Procacciamento e commercio di sostanze dopanti: criteri distintivi e conseguenze sanzionatorie.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
sentenza n. 36700
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.P. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 354/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del 14/11/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l'inammissibilità.
Svolgimento del processo
1.1 Con sentenza del 14 novembre 2012 la Corte di Appello di Trento in parziale riforma della sentenza del Giudice per l'udienza Preliminare del Tribunale di detta città pronunciata il 10 febbraio 2011 che aveva dichiarato F.P. (n. il (OMISSIS)) e FE.Pi. (nato l'(OMISSIS)) colpevoli del reato loro, rispettivamente, ascritto alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, (il primo) e art. 9, comma 1 (il secondo), condannandoli alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione (il primo) e mesi quattro di reclusione (il secondo), elideva la continuazione con riferimento alla posizione di F.P. (n. il (OMISSIS)); qualificava in tentativo di commercio la condotta contestata a FE.Pi.
(n. l'(OMISSIS)); confermava le pene originariamente loro inflitte e concedeva ad entrambi gli imputati il beneficio della non menzione della condanna.
1.2 Propone ricorso avverso la detta sentenza il solo F. P. (nato il (OMISSIS)) con unico motivo con il quale deduce carenza di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta in punto di conferma della responsabilità sotto il profilo della sussistenza della natura dopante delle sostanze sequestrate, stante anche la mancata verifica della loro reale natura; ancora, in ordine alla ritenuta attività di commercio ed, infine, in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non è fondato.
Va premesso, in punto di fatto, che al F. era stata contestata la più grave condotta di associazione per delinquere - nella specifica veste di organizzatore della consorteria - finalizzata al commercio di sostanze dopanti (sostanze anabolizzanti di vario genere anche provenienti dall'estero e destinate a soggetti privati). Il Giudice per l'udienza preliminare aveva escluso la sussistenza del delitto associativo, circoscrivendo la responsabilità alla sola condotta di commercio di dette sostanze, ritenuta la continuazione (successivamente esclusa dalla Corte distrettuale).
2. Ciò detto, nell'ambito dell'unico motivo di ricorso dedicato al profilo riguardante la materialità del reato con riferimento alla natura dopante delle sostanze in sequestro, la difesa del F. lamenta sostanzialmente la carenza di motivazione in quanto, in assenza di accertamenti tossicologici e chimici condotti sulla effettiva natura della sostanza dopante, la Corte territoriale ha basato la propria decisione soltanto su due dati: a) le precise indicazioni fornite dai Carabinieri del N.A.S. che avevano proceduto al sequestro delle sostanze; b) le parziali ammissioni del F. in sede di interrogatorio a seguito del suo arresto, con le quali il detto imputato aveva ammesso di essersi procurato in Moldavia sostanze anabolizzanti poi portate in Itala e delle quali aveva fatto uso per la propria attività fisica. Contesta, perchè illogica, la affermazione della Corte secondo la quale le perizie non erano state disposte stante la scelta del rito speciale non condizionato effettuata dal F. che ne aveva precluso la possibilità di espletarle.
3. Sembra, anzitutto, necessaria qualche puntualizzazione in ordine alla natura delle tabelle ministeriali descrittive delle sostanze vietate aventi effetto dopante: ciò in quanto uno dei punti sui quali la decisione della Corte territoriale ha fatto chiarezza è quello della non necessità - nel caso di specie - della acquisizione delle tabelle allegate ai decreti ministeriali in quanto la natura dopante delle sostanze sequestrate emergeva chiaramente da altri elementi oggettivi ulteriormente riscontrati - come detto - dalle parziali ammissioni dello stesso F..
3.1 Si osserva, quanto alle menzionate tabelle, che la L. n. 376 del 2000, art. 2 della rimanda ad un decreto del Ministero della Sanità, adottato di concerto con quello dei beni culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive di cui all'art. 3, la determinazione dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche mediche vietate. Il ricorso a tale criterio si spiega con l'estrema difficoltà di trovare definizioni della fattispecie criminosa che siano effettivamente esaustive dal punto di vista giuridico e scientifico in un ambito, come quello della farmacologia, che è notoriamente caratterizzato da una costante evoluzione.
