia stato determinante il contributo apportato proprio in quegli anni dalla Nato, che ha consentito ai periti Dalle Mese – Donali – Tiberio l'espletamento del loro incarico. Tale contributo ha inoltre consentito di appurare che dai dati radar emerge la probabile presenza di una portaerei, elemento anche questo di fondamentale rilievo per supportare l'ipotesi descritta e accettata da questo giudice.
E non può trascurarsi come proprio dopo il deposito della perizia Dalle Mese i periti Casarosa ed Held abbiano concluso che l'ipotesi della quasi collisione dovesse ritenersi più probabile di quella della bomba, proprio in ragione del maggiore grado di probabilità assunto dall'ipotesi della presenza di altri aerei nello scenario dell'incidente occorso al DC9.
Deve escludersi che il termine di prescrizione possa essere fatto decorrere dal deposito della Perizia Blasi (marzo 1989) in considerazione della circostanza che, sebbene tale perizia avesse concluso nel senso di individuare la causa della caduta dell'aereo nell'esplosione di un missile, tale ipotesi non potè acquisire una consistenza sufficiente, in ragione dapprima delle
immediate smentite operate con la Relazione dello SMA Pisano del 5.5.1989 e della 98
Relazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri Pratis del 17.11.1989 (che contestarono immediatamente l'ipotesi) e poi – e soprattutto- del deposito della relazione degli ausiliari Giaccari e altri del 5.2.1990 (ausiliari radaristi dello stesso collegio Blasi) che esclude la presenza di altri aerei, e dalla conseguente spaccatura all'interno del Collegio Blasi.
Nella fattispecie in esame deve pertanto ritenersi che gli odierni attori hanno potuto acquisire piena conoscenza del complesso degli elementi emersi dalle indagini penali relativi al nesso di causalità tra il disastro e le omissioni oggi ascritte ai Ministeri convenuti (consistenti nel non aver avvisato il DC9 della presenza di altri aerei e nel non averlo indotto a cambiare rotta) non prima del deposito della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore per i motivi sopra indicati. Ed invero le circostanze evidenziate dall'Avvocatura dello Stato in sede di repliche orali ex art. 281 – quinquies secondo comma c.p.c, che sarebbero emerse, in epoca immediatamente successiva al disastro, e dalle quali – secondo la prospettazione di parte convenuta- sarebbe stato possibile desumere fin da subito il profilarsi dell'ipotesi aereo militare/missile quale causa del disastro con la conseguente identificazione del Ministero quale responsabile per l'omessa adozione delle misure necessarie, non sono ad avviso di questo giudice sufficienti ad integrare la rapportabilità causale del disastro alle condotte oggi ascritte ai Ministeri convenuti.
I Ministeri convenuti fanno infatti riferimento da un lato a una serie di articoli pubblicati sui quotidiani nei giorni immediatamente successivi al disastro (riportati a pag. 91 dell'ordinanza del G.I.) nonché a dichiarazioni provenienti da vari soggetti, quali i piloti della CISL (bollettino del 24 luglio 1980 riportato a pag. 88 della sentenza ordinanza del G.I.) o il Presidente Itavia del 16.12.1980 (riportate a pagg. 119-121 della sentenza ordinanza del G.I.) o gli Onorevoli Lagorio Formica e Spadolini, e dall'altro alle analisi dei dati radar elaborate dalla Selenia nella relazione dell'8 ottobre 1980 su richiesta della Commissione Luzzatti, e dall'Ente per la Sicurezza dei trasporti degli Stati Uniti d'America (NTSB- National Transportation Safety Board) su richiesta del governo italiano su impulso della Commissione Ministeriale.
E' evidente che il giudizio sulla rapportabilità causale del disastro alle condotte oggi ascritte ai Ministeri convenuti, all'epoca indicata e sulla base degli elementi appena evidenziati, deve essere condotto non tanto riguardo alle valutazioni espresse negli articoli di giornale indicati, o dai soggetti suddetti, quanto piuttosto riguardo agli elementi di fatto posti a fondamento di tali valutazioni.
In ordine agli articoli di giornale pubblicati su Paese Sera il 3.7.1980 e sull'Unità il 5.7.1980 (cfr. pag. 92 della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) si rileva che gli stessi fondavano l'ipotesi di una collisione tra il DC9 e un aereo militare sul rinvenimento di presunti relitti di
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un aereo americano e sulla scomparsa di due piloti americani il giorno dell'incidente, elementi che poi, all'esito delle indagini, non sono stati ritenuti idonei a fondare l'ipotesi della collisione (non corrispondendo i relitti indicati negli articoli a quelli effettivamente rinvenuti o comunque non essendo riconducibili, i relitti rinvenuti, a mezzi americani precipitati lo stesso giorno della caduta del DC9, ed essendo stata prontamente smentita la notizia della scomparsa dei due piloti americani).
Si osserva inoltre, che nell'immediatezza del disastro, accanto all'ipotesi della collisione o del missile vennero profilate le incompatibili ipotesi della bomba a bordo, e cioè dell'attentato terroristico, dell'attentato al Giudice Tricomi, e del cedimento strutturale inizialmente prospettate in modo quantomeno altrettanto circostanziato rispetto alla prima: basti pensare infatti alle specifiche dichiarazioni rese in data 8 luglio 1980 da Alfio De Regibus circa il suicidio di Zanetti Emanuele, imbarcatosi sul volo Bologna – Palermo del 27 giugno (cfr. pag. 68 dell'ordinanza sentenza del G. I.), o a quelle rese da Enzo Marfisi, il 22 dicembre 1980, circa la presenza all'aeroporto di Bologna di un uomo claudicante che si era rivolto a diversi dei passeggeri tra quelli che avrebbero dovuto imbarcarsi sullo sciagurato aereo chiedendo loro la cortesia di portargli un pacchetto a Palermo ove avrebbero trovato altra persona incaricata di ritirarlo (cfr. pag. 71 dell'ordinanza sentenza del G.I.), o, infine alle rivendicazioni dei NAR circa la presenza dell'estremista marco Affatigato sul velivolo, o alle rivendicazioni dell'attentato da parte delle BR riportate nell'immediatezza dal giornale “L'occhio “del 30 giugno 1980.
Le dichiarazioni rese il 16.12.1980 dal Presidente Itavia in ordine alla certezza della distruzione dell'aereo ad opera di un missile raggiunta da parte della Commissione tecnica di inchiesta Itavia sull'incidente (riportate a pagg. 95-96 della sentenza ordinanza del G.I.) fondavano tale convincimento: a) sulle registrazioni dei dati radar che evidenziavano, al momento dell'incidente, la manovra di intercettazione del DC9 da parte di un aereo militare, e, immediatamente dopo l'esplosione la disintegrazione dell'aereo e la proiezione dei rottami principali lungo la traiettoria seguita dall'aereo intercettore; b) sulle perizie mediche sulle salme dei passeggeri che avevano attestato il verificarsi a bordo di una decompressione esplosiva; c) sulla presenza di fosforo su una scheggia del carrello principale ritrovata sul corpo di un passeggero che aveva comprovato che l'aereo era stato colpito da un ordigno bellico.
In proposito si osserva che gli esiti delle perizie mediche se escludevano l'ipotesi del cedimento strutturale tuttavia lasciavano aperta tanto l'ipotesi della bomba quanto quella del coinvolgimento di un altro aereo nel sinistro, e che l'elemento della presenza di fosforo su
una scheggia del carrello principale ritrovata sul corpo di un passeggero non risulta avere poi 100
avuto alcun rilievo nell'ambito delle ben più approfondite indagini peritali svolte nel corso dell'istruttoria formale. D'altra parte in questo momento regnava la più totale incertezza anche riguardo alle emergenze delle registrazioni dei dati radar.
Ed infatti, quanto alle analisi dei dati radar del sistema ATCAS (cioè quelli del traffico civile registrati dall'impianto di Ciampino) elaborate dalla Selenia nella relazione dell'8 ottobre 1980 su richiesta della Commissione Luzzatti, e poi anche dall'Ente per la Sicurezza dei trasporti degli stati Uniti d'America (NTSB- National Transportation Safety Board) si evidenzia come la convinzione del Giudice Istruttore e della Corte di Assise di primo grado di Roma prima, e di questo Giudice poi, circa l'ascrivibilità della caduta del DC 9 Itavia alla indebita presenza sulla sua rotta di velivoli militari, è il frutto della conversione di una serie di elementi in tale direzione, nell'ambito dei quali le predette elaborazioni dei dati radar costituiscono un elemento da solo assolutamente non sufficiente ed univoco.
Il coacervo degli elementi in questione è costituito infatti da una serie di fatti secondari rappresentati - oltre che dalle analisi dei dati radar effettuate dalla Perizia Dalla Mese (ben diverse dalle prime elaborazioni degli scarni dati radar a disposizione, avendo avuto ad oggetto l'intera traiettoria del volo del DC9 e non solo il suo tratto finale ed essendosi fondate su conoscenze – anche sul funzionamento dei radar Marconi e Selenia - che si sono via via approfondite nel tempo e nel corso delle perizie che si sono susseguite e che hanno consentito di giungere, soltanto nel tempo, anche grazie al sopravvenire di elementi estrinseci di riscontro e di validazione, a conclusioni sempre meno opinabili) - dal relitto dell'aereo (recuperato in due fasi nel 1987 e nel 1991, che ha consentito di comprendere la dinamica di destrutturazione del velivolo e di escludere l'ipotesi del cedimento strutturale), dall'assenza di riscontri estrinseci (o dalla presenza di elementi incompatibili con) altre ipotetiche cause del sinistro, da dichiarazioni testimoniali, da informazioni fornite dalla Nato solo a partire dal 1995, e da una serie di condotte tenute soprattutto da appartenenti all'Aeronautica Militare, susseguenti all'evento delle quali, gli odierni attori possono avere avuto contezza nel loro complesso soltanto all'atto del deposito dell'ordinanza sentenza del Giudice Istruttore.
Peraltro in ordine alle conclusioni della II relazione del NTSB del 25.11.1980 a firma Jhon Macidull (cfr. pag. 94 della sentenza ordinanza del G.I.) - secondo cui dai dati radar appariva in volo un oggetto non identificato che, senza scontrarsi in volo con il DC9, aveva attraversato l'area dell'incidente da Ovest verso est a grande velocità ed approssimativamente nello stesso momento del verificarsi dell'incidente (compatibili con quelle, molto più sfumate della relazione della Selenia dell'8 ottobre 1980)- evidentemente poste a fondamento delle valutazioni di Davanzali circa l'abbattimento dell'aereo ad opera di un missile, deve
evidenziarsi come, meno di un mese dopo il deposito della II relazione Macidull e pochi 101
giorni dopo le dichiarazioni di Davanzali, l'Aeronautica Militare con una nota trasmessa tanto al P.M. quanto allo Stato Maggiore della Difesa, al dichiarato scopo di “dissipare taluni sospetti che potrebbero nascere dal contenuto degli articoli di stampa nonché dalle dichiarazioni fatte anche da autorevoli personalità interessate alla vicenda” si premurava di chiarire, tra l'altro che “l'analisi del tracciamento radar effettuata dall'AM sulla base della documentazione fornita dai centri radar di Licola, Siracusa e Marsala, non conferma la presenza di tracce sconosciute in prossimità della zona dell'incidente. Tutte le tracce rilevate dai radar erano identificate e tutti i velivoli a cui si riferivano concludevano il volo senza inconvenienti. I tre centri radar non hanno rilevato la presunta traccia del velivolo che, secondo gran parte della stampa, avrebbe attraversato la rotta del DC9 a distanza di tre miglia o, peggio, sarebbe entrato in collisione con esso” (cfr. pag. 97 e ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore).
Pertanto il principale elemento obiettivo (costituito dai dati del radar di Ciampino) su cui si basava l'opinione espressa da Davanzali circa l'abbattimento del DC9 ad opera di un missile non può considerarsi, con riferimento all'epoca delle dichiarazioni di Davanzali, sufficiente a fondare la rapportabilità causale del disastro alle condotte oggi ascritte ai Ministeri convenuti, in quanto direttamente smentito, secondo le comunicazioni ufficiali dell'AM., da altro dato obiettivo (i dati forniti dai centri radar di Licola, Siracusa e Marsala) che all'epoca potevano ancora considerarsi di pari attendibilità se non superiore.
La valutazione espressa da Davanzali in ordine alla causa del sinistro presentava inoltre il limite soggettivo di provenire da una persona direttamente interessata alla vicenda e portatrice di uno specifico interesse economico a sostenere la tesi della collisione o del missile contrapposta a quella del cedimento strutturale, specie nel momento in cui veniva espressa, e cioè il giorno stesso in cui un decreto del Ministero dei Trasporti dichiarava decaduti tutti i servizi di linea affidati ad Itavia.
Risulta evidente allora come nell'immediatezza e nei primi mesi dopo il disastro, quella della collisione con un aereo militare o dell'abbattimento da parte di un missile era una soltanto delle ipotesi sulle causa dell'inabissamento del DC9 che si profilava, con pari dignità riguardo agli elementi obiettivi di riscontro, rispetto alle altre ipotesi astrattamente ipotizzabili (e non implicanti alcun illecito e alcuna responsabilità dei Ministeri oggi convenuti) e parimenti sostenute.
L'obiettiva incertezza sulle reali concrete cause della sciagura è stata tale da rendere necessari 19 anni di istruttoria informale prima e formale poi, prima che l'A.G. potesse addivenire alla convinzione che le cause del disastro fossero connesse alla presenza di altri aerei di tipo
militare, e quindi al rinvio a giudizio degli alti ufficiali dello SMA per avere tenuto nascosto 102
al Ministro della Difesa l'elemento del coinvolgimento di altri velivoli nel sinistro e all'archiviazione per prescrizione delle posizioni di una serie di appartenenti all'Aeronautica Militare per reati tutti riconducibili a condotte di ostacolo alle indagini degli inquirenti sulle cause del disastro.
Tale incertezza si configura evidentemente quale incertezza sulla sussistenza dell'illecito delle Amministrazioni oggi convenute dipendente da fatti obiettivi, e cioè dallo stato degli elementi acquisiti in ordine al disastro che consentissero di individuarne la sua matrice eziologica. Peraltro l'incertezza sulle cause del disastro, e quindi sulla sussistenza dell'illecito delle amministrazioni convenute fatto valere nel presente giudizio, è dipesa dalla mancata messa a disposizione da parte dell'A.M (e cioè del Ministero della Difesa oggi convenuto) dei documenti relativi alle registrazioni dei radar militari di cui aveva la disponibilità.
Il Ministero della Difesa quindi oggi invoca la prescrizione del diritto al risarcimento del danno che gli attori per lungo tempo non hanno potuto esercitare nei suoi confronti proprio perchè, a causa della scarsità dei dati disponibili, non hanno avuto per lungo tempo sufficiente conoscenza dell'esistenza di tale illecito, e ciò in quanto l'A.M. non ha messo a disposizione dell'A.G. i documenti all'uopo indispensabili rientranti nella sua disponibilità.
