La sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva istaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.
Si ravvisa un diniego di giustizia quando un individuo condannato "in absentia" non può ottenere successivamente che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averlo sentito nel rispetto delle esigenze di cui all’art. 6 della Convenzione EDU, sul merito dell’accusa, in fatto e in diritto, ove non sia stabilito in maniera non equivoca che egli ha rinunciato al suo diritto di comparire e di difendersi.
Corte di Cassazione
sez. II Penale
sentenza 6 – 15 luglio 2020, n. 20937
Presidente Rago – Relatore Pardo
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza in data 30 gennaio 2019, la corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del tribunale di Monza del 24 maggio 2017, riduceva la pena inflitta a C.S. in ordine ai reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p., in anno 1, mesi 2 di reclusione ed Euro 250,00 di multa.
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to DD, deducendo con distinti motivi:
- violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), inosservanza od erronea applicazione della legge penale a seguito di omessa dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello stante la mancata sospensione del processo ex art. 420 quater c.p.p., poiché l’avvenuta elezione di domicilio presso il difensore di ufficio non era circostanza idonea a dimostrare l’avvenuta conoscenza del procedimento e del processo, dovendosi fare applicazione dei principi stabiliti dalla pronuncia della Corte Costituzionale 317/2009 così come interpretati anche dalla giurisprudenza di legittimità;
- violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) quanto alla affermazione di responsabilità mancando la prova della disponibilità dei beni sequestrati in capo all’imputato che viaggiava a bordo di auto di terzi.
Considerato in diritto
2.1 Il primo motivo di ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Invero, secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite di questa corte, la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva istaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (Sez. Un. 28 novembre 2019, Mhamed Darwash, non ancora depositata).
Detto orientamento appare conforme a quanto già stabilito da questa sezione in altra precedente pronuncia e secondo cui in tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dalla elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 9441 del 24/01/2017, Rv. 269221).
In motivazione, detta pronuncia, richiamava anche altri precedenti di legittimità affermando: "è stato precisato che la effettiva conoscenza del procedimento non può farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere a iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l’iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all’art. 335. Fattispecie nelle quali l’imputato, in occasione della redazione, in sua presenza, da parte della polizia giudiziaria dei verbali di identificazione e di sequestro del corpo del reato, nominava ed eleggeva domicilio presso un difensore, ove, da quel momento, venivano notificati tutti gli atti processuali, dei quali, però, non aveva conoscenza, avendo da subito interrotto ogni rapporto con il legale. In dette pronunce veniva rilevato che l’imputato in dette situazioni non aveva ricevuto notifica di alcun atto del procedimento ma solo di un atto ad esso prodromico, considerato non sufficiente poiché, la effettiva conoscenza del procedimento non poteva farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere ad iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l’iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro degli indagati. (Cass. n. 44123/2007; n. 39818/2010; n. 4987/2011; n. 12630/2015)".
Ed ancora si aggiungeva che: "ritiene il collegio che tale interpretazione, pur formatosi in costanza di normativa ante Novella, non può non trovare applicazione anche con riferimento alle nuove disposizioni, emanate proprio per fronteggiare le criticità segnalate nei confronti del c.d. "processo contumaciale" al fine di evitare con l’introduzione di strumenti preventivi processi a carico di contumaci inconsapevoli".
Il fondamento di tali affermazioni va rinvenuto in due significative pronunce della Corte di Strasburgo che hanno censurato il previgente regime della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale previsto dal precedente art. 175 c.p.p..
Il riferimento è, in particolare, alla decisione dell’11 settembre del 2003, relativa al procedimento Sejdovic c. Italia, ed alla successiva sentenza, nello stesso procedimento, datata 10 novembre 2004, della Grande Camera, con le quali si censurava apertamente la legislazione italiana per l’eccessiva difficoltà di provare il difetto di conoscenza e per l’estrema brevità (dieci giorni) del tempo utile per la presentazione dell’istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale.
Secondo la Corte EDU, si ravvisa un diniego di giustizia quando un individuo condannato "in absentia" non può ottenere successivamente che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averlo sentito nel rispetto delle esigenze di cui all’art. 6 della Convenzione, sul merito dell’accusa, in fatto e in diritto, ove non sia stabilito in maniera non equivoca che egli ha rinunciato al suo diritto di comparire e di difendersi.