3.2 Il c.d. "metodo tabellare", già utilmente sperimentato in ambito di detenzione e commercializzazione delle sostanze stupefacenti con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 , rimette, quindi, ad una fonte secondaria il compito di precisare ed integrare il precetto penale, determinando in concreto le sostanze ed i metodi vietati. Da qui l'affermata natura di norma penale in bianco della L. n. 376 del 2000, art. 9, in quanto l'individuazione di un elemento essenziale della condotta illecita è rimessa alla competenza di organi tecnici.
3.3 Consapevole dell'acceso dibattito nella dottrina penalistica originatosi all'indomani dell'entrata in vigore della L. n. 376 del 2000 tra i fautori della c.d. "tesi ricognitiva" e quelli della c.d. "tesi costitutiva" in ordine al carattere, tassativo o meno, delle tabelle alla natura della ripartizione in classi dei farmaci dopanti meramente ricognitiva, ovvero costitutiva (nel quale caso la fase di classificazione verrebbe identificata come vera e propria condizione di applicabilità della normativa antidoping), la giurisprudenza di legittimità è intervenuta a comporre il contrasto inizialmente venutosi a creare sulla configurabilità dei reati di doping rispetto a fatti accaduti dopo l'entrata in vigore della legge (dal 2 gennaio 2001), ma al contempo prima dell'emanazione dei decreti ministeriali di attuazione, ovvero, rispetto a fatti accaduti dopo, ma che hanno ad oggetto farmaci, sostanze o pratiche non espressamente richiamati nella elencazione ministeriale, e dunque sul carattere tassativo o meno di quest'ultima.
3.4 La 3^ Sezione di questa Corte, infatti, con sentenza 2.12.2004, n. 46764, P.M. in proc. Gillet, Rv. 230336, ha affermato che i reati de quibus sono configurabili anche se i relativi fatti siano stati commessi prima della emanazione del previsto decreto ministeriale di ripartizione in classi delle sostanze "dopanti", riconoscendo, così, immediata portata precettiva alla norma di cui alla citata Legge, art. 9 - indipendentemente dall'emanazione del menzionato decreto ministeriale - purchè riferita a sostanze già individuate ed espressamente indicate nell'elenco delle classi farmacologiche di sostanze e metodi dopanti allegato in appendice alla L. 29 novembre 1995, n. 522 , di ratifica della Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989.
3.5 Il detto elenco comprende, come è noto, "le classi di agenti di doping e di metodi di doping vietati dalle organizzazioni sportive internazionali" e riproduce "le classi di sostanze di doping e dei metodi di doping adottati dal CIO nell'aprile del 1989". Secondo il principio affermato con la detta pronuncia (peraltro preceduta da altra di similare contenuto anche se non specificamente attinente a tale questione (Sez. 6, 20.2.2003, n. 17322, Frisinghelli, Rv. 224957, che ha riconosciuto la sussistenza dei reati di doping in assenza del decreto di ripartizione in classi delle sostanze dopanti), il decreto ministeriale in parola non sarebbe necessario per integrare, quale fonte tecnica secondaria, il precetto penale e l'attività di ripartizione in classi delle sostanze dopanti avrebbe un carattere meramente ricognitivo e classificatorio. Secondo la detta sentenza tale conclusione, in aperto contrasto, peraltro, con la maggioranza della dottrina penalistica, non intaccherebbe nè il principio della riserva di legge, stante il preciso riferimento a parametri normativi espressamente richiamati dalla legge n. 376/2000 che esclude un margine di discrezionalità per il giudice penale nel processo di l'individuazione delle sostanze dopanti; nè il principio di tassatività, perchè il novum non potrebbe estendersi alla somministrazione o all'assunzione di sostanze diverse da quelle legalmente predeterminate.
3.6 Un diverso orientamento, nel senso auspicato dalla dottrina penalistica maggioritaria, ha caratterizzato la decisione assunta da altra Sezione di questa Corte secondo la quale l'oggetto della L. n. 376 del 2000 e quello della Convenzione di Strasburgo del 1995 non possono dirsi coincidenti e sovrapponibili con riferimento alle specifiche finalità perseguite dalla stessa L. n. 376 del 2000 , alla relativa "struttura" normativa, ai "modelli" cui essa si è ispirata ed all'oggetto giuridico delle fattispecie penali (Sez. 6^ Ord. 29.12.2004 n. 49949, Petrarca e altri, non massimata).