In proposito non appare fuori luogo allora richiamare anche la disposizione di cui all'art. 2941 n 8 c.c. in base alla quale “ la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore finchè il dolo non sia stato scoperto”.
Ed invero tale disposizione può trovare applicazione nel caso di specie ove si ritenga che la mancata consegna all'A.G. del DA1 di Licola, del DA1 Di Marsala e dei nastri di registrazione di Poggio Ballone non sia dipesa da colpa bensì da dolo degli appartenenti all'A.M., e cioè sia stata finalizzata proprio a coprire la responsabilità dei comandanti di quei CRAM per l'incidente occorso al DC9.
Infine in ordine alla Giurisprudenza della Suprema Corte richiamata dall'Avvocatura dello Stato in sede di repliche orali - che riferisce la disposizione di cui all'art. 2935 c.c. alla sola possibilità legale di far valere il diritto e cioè alle cause impeditive di ordine generale all'esercizio di un diritto (quali una condizione sospensiva non ancora avverata o un termine non ancora scaduto), e non anche all'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto nell'ipotesi di incertezza nell'identificazione del debitore - se ne rileva, da un lato, l'avvenuto superamento ad opera delle citate sentenze delle Sezioni Unite del 2008 e, dall'altro lato, il suo riferirsi a casi di specie del tutto diversi nei quali il titolare del diritto non si era trovato in una situazione di incertezza sulla causa del danno e quindi della sussistenza o meno degli elementi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.
3. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno connesso all'illecito dei ministeri
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convenuti consistito nell'avere ostacolato o impedito l'accertamento delle verità sulle cause del disastro
Riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno connesso all'illecito dei Ministeri convenuti consistito nell'avere ostacolato o impedito l'accertamento delle verità sulle cause del disastro, questo giudice ritiene che la piena consapevolezza della lesione del c.d. diritto alla verità sia stata potuta acquisire dagli attori soltanto a partire dal deposito della sentenza di appello della Corte di Assise di Appello di Roma, avvenuto in data 6 aprile 2006.
Infatti tale sentenza, ribaltando sul punto le conclusioni della Corte di Assise di primo grado, ha ritenuto che non potesse ritenersi raggiunta alcuna certezza in ordine al coinvolgimento di un altro velivolo nel sinistro occorso al DC9, e ha addirittura ritenuto, sulla base di tutti gli elementi raccolti nell'istruttoria formale nonché di quelli ulteriori emersi nel processo di Assise di primo grado, la totale mancanza di una prova in tal senso, e non la semplice insufficienza o contraddittorietà della prova.
E' allora soltanto a partire da questo momento che, ad avviso di questo giudice, gli odierni attori hanno potuto acquisire sufficiente consapevolezza dell'effetto prodotto dalle condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del disastro realizzate dagli appartenenti all'A.M., e cioè che tali condotte avevano reso impossibile un accertamento delle cause del disastro secondo gli standards di certezza richiesti in un processo penale.
Prima di tale momento gli attori infatti, anche in ragione delle conclusioni in ordine alla presenza di altri velivoli coinvolti nell'incidente cui era pervenuto il Giudice Istruttore nella sua sentenza ordinanza, condivise dalla Corte di Assise di primo grado, hanno potuto nutrire la ragionevole convinzione che le condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del sinistro realizzate dagli appartenenti all'A.M. non avessero sortito l'effetto sperato, non avessero cioè definitivamente compromesso la possibilità di un accertamento secondo gli standards di certezza richiesti in un processo penale.
Ed invero con la sentenza ordinanza del Giudice Istruttore - oltre a dichiararsi non doversi procedere in ordine al delitto di strage perchè ignoti gli autori del reato - veniva disposto il rinvio a giudizio di BARTOLUCCI Lamberto, FERRI Franco, MELILLO Corrado e TASCIO ZENO per i reati di cui agli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., commessi mediante la trasmissione al Governo di false informazioni sul coinvolgimento di altri aerei nel disastro aereo del 27.6.1980.
Nel giudizio di primo grado svoltosi innanzi alla Corte di Assise di Roma (e definito con la sentenza della n. 10 del 30 aprile 2004 che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di BARTOLUCCI e FERRI per alcuni dei fatti loro contestati nell'ambito dell'art. 289 c.p. ,
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previa riqualificazione dei medesimi quale violazione del II comma dell'art. 289 c.p., per essersi il delitto estinto per intervenuta prescrizione, e ha assolto nel merito tutti gli imputati da tutte le residue imputazioni) gli odierni attori si costituivano parte civile al fine non tanto (o non soltanto) di fare valere il loro diritto al risarcimento del danno nei confronti degli imputati per la lesione del loro diritto al risarcimento dei danni vantato nei confronti degli autori del reato di strage (la cui individuazione era stata resa impossibile dalle condotte ascritte agli imputati derivata dalle condotte degli imputati di trasmissione al Governo di false informazioni sul coinvolgimento di altri velivoli nel disastro aereo del 27 giugno 1980) ma soprattutto di partecipare alla formazione di quelle prove che avrebbero dovuto chiarire nel contraddittorio dibattimentale il contesto in cui si erano inserite le condotte ascritte agli imputati, e cioè accertare, con la certezza richiesta nel processo penale, le cause del disastro. Ed effettivamente nel processo di assise di primo grado grande spazio è stato dato all'accertamento di quel contesto, attraverso l'esame nel contraddittorio tra le parti (imputati, odierni attori costituiti parti civili, odierni convenuti costituiti nella doppia veste di parti civili e responsabili civili) di numerosissimi testimoni periti e consulenti tecnici.
In particolare sono stati esaminati in contraddittorio tra le parti i dati tecnici attraverso l'esame e il confronto di periti e consulenti tecnici di parte, e sono stati valutati i dati del radar Marconi ritenuti dalla Corte “indicativi con una probabilità apprezzabile e significativamente superiore a quella ipotizzata dalla commissione Misiti, della presenza di almeno un velivolo intersecante la rotta del DC9 in corrispondenza della zona del disastro”. Sulla base anche di questi elementi la Corte ha ritenuto che, nel quadro delle diverse contestazioni mosse agli imputati fosse emersa, “in termini oggettivi la fondatezza dei rilievi aventi ad oggetto specificamente l'omesso riferimento all'autorità governativa nel mese di luglio 1980 dei risultati dell'analisi dei dati emergenti dalle registrazioni del radar Marconi e, nella nota del 20 dicembre 1980, la disinformazione in merito al possibile coinvolgimento nel disastro di altri aerei (realizzata con l'attribuzione di un valore di dato certo all'esito negativo dei tracciati dei radar della difesa aerea e con la mancanza di qualsiasi riferimento ai dati dei radar del controllo del traffico aereo, che proprio in quel periodo erano oggetto di approfondite analisi atte a supportare l'ipotesi della presenza di aerei non identificati in area prossima al disastro)”.
Inoltre la sentenza di Assise di primo grado prende in esame elementi diversi da quelli di natura tecnica utili per l'individuazione della causa del disastro, quali ad esempio le testimonianze degli operatori del sito di Ciampino, le conversazioni telefoniche tra i vari siti radar dopo l'incidente, l'eventuale presenza di aerei americani in volo al momento
dell'incidente, le dichiarazioni degli operatori presso il CRAM di Marsala in relazione a cosa 105
fosse realmente accaduto la sera del disastro nel sito di Marsala ( cioè in relazione allo svolgimento o meno dell'esercitazione Synadex, e al motivo dei buchi nei nastri di registrazione di quel sito). Sotto questo profilo il dibattimento di Assise è stato utilissimo per il chiarimento di una serie di elementi rilevantissimi per l'accertamento delle cause del disastro, quali l'esistenza o meno di riscontri esterni, di natura non tecnica all'ipotesi del coinvolgimento di altri aerei. Ad esempio è stato accertato che la testimonianza del Cannizzaro (che trovandosi in vacanza nella località marittima di Torremezzo di Falconara Albanese la sera del 27.6.1980 al tramonto aveva visto tre aerei che provenienti dal mare erano passati sulla sua testa) non poteva essere considerata valida riscontro dell'ipotesi, in forza di un accertamento di p.g. disposto dalla stessa Corte di Assise sul preciso orario in cui il sole si trovava nella posizione indicata dal teste; e, sempre a titolo meramente esemplificativo, è stato accertato che non era possibile la retrodatazione, ipotizzata da Priore dell'incidente del Mig libico.
Risulta allora evidente come negli anni in cui si è svolto il processo innanzi alla Corte di Assise di Roma gli odierni attori abbiano concretamente esercitato il c.d. “diritto alla verità” in quella sede giurisdizionale, potendo ragionevolmente sperare che in quel processo si facesse chiarezza, se non immediatamente sull'individuazione dei responsabili della strage, almeno sulle modalità con le quali si era verificato l'incidente, e non avendo quindi ancora maturato la necessaria consapevolezza circa l'effetto prodotto sulla possibilità di accertamento dei fatti dalle condotte di soppressione di documenti e di testimonianze false e reticenti, attribuibili agli appartenenti all'Aeronautica Militare poste in essere durante l'istruttoria formale ed emerse dalla lettura della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore.
Il tenore della sentenza di Assise di primo grado, che prende in esame e vaglia le varie ipotesi sulle cause del sinistro e ritiene accertata con una probabilità apprezzabile la presenza di almeno un velivolo intersecante la rotta del DC9 in corrispondenza della zona del disastro, dimostra che sia tali aspettative sia la mancanza di consapevolezza circa l'intervenuta lesione del diritto avevano un obiettivo fondamento, e che all'epoca non era ancora conoscibile per gli odierni attori, in tutti i suoi elementi essenziali, il fatto illecito dell'amministrazione fato valere nell'odierno giudizio.
Ritiene questo giudice che la piena consapevolezza della lesione del c.d. diritto alla verità sia stata potuta acquisire dagli attori soltanto a partire dal deposito della sentenza di appello della Corte di Assise di Appello di Roma, avvenuto in data 6 aprile 2006.
Per quanto rileva in questa sede il giudizio di secondo grado aveva ad oggetto:
−l'appello del P.M. che chiedeva la riforma della sentenza di primo grado nei confronti degli
imputati FERRI e BARTOLUCCI: a) sia nella parte in cui aveva qualificato i fatti accertati 106
come reato di cui al II comma dell'art. 289 c.p. (con conseguente intervenuta prescrizione) anziché come reato di cui al primo comma dell'art. 289 (non prescritto); b) sia nella parte in cui aveva assolto nel merito i predetti imputati dai restanti fatti ascritti nel capo di imputazione; e che concludeva pertanto chiedendo la condanna degli imputati per tutti i fatti loro ascritti;
−l'appello degli imputati FERRI e BARTOLUCCI avverso la parte della sentenza che, ritenendo accertato il fatto dell'omesso riferimento alle autorità politiche dei risultati dell'analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino, aveva dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione anziché assolvere nel merito gli appellanti con la formula perchè il fatto non sussiste o per non averlo commesso, o perchè il fatto non costituisce reato per mancanza dell'elemento soggettivo del reato; e che chiedevano pertanto l'assoluzione nel merito da tutti i fatti loro ascritti.
All'esito del giudizio di appello la Corte, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva gli imputati FERRI e BARTOLUCCI dall'imputazione loro ascritta perchè il fatto non sussiste, nella sostanza ritenendo che agli imputati non potesse essere ascritto il reato di cui all'art. 289 c.p. per non aver riferito alle autorità politiche i risultati dell'analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino, perchè da tali dati non risultava la presenza di altri aerei.
Nella motivazione della sentenza la Corte di Assise di Appello, contrariamente alla sentenza di primo grado, affermava infatti non essere stato raggiunto “un risultato di ragionevole certezza su un presunto velivolo che avrebbe volato accanto o sotto il DC9 ITAVIA (...) ma sono emerse solo mere probabilità di significato quindi, dichiaratamente neutro” (cfr. pag. 68 della sentenza) con riferimento alla parte finale del volo del DC9, e cioè riguardo agli elementi desumibili dai plot -17 e -12, dai quali, secondo il giudizio della Corte di assise di Appello, la sentenza di primo grado aveva desunto l'esistenza di un velivolo che volava accanto al DC9 “con un salto logico non giustificabile .. supportato solo da ipotesi, deduzioni, probabilità, e da basse percentuali e mai da una sola certezza”; escludeva inoltre, anche più in generale, che vi fosse prova di un movimento di aerei militari che potevano aver comunque interessato il volo del DC9 (cfr. pag. 115 della sentenza); e riteneva che “tutto il resto è fantapolitica o romanzo...le stesse ipotesi (si sottolinea ipotesi e non certezze) dell'abbattimento ad opera di un missile o di esplosione a bordo non hanno trovato conferma”.
Appare inoltre opportuno evidenziare che il giudizio della Corte di Assise di Appello è un giudizio di totale mancanza (e non di insufficienza) di prova, come peraltro rilevato dalla Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso delle parti civili, volto a ottenere un
proscioglimento per intervenuta estinzione del reato anziché l'assoluzione nel merito operata 107
in appello non essendo emersa l'evidenza dell'insussistenza del fatto, necessaria ai sensi nell'art. 129 c.p.p.
Soltanto a partire dal deposito della sentenza della Corte di Assise di Appello quindi gli attori hanno potuto maturare la consapevolezza che, a causa delle condotte delle amministrazioni convenute, tutti gli elementi raccolti durante la lunghissima istruttoria formale, anche per come approfonditi nel dibattimento innanzi alla Corte di Assise di primo grado - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice Priore prima e dalla Corte di assise di primo grado poi- non valevano a fondare una qualsivoglia certezza (sul piano giurisdizionale) in ordine alle cause del disastro, e addirittura non perchè insufficienti o contraddittori, ma perchè equivalenti a totale mancanza di prove.
E' solo a partire da questo momento quindi che gli odierni attori hanno potuto acquisire la necessaria consapevolezza della lesione del loro diritto, cioè dell'impossibilità di accertare, con il grado di certezza richiesto in un giudizio penale, le cause del disastro cagionata dalle condotte ascrivibili ai Ministeri convenuti, e hanno quindi potuto esercitare il loro diritto al risarcimento del danno per la lesione del loro diritto all'accertamento delle cause del disastro. Peraltro nel caso di specie si è in presenza di una condotta permanente, a tutt'oggi, cioè di un'omissione che persiste perchè non è venuto certamente meno ad oggi, l'obbligo giuridico per le Amministrazioni convenute di fare chiarezza sul disastro di Ustica, non foss'altro perchè sono ancora aperte le indagini relative per il reato di strage.
Potrebbe allora valorizzarsi l'insegnamento della dottrina penalistica, nell'ambito della quale sono state più approfondite le nozioni di condotta permanente e di decorrenza del termine di prescrizione del reato in caso di reato permanente, per cui la prescrizione inizia a decorrere solo da quando cessa la condotta permanente, o da quando cessano gli effetti dannosi della condotta (ipotesi che non sussiste nel caso di specie) o quando l'autore della condotta non ha più la materiale possibilità di far cessare gli effetti dannosi permanenti della condotta.
