Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Sesso senza chiara manifestazione del consenso è reato (Cass. 30651/24)

26 luglio 2024, Cassazione penale

Integra il reato di violenza sessuale, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, la condotta di chi invade la sfera della libertà e dell'integrità sessuale di un'altra persona senza che sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo di tale comportamento, con la conseguenza che è irrilevante un eventuale errore sull'espressione del dissenso anche qualora questo non sia stato esplicitato.

In materia di prova testimoniale, il giudice, pur dovendo valutare criticamente il contenuto delle dichiarazioni e verificarne l'attendibilità, non può fondare il proprio convincimento sull'ipotesi che il testimone riferisca consapevolmente il falso o si inganni sull'oggetto essenziale della sua deposizione, salvo che vi siano elementi positivi che rendano obiettivamente plausibile una di tali ipotesi.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

data ud. 31/05/2024) 26/07/2024, n. 30651

Composta da

Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. CORBO Antonio - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

A.A., nato a L il (Omissis)

avverso la sentenza del 28/06/2023 della Corte d'appello di Trento

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale Paola Filippi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni presentate nell'interesse della parte civile dall'Avv. Nicola Canestrini, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso o comunque per la conferma della sentenza impugnata, nonché per la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa;

lette le conclusioni presentate nell'interesse del ricorrente dall'Avv. AL, che insiste per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 28 giugno 2023, la Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Rovereto che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di A.A. per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 - bis cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di quattro anni di reclusione, ritenuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante di cui all'art. 61, n. 11, cod. pen. e alla contestata recidiva infraquinquennale, e applicata la diminuente per il rito.

Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, per quanto d'interesse in questa sede, A.A. avrebbe, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, costretto la minore B.B. a subire atti sessuali contro la sua volontà, consistiti in toccamenti e coiti orali, con l'aggravante dell'aver commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche, di coabitazione e di ospitalità, dal 5 al 18 aprile 2019.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe A.A., con atto sottoscritto dall'avv. AL, articolando quattro motivi.

2.1. Con i primi due motivi, sviluppati congiuntamente, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 192 cod. proc. pen. e 609 - bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, avuto riguardo al giudizio sulla attendibilità della persona offesa ed alla ritenuta configurabilità del reato di violenza sessuale.

Si deduce che la Corte d'appello, nel fondare il proprio giudizio affermativo dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, ha omesso di valutare alcuni fondamentali elementi della vicenda.

Si rappresenta, innanzitutto, che le conversazioni whatsapp ed Instagram avute dalla persona offesa in epoca successiva all'asserita violenza, in particolare con le amiche C.C. e D.D., per il linguaggio utilizzato, e per le condotte descritte, non evidenziano alcun dissenso, ed anzi sono caratterizzate da assoluta leggerezza; in tali conversazioni, inoltre, la ragazza rende versioni non del tutto coincidenti. Si osserva, poi, che la Corte ha omesso di valutare sia l'assenza di indicazioni utili a conferma dell'episodio contestato nelle relazioni delle psicologhe incaricate di seguire l'adolescente, sia la scarsa attendibilità delle dichiarazioni dei familiari della persona offesa perché in contraddizione tra loro.

Si rileva, a questo punto, che la sentenza impugnata, nel valutare le dichiarazioni rese dalla vittima nell'incidente probatorio, non ha tenuto conto né dell'assenza di precisione in ordine al contenuto centrale del racconto, né di circostanze in grado di minarne la credibilità. Si evidenzia, ad esempio, che la persona offesa: a) ha palesato un sentimento di avversione nei confronti del compagno della madre, nonché il desiderio di raccontare tutto dopo un litigio con l'uomo, anche fratello dell'imputato; b) ha ricevuto dall'amica D.D. il consiglio di prepararsi un appunto scritto; c) ha confidato ad un'altra amica di essere stata violentata da piccola, sebbene poi questa circostanza non sia stata messa a conoscenza delle psicologhe; d) ha proseguito a frequentare l'imputato anche dopo gli episodi denunciati, con comportamenti conviviali e di cameratismo; e) ha manifestato il timore di non essere creduta dalla madre, per i sentimenti di avversione nei confronti del compagno della donna; f) si è mostrata gelosa per la frequentazione dell'imputato con una ragazza extra - comunitaria. Si aggiunge, ancora, che la Corte d'appello ha immotivatamente svalutato la professione di innocenza dell'imputato in un messaggio audio inviato alla persona offesa. Si segnala, inoltre, che la denunciate ha ammesso di non aver mai esternato un esplicito dissenso all'imputato quando questi ha compiuto gli atti sessuali su di lei.