3.7 Intervenute a comporre il contrasto giurisprudenziale sul punto, le S.U. di questa Corte hanno affrontato la questione rimessa dalla 6^ Sezione con la ricordata ordinanza, al fine di stabilire la configurabilità dei reati indicati dalla L. n. 376 del 2000, art. 9 anche per i fatti commessi prima della emanazione del D.M. 15 ottobre 2002 (Ministero della Salute) con il quale, in applicazione della citata Legge, art. 2, è stata "approvata" la lista dei farmaci, delle sostanze biologicamente attive e delle pratiche mediche il cui impiego è considerato doping. 3.8 E' stato, così, affermato il principio di diritto secondo il quale "le ipotesi di reato previste dalla L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9 (recante la disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping) sono configurabili anche per i fatti commessi prima della emanazione del D.M. Salute, in data 15 ottobre 2002, con il quale, in applicazione dell'art. 2 della stessa legge, sono stati ripartiti in classi i farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e le pratiche mediche il cui impiego è considerato doping". (S.U. 29.11.2005 n. 3087, P.M. in proc. Cori ed altri, Rv. 232557; conformi Sez. 3A 27.2.2007 n. 21092, Pomari, Rv. 236740; Sez. 2A 29.3.2007, P.G. in proc. Giraudo, Rv.
237035).
4. Non ritiene il Collegio di soffermarsi ulteriormente sulla questione sopra indicata, anche perchè sostanzialmente marginale rispetto al tema in esame. Quel che rileva, dal punto di vista generale, è il significato meramente ricognitivo e non costitutivo della classificazione delle sostanze, con la conseguenza che è sufficiente l'inserimento di un farmaco (o di un suo composto) all'interno delle classi suddette per affermare la natura illecita - dal punto di vista penale - della sostanza commercializzata o detenuta a tale fine qualificata come dopante.
4.1 Nel caso di specie - diversamente da come dedotto dalla difesa - la Corte territoriale ha desunto la natura dopante della sostanza sequestrata da una serie di elementi di tipo oggettivo, indipendentemente dalla acquisizione delle tabelle suddette, tenuto conto: a) del suo inserimento nel D.M. 19 marzo 2009 che disciplina e classifica le sostanze anabolizzanti; dagli accertamenti svolti in concreto dai carabinieri del N.A.S. sulle dette sostanze culminato nella individuazione del principio attivo ricompreso tra le sostanze vietata stante l'effetto dopante; dall'ulteriore accertamento svolto dai Carabinieri in occasione del sequestro del 2 dicembre 2009 nel quale venne dato atto che le sostanze sequestrate al F. erano della stessa specie di quelle oggetto del sequestro: non appare superfluo, al riguardo, ricordare che la Corte distrettuale, nel confermare la natura dopante delle sostanze in esame, ha dato atto del rinvenimento in sede di perquisizione, di 200 compresse della sostanza farmaceutica ad azione anabolizzante recante indicazioni in caratteri cirillici, riconducibili alla sostanza avente principio attivo Metandrostenolone.........derivato dal testosterone".
4.2 D'altro canto, a riprova della superfluità, nel caso in esame, della acquisizione delle tabelle, va considerato fatto notorio che il testosterone ed i suoi derivati vengono adoperati - secondo la comune scienza medica e farmacologica - per le loro proprietà anabolizzanti che incidono sul corpo umano, favorendone l'accrescimento della massa muscolare e diminuendo la sensazione di affaticamento: il che è sufficiente a fa ritenere dette sostanze dopanti nel senso in cui comunemente si intende la parola doping in campo penale. I dati di cui sopra, incrociati con la stessa ammissione proveniente dal F. di essersi procurato in Moldavia sostanze dopanti con effetto anabolizzante per farne uso personale nella propria attività fìsica, sono stati ritenuti dalla Corte distrettuale indicatori univoci della natura illecita sotto l'aspetto penale delle sostanze sequestrate.
4.3 E, per concludere, è del tutto corretta l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale, atteso il rito speciale scelto dall'imputato e non subordinato ad alcuna condizione, appariva del tutto superfluo l'esperimento di una perizia volta ad accertare l'esatta natura di tali sostanze, avendo l'imputato accettato le risultanze processuali emerse sino a quel momento (in particolare gli accertamenti dei Carabinieri) nello stato in cui si trovavano, senza opporre eccezioni di sorta.
