Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Violenza privata esclusa se condotta configura altro reato (Cass 10132/18)

6 marzo 2018, Cassazione penale

Il delitto di violenza privata non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l’evento del reato, nell’ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all’integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all’aggressione fisica subita.

Integra il reato di percosse la condotta di colui che strattona o spintona considerato che il termine percuotere non è assunto nell’art. 581 cod. pen. nel solo significato di battere, colpire, picchiare, ma anche in quello più lato, comprensivo di ogni violenta manomissione dell’altrui persona fisica.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 5 febbraio – 6 marzo 2018, n. 10132
Presidente Bruno – Relatore Scotti

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 9/2/2017, ha confermato nei confronti degli imputati appellanti I.C.M. e G.M. la sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 12/2/2014, che li aveva ritenuti responsabile del reato di violenza privata di cui all’art. 610 cod.pen. in danno di A.E.Y. per averlo affiancato in auto mentre percorreva in bicicletta la via (…), averlo colpito con una spinta, costringendolo a interrompere il regolare percorso stradale e facendolo cadere a terra, e, concesse loro le attenuanti generiche, li aveva condannati alla pena di mesi 6 di reclusione.

2. Il processo era stato celebrato anche nei confronti di A.E.Y. , imputato del delitto di danneggiamento ex art. 635, comma 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7 cod.pen. per aver danneggiato con il lancio di una pietra il piantone destro della vettura Volkswagen Polo condotta da C.C. e di proprietà di I.C.M..
Con i due ricorrenti anche C.C. era imputato del delitto di violenza privata.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto responsabile anche A.E.Y. e C.C. dei reati rispettivamente loro ascritti.
La Corte nissena, riformando la sentenza di primo grado, ha assolto A.E.Y. dal reato ascrittogli perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato e ha confermato la sentenza nei confronti dei tre imputati di violenza privata.

2. Ha proposto separati ricorsi di identico contenuto l’avv. MFA, difensore di fiducia degli imputati I.C.M. e G.D. , svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia inosservanza delle norme processuali con riferimento all’art. 192, commi 3 e 4, cod.proc.pen., e vizio motivazionale con riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dall’imputato di reato connesso A.E.Y. .
Non era infatti dato comprendere sulla base di quali valutazioni logiche e di quali riscontri esterni le dichiarazioni di A.E.Y. , imputato di reato connesso reciproco, poi depenalizzato, e pertanto soggette alla regola di valutazione di cui al comma 3 dell’art.192 cod.proc.pen. fossero state ritenute tanto attendibili da giustificare la pronuncia di condanna, quale unico fondamento; la Corte nissena si era basata solo sull’intrinseca verosimiglianza del narrato della persona offesa, violando così la regola processuale richiamata.
In ogni caso le dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa imputata di reato connesso erano anche contraddittorie perché le lesioni fisiche da essa lamentate non avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni del teste oculare, il Vice Questore L. , e in qualsiasi certificazione sanitaria.
Era del tutto inverosimile che A.E.Y. volesse difendersi da un’automobile scagliando una pietra; le dichiarazioni del Vice Questore L. erano compatibili con entrambe le contrapposte versioni dei fatti.

2.2. Con il secondo motivo proposto ex art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen. il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.610 cod.pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Ammesso e non concesso che la materialità dei fatti ricostruiti in sentenza corrispondesse al vero, tali condotte non integravano il delitto di violenza privata, che richiede nell’agente la coscienza e volontà di costringere taluno a fare, tollerare, o omettere qualcosa, mediante violenza o minaccia, mentre il comportamento accertato implicava un generico gesto di violenza ma mancava del requisito della specificità diretta ad imporre alcunché alla persona offesa; l’interruzione della marcia del conducente della bicicletta non era una coartazione della libertà psichica ma al più naturale conseguenza fisica dello spintone.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia inosservanza delle norme processuali con riferimento all’art.192, commi 3 e 4, cod.proc.pen., e vizio motivazionale con riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dall’imputato di reato connesso A.E.Y..

1.1. Indubbiamente le dichiarazioni della persona offesa, imputato di reato connesso, dovevano essere valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermassero l’attendibilità.
Tuttavia, ben diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale non si è sottratta al rispetto della regola processuale invocata, spiegando diffusamente ed analiticamente le ragioni che inducevano a privilegiare la versione di A.E. rispetto quella dell’I. e del G. .

1.2. Tali ragioni sono state individuate nella maggior attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di A.E. (che da un lato, non avrebbe avuto alcuna ragione di aggredire per primo con il lancio della pietra l’autovettura di passaggio, e, dall’altro non avrebbe avuto alcuna ragione di rimanere a lato della strada a fronteggiare il ritorno dell’autovettura danneggiata dalla sua aggressione, potendo comodamente allontanarsi per percorsi non disponibili all’automezzo); nelle contraddizioni, incoerenze e palesi inverosimiglianze della versione offerta dai due imputati I. e G. ; nella miglior coerenza della versione di A.E. con il quadro della situazione cristallizzato nelle dichiarazioni rese dal Vice Questore L. al momento della sua provvidenziale comparsa sul teatro del prossimo scontro fra i quattro giovani che ha fortunatamente consentito di sedare la lite e prevenire un più cruento esito.