2.2. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, avuto riguardo al diniego della circostanza attenuante della minore gravità del fatto.

Si deduce che l'attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609 - bis va applicata nei casi, come quello di specie, dove vi sia stata una ridotta compressione della libertà sessuale della vittima, come dimostrato dal tenore delle chat di whatsapp della ragazza.

2.3. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 99 e 133 cod. pen., avuto riguardo all'applicazione della recidiva infraquinquennale e dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 11, cod. pen.

Si deduce che i giudici d'appello avrebbero dovuto escludere la recidiva contestata in quanto l'imputato, alla data della sentenza di primo grado, era da considerarsi incensurato, come riportato anche nel casellario giudiziario. Si aggiunge, inoltre, che i giudici hanno omesso di motivare in concreto in ordine all'applicazione della recidiva reiterata, in quanto non hanno specificato alcunché in ordine al precedente reato, né hanno precisato perché la reiterazione dell'illecito sia effettivamente sintomatica di una maggiore capacità delinquenziale.

Si deduce, inoltre, l'illegittima applicazione dell'aggravante di aver commesso la violenza con abuso di relazioni domestiche, di coabitazione e di ospitalità. Si segnala, in particolare, che la condotta dell'imputato non è stata diretta nei confronti dell'ospitante, ossia suo fratello.

3. La parte civile ha presentato memoria, sottoscritta dall'Avv. Nicola Canestrini, nella quale si assume in modo articolato la manifesta infondatezza delle censure esposte nel ricorso.

4. Il ricorrente ha anch'egli presentato memoria a firma dell'Avv. AL, riproponendo e sviluppando le censure esposte nel ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.

2. Manifestamente infondate, e in parte anche diverse da quelle consentite, sono le censure esposte nei primi due motivi, che contestano il giudizio sull'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa nonché la configurabilità del reato di violenza sessuale, deducendo, in particolare, l'erronea valutazione del significato delle conversazioni intervenute su WhatsApp tra la denunciante e le sue amiche, la contraddittorietà del narrato della stessa, e l'omessa considerazione di elementi quali le dinamiche familiari della minore, il mantenimento di rapporti amichevoli e di cameratismo con il presunto aggressore pur dopo le asserite violenze, nonché l'omessa manifestazione di un esplicito dissenso agli atti sessuali.

2.1. Ai fini dell'esame delle censure indicate, è utile dare indicazione dei criteri metodologici cui il Collegio deve attenersi, in considerazione della consolidata e condivisa elaborazione della giurisprudenza in materia.

Innanzitutto, va evidenziato che, in tema di analisi della prova testimoniale, la valutazione dell'attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (cfr., ex multis, Sez. 4, 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 - 01, e Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 - 01, ma anche Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623 - 01).

Inoltre, come precisato da altra decisione, in materia di prova testimoniale, il giudice, pur dovendo valutare criticamente il contenuto delle dichiarazioni e verificarne l'attendibilità, non può fondare il proprio convincimento sull'ipotesi che il testimone riferisca consapevolmente il falso o si inganni sull'oggetto essenziale della sua deposizione, salvo che vi siano elementi positivi che rendano obiettivamente plausibile una di tali ipotesi (Sez. 6, n. 39312 del 01/07/2022, Mango, Rv. 283941 - 02).

Ancora, va rilevato che, integra il reato di violenza sessuale, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, la condotta di chi invade la sfera della libertà e dell'integrità sessuale di un'altra persona senza che sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo di tale comportamento, con la conseguenza che è irrilevante un eventuale errore sull'espressione del dissenso anche qualora questo non sia stato esplicitato (cfr. Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, dep. 2017, S., Rv. 270500 - 01; Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, S., Rv. 268186 - 01).