4.4 Per tutte queste ragioni va ritenuto infondato il relativo motivo nella parte concernente la motivazione data dalla Corte distrettuale in ordine alla natura penalmente illecita delle sostanze sequestrate al F..
5. Il secondo profilo affrontato dalla difesa del ricorrente concerne la ritenuta manifesta illogicità e carenza di motivazione in ordine alla presunta attività di commercio esercitata dal F.: secondo la tesi prospettata nel ricorso (tesi, per incidens, accolta dalla Corte di Appello con riferimento alla condotta contestata all'omonimo coimputato FE.Pi. n. l'(OMISSIS)), la condotta dell'odierno imputato, in assenza di elementi certi in ordine alla attività di intermediazione e cessione a terzi di sostanze dopanti in modo continuativo, andrebbe circoscritta nell'alveo della L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1 che, a differenza della previsione contenuta nel comma 7 del medesimo articolo, punisce la condotta di procacciamento ad altri delle dette sostanze.
5.1 La censura non può trovare accoglimento. Va premesso, in linea generale, che la L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, della prevede che "Chiunque commercia i tarmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all'art. 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle altre strutture che detengono farmaci, direttamente destinati all'utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468".
5.2 Detta ipotesi si distingue - per quanto qui può rilevare - dal comma 1 del medesimo articolo sotto il duplice profilo della condotta (attività di commercio nel comma 7 e procacciamento a terzi nel comma 1) e del trattamento sanzionatorio (più grave quello previsto dal comma 7 rispetto a quello previsto dal comma 1).
5.3 In particolare, per quanto riguarda il primo dei due profili cennati, che più rileva nel caso in esame, la condotta vietata dal comma 7 consiste nello svolgimento di un'attività di commercio avente per oggetto farmaci e sostanze proibite, comprese nelle classi ministeriali, al di fuori dei canali ufficiali, rappresentati da farmacie o altre strutture autorizzate, e quindi illegalmente.
Trattasi di reato comune, e non proprio, attesa l'espressione adoperata dal legislatore ("chiunque").
5.4 Quanto all'elemento psicologico, è richiesto il dolo generico consistente nella volontà da parte dell'agente di realizzare la condotta descritta, unitamente alla consapevolezza di agire in assenza delle prescritte autorizzazioni ed abilitazioni, nonchè della natura proibita delle sostanze e dei farmaci commercializzati.
Tale elemento permette di distinguere la condotta in "esame da quella prevista nel comma 1 caratterizzata, invece, dal dolo specifico (finalità da parte dell'agente di alterare le prestazioni agonistiche ovvero i risultati dei controlli effettuati):
nell'ipotesi disciplinata dal comma 7 la previsione incriminatrice risponde unicamente all'esigenza di evitare che le sostanze vietate possano essere immesse sul mercato al di fuori delle rigorose prescrizioni di cui all'art. 9 della legge in esame.
5.5 La mancata previsione del fine specifico, previsto invece per le altre ipotesi delittuose, consente di estendere l'ambito della fattispecie anche oltre i ristretti limiti delle competizioni agonistiche, per punire il commercio clandestino destinato agli sportivi "non atleti", con particolare riferimento ai frequentatori di palestre (vds. sul punto Sez. 3A Ord. 18.4.2013 n. 32963, Grasso, Rv. 257263).
5.6 Uno degli elementi cardine che caratterizza la condotta di commercio di sostanze dopanti, come delineata dal ricordato art. 9, comma 7, è rappresentato dalla "professionalità", che ricomprende soltanto quelle condotte contrassegnate dalla predisposizione di un minimo di organizzazione e/o dalla continuità della condotta delittuosa.
Tale elemento, non presente, invece, nel comma 1, consente di includere la condotta singola di cessione, consegna o procacciamento della sostanza volta ad un suo consumo immediato da parte del terzo, nell'alveo del predetto comma 1 che prevede, come già osservato, una pena meno grave.
5.7 E' questa la ragione di fondo per la quale come, del resto, osservato dalla maggioritaria dottrina penalistica, la giurisprudenza di questa Suprema Corte si è allineata nel senso di ritenere l'ipotesi criminosa contemplata dal comma 7 come delitto caratterizzato - oltre che dalla professionalità - dal requisito della abitualità che presuppone, quindi, una reiterazione della condotta protratta nel tempo, tale da far apparire i singoli episodi che la compongono come momenti di una più ampia attività. D'altro canto l'uso del verbo "commerciare", in luogo del termine "vendere" riporta allo svolgimento di un'attività di scambio prolungata nel tempo.