PARTE V: LA DOMANDA SUBORDINATA DI PARTE CONVENUTA
Parte convenuta ha chiesto in via subordinata che il Tribunale, in caso di accoglimento delle pretese degli attori, ritenga e dichiari che vanno dedotte dal risarcimento riconosciuto le somme spettanti a ciascuno degli interessati per gli indennizzi previsti dalle disposizioni di legge (legge 340/1995, con rinvio alla legge 302/1990; art. 1 comma 272 legge 266/2005; art.1 comma 1270 legge 296/2006, con rinvio alla legge 206/2004, alla legge 302/1990, alla legge 407/1998 e all'art. 82 legge 388/2000) che hanno previsto la possibilità di concessione
di specifici indennizzi ai familiari/eredi delle vittime del disastro non cumulabili con eventuali 108
risarcimenti (cfr. in particolare artt. 10 e 13 della legge 302/1990).
Al riguardo si osserva che in base all'art. 1 legge 8 agosto 1985, n. 340 è stata prevista l'applicazione dell'elargizione di cui all'art. 4 e dell'opzione di cui all'art. 5 della legge 20 ottobre 1990 n. 302 anche ai “componenti le famiglie di coloro che hanno perso la vita in occasione del disastro aereo occorso il 27 giugno 1980 nella zona di Ustica all'aeromobile DC9 della società Itavia durante il volo di linea Bologna-Palermo”. In base alla medesima disposizione di legge “ai fini della determinazione della cumulabilità del beneficio” si applica l'art. 10 della medesima legge.
Pertanto, in base al combinato disposto di cui agli artt. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 340 e 4 e 5 della legge 20 ottobre 1990 n. 302 , ai componenti delle famiglie delle vittime della strage di Ustica è riconosciuto il diritto a “un'elargizione complessiva, anche in caso di concorso di più soggetti, di lire 150 milioni” (art. 4 legge 20 ottobre 1990 n. 302) nonché la possibilità di optare per un assegno vitalizio personale a loro favore non reversibile di ammontare variabile tra lire 600.000 mensili e lire 300.000 mensili.
In base all'art. 10 della legge 20 ottobre 1990 n. 302 , intitolato “Autonomia del beneficio e concorrenza con il risarcimento del danno”:
1 . Le elargizioni e gli assegni vitalizi di cui alla presente legge sono erogati indipendentemente dalle condizioni economiche e dall'età del soggetto leso o dei soggetti beneficiari e dal diritto al risarcimento del danno agli stessi spettante nei confronti dei responsabili dei fatti delittuosi.
2 . Tuttavia, se il beneficiario ha già ottenuto il risarcimento del danno, il relativo importo si detrae dall'entità dell'elargizione. Nel caso di corresponsione di assegno vitalizio la detrazione è operata dopo aver proceduto alla capitalizzazione dello stesso, moltiplicando l'ammontare annuale dell'assegno per il numero di anni corrispondente alla differenza tra l'età del beneficiario e la cifra 75.
3 . Qualora il risarcimento non sia stato ancora conseguito, lo stato è surrogato, fino all'ammontare dell'elargizione o della somma relativa alla capitalizzazione dell'assegno vitalizio, nel diritto del beneficiario verso i responsabili
Da tali disposizioni emerge chiaramente la natura risarcitoria dell'elargizione prevista dalla legge 20 ottobre 1990 n. 302 essendo prevista la detrazione dall'elargizione dell'importo del risarcimento del danno già ottenuto e, nel caso in cui il risarcimento non sia stato ancora
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conseguito, la surrogazione legale (ex art. 1203 n. 5 c.c.) dello Stato nel diritto del beneficiario al risarcimento del danno.
Nel caso di specie, essendo pacifico che gli odierni attori non hanno mai conseguito da alcuno il risarcimento del danno loro spettante nei confronti dei responsabili del disastro, è evidente che può trovare applicazione, per i casi in cui le elargizioni di cui alla legge 20 ottobre 1990 n. 302 siano state effettivamente erogate, la surrogazione dello Stato nel diritto degli attori verso i responsabili (nel caso di specie lo Stato stesso) fino all'ammontare dell'elargizione o della somma relativa alla capitalizzazione dell'assegno vitalizio effettivamente già corrisposti.
E' comunque altrettanto evidente che tale surrogazione, riguardando soltanto il diritto degli attori al risarcimento del danno “nei confronti dei responsabili dei fatti delittuosi”, non si verifica riguardo al diritto, riconosciuto con la presente sentenza, al risarcimento del danno derivante dalle condotte di ostacolo all'accertamento della verità ascritte al Ministero della Difesa.
In questi limiti la domanda riconvenzionale può pertanto trovare accoglimento in quanto, per effetto della surrogazione prevista dalla legge, e nei limiti dell'ammontare delle somme già corrisposte dallo Stato a ciascuno degli attori a titolo di elargizioni di cui alla legge 20 ottobre 1990 n. 302, nel diritto al risarcimento dei danni vantato dagli attori nei confronti dei responsabili si è avuta successione con sostituzione dello Stato agli attori nel lato attivo del rapporto (ed evidente estinzione, per confusione, del diritto acquisito dallo Stato mediante il pagamento con surrogazione).
Deve pertanto dichiararsi che dalle somme riconosciute dalla presente sentenza a ciascuno degli attori a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla perdita dei loro congiunti nel disastro di Ustica devono essere detratte quelle già corrisposte dallo Stato a ciascuno di essi a titolo di elargizioni di cui alla legge 20 ottobre 1990 n. 302 .
Riguardo alle altre disposizioni di legge citate dall'Avvocatura dello Stato si rileva che la legge 3 agosto 2004, n. 206 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice) - applicabile ai familiari delle Vittime del disastro di Ustica in forza dell'art.1, comma 1270 della legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre . 2006 n. 296) - per quanto concerne le parti di legge in concreto applicabili agli odierni attori: a) introduce benefici aventi natura prettamente assistenziale nell'ambito della liquidazione della pensione e dell'indennità di fine rapporto (art. 2) e nel campo fiscale (art. 4 commi 3 e 4) e di esenzione
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dalla spesa per l'assistenza sanitaria e farmaceutica (art. 9), nonché di patrocinio a carico dello Stato nei procedimenti penali, civili, amministrativi e contabili; b) prevede poi un aumento della misura dell'elargizione di cui all'art. 4 legge 302/1990 che viene portata alla misura di 200.000 euro (art. 5 comma 5), e la concessione di un assegno vitalizio di euro 1.033,00 mensili (art. 5 comma 3).
E' evidente, nonostante il richiamo alle disposizioni contenute nella legge 20 ottobre 1990, n. 302 “per quanto non espressamente previsto dalla presente legge” (cfr. art.1 comma 2 legge 3 agosto 2004 n. 206) che tutti i benefici riconosciuti dalla legge 3 agosto 2004, n. 206, eccetto l'aumento della misura dell'elargizione di cui all'art. 4 legge 302/1990 previsto dall' art. 5 comma 5 legge 206/2004 e l'assegno vitalizio di cui all'art. 5 comma 3, hanno natura diversa da quella risarcitoria, e non sono riconducibili alle “elargizioni e agli assegni vitalizi” in correlazione alla cui corresponsione l'art 10 della legge 20 ottobre 1990, n. 302 prevede la surrogazione dello Stato nel diritto al risarcimento del danno vantato dai familiari delle vittime del disastro nei confronti dei responsabili del disastro.
La domanda riconvenzionale di parte convenuta non può pertanto trovare accoglimento riguardo ai benefici previsti dalla legge 3 agosto 2004, n. 206 e dall'art.1, comma 1270, della legge 27 dicembre 2006 n. 296, eccetto che per l'aumento della misura dell'elargizione di cui all'art. 4 legge 302/1990 previsto dall' art. 5 comma 5 legge 206/2004 e per l'assegno vitalizio di cui all'art. 5 comma 3 legge 206/2004.
Natura risarcitoria deve infine riconoscersi alle indennità corrisposte ai sensi dell'art. 1 comma 272 legge 266 del 2005.
In conclusione, in accoglimento della domanda riconvenzionale di parte convenuta deve pertanto dichiararsi che dalle somme riconosciute dalla presente sentenza a ciascuno degli attori a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla perdita dei loro congiunti nel disastro di Ustica devono essere detratte quelle già corrisposte dallo Stato a ciascuno di essi a titolo di elargizioni di cui agli artt. 4 e 5 legge 20 ottobre 1990 n. 302 , 1 comma 272 legge 266 del 2005, e 5 commi 3 e 5 legge 3 agosto 2004, n. 206.
Non è possibile invece procedere in questa sede allo scomputo in questione, tranne che per la posizione dell'attore DIODATO, non avendo parte convenuta dato prova delle somme in concreto erogate ai singoli attori in base alle disposizioni in esame.
PARTE VI: I DANNI Premessa
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In ordine alle voci di danno di cui viene chiesta la liquidazione deve rilevarsi preliminarmente che non può riconoscersi il danno da lesione del diritto alla vita richiesto dagli attori iure ereditario.
Al riguardo il Tribunale ritiene di doversi attenere ai principi espressi dalla Suprema Corte, secondo cui non è possibile risarcire il c.d. danno tanatologico o da morte, inteso quale lesione definitiva ed immediata del diritto alla vita (diverso, in quanto tale, dal diritto alla salute), in quanto “la lesione dell’integrità fisica con esito letale (intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo), non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venire meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria, ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e con la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere” (Cass., sez. III, 25-05-2007, n. 12253).
D'altra parte nel caso di specie, stante il carattere istantaneo della morte dei parenti degli odierni attori, non sussistono neppure i presupposti per il riconoscimento agli attori, iure ereditario, del risarcimento del c.d. danno terminale biologico, ossia del danno alla salute che è maturato in capo alla vittima (e quindi trasmissibile agli eredi) – che, seppure temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, poichè la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte – ammesso dalla giurisprudenza della Suprema Corte ove la morte della stessa non sia seguita immediatamente alle lesioni ma tra l’infortunio e la morte sia intercorso un apprezzabile lasso temporale, ancorché minimo.
Possono invece riconoscersi tutte le voci di danno di cui gli attori chiedono il risarcimento iure proprio, e cioè:
- il danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla morte dei loro congiunti ascrivibile alle amministrazioni convenute per non avere assicurato la sicurezza del volo;
- il danno non patrimoniale derivante dagli ostacoli all'accertamento delle cause del sinistro, e 112
quindi all'identificazione degli autori materiali del reato di strage che sono potuti restare impuniti, posti in essere dal convenuto Ministero della Difesa.
1. Il danno patrimoniale fatto valere iure proprio per la perdita del contributo economico che gli attori ricevevano dal congiunto vittima del disastro aereo
I danni di natura patrimoniale che gli attori fanno valere iure proprio quali conseguenza della perdita dei loro congiunti consistono nella diminuzione di contributi o sovvenzioni oppure nella perdita di utilità che, per legge o per solidarietà familiare, sarebbero state conferite dal soggetto scomparso: trattasi in sostanza del danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita di quella parte del reddito del congiunto che in vita veniva devoluto alle esigenze economiche della famiglia.
Gli attori, salve le eccezioni che verranno specificamente indicate nella parte dedicata alle singole liquidazioni, hanno in via generale assolto l'onere della prova a loro carico in relazione a tale voce di danno producendo documenti attestanti sia lo svolgimento di attività lavorativa da parte del decuius sia la misura del reddito annuo da lui percepito, non contestati dai convenuti Ministeri, e dimostrando l'esistenza del rapporto di stretta parentela e il requisito della convivenza a mezzo certificazioni anagrafiche e dichiarazioni sostitutive anch'esse non contestate da parte convenuta.
Può pertanto ritenersi raggiunta la prova che al momento della morte sussisteva una stabile contribuzione economica della vittima del disastro a sostegno dei parenti conviventi.
Per quanto concerne i parenti delle vittime che, al 27 giugno 1980 erano ancora minori, o che risultavano disoccupati, si procederà considerando il “triplo della pensione sociale”, e ciò applicando al caso di specie i principi elaborati dalla Suprema Corte in tema di riconoscimento del danno futuro da perdita di capacità lavorativa specifica in favore dei minori (cfr. Cass., sez. III, 14-12-2004, n. 23298) e dei disoccupati (Sezione Lavoro, Sentenza n. 26081 del 30/11/2005), applicando il criterio residuale sopra indicato in mancanza di prove che consentano di stabilire il tipo di attività che presumibilmente il minore avrebbe esercitato, secondo criteri probabilistici, tenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal minore, nonché della posizione economico-sociale della famiglia;.
Ed invero quanto ai parenti delle vittime minori deve ritenersi con ragionevole certezza, sulla base dell'id quod plerumque accidit, che al compimento della maggiore età la vittima avrebbe trovato un'attività lavorativa e contribuito ai bisogni della famiglia di origine fino al momento
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del raggiungimento della piena autonomia economica e del suo conseguente distacco dal nucleo familiare di origine, momento da individuarsi nell'epoca in cui la vittima avrebbe compiuto trent'anni, sempre in base all'id quod plerumque accidit.
Riguardo ai disoccupati da un lato deve riconoscersi il valore economico della capacita’ di guadagno della vittima, quale danno futuro proiettato al momento in cui questa avrebbe iniziato un’attività remunerata (parallelamente a quanto riconosciuto dalla Suprema Corte per il danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa specifica del disoccupato) e dall'altro lato deve considerarsi il valore economico anche del contributo materiale apportato alla vita familiare dal congiunto disoccupato attraverso attività casalinghe.
Stante l'impossibilità di determinare nel suo preciso ammontare il quantum del danno patrimoniale subito dagli attori per la perdita degli apporti monetari che verosimilmente il congiunto deceduto nel sinistro avrebbe erogato a beneficio del nucleo familiare e quindi dei singoli attori, deve procedersi alla liquidazione facendosi ricorso al criterio equitativo in base al combinato disposto di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c. sulla base dei seguenti parametri:
- si ipotizza una vita residua della vittima sino a 70 anni (eta' media degli individui stimata negli anni '80) e che fino a tale età avrebbe contribuito alle esigenze economiche della famiglia (figli e coniuge); sulla base dell'età della vittima al momento della morte viene quindi individuato il numero di anni per i quali i superstiti (figli e coniuge) avrebbero potuto beneficiare del contributo economico;
- nel caso in cui la vittima sia un genitore si ipotizza che comunque l’erogazione di somme a favore dei figli sarebbe cessata con il pieno ingresso nel mondo del lavoro, con conseguente distacco del figlio dal nucleo familiare e raggiungimento della piena indipendenza economica, fatto questo che - secondo la comune esperienza, nel rispetto di un normale giudizio probabilistico ed in ossequio al criterio di normalità (cfr. Cassazione 2039/77; 6651/82; 6029/86) – deve ritenersi verificato all'età di 30 anni;
- nel caso in cui la vittima sia un minore si considera che avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia (genitori e fratelli) dal compimento del 18 anno di età fino al compimento del 30 anno di età, cioè per 12 anni;
- si considera che il defunto verosimilmente destinasse alla famiglia i 2/3 dei propri redditi (ripartita in parti uguali tra coniuge e figli, o tra genitori e fratelli); tale misura, qualora ( o per i periodi in cui) vi sia soltanto il coniuge, sarà ridotta ad 1/2 del redditi della vittima.