2.2. La sentenza impugnata ha ricostruito i fatti ascritti al ricorrente, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili all'esito di un dettagliato esame delle censure formulate negli atti di appello, ed in linea con le articolate osservazioni esposte nella sentenza di primo grado.

2.2.1. La sentenza impugnata, innanzitutto, riporta in modo analitico il contenuto delle dichiarazioni, estremamente dettagliate, della persona offesa, in ordine ai fatti e alle vicende immediatamente successive fino alla presentazione della denuncia alle autorità di polizia.

In sintesi, secondo quanto esposto dalla Corte d'appello, la persona offesa, all'epoca dei fatti sedicenne, si è trovata a convivere con l'imputato perché, nei primi giorni del mese di aprile del 2019, la madre e il di lei compagno, fratello dell'attuale ricorrente, avevano deciso di ospitare quest'ultimo presso la loro abitazione, dove viveva anche la ragazza.

Sempre secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, la dichiarante ha raccontato di essere stata costretta dall'imputato, nel periodo di coabitazione, a subire ripetuti rapporti orali e toccamenti nelle parti intime, senza il suo consenso. In particolare, durante l'incidente probatorio, la persona offesa ha dichiarato che: a) all'epoca di fatti, ella era in cura per problemi di depressione, ed assumeva farmaci antidepressivi, come lo Xanax e la Fluoxetina, ed aveva informato di ciò l'imputato, avendo con lo stesso, fino ad allora, un rapporto di tipo fraterno; b) la sera del 3 aprile 2019, dopo un'uscita, l'imputato era rimasto a dormire nel suo letto, ma non aveva assunto comportamenti "sospetti"; c) la sera successiva, il 4 aprile, l'imputato aveva mutato atteggiamento e, dopo averle espresso "apprezzamenti sessuali" nel corso di una passeggiata, baciandola inoltre con la lingua, ritornati a casa, l'aveva toccata nelle parti intime e l'aveva costretta a praticargli un rapporto orale, nonostante la ragazza avesse detto espressamente di no; d) il (Omissis), l'imputato, approfittando di essere da solo con la ragazza ed il di lei fratello di pochi anni, l'aveva chiamata in cucina e, facendosi trovare con i genitali esposti fuori dei pantaloni, le aveva abbassato la testa e l'aveva costretta ad un altro rapporto orale; e) la sera dello stesso giorno, l'imputato le aveva chiesto di praticare di nuovo del sesso orale, ma ella si era opposta, dicendo di non sentirsi bene; f) l'(Omissis), l'imputato l'aveva sorpresa fuori al balcone, le aveva intimato di abbassarsi e l'aveva costretta nuovamente ad un rapporto orale, al quale ella aveva cercato continuamente di sottrarsi, ma senza successo ("magari mi toglievo in attimo cioè, e lui mi rimetteva la testa lì, cioè io gli ho fatto capire che non lo facevo assolutamente con piacere, anzi ."); g) nei giorni successivi, ella aveva cercato di evitare di ritrovarsi sola con l'imputato, o aveva finto di dormire quando era da sola in casa con l'uomo; h) qualche giorno dopo l'ultimo episodio, l'imputato le aveva chiesto un ulteriore rapporto orale e, nonostante l'iniziale rifiuto, aveva estratto il pene dai pantaloni e le aveva detto "vieni qua", ottenendo di soddisfare il suo desiderio; i) ella, dopo tutti questi episodi, al fine di sottrarsi alle continue richieste da parte dell'imputato, era andata per un periodo a casa della nonna; I) al suo rientro, aveva scoperto che l'imputato si frequentava con una ragazza, ed aveva maturato il sentimento di essere stata usata come "oggetto sessuale"; m) il 6 maggio 2019, infine, l'imputato le aveva chiesto un rapporto sessuale completo, ed ella si era rifiutata, adducendo di avere le mestruazioni.