5.8 Altro elemento che segna il termine "commercio" è la patrimonialità che connota il reato: per commercio si intende, comunemente, una attività economica basata sullo scambio di beni in cambio di denaro o di altri prodotti. Ne consegue che il termine sopra menzionato è inscindibilmente legato, se non proprio al guadagno, quanto meno al profitto, inteso nella sua accezione più ampia anche non strettamente economica. Ed è, per l'appunto, il profitto a segnare la linea di confine tra le due fattispecie di reato previste, rispettivamente, dalla L. n. 376 del 2000, art. 9, commi 7 e 1: infatti la condotta di "procurare ad altri" sostanze dopanti, prevista e punita dal comma 1, si distingue dal "commercio" proprio in ragione del profitto, che solo chi pratica il commercio persegue e consegue. Trattasi di reato di pericolo che si realizza semplicemente con il porre in essere una attività di commercio illegale di tali sostanze, a nulla rilevando il fatto che le sostanze non siano poi impiegate per alterare le prestazioni agonistiche degli atleti o i controlli antidoping.
6. Come accennato in precedenza, la giurisprudenza di questa Corte si colloca nel solco di tali principi, essendo stato affermato, oltre alla natura di reato di pericolo, una serie di regole interpretative fondamentali.
6.1 In particolare, per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è stata ribadita da questa Corte la non necessità del dolo specifico in quanto il commercio clandestino di sostanze ad effetto dopante viene sanzionato penalmente in relazione al fine specifico perseguito dal soggetto agente e configura un reato di pericolo, diretto a prevenire il rischio derivante dalla messa in circolazione di tali farmaci, al di fuori delle prescrizioni imposte dalla legge, per la tutela sanitaria delle attività sportive (Sez. 2A 15.11.2011 n. 43328, Giorgini e altri, Rv. 251377).
6.2 E' stato, ancora, ribadito il concetto che il reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, è volto a salvaguardare la salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive, anche se non sono mancate affermazioni ancora più estese secondo le quali non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico, il che induce a ricomprendere nell'alveo della condotta penalmente rilevante anche quella di chi pone in pericolo la salute di chi pratica lo sport a qualsiasi livello, anche amatoriale e indipendentemente da una manifestazione avente carattere agonistico (Sez. 3A Ord. 32963/13 cit.).
6.3 Ed infine, particolarmente importante è il principio affermato ripetutamente da questa Corte Suprema, in forza del quale la fattispecie in esame risulta caratterizzata da una articolata e connessa condotta di acquisti e rivendite illeciti di sostanze "dopanti", in cui l'approvvigionamento è finalizzato alla cessione a titolo oneroso. Ma soprattutto è stato ribadito in più decisioni, anche risalenti, che la condotta di commercio clandestino di sostanze anabolizzanti deve possedere i caratteri "di un'attività continuativa, supportata da una elementare struttura organizzativa" (Sez. 6A 20.2.2003 n. 17322, Frisinghelli, Rv. 224957, in cui viene sottolineato, come ricordato da S.U. 3087/05 cit., che la parola "commercio" rimanda a concetti tipicamente civilistici, dovendo, quindi, intendersi nel senso di un'attività di intermediazione nella circolazione dei beni connotata dal carattere della continuità, oltre che da una organizzazione anche di tipo rudimentale; conforme Sez. 3A 23.10.2013 n. 46246, Dasic e altro, Rv. 257857).
6.4 Orbene, ai detti principi si è uniformata la decisione impugnata che ha tratto il convincimento di una attività di commercio esercitata in via continuativa e non circoscritta - come preteso dalla difesa del ricorrente - a singole attività di procacciamento o cessione, dal complessivo esito delle indagini di P.G. e segnatamente, dall'attività di intercettazione, ma anche dalle correlate attività di pedinamento ed osservazione ed ancora da altre sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti emesse nei riguardi di soggetti dei quali era stata inequivocabilmente accertata l'attività di commercio e risultati essere in contatto frequente con il F. per l'approvvigionamento da parte sua di sostanze dopante da lui poi successivamente redistribuite a soggetti terzi.