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La quota di reddito concretamente erogabile ai congiunti sarà quindi determinata:
- calcolando l'ammontare della quota dei 2/3 ( o 1⁄2 qualora vi sia soltanto il coniuge ) del reddito annuo percepito in vita dalla vittima con riferimento all'anno 1980, desumibile dalla documentazione in atti, o, in caso di vittime minori o disoccupate, l'ammontare dei 2/3 del triplo della pensione sociale relativa all'anno 1980;
- tale ammontare viene ripartito in parti uguali tra i componenti del nucleo familiare;
- si moltiplica la quota così determinata spettante al singolo componente del nucleo familiare : a) per gli anni residui dalla data del sinistro alla data presumibile di età massima (anni 70), nel caso in cui il congiunto superstite sia il coniuge; b) per gli anni residui dalla data del sinistro al raggiungimento dei trent'anni del congiunto superstite, nel caso in cui quest'ultimo sia figlio o fratello della vittima; c) per il numero di anni per i quali avrebbe apportato un contributo alla famiglia nel caso in cui la vittima sia un minore (cioè per anni 12, presumendo che il minore avrebbe apportato un contributo economico alla propria famiglia dal compimento della maggiore età al raggiungimento della piena autonomia economica, cioè a trent'anni).
Su tali somme saranno poi conteggiati, in ragione del ritardo con cui vengono corrisposte e stante la natura di debito di valore dell'obbligazione risarcitoria, gli interessi in misura legale e la rivalutazione monetaria, conformemente ai principi espressi dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza 17/2/1995, n° 1712 (ribadito da Cassazione sez. II civile sentenza 3/12/1997 n° 12262), cioè calcolando gli interessi sulla “somma capitale” rivalutata di anno in anno.
2. Il danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della famiglia (ex artt. 2, 29 e 30 cost.), o da perdita del rapporto parentale
In ordine ai danni di natura non patrimoniale derivati agli attori dalla perdita dei propri congiunti deceduti nell'incidente occorso al DC9 si rileva che la Suprema Corte ha da tempo riconosciuto la risarcibilità del c.d. “danno morale” subito dai congiunti della vittima di un reato, dapprima limitandone l’ambito al caso di morte della persona offesa dal reato, ma poi estendendone l’ambito anche al caso di lesioni subite dalla vittima primaria (cfr. Cass
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4186/1998; Cass., SU, 9556/02; Cass., 8827 e 8828/2003).
Nell’ambito dell’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di risarcibilità dei danni non patrimoniali subiti dai congiunti della persona offesa dal reato si evidenzia che:
- la questione è stata posta dapprima (cfr. Cass., SU, 9556/02) valorizzando l’assenza di qualsivoglia differenza in termini di causalità tra il danno subito dai congiunti in caso di morte o di lesioni della persona offesa dal reato (negando differenza sostanziale e/o eziologica tra “danni riflessi o mediati” e danni diretti, e riconoscendo alla prima nozione soltanto un’utilità descrittiva del fenomeno della propagazione delle conseguenze dell’illecito alle c.d. vittime secondarie cioè ai soggetti collegati da un legame significativo con il soggetto danneggiato in via primaria), ed evidenziando il connesso problema “dell’allargamento a dismisura del risarcimento dei danni morali”, individuando quindi come cruciale il “problema dell’individuazione delle vittime secondarie”, quale “prius attenendo all’interesse e alla legittimazione ad agire”;
- in tale contesto interpretativo identificando quale criterio per la selezione delle c.d. vittime secondarie quello della “titolarità di una situazione qualificata dal contatto con la vittima che normalmente si identifica con la disciplina dei rapporti familiari, ma non li esaurisce necessariamente dovendosi dare risalto a certi particolari legami di fatto” la quale “identifica la sfera giuridica di coloro che appaiono meritevoli di tutela e al tempo stesso costituisce limite a tale tutela” e la cui lesione determina un danno non patrimoniale; e specificando che “la mera titolarità di un rapporto familiare non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito e in che misura la lesione subita dalla vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento”;
- successivamente (cfr. Cass. 8827 e 8828/2003) la Suprema Corte, proponendo la nota interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. - secondo la quale il limite della riserva di legge di cui alla disposizione citata non opera in caso di danni non patrimoniali derivanti da lesione di valori inerenti la persona costituzionalmente garantiti- ivi riconduce direttamente i danni non patrimoniali da morte o da lesioni seriamente invalidanti del congiunto, risarcibili quali danni da lesione di valori inerenti la persona costituzionalmente garantiti (e non più solo come danno morale soggettivo), e segnatamente quali danni da lesione dell’interesse “all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera ma piena esplicazione
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delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 cost.”;
- nell’ambito di tale interpretazione si evidenzia, in punto di nesso causale, come il medesimo fatto lede situazioni soggettive di soggetti diversi e cioè la vita o la salute della vittima primaria e l’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare;
- sostanzialmente quindi il rapporto parentale da criterio di selezione delle vittime secondarie ammesse al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da reato diviene criterio di selezione degli interessi la cui lesione può dar luogo a un danno non patrimoniale risarcibile;
- tale seconda impostazione ha poi ricevuto l’avallo da parte delle note sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione dell’11 novembre 2008, le quali hanno fatto propria la lettura costituzionalmente orientata data dalle sentenze 8827 e 8828/2003 all’art. 2059 c.c. completandola, per quello che interessa la fattispecie in esame, sancendo il definitivo superamento della limitazione del danno non patrimoniale alla tradizionale figura del “danno morale soggettivo transeunte” (che non individua una autonoma categoria di danno ma descrive tra i possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato, in sé considerata, la cui intensità e durata non assume rilevanza ai fini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento) e riconoscendo espressamente e indipendentemente dalla presenza di un reato la risarcibilità, ex art. 2059 c.c., del danno non patrimoniale: a) da lesione del diritto inviolabile alla salute (c.d. danno biologico) ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 c.c.; b) da lesione dei diritti inviolabili della famiglia (ex artt. 2, 29 e 30 cost.), descrivendolo quale “danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto”;
- in tali sentenze inoltre le Sezioni Unite nell’affermare che “fuori dei casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo ove sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona” precisano che “in tali ipotesi non emergono, nell’ambito della categoria generale danno non patrimoniale, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello garantito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. E’ solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico (...) Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione
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dei diritti della famiglia (att. 2, 29 e 30 Cost.) si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. In tal senso e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003 e recepite nella sentenza 233/03 della Corte Costituzionale” ; ed escludono che il c.d. danno esistenziale sia un’autonoma categoria di danno non patrimoniale, precisando che “in assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purchè conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso di sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale) perché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia”;
- infine le Sezioni Unite concludono che poiché “il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”, e dato che “il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie” - con la conseguenza che “il riferimento a dati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno”- “è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”;
- e nel dettare i criteri che il giudice deve seguire nel procedere a tale integrale riparazione del danno non patrimoniale, senza procedere a un’inammissibile duplicazione di risarcimento, le Sezioni Unite affermano: a) che il danno morale quale sofferenza soggettiva in sé considerata non è risarcibile se sia degenerata in una patologia, poiché in tal caso “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisce componente”, con la conseguenza che il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle dovrà procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”; b) “egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel
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momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
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In ordine alla prova delle conseguenze negative subite dagli attori sul piano sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che normalmente connota la vita familiare - cioè alla prova della perdita, in concreto, di un effettivo e valido sostegno morale, e della correlativa sofferenza- si ritiene che la stessa possa ritenersi raggiunta per presunzioni, sulla base dell’ id quod plerumque accidit, in ragione del rapporto di stretta parentela tra gli attori e le vittime, essendo nel caso di specie fatto valere il danno subito dai coniugi, dai genitori, dai figli e dai fratelli delle vittime.
Nella valutazione della effettiva consistenza del profilo di danno in questione, e nella liquidazione del danno che - vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di valore economico - non può che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c: cfr. Cass. 8828/2003):
- deve tenersi conto della specifica relazione di coniugio e di parentela (genitore, figlio, fratello) intercorrente tra ciascun attore e il congiunto deceduto nel disastro (differenziando correlativamente l'entità del risarcimento riconosciuto a ciascun attore), nonché - onde pervenire al ristoro nella sua interezza (senza che ciò implichi una duplicazione di risarcimento mediante congiunta attribuzione del danno morale e del danno da lesione del rapporto parentale) – anche della particolare sofferenza morale soggettiva con la quale la perdita è stata vissuta da tutti gli attori, desumibile dalle modalità con cui è avvenuto il decesso, violente, improvvise e inattese e della indubbiamente difficile accettabilità di tale perdita, ragionevolmente percepita come ingiusta;
- va rispettata l’esigenza di una razionale correlazione tra l’entità oggettiva del danno (specie se destinato a protrarsi nel tempo) e l’equivalente pecuniario, in modo che questo, tenuto conto del potere di acquisto della moneta, mantenga la sua connessione con l’entità e la natura del danno da risarcire, e non rappresenti un mero simulacro o una parvenza di risarcimento (cfr. Cass. Civ. sez. III 21.5.1996 n° 4671; sez. III 11.6.1998 n° 5795).
In applicazione dei criteri appena indicati si ritiene pertanto congruo liquidare il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale fatto valere dagli attori nella misura:
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- tra euro 800.000,00 ed euro 1.200.000,00 per la perdita di ogni figlio o del coniuge;
- tra euro 600.000,00 ed euro 1.000.000,00 per la perdita di ogni genitore;
- tra euro 300.000,00 ed euro 400.000,00 per la perdita di ogni fratello convivente;
- tra euro 200.000,00 ed euro 300.000,00 per la perdita di ogni fratello non convivente.
L'ammontare del risarcimento spettante a ciascun attore, nell'ambito delle forbici indicate, avverrà tenendo conto delle circostanze del caso concreto, quali ad esempio l'età del congiunto superstite all'epoca della morte del genitore o del coniuge, e la circostanza che la morte della vittima abbia annullato o soltanto diminuito il nucleo familiare del congiunto superstite.
Le somme sopra indicate sono espresse in valuta attuale e comprensive degli interessi dovuti in ragione del ritardo con cui vengono corrisposte.
3. Il danno non patrimoniale conseguente alle condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del disastro.
Come già ampiamente esposto nella parte della presente motivazione a ciò specificamente dedicata questo giudice ritiene che la risarcibilità dei danni non patrimoniali conseguenti alle condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del disastro discenda sia dalla circostanza che si tratta di danno conseguente alla lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito, sia dal fatto che le condotte di ostacolo frapposte dagli appartenenti all'A.M. alle indagini penali volte all'accertamento dei fatti integrano fattispecie penalmente rilevanti.
Deve comunque ribadirsi che alla risarcibilità di tale profilo di danno peraltro potrebbe pervenirsi anche indipendentemente dal riconoscimento di un reato nelle condotte ascrivibili alle amministrazioni convenute di ostacolo all'accertamento delle cause del sinistro e anche indipendentemente dal riconoscimento di un diritto costituzionalmente garantito specifico e autonomo rispetto ai diritti inviolabili della famiglia (ex artt. 2, 29 e 30 cost.).
Ed invero tale profilo di danno può essere preso in considerazione anche quale modo in cui è stata vissuta dagli attori la perdita del rapporto parentale, modo non solo improvviso e violento, ma anche contrassegnato dagli inaccettabili ritardi e ambiguità sull'individuazione
delle cause del disastro – considerato che la presente sentenza interviene dopo oltre trent'anni 120
dal fatto- imputabili alle amministrazioni convenute al pari delle cause del disastro. E' evidente infatti, per tutto quanto già svolto nella parte della presente motivazione in cui è stato esplicitato l'ubi consistam di tale voce di danno, che il ritardo con cui interviene un accertamento giurisdizionale sulle cause della caduta del DC9 ha connotato il modo in cui gli attori hanno vissuto la perdita del loro parente, senza potere fino ad oggi addivenire a una spiegazione del modo in cui tale perdita è avvenuta, e così elaborare compiutamente il loro lutto, e trovandosi costretti a sentire riaperta ripetutamente la ferita di tale perdita a causa del continuo e incessante succedersi di ipotesi, smentite, diversioni, speranze delusioni, ostruzionismi che hanno caratterizzato questa vicenda, cioè trovandosi costretti a subire quella che sinteticamente il loro difensore ha descritto come “tortura della goccia”.
E allora poiché “il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio” e deve tenere conto dell’”effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione” in sede di liquidazione del danno subito dagli attori per la perdita dei loro congiunti non potrebbe non essere adeguatamente apprezzato l'ulteriore profilo di lesione della persona degli attori in questione, senza con ciò peraltro violare il principio per cui “il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie”.
Nella valutazione della effettiva consistenza del profilo di danno in questione, e nella liquidazione del danno che - vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di valore economico - non può che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c) deve tenersi conto della gravità dell’offesa desumibile: a) della gravità della lesione, considerato il lungo tempo (più di trent'anni) per cui finora gli attori hanno dovuto convivere con l'incertezza sulle cause che hanno determinato la morte dei loro congiunti e la consapevolezza dell'impunità dei soggetti ai quali tale morte è ascrivibile; b) la gravità dell'elemento soggettivo (dolo) con cui il fatto è stato commesso.
In applicazione dei criteri appena indicati si ritiene pertanto congruo liquidare il danno non patrimoniale in questione nella somma di euro 500.000,00 per ciascun attore, espressa in valuta attuale e comprensiva degli interessi dovuti in ragione del ritardo con cui viene corrisposta.
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Quanto ai criteri di liquidazione ritiene questo giudice di non poter accogliere quello proposto da parte attrice in comparsa conclusionale, desumibile dalla legge 21 dicembre 1999 n 479 con cui è stata prevista la corresponsione di indennizzi relativi all'incidente della funivia del Cernis, poiché l'indennizzo previsto in tale legge appare riferirsi a danni diversi da quello di cui si discute, e cioè alle conseguenze dell'incidente.
4.Liquidazione dei danni per ciascun attore.
Alla stregua dei criteri sopra indicati può pertanto procedersi alla liquidazione dei danni in favore di ciascuno degli attori, raggruppati per nucleo familiare.
1) OSNATO Rossana e FONTANA Flavio
OSNATO Rossana, nata a Roma il 6/03/1951 e FONTANA Flavio, nato a Roma il 05/04/1979 hanno perso nel disastro FONTANA ENZO, nato a Roma il 10.04.1948, coniuge della prima e padre del secondo.