Il Giudice del gravame, poi, rappresenta che, nell'immediatezza di tali episodi, la persona offesa ha riferito, ripetute volte e puntualmente, quanto accaduto a due amiche, contattandole via whatsapp e, attorno al 16 giugno 2019, dopo un litigio in famiglia, su consiglio di un'amica del fratello maggiore, ha deciso di scrivere una lettera alla madre, raccontandole l'accaduto.

2.2.2. La sentenza impugnata indica inoltre in modo puntuale le ragioni per le quali ritiene attendibili le dichiarazioni della persona offesa.

In particolare, la Corte d'appello rappresenta che il racconto è credibile, immune da vizi logici e intrinsecamente coerente, ed è avvalorato dai puntuali riferimenti alle date e ai luoghi delle condotte riferite, dalla ricchezza di dettagli, dalla vivida descrizione delle sensazioni provate, dall'assenza di omissioni e dalla mancanza di livore nei confronti dell'imputato. Osserva, poi, che il contenuto dei messaggi scambiati con le amiche dimostra la frustrazione e il bisogno di sostegno, e non rivela, in alcun passaggio, la consensualità a tali rapporti. Evidenzia, inoltre, come un indice di genuinità e spontaneità del racconto sia desumibile dal fatto che la ragazza non ha mai omesso di indicare di avere un pessimo rapporto con il compagno della madre, fratello dell'imputato, o di non essere rimasta "indifferente" alla scoperta del rapporto amichevole tra l'attuale ricorrente e un'altra ragazza. Rileva, ancora, che la mancata emersione di uno stato di sofferenza psicologica legato alle violenze subite, durante le sedute con le psicologhe il (Omissis) e il (Omissis), si spiega con la volontà di non creare turbamenti nella propria famiglia, e che il riscontro, in queste sedute, di "ideazioni ossessive di procurare danno ad altri" non apre la strada ad un'altra lettura dei fatti, in quanto la ragazza, se avesse avuto realmente tale scopo in danno dell'imputato, avrebbe denunciato immediatamente l'accaduto.

La Corte d'appello, quindi, rimarca che l'attendibilità del racconto non è incrinata nemmeno: a) dalla decisione della ragazza di rivelare l'accaduto a seguito di un litigio con il compagno della madre, fratello dell'imputato, in quanto, anzi, tale avvenimento può essere letto come un episodio che ha semplicemente incoraggiato ed agevolato la ragazza ad aprirsi; b) dalla prosecuzione di rapporti "normali" con l'imputato in epoca successiva alla violenza, in quanto spiegabile come conseguenza della volontà della ragazza di non compromettere la situazione familiare. Aggiunge, infine, che le incongruenze rilevate nel racconto del padre della persona offesa circa il soggetto da cui avrebbe appreso della violenza subita dalla figlia sono di poco conto e, in ogni caso, nell'economia della ricostruzione dei fatti, non hanno alcun valore dirimente.

2.2.3 Per quanto attiene la configurabilità del reato contestato, la sentenza impugnata indica una pluralità di elementi da cui desumere la mancanza di consenso, iniziale e sopravvenuto, a tali atti da parte della minore, e la consapevolezza di tale situazione da parte dell'imputato.

Segnala, in particolare, che, con riferimento al primo episodio, costituito da un rapporto orale, la vittima ha dichiarato: "io gli ho detto "no no" .. gli dicevo "no no, te lo faccio dopo" .. praticamente se l'è fatto da solo .. così quindi era più che palese che io non volessi". Osserva, poi, che la minore si era confrontata via chat con un'amica ed aveva espresso la sua difficoltà a dire all'imputato "che la deve smettere". Precisa, quindi, che, relativamente agli ulteriori episodi, il dissenso della ragazza era chiaro all'imputato sia per le parole e l'atteggiamento della stessa in occasione del primo rapporto, sia per le condotte, quanto meno non collaborative, tenute dalla minore in quelle altre evenienze. Aggiunge, inoltre, che, anche in una conversazione via chat con un'amica, la persona offesa ha riferito espressioni dell'imputato denotanti la consapevolezza della sua titubanza ("dai, tra poco vengo").