6.5 La Corte distrettuale non si è però fermata a tali elementi, valorizzando anche altri dati quali l'approvvigionamento all'estero da parte del F. di sostanze dopanti in quantità rilevanti (e il rinvenimento di sostanze contenute in confezioni riportanti all'esterno caratteri cirillici è certamente coerente, come ricordato dalla Corte di merito, con la dichiarazione confessoria del F. di essersi procurato tali sostanze in Moldavia); ancora la sua continua ricerca di attivare diversi canali di approvvigionamento in modo, afferma testualmente il giudice di appello da creare "gli indispensabili presupposti per offrire ad una serie indeterminata di persone, facilmente reperibili tra gli appassionati dello sport praticato dallo stesso appellante le specialità proibite", (vds.
pagg. 12.-13 della sentenza impugnata).
6.6 Così come è stato approfondito l'aspetto relativo all'elemento psicologico del reato in esame, individuato secondo i parametri sopra indicati ed in termini di dolo generico. La motivazione, ampia, articolata e soprattutto, coerente con i principi di diritto, oltre che con i dati probatori acquisiti, si sottrae quindi a qualsivoglia censura di manifesta illogicità e di incompletezza.
7. Rimane da esaminare il terzo profilo affrontato dalla difesa del ricorrente con specifico riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
7.1 Anche su questo fronte la censura è priva di rilevanza. Va, anzitutto, rilevato che in relazione alla natura delle circostanze attenuanti generiche dirette ad una mitigazione del trattamento sanzionatorio in presenza di circostanze positive atte a ritenere l'imputato meritevole del trattamento meno severo, non è più sufficiente il mero stato di ìncensuratezza, tenuto conto delle modifiche apportate all'art. 62 bis c.p., comma 3, dalla L. n. 125 del 2008, art. 1, comma 1, lett. f bis), applicabile nella specie in considerazione del tempus commissi delicti posteriore alla entrata in vigore della Legge di riforma.
7.2 Va, ancora, aggiunto che il giudice del merito, nel valutare il riconoscimento, o meno, delle circostanze ex art. 62 bis c.p. ha l'obbligo di riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p. , senza alcuna necessità di esaminarli tutti, bastando indicare quelli di rilievo negativo, come, in ipotesi, la gravità del fatto (Cass. Sez. 2^ 11.10.2004 n. 2285, Alba ed altri, Rv. 230691; conforme Cass. Sez. 6A 16.6.2010 n. 34364, Giovane ed altri, Rv. 248244).
7.3 La tesi sviluppata dal ricorrente secondo la quale il mancato accertamento peritale della natura e portata lesiva delle sostanze sequestrate entrerebbe in contraddizione con l'affermata gravità della condotta non coglie nel segno in quanto il concetto di offensività preso in considerazione dalla Corte non è riferito tanto alla insidiosità per la salute umana della singola sostanza quanto al complessivo comportamento del F. tale da mettere in pericolo la salute di un numero indeterminato di persone:
interpretazione, questa, in linea con la caratteristica peculiare del reato in esame, inteso quale fattispecie di pericolo astratto.
7.4 Ed infine, avendo dedotto l'imputato che non sarebbe stata tenuta in alcuna considerazione la circostanza che fosse "un militare in carriera che ha accumulato molti attestati di apprezzamento per la partecipazione a missioni di pace" (così, testualmente pag. 5 del ricorso), più che fornire un apporto positivo utile a inquadrare positivamente la personalità dell'imputato, finisce paradossalmente con l'esaltarne la negatività, essendo del tutto irragionevole pensare che un soggetto professionalmente impegnato e qualificato, additato verosimilmente ad esempio per gli altri commilitoni (ma anche per soggetti estranei all'ambiente militare) per la sua condotta, possa poi assumere comportamenti, peraltro non isolati nel tempo, non solo eticamente, ma soprattutto penalmente riprovevoli, come quello che ne ha comportato la condanna.
Ne consegue che, in assenza di elementi positivi da contrapporre alla gravità del fatto esattamente individuata dalla Corte di merito appare corretta la decisione impugnata che ha anche sottolineato la particolare mitezza della pena inflitta, contenuta entro il minimo edittale assoluto.
7.5 Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2014