Considerata la giovane età alla quale OSNATO Rossana ha perso il marito (29 anni), all'inizio dell'instaurazione della vita familiare e allorchè il figlio aveva soltanto un anno, e dovendosi considerare pertanto massima la gravità della perdita che ha completamente precluso all'attrice la possibilità di esplicare la propria personalità nel rapporto di coniugio, e che l'ha peraltro privata completamente dell'appoggio del marito nel compito di crescere ed educare il figlio, deve riconoscersi a tale attrice, a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, la somma di euro 1.200.000,00.
In ragione della tenera età (1 anno) alla quale FONTANA Flavio ha perso il padre, e dovendosi pertanto considerare massima la gravità della perdita che ha significato non avere mai potuto avere nella propria crescita la figura di un padre, deve riconoscersi a tale attore, a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, la somma di euro 1.000.000,00.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da OSNATO Rossana e FONTANA Flavio si rileva che dai documenti versati in atti risulta che FONTANA Enzo percepiva nel 1980 il reddito netto
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mensile di Lire 1.456.000, pari ad € 751,96 mensili ed €.9 775,48 annui (tredicesima mensilità compresa). Al momento del decesso il Sig.Enzo Fontana aveva compiuto il 32° anno d'età e ne avrebbe compiuti 70 nel 2018.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 6517,00, e tale somma va ripartita in parti uguali tra la moglie e il figlio superstiti, fino al compimento dei trent'anni del figlio, e cioè per 29 anni; a partire dal compimento dei trent'anni del figlio (2009) e fino all'epoca in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni (2018) cioè per 9 anni al coniuge superstite spetta la metà del reddito del coniuge defunto (euro 4.887,74 per anni 9).
Al figlio minore Flavio, che al momento della perdita del padre aveva 1 anno d'età, spetta la somma di €.3.258,50 per anni 29, per un totale di € 94.496,50. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge della vittima, Osnato Rossana, sino al compimento del 30° anno d'età del figlio, spetta la somma di €.3.258,50 per anni 29, pari ad € 94.496,50; oltre all'ulteriore apporto economico mancato, pari ad 1/2 del reddito del coniuge dal mese di aprile 2009 e sino all'epoca in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni (2018), per €. 43.989,86. (euro 4.887,74 x 9); per un totale complessivo pari ad €.138.486,16. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a OSNATO Rossana spettano:
- euro 1.200.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del marito;
- euro 138.486,16 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del marito; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 1.133.510, 47;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a OSNATO Flavio spettano:
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- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro 94.496,50 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 773.454,75;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
2) FUCARINO Lori, CERAMI Ennio e CERAMI Cristina
FUCARINO Lori, nata a Palermo il 9.06.1947, CERAMI Ennio, nato a Palermo il 3.06.1975 e CERAMI Cristina, nata a Palermo il 31.03.1977, hanno perso nel disastro CERAMI GIOVANNI, nato a Palermo il 15.08.1946, coniuge della prima e padre degli altri due attori.
Considerata la giovane età alla quale FUCARINO Lori ha perso il marito (33 anni), all'inizio dell'instaurazione della vita familiare e allorchè i figli avevano soltanto tre e cinque anni, e dovendosi considerare pertanto massima la gravità della perdita che ha completamente precluso all'attrice la possibilità di esplicare la propria personalità nel rapporto di coniugio, e che l'ha peraltro privata completamente dell'appoggio del marito nel compito di crescere ed educare i figli, deve riconoscersi a tale attrice a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la somma di euro 1.200.000,00.
In ragione della tenera età (3 e 5 anni) alla quale CERAMI Cristina e CERAMI Ennio hanno perso il padre, e dovendosi pertanto considerare massima la gravità della perdita che ha significato non avere potuto avere, fin dalla tenera infanzia, nella propria crescita la figura di un padre, deve riconoscersi a ciascuno di tali attori, a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, la somma di euro 1.000.000,00.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da FUCARINO Lori, CERAMI Cristina e CERAMI Ennio si rileva che dai documenti versati in atti risulta che CERAMI GIOVANNI percepiva
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nel 1980 il reddito annuo di Lire 11.165.000, corrispondente ad € 5.766,24. Al momento del decesso il Sig.Giovanni Cerami aveva compiuto il 33° anno d'età e ne avrebbe compiuti 70 nel 2016.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 3.844,16, e tale somma va ripartita in parti uguali tra la moglie e i figli superstiti, fino al compimento dei trent'anni dei figlio maggiore, e cioè per 25 anni; a partire dal compimento dei trent'anni del figlio maggiore (2005) e fino al compimento dei trent'anni del figlio minore (2007) la somma predetta va ripartita in parti uguali tra FUCARINO Lori e CERAMI Cristina, cioè per 2 anni; quindi dal 2007 fino all'epoca in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni (2016), cioè per 9 anni al coniuge superstite spetta la metà del reddito del coniuge defunto (euro 2883,12 per anni 9).
Al figlio minore CERAMI Ennio, che al momento della perdita del padre aveva 5 anni d'età, spetta la somma di € 1.281,38 per anni 25, per un totale di € 32.034,66. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Alla figlia minore CERAMI Cristina che al momento della perdita del padre aveva 3 anni d'età, spetta la somma di € 1.281,38 per anni 25, per un totale di € 32.034,66; oltre all'ulteriore apporto economico dal 2005 al 2007 di euro 1.922,08 per due anni pari ad euro 3.844,16; per un totale pari ad euro 35.878,32. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge, FUCARINO Lori sino al compimento del 30° anno d'età del figlio maggiore, spetta la somma di € 1.281,38 per anni 25, per un totale di € 32.034,66; oltre all'ulteriore apporto economico dal 2005 al 2007 di euro 1.922,08 per due anni pari ad euro 3.844,16; oltre all'ulteriore apporto economico mancato pari ad 1/2 del reddito del coniuge dal 2007 al 2016 (anno in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni) pari a euro 2.883,12 per 9 anni, cioè ad euro 25.948,08; per un totale complessivo di euro 61.826,40. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a FUCARINO Lori spettano:
- euro 1.200.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del marito;
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- euro € 61.826,40, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del marito; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 567.876,02;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a CERAMI Cristina spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro € 35.878,32 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 329.542,71;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a CERAMI Ennio spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro € 32.034,66 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 294.238,67;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
3) PIRICO’ Fortunata, DAVI’ Francesco, DAVI’ Maria Grazia e DAVI’ Alessia
PIRICO’ Fortunata, nata a Palermo il 12.12.1939, DAVI’ Francesco, nato a Palermo il 12.07.1964, DAVI’ Maria Grazia, nata a Palermo il 23.09.1961, DAVI’ Alessia, nata a Palermo il 27.11.1977 hanno perso nel disastro DAVI’ MICHELE, nato a Palermo il 2.09.1935, coniuge della prima e padre degli altri attori.
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Considerata l'età alla quale PIRICO’ Fortunata ha perso il marito (41 anni) e l'età di 19 anni che all'epoca aveva la prima figlia e di tre anni che all'epoca aveva la figlia più piccola, da cui si desume che la perdita del marito, pur non avendo completamente precluso all'attrice la possibilità di esplicare la propria personalità nel rapporto di coniugio, l'ha peraltro privata completamente dell'appoggio del marito nel compito di crescere ed educare la figlia più piccola, deve riconoscersi a tale attrice a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la somma di euro 1.000.000,00.
A ciascuno dei figli a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale deve riconoscersi la somma di 800.000,00 euro considerato che i figli maggiori, pur avendo perso prematuramente il padre e in un'età quella dell'adolescenza in cui tale figura è particolarmente importante, hanno comunque potuto godere del riferimento paterno per un certo numero di anni, e per quanto riguarda la posizione dell'attrice DAVI’ Alessia che essa, seppure a differenza dei fratelli ha perso il padre in tenera età (3 anni) e non ha pertanto potuto avere in radice, fin dalla tenera infanzia, nella propria crescita la figura di un padre, ha però potuto avere nell'ambito della famiglia altre figure di riferimento oltre alla madre, e cioè i fratelli.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da PIRICO’ Fortunata, DAVI’ Francesco, DAVI’ Maria Grazia e DAVI’ Alessia si rileva che dai documenti versati in atti risulta che DAVI’ MICHELE all'epoca del disastro percepiva un reddito annuo di circa Lire 19.806.000 annui, pari ad €.10.229,00. Al momento del decesso il Sig.Michele Davì aveva compiuto il 45° anno d'età e ne avrebbe compiuti 70 nel 2005.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 6.866,00 e tale somma va ripartita in parti uguali tra la moglie e i tre figli superstiti, fino al compimento dei trent'anni della figlia maggiore, e cioè 1⁄4 ciascuno per 11 anni; a partire dal compimento dei trent'anni della figlia maggiore (1991) e fino al compimento dei trent'anni del secondo figlio (1994), e cioè per tre anni la somma predetta va ripartita in parti uguali tra PIRICO’ Fortunata, DAVI’ Francesco, e DAVI’ Alessia; quindi dal 1994 al 2005 (epoca in cui DAVI' Michele avrebbe compiuto 70 anni) la predetta somma va ripartita in parti uguali tra la madre e la figlia minore.
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Alla figlia DAVI’ Maria Grazia, che al momento della perdita del padre aveva 19 anni d'età, spetta la somma di €.1.716,5 per anni 11, per un totale di €.18.881,50. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al figlio DAVI' Francesco, che al momento della perdita del padre aveva 16 anni d'età, spetta la somma di €.1.716,5 per anni 11, per un totale di €.18.881,50; oltre all'ulteriore apporto economico di euro 2.288,60 per tre anni (dal 1991 al 1994) pari ad euro 6.866,00; per un totale complessivo pari ad euro 25.747,50. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Alla figlia DAVI’ Alessia che al momento della perdita del padre aveva 3 anni d'età, e al coniuge PIRICO’ Fortunata, spetta per ciascuna: la somma di €.1.716,5 per anni 11, per un totale di €.18.881,50; oltre all'ulteriore apporto economico di euro 2.288,60 per tre anni (dal 1991 al 1994) pari ad euro 6.866,00; oltre all'ulteriore apporto economico di euro 3.433,00 per 11 anni (fino al 2005), per un totale di euro 37.763,00; per un totale complessivo di euro 63.510,50. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a PIRICO’ Fortunata spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del marito;
- euro €.63.510,50. oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del marito; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 583.344,51;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a DAVI’ Maria Grazia spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro €.18.881,50 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale
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sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 173.426,73;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a DAVI' Francesco spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro €. 25.747,50 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 236.491,04;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a DAVI’ Alessia spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro €.63.510,50. oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 583.344,51;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
4) FULLONE Giovanni
FULLONE Giovanni (nato il 23.03.1959) ha perso l'intera famiglia nel disastro: la madre VOLPE Maria (nata il 25.09.1932), la sorella Carmela (nata 15.06.1963) ed il padre, FULLONE Rosario (nato il 28.03.1931).
Considerato che nonostante l'età adulta alla quale FULLONE Giovanni ha perso i genitori e 129
la sorella (21 anni), la circostanza della perdita dell'intera famiglia rende particolarmente grave la perdita di ciascun componente di essa, si ritiene congruo liquidare a tale attorea titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la complessiva somma di 2.400.000,00 di euro risultante dalla sommatoria dell'importo di euro 1.000.000,00 per la perdita di ciascun genitore (per un totale di 2.000.000,00 euro) e dell'importo di 400.000,00 euro per la perdita della sorella convivente.
Anche a tale attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 .
Quanto ai danni patrimoniali subiti da FULLONE Giovanni si rileva che dai documenti versati in atti risulta che il padre all'epoca del disastro percepiva un reddito annuo di circa Lire 3.326.000 mensili, pari ad €.22.331,00 annui (13° mensilità compresa). Al momento del decesso il Sig.Fullone Rosario aveva compiuto il 49° anno d'età e ne avrebbe compiuto 70 nel 2001.
A Fullone Giovanni spetta pertanto la somma pari ai due terzi di tale reddito (euro 14.887,00 moltiplicato) per 9 anni (cioè fino al raggiungimento dei trent'anni) e quindi euro 133.983,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione
In conclusione a Fullone Giovanni spetta:
- la somma di euro 2.400.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita di entrambi
i genitori e della sorella;
- la somma di euro 133.983,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 1.230.635,10;
- la somma di euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
5) GAMBINO Lina, VALENZA Filippo e VALENZA Aurelio Natale
GAMBINO Lina (24.03.1949), VALENZA Filippo (1.02.1973) e VALENZA Aurelio
Natale (19.06.1974), nel disastro hanno perso VALENZA GIUSEPPE (1.06.1947), coniuge 130
della prima e padre dei secondi.
Considerata la giovane età alla quale GAMBINO Lina ha perso il marito (31 anni), nei primi anni dell'instaurazione della vita familiare e allorchè i figli avevano soltanto sei e sette anni, e dovendosi considerare pertanto pressochè massima la gravità della perdita che ha quasi completamente precluso all'attrice la possibilità di esplicare la propria personalità nel rapporto di coniugio, e che l'ha peraltro privata quasi completamente dell'appoggio del marito nel compito di crescere ed educare i figli, deve riconoscersi a tale attrice a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la somma di euro 1.200.000,00.
In ragione della tenera età (6 e 7 anni anno) alla quale VALENZA Filippo e VALENZA Aurelio Natale hanno perso il padre, e dovendosi pertanto considerare pressochè massima la gravità della perdita, che ha significato non avere potuto avere, fin dall' infanzia, nella propria crescita la figura di un padre, deve riconoscersi a ciascuno di tali attori, a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, la somma di euro 1.000.000,00.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da GAMBINO Lina, VALENZA Filippo e VALENZA Aurelio Natale si rileva che dai documenti versati in atti risulta che VALENZA GIUSEPPE percepiva nel 1980 un reddito pari ad €.8.137,00 annui. Al momento del decesso il Sig.Giuseppe Valenza aveva compiuto il 33° anno d'età e ne avrebbe compiuti 70 nel 2017.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 5.424,60, e tale somma va ripartita in parti uguali tra la moglie e i figli superstiti, fino al compimento dei trent'anni del figlio maggiore, e cioè per 23 anni; a partire dal compimento dei trent'anni del figlio maggiore (2003) e fino al compimento dei trent'anni del figlio minore (2004), cioè per un anno, la somma predetta va ripartita in parti uguali tra GAMBINO Lina e VALENZA Aurelio Natale; quindi dal 2004 fino all'epoca in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni del coniuge (2017), cioè per 13 anni al coniuge superstite spetta la metà del reddito del coniuge defunto (euro 4.068,50).