2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata in ordine al giudizio di attendibilità del racconto della minore rispetto alla violenza denunciata, e la conseguente configurabilità del reato contestato, sono immuni da vizi.

La Corte d'appello, infatti, ha spiegato perché ritiene che le stesse siano intrinsecamente attendibili e pienamente coerenti con le altre risultanze istruttorie, sulla base di elementi precisi e congrui rispetto alle conclusioni raggiunte, rispondendo inoltre in modo analitico, e con argomentazioni corrette, a tutte le deduzioni formulate dalla difesa dell'imputato. I Giudici di secondo grado, inoltre, hanno spiegato in modo puntuale, e sulla base di accettabili massime di esperienza, perché vi sono state mancanza di consenso della vittima rispetto agli atti sessuali subiti, e consapevolezza di ciò da parte dell'imputato mentre agiva.

3. Diverse da quelle consentite, e comunque manifestamente infondate, sono le censure formulate nel terzo motivo, le quali criticano il diniego della attenuante della minore gravità del fatto, deducendo che i fatti non sono caratterizzati da particolare violenza o da apprezzabili conseguenze negative per la persona offesa.

Invero, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, in modo da accertare che la libertà sessuale non sia stata compressa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima un danno grave, anche in termini psichici (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L., Rv. 277615 - 01, e Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516 - 01).

E, nella specie, la sentenza impugnata ha posto a base delle sue conclusioni affermative dell'apprezzabile entità della compressione della libertà sessuale della vittima molteplici elementi legittimamente valutabili a tal fine, quali la pluralità delle condotte delittuose dell'imputato, l'invasività degli atti compiuti, le modalità esecutive delle azioni illecite, il danno arrecato alla persona offesa anche sotto il profilo psichico.

4. Manifestamente infondate, infine, sono le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano l'applicazione della recidiva e dell'aggravante dell'abuso di relazioni domestiche, coabitazione o ospitalità, peraltro con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze attenuanti generiche, deducendo che l'imputato, alla data della sentenza di primo grado, era da considerarsi incensurato, che manca specifica motivazione sul punto, e che la condotta del medesimo è stata diretta nei confronti di persona diversa da chi lo ospitava.

Per quanto concerne la recidiva, è possibile rilevare che l'imputato, al momento del fatto, era già gravato da un precedente per il reato di minaccia, e che legittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto i fatti in contestazione espressivi di maggiore colpevolezza e capacità a delinquere, essendo gli stessi indicativi di indifferenza rispetto ad un già intervenuta condanna irrevocabile.

Con riferimento all'aggravante dell'abuso di relazioni domestiche e di coabitazione, la Corte d'appello rappresenta che i fatti si sono svolti in un periodo di non breve durata in cui l'imputato e la vittima hanno condiviso lo stesso spazio abitativo, nel contesto di un unico gruppo familiare, in virtù del rapporto di convivenza tra la madre della persona offesa e il fratello dell'imputato.

E questi elementi sono pienamente idonei ad integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11, cod. pen.

Invero, secondo l'elaborazione della giurisprudenza, la circostanza aggravante in questione: a) è finalizzata a punire più gravemente i delitti commessi nell'ambito di un rapporto di coabitazione o nel contesto di una relazione derivante anche solo dall'abituale frequentazione dell'abitazione della vittima (Sez. 1, n. 41586 del 06/07/2017, Bertini, Rv. 271225 - 01); b) evoca una nozione di "coabitazione" che non si esaurisce in quella di convivenza, ma comprende anche la permanenza non momentanea in un medesimo luogo, idoneo allo svolgimento della vita privata, indipendentemente dalla volontaria o necessitata instaurazione delle specifiche relazioni (cfr. Sez. 3, n. 6433 del 14/12/2007, dep. 2008, P., Rv. 239062 - 01, nonché Sez. 1, n. 9288 del 09/04/1985, Faro, Rv. 170734 - 01).

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Il ricorrente, inoltre, deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Trento con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo li pagamento in favore dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Trento con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo li pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003.

Conclusione

Così deciso il 31 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2024.