1.3. Esclusa quindi la lamentata violazione della regola di cui all’art.192, comma 3, cod.proc.pen., le recriminazioni della ricorrente circa la ricostruzione del fatto storico accolta nella sentenza impugnata mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del merito, senza passare, come impone l’art.606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorietà, illogicità manifesta) o denunciarne in modo puntuale e specifico la contraddittorietà estrinseca con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
I limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione, si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, giacché altrimenti anziché verificare la correttezza del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi, all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile e altri, Rv. 245103) in forza del quale, alla luce dei precisi confini che circoscrivono, a norma dell’articolo 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.610 cod.pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Ammesso e non concesso che la materialità dei fatti ricostruiti in sentenza corrispondesse al vero, tali condotte non integravano il delitto di violenza privata che richiede nell’agente la coscienza e volontà di costringere taluno a fare, tollerare, o omettere qualcosa, mediante violenza o minaccia, mentre il comportamento accertato implicava un generico gesto di violenza ma mancava del requisito della specificità diretta ad imporre alcunché alla persona offesa; l’interruzione della marcia del conducente della bicicletta non era una coartazione della libertà psichica ma al più naturale conseguenza fisica dello spintone.

2.1. Il motivo è fondato.
L’elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata; in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata; ne deriva che il delitto di cui all’art. 610 cod. pen. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta. (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè e altri, Rv. 268405; Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014 - dep. 2015, Calignano e altro, Rv. 261743; Sez. 5, n. 2480 del 18/04/2000, P.M. in proc. Ciardo, Rv. 216545).

L’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 610 cod. pen., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza, sicché la coincidenza tra violenza e l’evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all’art. 610 cod. pen. (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione).
Di qui, il principio di diritto secondo cui il delitto di cui all’art. 610 cod. pen. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l’evento del reato, nell’ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all’integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all’aggressione fisica subita.

2.3. La condotta accertata a carico degli imputati I. e G. è consistita in una spinta impressa alla persona offesa A.E.Y. mentre stava transitando in bicicletta sul margine destro della strada dal lato destro dell’autovettura condotta dal C. , facendolo cadere a terra.
Tale il capo di imputazione, tale la decisione che ha preso per valida la versione della persona offesa che aveva sostenuto che il primo atto subito era stata appunto una spinta che lo aveva fatto cadere con la bici, prima che la vettura facesse inversione e tornasse minacciosa verso di lui.
Ed allora è evidente che l’atto di violenza ha conseguito immediatamente il suo effetto lesivo, senza che vi sia stata alcuna fase intermedia e distinta di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa,introdotta solo attraverso una evidente forzatura dialettica, volta a scindere l’atto di violenza (spinta) dal suo effetto (caduta), per cogliere nel secondo l’atto coartato della vittima.

2.4. La condotta così accertata, in difetto di lesioni accertate subite da A.E.Y. , potrebbe concretare il meno grave reato di percosse ex art.581 cod.pen., mentre gli ulteriori sviluppi della contesa non si sono concretati a causa del provvidenziale intervento dell’Ufficiale di Polizia transitante casualmente sul posto.

Secondo la giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte integra il reato di percosse la condotta di colui che strattona o spintona considerato che il termine percuotere non è assunto nell’art. 581 cod. pen. nel solo significato di battere, colpire, picchiare, ma anche in quello più lato, comprensivo di ogni violenta manomissione dell’altrui persona fisica. (Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014, Battistessa, Rv. 261451; Sez. 5, n. 11638 del 12/01/2012, Andrisani ed altro, Rv. 252953; Sez. 5, n. 15004 del 06/02/2004, Morrone, Rv. 228497).

In tal caso, però, il reato sarebbe perseguibile solo a querela della persona offesa, che nella fattispecie, a quanto risulta non sarebbe stata proposta, poiché in atti si parla solo di una "denuncia" sporta da A.E.Y. .

2.5. La condotta accertata, pur in difetto di lesioni accertate subite da A.E.Y. , potrebbe concretare alternativamente anche gli estremi del reato tentato di lesioni personali ex art.56 e 582 cod.pen..
Ciò, tenuto conto della particolare pericolosità dell’atto di violenza consistente in una spinta impressa da un autoveicolo in moto al conducente di una bicicletta pure in moto e quindi dell’astratta idoneità, giudicata ex ante, degli atti posti in essere inequivocamente diretti a provocare nella vittima una lesione personale comportante una malattia superiore ai venti giorni.
In tal caso, il reato sarebbe perseguibile d’ufficio e non assumerebbe rilievo la mancanza di valida querela.

2.6. Poiché la risoluzione dell’alternativa sopra delineata implica accertamenti di fatto e conseguenti valutazioni di merito, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame di merito da parte della Corte territoriale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta per nuovo esame.