Al figlio minore VALENZA Filippo, che al momento della perdita del padre aveva 7 anni d'età, spetta la somma di € 1.808,20 per anni 23, per un totale di €.41.588,60. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici
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ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al figlio minore VALENZA Aurelio Natale che al momento della perdita del padre aveva 6 anni d'età, spetta la somma di € 1.808,20 per anni 23, per un totale di €.41.588,60; oltre all'ulteriore apporto economico dal 2003 al 2004 di euro 2.712,00; per un totale pari ad euro 44.300,60. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge GAMBINO Lina, sino al compimento del 30° anno d'età del figlio maggiore, spetta la somma di € 1.808,20 per anni 23, per un totale di €.41.588,60; oltre all'ulteriore apporto economico dal 2003 al 2004 di euro 2.712,00; oltre all'ulteriore apporto economico mancato pari ad 1/2 del reddito del coniuge dal 2004 al 2017 (anno in cui il coniuge deceduto avrebbe compiuto settant'anni) pari a euro 4.068,50 per 13 anni, e cioè ad euro 52.890,50; per un totale complessivo di euro 97.191,10. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a GAMBINO Lina spettano:
- euro 1.200.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del marito;
- euro €.97.191,10.oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del marito; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 892.701,16;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a VALENZA Filippo spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro € 41.588,60 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad
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euro 381.991,69;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti
all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a VALENZA Aurelio Natale spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro € 44.300,60 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 406.901,43;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
6) ARICO’ Maria, GUERINO Vincenzo e GUERINO Grazia.
ARICO’ Maria, nata a Palermo il 31.10.1922, GUERINO Vincenzo nato a Palermo il 2.09.1958 e GUERINO Grazia, nata a Palermo il 7.10.1956, nel disastro hanno perso GUERINO GIACOMO, nato a Palermo il 25.09.1961, figlio della prima e fratello degli altri attori, solo temporaneamente non convivente in quanto stava svolgendo il servizio militare di leva.
Alla madre ARICO’ Maria, deve riconoscersi a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la somma di euro 1.000.000,00 in considerazione della circostanza che l'attrice aveva altri due figli.
Ai fratelli GUERINO Vincenzo e GUERINO Grazia, deve riconoscersi a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale la somma di euro 300.000,00, ciascuno, in considerazione della esistenza di altri fratelli.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da ARICO’ Maria, GUERINO Vincenzo e GUERINO 133
Grazia deve ritenersi che la vittima avrebbe apportato un contributo al nucleo familiare fino all'epoca in cui avrebbe compiuto trent'anni; ai fini della liquidazione deve farsi applicazione del criterio residuale del triplo della pensione sociale - prendendo come base l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili)- e pertanto il reddito viene determinato in euro 1.902,96 annui.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64 ; la predetta somma va ripartita in parti uguali tra la madre e i fratelli superstiti, fino al compimento dei trent'anni della sorella maggiore GUERINO Grazia, e cioè per sei anni; a partire dal compimento dei trent'anni di tale attrice (1986) e fino al compimento dei trent'anni dell'altro fratello (1988), cioè per due anni, la somma predetta va ripartita in parti uguali tra ARICO’ Maria e GUERINO Vincenzo; quindi dal 1988 fino all'epoca in cui il figlio deceduto avrebbe compiuto trent'anni (1991), cioè per 3 anni alla madre superstite spetta la metà del reddito annuale predetto (cioè euro 951,48).
Alla sorella GUERINO Grazia, che al momento della perdita del fratello aveva 24 anni d'età, spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per anni 6, per un totale di € 2.537,28. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al fratello GUERINO Vincenzo che al momento della perdita congiunto aveva 22 anni d'età, spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per anni 6, per un totale di € 2.537,28; oltre all'ulteriore apporto economico di euro € 634,32 (1/2 di 1.268,64 ) per due anni, dal 1986 al 1988 pari ad euro 1.268,64; per un totale complessivo pari ad euro 3.805,92. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Alla madre ARICO’ Maria sino al compimento del 30° anno d'età del figlio maggiore, spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per anni 6, per un totale di € 2.537,28; oltre all'ulteriore apporto economico di euro € 634,32 (1/2 di 1.268,64 ) per due anni, dal 1986 al 1988 pari ad euro 1.268,64; oltre all'ulteriore apporto economico mancato pari ad 1/2 del reddito annuale del figlio, cioè ad euro 951,48 per 3 anni (dal 1988 al 1991 epoca in cui il figlio deceduto avrebbe compiuto trent'anni) per un totale di euro 2.854,44; per un totale complessivo di euro 6.660,36. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul
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capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a ARICO’ Maria spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del figlio;
- euro € 6.660,36. oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del figlio; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 61.175,46;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a GUERINO Grazia spettano:
- euro 300.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del fratello;
- euro € 2.537,28 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del fratello; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 23.304,94;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a GUERINO Vincenzo spettano:
- euro 300.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del fratello;
- euro € 3.805,92 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del fratello; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 34.957,40;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
7) MARFISI Enzo e LICATA Leonarda
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MARFISI Enzo, nato a Termini Imerese (PA) il 14/12/1937, e LICATA Leonarda, nata a Ribera (AG) il 2.08.1941, nel disastro hanno perso entrambe le loro figlie minori MARFISI DANIELA, nata a Mantova il 13.03.1970, e MARFISI TIZIANA, nata a Mantova il 19.09.1974, entrambi decedute nel disastro.
LICATA Leonarda nel disastro ha perso altresì entrambi i genitori LICATA PAOLO, nato a Bari il 5.10.1907, e SIRAGUSA MARIANNA, nata a Ribera (AG) il 12.09.1919.
Considerato che gli attori hanno perduto le loro uniche due figlie ancora bambine, e dovendosi pertanto considerare massima la gravità della perdita che ha completamente precluso agli attori la possibilità di continuare a esplicare la propria personalità nel rapporto di genitori, deve riconoscersi a ciascuno di essi, a titolo di danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, la somma di euro 1.200.000,00 per la perdita di ciascuna figlia, per un ammontare di tale voce di danno non patrimoniale di euro 2.400.000,00 per ciascun attore.
A LICATA Leonarda deve altresì essere liquidata la somma di euro 800.000,00 per la perdita di ogni genitore.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da MARFISI Enzo e LICATA Leonarda deve farsi applicazione del criterio residuale del triplo della pensione sociale, e -prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili) - il reddito annuo si determina in euro 1.902,96.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64: tale somma, deve essere moltiplicata per 12 anni, cioè per il tempo (dai 18 ai trent'anni del figlio) in cui si presume vi sarebbe stato il contributo economico nei confronti della famiglia; il risultato pari ad euro 15.223,68 per ciascuna figlia va ripartita in parti uguali tra i genitori superstiti.
Pertanto a ciascun attore spetta, a titolo di danno patrimoniale per la perdita delle due figlie, la somma di euro 15.223,68, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione.
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In conclusione a MARFISI Enzo spettano:
- euro 2.400.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due figlie;
- euro € 15.223,68 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita delle due figlie; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 139.826,67;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LICATA Leonarda spettano:
- euro 4.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due figlie e di
entrambi i genitori;
- euro € 15.223,68 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita delle due figlie; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 139.826,67;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
8) LICATA Michelina
LICATA Michelina, nata a Ribera (AG) il 5.10.1939 ha perso entrambi i genitori LICATA PAOLO, nato a Bari il 5.10.1907, e SIRAGUSA MARIANNA, nata a Ribera (AG) il 12.09.1919, entrambi deceduti nel disastro aviatorio.
In considerazione dell'età adulta in cui è avvenuta la perdita si ritiene congruo liquidare la somma di euro 800.000,00 per la perdita di ogni genitore, per un totale di euro 1600.000,00, mentre nulla spetta a titolo di danno patrimoniale per tale perdita dovendosi considerare, in ragione dell'età dell'attrice raggiunta l'autonomia economica.
All'attrice spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00.
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In conclusione a LICATA Michelina spettano:
- euro 1.600.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita dei genitori;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
9) PINOCCHIO Salvatore, LEQUAGLIE Aurora, e PINOCCHIO Francesco.
PINOCCHIO Salvatore, nato a Monreale (Pa) il 14.01.1927, LEQUAGLIE Aurora, nata a Palermo il 2.07.1928, e PINOCCHIO Francesco, nato a Palermo il 23.06.1966, hanno perso nel disatro PINOCCHIO ANTONELLA, nata a Palermo il 10.12.1957, e PINOCCHIO GIOVANNI, nato a Palermo il 5.10.1967, figli dei primi due attori e fratelli del terzo.
La perdita subita dai genitori e dal fratello deve considerarsi di massima gravità, avendo avuto ad oggetto due figlie ed entrambi i fratelli, con la conseguenza che a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale si ritiene congruo liquidare a ciascun genitore superstite la somma di euro 1.200.000,00 per ciascun figlio deceduto (per un ammontare complessivo quindi di euro 2.400.000,00 per ciascun genitore) e al fratello superstite la somma di euro 400.000,00 per ciascun fratello deceduto (per un ammontare complessivo quindi di euro 800.000,00 per il fratello superstite)
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da PINOCCHIO Salvatore, LEQUAGLIE Aurora, e PINOCCHIO Francesco deve farsi applicazione del criterio residuale del triplo della pensione sociale, e - prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili)- il reddito annuale si determina in euro 1.902,96.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64
Per quanto concerne il danno patrimoniale subito dagli attori per la perdita del contributo economico di PINOCCHIO Antonella che all'epoca del decesso aveva 23 anni, la somma sopra indicata deve essere moltiplicata per 7 anni (fino all'epoca in cui la vittima avrebbe
compiuto il trentesimo anno di età) e divisa in parti uguali per i tre attori componenti il nucleo 138
familiare; a ciascun attore spetta pertanto a tale titolo la somma di euro 2.960,16
Per quanto concerne il danno patrimoniale subito dagli attori per la perdita del contributo economico di PINOCCHIO Giovanni che all'epoca del decesso aveva 13 anni, la somma sopra indicata deve essere moltiplicata per 12 anni (dai 18 ai 30 anni) e divisa in parti uguali per i tre attori componenti il nucleo familiare; a ciascun attore spetta pertanto a tale titolo la somma di euro 5.074,56
In conclusione a PINOCCHIO Salvatore spettano:
- euro 2.400.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita dei due figli;
- euro € 8.034,72 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita dei due figli; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 73.798,94;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LEQUAGLIE Aurora spettano:
- euro 2.400.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita dei due figli;
- euro € 8.034,72 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita dei due figli; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 73.798,94;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a PINOCCHIO Francesco spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita dei due fratelli;
- euro € 8.034,72 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita dei due fratelli; per un ammontare complessivo quindi pari
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ad euro 73.798,94;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti
all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
10) MOSTACCI Giuseppe, MOSTACCI Pietro Giuseppe, e GRANO Maria Roberta
MOSTACCI Giuseppe, nato a Palermo il 2.04.1923, MOSTACCI Pietro Giuseppe, nato a Palermo l’8.06.1961 e GRANO Maria Roberta, nata a Bologna l’1.09.1948, hanno perso nel disastro GRUBER MARTHA, nata a Villandro (BZ) il 23.06.1925, moglie del primo e madre degli altri attori.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale si ritiene congruo liquidare la somma di euro 900.000,00 per il coniuge MOSTACCI Giuseppe (in considerazione del fatto avendo perso l'apporto affettivo e materiale della moglie a 57 anni non gli è stata completamente preclusa una vita coniugale, pur essendogli stata tolta prima della vecchiaia) ed euro 800.000,00 a ciascun figlio (in considerazione del fatto che erano maggiorenni all'epoca della morte della madre).
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Agli attori MOSTACCI Giuseppe e MOSTACCI Pietro Giuseppe spetta anche il danno patrimoniale per la perdita del contributo economico apportato alla famiglia dalla moglie e madre deceduta applicandosi il criterio residuale del triplo della pensione sociale in base al quale, prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili)- il reddito annuo si determina in euro 1.902,96. All'epoca del disastro la Sig.ra Gruber Martha aveva l'età di anni 55 e ne avrebbe compiuti 70 nel 1995.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64 e tale somma va ripartita in parti uguali tra il marito e il figlio MOSTACCI Pietro Giuseppe, fino al compimento dei trent'anni di quest'ultimo, e cioè per 11 anni; a partire dal compimento dei trent'anni di tale attore (1991) e fino all'epoca in cui il coniuge defunto avrebbe compiuto settant'anni (1995), al coniuge superstite spetta la metà del reddito annuale sopra determinato (cioè euro 951,48 per 4 anni ).
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Al figlio MOSTACCI Pietro Giuseppe, che al momento della perdita della madre aveva 19 anni d'età, spetta la somma di € 634,32 (1/2 di euro 1.268,64 ) per anni 11, per un totale di € 6.977,52. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge MOSTACCI Giuseppe spetta la somma di € 634,32 (1/2 di euro 1.268,64 ) per anni 11, per un totale di €.6.977,52; oltre all'ulteriore apporto economico di euro 951,48 (1⁄2 del reddito annuo) per 4 anni, pari ad euro 3.805,92; per un totale pari ad euro 10.783,44. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Nulla spetta a titolo di danno patrimoniale per la perdita della madre all'attrice GRANO Maria Roberta in quanto all'epoca aveva 32 anni e non conviveva più con il nucleo familiare.
In conclusione a MOSTACCI Giuseppe spettano:
- euro 900.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della moglie;
- euro € 10.783,44 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della moglie; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 99.046,03;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a MOSTACCI Pietro Giuseppe, spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della madre;
- euro € 6.977,52 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della madre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 64.087,68;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
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In conclusione a GRANO Maria Roberta spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della madre;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
11) GUERRA Antonio, LA TONA Giuseppa, GUERRA Rosario, GUERRA Mirella, GUERRA Maria Santa
GUERRA Antonio, nato a Petralia Soprana (PA) il 2.06.1928, LA TONA Giuseppa, nata a Petralia Soprana (PA) il 2.06.1932, GUERRA Rosario, nato a Petralia Soprana (PA) l’1.02.1960, GUERRA Mirella, nata a Petralia Soprana (PA) il 15.07.1972, GUERRA Maria Santa, nata a Petralia Soprana (PA) il 23.07.1952 hanno perso nel disastro GUERRA Grazia, nata a Petralia Soprana (PA) il 26.02.1954, figlia dei primi due e sorella degli altri attori.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita della figlia si ritiene congrua la somma di euro 500.000,00 euro per ciascun genitore, considerato che gli stessi hanno altri tre figli, ed euro 300.000,00 ai fratelli considerato che gli stessi hanno altri fratelli.
A ciascun attore spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno.
Quanto ai danni patrimoniali subiti da GUERRA Antonio, LA TONA Giuseppa, GUERRA Rosario, GUERRA Mirella, GUERRA Maria Santa per la perdita del contributo economico che avrebbe apportato GUERRA Grazia deve farsi applicazione del criterio residuale del triplo della pensione sociale, e - prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili)- il reddito annuo si determina in euro 1.902,96.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64 ; GUERRA Grazia all'epoca del decesso aveva 26 anni; la somma sopra indicata deve essere moltiplicata per 4 anni (fino all'epoca in cui la vittima avrebbe compiuto il trentesimo anno di età) e divisa in parti uguali per i cinque attori componenti il nucleo familiare; a ciascun attore spetta pertanto a tale titolo la somma di euro 1.014,91, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura
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legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della figlia.
In conclusione a GUERRA Antonio spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della figlia;
- euro 1.014,91 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della figlia; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 9.321,97;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LA TONA Giuseppa spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della figlia;
- euro 1.014,91 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della figlia; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 9.321,97
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a GUERRA Rosario, spettano:
- euro 300.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della sorella;
- euro 1.014,91 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della sorella; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 9.321,97
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
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In conclusione a GUERRA Mirella spettano:
- euro 300.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della sorella;
- euro 1.014,91 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della sorella; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 9.321,97
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a GUERRA Maria Santa spettano:
- euro 300.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita della sorella;
- euro 1.014,91 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita della sorella; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 9.321,97;
- euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
12) FONTANA Anna
FONTANA Anna, nata a Roma il 30.11.1956 nel disastro ha perso il fratello FONTANA
ENZO, nato a Roma il 10.04.1948.
A FONTANA Anna deve riconoscersi, a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del
fratello, la somma di euro 300.000,00 considerato che non risulta agli atti la convivenza.
Anche sa tale attrice spetta inoltre la somma di euro 500.000,00 a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
Nulla spetta a tale attrice a titolo di danno patrimoniale per la perdita del fratello, atteso che quest'ultimo all'epoca del decesso aveva più di trent'anni e non risulta neppure convivesse con
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la sorella.
13) MANITTA Piera, MANITTA Rosanna (costituite in proprio e nella qualità di eredi
di PILAN Leda, parte intervenuta deceduta in corso di causa)
MANITTA Piera, nata il 19.04.1950, MANITTA Rosanna, nata il 6.11.1952 e PILAN Leda (nata il 15.4.1921, parte intervenuta deceduta in corso di causa), hanno perso nel disastro MANITTA Giuseppe, nato il 25.12.1926 padre delle prime due e coniuge della terza.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre deve riconoscersi, in considerazione dell'età adulta delle attrici MANITTA Piera, MANITTA Rosanna all'epoca del decesso, la somma di euro 800.000,00 per ciascuna.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita del coniuge deve riconoscersi, in considerazione della circostanza che tale perdita, essendosi verificata quando PILAN Leda aveva 59 anni non ha precluso all'attrice di vivere il rapporto coniugale, di cui è stata privata negli ultimi trent'anni della sua vita, la somma di euro 900.000,00 da dividersi in parti uguali tra le attrici MANITTA Piera e MANITTA Rosanna le quali si sono costituite quali eredi della madre.
Alle attrici spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuna iure proprio, e, iure ereditario, l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ( da dividersi in parti in parti uguali) per la stessa voce di danno spettante alla madre
Al coniuge PILAN Leda (e quindi per lei alle figlie iure ereditario, in misura di metà per ciascuna) e alla figlia MANITTA Rosanna, che quando ha perso il padre aveva 28 anni, spetta anche il danno patrimoniale per la perdita del contributo economico apportato dal congiunto che si liquida, facendo ricorso al criterio residuale del triplo della pensione sociale, e prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili); il reddito annuo si determina pertanto in euro 1.902,96. All'epoca del disastro MANITTA Giuseppe aveva l'età di anni 54 e ne avrebbe compiuti 70 nel 1996.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64 e tale somma va ripartita in parti uguali tra il coniuge e la figlia MANITTA Rosanna, fino al compimento dei trent'anni di quest'ultima, e cioè per 2 anni; a partire dal compimento dei trent'anni di tale attrice (1982) e
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fino all'epoca in cui il coniuge defunto avrebbe compiuto settant'anni coniuge (1996), cioè per 14 anni, al coniuge superstite spetta la metà del reddito annuale sopra determinato (cioè euro 951,48).
Alla figlia MANITTA Rosanna che al momento della perdita del padre aveva 28 anni d'età, spetta la somma di € 634,32 (1/2 di 1.268,64 ) per anni 2, per un totale di € 1.268,64 . Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge PILAN Leda (e per essa alle figlie iure ereditario, in misura di metà per ciascuna), spetta la somma di € 634,32 (1/2 di 1.268,64 ) per anni 2, per un totale di € 1.268,64; oltre all'ulteriore apporto economico di euro 951,48 (1⁄2 del reddito annuo) per 14 anni, pari ad euro 13.320,72; per un totale pari ad euro 14.589,36, Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Nulla spetta a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre all'attrice MANITTA Piera, iure proprio, in quanto all'epoca aveva 30 anni
In conclusione a MANITTA Piera spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre, iure proprio;
- euro 450.000,00 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito dalla madre per la perdita del coniuge;
- euro € 7.294,68 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale subito dalla madre per la perdita coniuge, iure ereditario; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 67.001,71;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 250.000,00 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti dalla madre a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
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In conclusione a MANITTA Rosanna spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre, iure proprio;
- euro 450.000,00 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito dalla madre per la perdita del coniuge;
- euro 1.268,64 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale subito per la perdita del padre, iure proprio; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 11.652,46;
- euro 7.294,68 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale subito dalla madre per la perdita coniuge, iure ereditario; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 67.001,71;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 250.000,00 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti dalla madre a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
14) DIODATO Pasquale
DIODATO Pasquale, nato a Mazara del Vallo (TP) il 23.3.1938, nel disastro ha perso tutta la sua famiglia composta dal coniuge LUPO Giovanna, nata il 10.10.1948, e dai figli DIODATO Vincenzo, nato il 29.7.1970, DIODATO Antonietta, nata il 9.4.1973 e DIODATO Giuseppe, nato il 23.9.1979.
In considerazione del fatto che l'attore ha perso, all'età di 42 anni tutta la sua famiglia, composta da moglie e tre figli piccoli dell'età di 10, 7, e 1 anno, la perdita del rapporto parentale deve considerarsi della massima gravità e deve pertanto liquidarsi per il danno non patrimoniale in questione la somma di euro 1.200.000,00 per la perdita di ciascun componente la famiglia, per un ammontare complessivo pari ad euro 4.800.000,00 euro.
Nulla spetta all'attore né a titolo di danno patrimoniale derivante dalla perdita dei congiunti né a titolo di danno non patrimoniale per l'ostacolo all'accertamento delle cause del disastro, non 147
avendo egli proposto alcuna domanda in tal senso, essendosi limitato a chiedere il ristoro dei danni non patrimoniali derivati dalla perdita della famiglia.
Dalla somma liquidata a titolo di risarcimento danni, in accoglimento della relativa richiesta di parte convenuta, devono detrarsi le somme percepite dall'attore (di cui parte convenuta ha dato prova mediante la produzione in giudizio dei decreti ministeriali di concessione delle somme, non contestati dall'attore):
- ai sensi della legge 340/1995 pari ad euro 309.874,14;
- ai sensi della legge 266/2005 pari ad euro 362.139,91;
- ai sensi della legge 206/2004 pari ad euro 136.215,37 complessivi;
- oltre allo speciale assegno vitalizio di euro 1.033,00 mensili per ciascuna vittima.
La somma dei predetti importi ammonta ad euro 808.229,42, cui deve aggiungersi la somma di euro 247.920,00, pari alla capitalizzazione dei quattro assegni vitalizi di 1.033,00 euro mensili operata mediante l'applicazione dei criteri di cui all'art. 10 comma 2 legge 302/1990 (euro 1.033,00 mensili per 12 mesi, per 4 assegni, per 5), per un totale complessivo da detrarre pari a euro 1.056.149,42
In conclusione a DIODATO Pasquale spetta la residua somma di euro 3.743.850,58 (già detratti i benefici concessi ai sensi delle leggi 340/1995, 206/2004, 266/2005).
15) SCIBILIA Antonina, LUPO Mariano, LUPO Vincenza, LUPO Bartolomeo, intervenute in proprio e nella qualità di eredi di LUPO Giuseppe.
SCIBILIA Antonina, nata a Marsala (TP) l'08.04.1923, LUPO Mariano, nato a Castelvetrano il 25.11.1950, LUPO Vincenza, nata a Castelvetrano il 21.3.1952, LUPO Bartolomeo, nato a Castelvetrano il 22.1.1954 - intervenuti in proprio e nella qualità di eredi di LUPO Giuseppe, nato a Castelvetrano il 2.1.1919, ivi deceduto il 14.1.2001 – nel disastro hanno perso LUPO Francesca nata l'11.2.1963 e LUPO Giovanna nata 1l 10.10.1948 (figlie della Scibilia e di Lupo Giuseppe, e sorelle delle altre parti intervenute) nonché DIODATO Vincenzo, nato il 29.7.1970, DIODATO Antonietta, nata il 9.4.1973 e DIODATO Giuseppe, nato il 23.9.1979 (figli di LUPO Giovanna).
A titolo di danno non patrimoniale subito dai genitori SCIBILIA Antonina e LUPO 148
Giuseppe per la perdita delle due figlie deve riconoscersi, in considerazione della circostanza che hanno altri tre figli, a ciascun genitore la somma di euro 800.000,00 per ciascuna figlia. Per tale voce di danno pertanto a SCIBILIA Antonina spetta la somma di 1.600.00,00 euro iure proprio, e di euro 533.333,33 iure ereditario (ex art. 581 c.c.), e agli altri attori la somma di euro 355.555,55 ciascuno iure ereditario ( sempre ex art. 581 c.c.).
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle sorelle deve riconoscersi a LUPO Mariano, LUPO Vincenza, LUPO Bartolomeo, in considerazione della circostanza della presenza di altri fratelli, la somma di 300.000,00 euro ciascuno per ciascuna sorella (euro 600.000,00 per ciascun fratello superstite).
Non può invece procedersi al riconoscimento dei danni non patrimoniali per la perdita dei nipoti, in mancanza di prova dello specifico rapporto di natura affettiva leso il quale – a differenza di quello tra genitori e figli e tra fratelli- non può presumersi sulla base dell'id quod plerumque accidit.
Agli intervenienti spetta inoltre, per le conseguenze non patrimoniali subite a causa delle condotte di ostacolo all'accertamento della verità l'ulteriore somma di euro 500.000,00 ciascuno iure proprio, e, iure ereditario, l'ulteriore somma di euro 500.000,00 (da dividersi in misura di euro 166.666,66 in favore di SCIBILIA Antonina e di euro 111.111,11 in favore di ciascuno dei di lei tre figli, ex art. 581 c.c.) per la stessa voce di danno spettante al padre.
Ai genitori SCIBILIA Antonina e LUPO Giuseppe (e quindi per quest'ultimo alla moglie Scibilia e ai figli LUPO Mariano, LUPO Vincenza, LUPO Bartolomeo, iure ereditario, in misura di un quarto per ciascuno), spetta anche il danno patrimoniale per la perdita del contributo economico che la figlia LUPO Francesca, che è deceduta all'età di 17 anni, avrebbe apportato alla famiglia dai 18 ai 30 anni che si liquida facendo ricorso al criterio residuale del triplo della pensione sociale, prendendo come riferimento l'importo previsto per l'anno 1980 dall'art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33, pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili) e determinando quindi il reddito annuo in euro 1.902,96
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64; tale somma moltiplicata per 12 anni, corrisponde al contributo economico che LUPO Giovanna avrebbe apportato alla famiglia dai 18 ai 30 anni, pari ad euro 15.223,68
Tale somma va attribuita per metà (pari ad euro 7.611,84) alla madre SCIBILIA Antonina, e
per l'altra metà spettante al padre, divisa ex art. 581 tra la predetta madre e i tre figli iure 149
ereditario (per un ammontare di euro 2.537,28 spettante alla madre e di euro 1691,52 spettante a ciascuno dei tre figli); per un totale pari ad euro 10.149,12 per SCIBILIA Antonina e ad euro 1691,52 per ciascuno per LUPO Mariano, LUPO Vincenza, LUPO Bartolomeo. Su tali somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Nulla spetta a titolo di danno patrimoniale per la perdita della figlia e sorella LUPO Giovanna, in quanto essa all'epoca aveva 32 anni e un proprio nucleo familiare.
In conclusione a SCIBILIA Antonina spettano:
- euro 1.600.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due figlie, iure
proprio;
- euro 533.333,33 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito da LUPO Giuseppe
per la perdita delle due figlie;
- euro 10.149,12 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale subito per la perdita della figlia LUPO Francesca, tanto iure proprio quanto iure ereditario; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 93.219,78;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 166.666,66 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti da LUPO Giuseppe a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LUPO Mariano spettano:
- euro 600.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due sorelle, iure
proprio;
- euro 355.555,55 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito da LUPO Giuseppe
per la perdita delle due figlie;
- euro 1691,52 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul 150
capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, iure ereditario a titolo di danno patrimoniale subito da LUPO Giuseppe per la perdita della figlia LUPO Francesca; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 13.845,09;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 111.111,11 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti da LUPO Giuseppe a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LUPO Vincenza spettano:
- euro 600.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due sorelle, iure
proprio;
- euro 355.555,55 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito da LUPO
Giuseppe per la perdita delle due figlie;
- euro 1691,52 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, iure ereditario a titolo di danno patrimoniale subito subito da LUPO Giuseppe per la perdita della figlia LUPO Francesca;per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 13.845,09;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 111.111,11 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti da LUPO Giuseppe a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
In conclusione a LUPO Bartolomeo spettano:
- euro 600.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita delle due sorelle, iure
proprio;
- euro 355.555,55 iure ereditario a titolo di danno non patrimoniale subito da LUPO Giuseppe per la perdita delle due figlie;
151
- euro 1691,52 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, iure ereditario a titolo di danno patrimoniale subito subito da LUPO Giuseppe per la perdita della figlia LUPO Francesca;per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 13.845,09;
- euro 500.000,00 iure proprio a titolo di danni non patrimoniali conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli;
- euro 111.111,11 iure ereditario a titolo di danni non patrimoniali, subiti da LUPO Giuseppe a causa degli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli.
16) DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, PARRINELLO Giuseppa Maria, PARRINELLO Caterina Anna, PARRINELLO Fausta Savia.
DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, nata a Paceco il 27.03.1945, PARRINELLO Giuseppa Maria, nata a Marsala il 07.09.1964, PARRINELLO Caterina Anna, nata a Marsala il 15.10.1966 e PARRINELLO Fausta Savia, nata a Marsala il 19.12.1971 hanno perso nel disastro PARRINELLO Carlo che aveva 44 anni, coniuge della prima e padre delle altre intervenute.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita del coniuge deve riconoscersi a DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela la somma di neuro 1.000.000,00 in considerazione del fatto che il decesso del marito è avvenuto allorquando l'attrice era ancora molto giovane, anche se due delle tre figlie erano ormai adolescenti, con la conseguenza che la perdita non ha precluso del tutto all'attrice l'esplicazione della sua personalità nell'ambito del rapporto di coniugio.
A titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre deve riconoscersi a PARRINELLO Giuseppa Maria, PARRINELLO Caterina Anna, PARRINELLO Fausta Savia la somma di euro 800.000,00 per ciascuna, in considerazione del fatto che, pur avendo perso il padre in età (16, 14 e 9 anni) in cui la presenza della figura paterna è di fondamentale rilievo per l'equilibrato sviluppo della personalità, tuttavia le stesse hanno potuto continuare a contare sull'appoggio di una famiglia numerosa.
Nulla spetta a queste attrici a titolo di danno non patrimoniale conseguente alle condotte di ostacolo all'accertamento delle cause del disastro, non avendo proposto alcuna domanda in tal 152
senso,
Quanto ai danni patrimoniali subiti da DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, PARRINELLO Giuseppa Maria, PARRINELLO Caterina Anna, PARRINELLO Fausta Savia deve farsi applicazione del criterio residuale del triplo della pensione sociale, e quidi - prendendo come riferimento il valore della pensione sociale nel 1980 pari ad euro 634,32 annui (lire 102.350 mensili: cfr. art. 14 -ter legge 29 febbraio 1980, n. 33)- il reddito annuale si determina in euro 1.902,96 annui. PARRINELLO Carlo all'epoca della morte aveva 44 anni.
I due terzi di tale reddito annuo ammontano ad euro 1.268,64, e tale somma va ripartita in parti uguali tra la madre e i tre figli superstiti, fino al compimento dei trent'anni della figlia maggiore, e cioè per 14 anni; a partire dal compimento dei trent'anni di tale attrice (1994) e fino al compimento dei trent'anni della seconda figlia (1996), cioè per 2 anni, la somma predetta va ripartita in parti uguali tra la madre e le due figlie minori; a partire dal compimento dei trent'anni della seconda figlia (1996) e fino al compimento dei trent'anni della terza figlia (2001), cioè per 5 anni, la somma indicata deve essere ripartita tra la madre e la figlia più piccola; quindi dal 2001 al 2006 (epoca in cui PARRINELLO Carlo avrebbe compiuto settant'anni), cioè per cinque anni, al coniuge superstite spetta la metà del reddito come sopra determinato, cioè la quota pari ad euro 951,48.
Alla figlia PARRINELLO Giuseppa Maria, che al momento della perdita del padre aveva 16 anni d'età, spetta la somma di € 317,16 (1/4 di 1.268,64 euro) per anni 14, per un totale di € 4.440,24. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Alla figlia PARRINELLO Caterina Anna, che al momento della perdita del padre aveva 14 anni d'età, spetta la somma di € 317,16 (1/4 di 1.268,64 euro) per anni 14, per un totale di € 4440,24; quindi dal compimento dei trent'anni della sorella maggiore fino al compimento dei suoi trent'anni, cioè dal 1994 al 1996 le spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per due anni, per un totale pari ad euro 845,76; per un ammontare complessivo pari a euro 5.286,00. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
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Alla figlia PARRINELLO Fausta Savia, che al momento della perdita del padre aveva 9 anni d'età, spetta la somma di € 317,16 (1/4 di 1.268,64 euro) per anni 14, per un totale di € 4440,24; quindi dal compimento dei trent'anni della sorella maggiore fino al compimento dei trent'anni della seconda sorella, cioè dal 1994 al 1996 le spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per due anni, per un totale pari ad euro 845,76; poi, dal 1996 al 2001 (cioè al compimento dei suoi trent'anni) le spetta la somma di € 634,32 (1/2 di 1.268,64 euro) per 5 anni, per un totale pari ad euro 3.171,60; per un ammontare complessivo pari ad euro 8.457,60. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
Al coniuge superstite DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, sino al compimento del 30° anno d'età della figlia maggiore, spetta la somma di € 317,16 (1/4 di 1.268,64 euro) per anni 14, per un totale di € 4440,24; quindi dal compimento dei trent'anni della prima figlia fino al compimento dei trent'anni della seconda figlia, cioè dal 1994 al 1996 le spetta la somma di € 422,88 (1/3 di euro 1.268,64) per due anni, per un totale pari ad euro 845,76; poi, dal 1996 al 2001 (cioè fino al compimento dei trent'anni della terza figlia) le spetta la somma di € 634,32 (1/2 di 1.268,64 euro) per 5 anni, per un totale pari ad euro 3.171,60; quindi dal 2001 fino al 2006 (epoca in cui il marito avrebbe compiuto settant'anni) le spetta la somma di € 951,48 (1⁄2 del reddito annuo), per 5 anni, per un totale pari ad euro 4.757,40; per un totale complessivo pari ad euro 13.215,00. Su tale somma sono dovuti, dal 1980 alla data della presente decisione, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT e gli interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno.
In conclusione a DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela spettano:
- euro 1.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del marito;
- euro 13.215,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del marito; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 121.379,00;
In conclusione a PARRINELLO Giuseppa Maria spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
154
- euro € 4.440,24 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 40.783,66;
In conclusione a PARRINELLO Caterina Anna spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro 5.286,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 48.551,96;
In conclusione a PARRINELLO Fausta Savia spettano:
- euro 800.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del padre;
- euro 8.457,60 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT e interessi in misura legale sul capitale rivalutato di anno in anno, dal 1980 alla data della presente decisione, a titolo di danno patrimoniale per la perdita del padre; per un ammontare complessivo quindi pari ad euro 77.683,13.
*
Stante il riconosciuto concorso di responsabilità dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti i predetti Ministeri devono essere condannati in solido al pagamento delle somme indicate in favore di ciascun attore o interveniente, eccetto che per quanto riconosciuto a ciascuno di essi a titolo di danni conseguenti agli ostacoli frapposti all'accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli, che deve essere posto a carico del solo Ministero della Difesa, trattandosi di danno derivante da una condotta riferibile solo a tale Ministero.
Devono invece respingersi le domande proposte nei confronti del Ministero dell'Interno dagli attori e dai soggetti intervenuti nel processo n. 12865/2007 RG., non risultando accertata alcuna responsabilità riferibile a tale Ministero.
Le spese processuali sostenute dagli attori e dalle parti intervenute nel presente processo, liquidate come in dispositivo in forza del principio della soccombenza devono essere poste a 155
carico solidale dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti.
In ragione della complessità della vicenda oggetto del presente processo e considerato che, essendosi i convenuti costituiti quale unica parte complessa, la difesa dei convenuti non ha subito alcun aggravio a causa delle domande proposte nei confronti del Ministero degli Interni e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si dichiarano integralmente compensate le spese tra gli attori del procedimento n. 12865/07 e i terzi intervenuti in tale processo e il Ministero degli Interni e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
P .Q.M.
Il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica in persona del Giudice Paola Proto Pisani, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando, così provvede:
in accoglimento delle domande avanzate dagli attori e dalle parti intervenute nel presente giudizio condanna il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro-tempore, e il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro pro-tempore, in solido, al pagamento delle seguenti somme: euro 2.333.510, 47 in favore di OSNATO Rossana; euro 1.773.454,75 in favore di FONTANA Flavio; euro 1.767.876,02 in favore di FUCARINO Lori; euro 1.329.542,71 in favore di CERAMI Cristina; euro 1.294.238,67 in favore di CERAMI Ennio; euro 1.583.344,51 in favore di PIRICO’ Fortunata; euro 1.036.491,04 in favore di DAVI’ Francesco; euro 973.426,73 in favore di DAVI’ Maria Grazia; euro 1.383.344,51 in favore di DAVI’ Alessia; euro 3.630.635,10 in favore di FULLONE Giovanni; euro 2.092.701,16 in favore di GAMBINO Lina; euro 1.381.991,69 in favore di VALENZA Filippo; euro 1.406.901,43 in favore di VALENZA Aurelio Natale; euro 1.061.175,46 in favore di ARICO’ Maria; euro 334.957,40 in favore di GUERINO Vincenzo; euro 323.304,94 in favore di GUERINO Grazia; euro 2.539.826,67 in favore di MARFISI Enzo; euro 4.139.826,67 in favore di LICATA Leonarda; euro 1.600.000,00 in favore di LICATA Michelina; euro 2.473.798,94 in favore di PINOCCHIO Salvatore; euro 2.473.798,94 in favore di LEQUAGLIE Aurora; euro 873.798,94 in favore di PINOCCHIO Francesco; euro 999.046,03 in favore diMOSTACCI Giuseppe; euro 864.087,68 in favore di MOSTACCI Pietro Giuseppe; euro 800.000,00 in favore di GRANO Maria Roberta; euro 1.009.321,97 in favore di GUERRA Antonio; euro 1.009.321,97 in favore di LA TONA Giuseppa; euro 309.321,97 in favore di GUERRA Rosario; euro 309.321,97 in favore di GUERRA Mirella; euro 309.321,97 in
156
favore di GUERRA Maria Santa; euro 300.000,00 in favore di FONTANA Anna; euro 1.317.001,71 in favore di MANITTA Piera; euro 1.328.654,17 in favore di MANITTA Rosanna; euro 3.743.850,58 (già detratti i benefici concessi ai sensi delle leggi 340/1995, 206/2004, 266/2005) in favore di DIODATO Pasquale; euro 2.226.553,11 in favore di SCIBILIA Antonina; euro 969.400,64 in favore di LUPO Mariano; euro 969.400,64 in favore di LUPO Vincenza; euro 969.400,64 in favore di LUPO Bartolomeo; euro 1.121.379,00 in favore di DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela; euro 840.783,66 in favore di PARRINELLO Giuseppa Maria; euro 848.551,96 in favore di PARRINELLO Caterina Anna; euro 877.683,13 in favore di PARRINELLO Fausta Savia; oltre interessi legali sulle predette somme dalla data della presente decisione al soddisfo;
condanna altresì il solo MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro- tempore al pagamento delle seguenti ulteriori somme: euro 500.000,00 in favore di OSNATO Rossana; euro 500.000,00 in favore di FONTANA Flavio; euro 500.000,00 in favore di FUCARINO Lori; euro 500.000,00 in favore di CERAMI Cristina; euro 500.000,00 in favore di CERAMI Ennio; euro 500.000,00 in favore di PIRICO’ Fortunata; euro 500.000,00 in favore di DAVI’ Francesco; euro 500.000,00 in favore di DAVI’ Maria Grazia; euro 500.000,00 in favore di DAVI’ Alessia; euro 500.000,00 in favore di FULLONE Giovanni; euro 500.000,00 in favore di GAMBINO Lina; euro 500.000,00 in favore di VALENZA Filippo; euro 500.000,00 in favore di VALENZA Aurelio Natale; euro 500.000,00 in favore di ARICO’ Maria; euro 500.000,00 in favore di GUERINO Vincenzo; euro 500.000,00 in favore di GUERINO Grazia; euro 500.000,00 in favore di MARFISI Enzo; euro 500.000,00 in favore di LICATA Leonarda; euro 500.000,00 in favore di LICATA Michelina; euro 500.000,00 in favore di PINOCCHIO Salvatore; euro 500.000,00 in favore di LEQUAGLIE Aurora; euro 500.000,00 in favore di PINOCCHIO Francesco; euro 500.000,00 in favore di MOSTACCI Giuseppe; euro 500.000,00 in favore di MOSTACCI Pietro Giuseppe; euro 500.000,00 in favore di GRANO Maria Roberta; euro 500.000,00 in favore di GUERRA Antonio; euro 500.000,00 in favore di LA TONA Giuseppa; euro 500.000,00 in favore di GUERRA Rosario; euro 500.000,00 in favore di GUERRA Mirella; euro 500.000,00 in favore di GUERRA Maria Santa; euro 500.000,00 in favore di FONTANA Anna; euro 750.000,00 in favore di MANITTA Piera; euro 750.000,00 in favore di MANITTA Rosanna; euro 666.666,66 in favore di SCIBILIA Antonina; euro 611.111,11 in favore di LUPO Mariano; euro 611.111,11 in favore di LUPO Vincenza; euro 611.111,11 in favore di LUPO Bartolomeo; oltre interessi legali sulle predette somme dalla data della presente decisione al soddisfo;
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in accoglimento della domanda subordinata proposta da parte convenuta dichiara che dalle somme riconosciute dalla presente sentenza a ciascuno degli attori e dei soggetti intervenuti a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla perdita dei loro congiunti nel disastro di Ustica (e poste a carico solidale dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti) devono essere detratte quelle già corrisposte dallo Stato a ciascuno di essi a titolo di elargizioni di cui agli artt. 4 e 5 legge 20 ottobre 1990 n. 302 , 1 comma 272 legge 266 del 2005, e 5 commi 3 e 5 legge 3 agosto 2004, n. 206;
rigetta le domande proposte nei confronti del Ministero dell'Interno;
condanna il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro-tempore, e il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro pro- tempore, in solido, alla rifusione delle spese processuali nei confronti degli attori e dei soggetti intervenuti, che liquida:
-in complessivi euro 721.340,00 (di cui euro 21.000,00 per diritti, euro 700.000,00 per onorari, euro 340,00 per spese) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte attrice nel procedimento n.. 10354/2007 R.G. (indicata ai numeri da 1 a 25 dell’epigrafe) difesa dagli avv.ti Alfredo Galasso e Daniele Osnato;
- in complessivi euro 35.340,00 (di cui euro 5.000,00 per diritti, euro 30.000,00 per onorari, euro 340,00 per spese) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte attrice nel procedimento 12865/2007 R.G. DIODATO Pasquale;
- in complessivi euro 40.200,00 (di cui euro 5.200,00 per diritti, euro 35.000,00 per onorari) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte intervenuta GUERRA Antonio, LA TONA Giuseppa, GUERRA Rosario, GUERRA Mirella, GUERRA Maria Santa;
- in complessivi euro 22.000,00 (di cui euro 4.000,00 per diritti, euro 18.000,00 per onorari) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte intervenuta FONTANA Anna;
- in complessivi euro 33.000,00 (di cui euro 5.000,00 per diritti, euro 28.000,00 per onorari) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte intervenuta MANITTA Piera e MANITTA Rosanna;
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- in complessivi euro 46.000,00 (di cui euro 5.500,00 per diritti, euro 40.500,00 per onorari) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte intervenuta SCIBILIA Antonina, LUPO Mariano, LUPO Vincenza, LUPO Bartolomeo;
- in complessivi euro 35.000,00 (di cui euro 5.000,00 per diritti, euro 30.000,00 per onorari) oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge in favore della parte intervenuta DI GIOVANNI DI GIROLAMO Angela, PARRINELLO Giuseppa Maria, PARRINELLO Caterina Anna, PARRINELLO Fausta Savia;
dichiara integralmente compensate le spese tra gli attori del procedimento n. 12865/07 e i terzi intervenuti in tale processo e il Ministero degli Interni e la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Così deciso in Palermo in data 10 settembre 2011
Il Giudice