In particolare, nella sentenza Sejdovic, la Corte Europea evidenziava che lo strumento della restituzione nel termine previsto dalla normativa italiana non fosse in grado di garantire adeguatamente il contumace e concludeva, nel dispositivo, affermando che la riscontrata violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo era conseguenza di un problema strutturale, legato al cattivo funzionamento della legislazione e delle pratiche interne. Tale problema, nella specie, era provocato dall’assenza di un meccanismo effettivo volto a mettere in opera il diritto delle persone condannate in contumacia - che non siano informate in maniera effettiva delle pendenze a loro carico e che non abbiano rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto di comparire - ad ottenere che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averle sentite nel rispetto dell’art. 6 della CEDU, sul merito delle accuse. Inoltre, nel dispositivo, si prevedeva la necessità per lo Stato italiano di garantire, attraverso misure appropriate, la messa in opera del diritto in questione per il ricorrente e per le persone che si trovano in situazioni simile a quella dello stesso.
Per risolvere e superare le anomalie dei processo contumaciale italiano, quindi, la Corte Europea, con quella citata ed altre pronunce (Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004; T. c. Italia, 12 ottobre 1992; F.C.B. c. Italia, 28 agosto 1991), dettava un gruppo di regole di garanzie processuali minime secondo cui:
a) l’imputato ha il diritto di essere presente al processo svolto a suo carico;
b) lo stesso può rinunciare volontariamente all’esercizio di tale diritto;
c) l’imputato deve essere consapevole dell’esistenza di un processo nei suoi confronti;
d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli, o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso.
Proprio a seguito del dibattito sorto dopo la sentenza Sejidovic in ordine ai caratteri del processo contumaciale intervenne la Corte Costituzionale, che, con la sentenza del 9 dicembre 2009, n. 317, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 175 c.p.p., comma 2, nella parte in cui non consentiva la restituzione nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale all’imputato, che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. La Corte costituzionale, basandosi sui principi elaborati dalla Corte EDU, e cercando di rimodellare il sistema sui principi affermati dalla corte Europea, affermò che: "a) l’imputato ha il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico; b) lo stesso può rinunciare volontariamente all’esercizio di tale diritto; c) l’imputato deve essere consapevole dell’esistenza di un processo nei suoi confronti; d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso".
Allo scopo di adeguare l’ordinamento italiano alla normativa internazionale e di evitare ulteriori condanne dell’Italia da parte della Corte EDU, con la L. 28 aprile 2014, n. 67 sono state soppresse le disposizioni del codice che consentivano il processo contumaciale.
Le nuove disposizioni non consentono che si proceda in assenza nei confronti dell’imputato per il quale manca la prova della conoscenza della data della udienza o dell’esistenza del procedimento e prevedono strumenti restitutori volti a garantire, nel caso di illegittima celebrazione del processo in assenza, la regressione e, quindi, la celebrazione di un nuovo processo in cui esercitare il diritto di difesa. In particolare, l’art. 420-quater c.p.p., comma 1, prevede che laddove non vi sia una espressa rinuncia dell’imputato a partecipare al processo (art. 420-bis c.p.p., comma 1) e manchi la prova certa che l’imputato ha conoscenza del procedimento o si è sottratto volontariamente a tale conoscenza (art. 420-bis c.p.p., comma 2), il giudice rinvia il processo e dispone che l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare o il decreto di citazione a giudizio siano notificati personalmente all’imputato, onde ottenere la prova certa della conoscenza del procedimento da parte dell’accusato. Ove tale notificazione non riesca, il processo, ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p., comma 2, deve essere sospeso non potendo procedersi in assenza dell’imputato. Il diritto ad essere presente nel processo può costituire oggetto di rinuncia da parte dell’imputato, ma a tal fine è necessario che l’imputato abbia notizia personalmente dell’esistenza del processo a suo carico e del suo diritto a parteciparvi. Solo laddove tale condizione venga rispettata, la rinuncia dell’accusato a presenziare al processo potrà dirsi consapevole e volontaria e quindi efficace.
Solo allora la mancata comparizione dell’imputato potrà essere intesa quale rinuncia a comparire.
Ed occorre ancora sottolineare come l’esigenza della conoscenza effettiva ha portato la L. n. 67 del 2014 ha prevedere quale rimedio rescissorio un nuovo istituto disciplinato all’art. 625 ter c.p.p., destinato proprio ad elidere il giudicato, attribuito al condannato non consapevole. Tuttavia le difficoltà connesse allo svolgimento dinanzi la Corte di Cassazione di accertamenti tipici di fatto, hanno consigliato la restituzione del potere di rescissione alla corte di appello nell’ambito dell’istituto della revisione alla stessa già attribuito e ciò in luogo della competenza del giudice di legittimità attraverso l’abrogazione dell’art. 625 ter c.p.p., la cui vita è stata davvero breve, e la sua sostituzione con il nuovo art. 629 bis c.p.p. da parte della L. n. 103 del 2017.
Orbene, l’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame comporta affermare la nullità delle sentenze di merito avendo sia il giudice di appello che quello di primo grado proceduto in assenza dell’imputato C. , senza accertare la conoscenza da parte del medesimo del processo a suo carico che sola poteva desumersi dalla sussistenza di rapporti con il difensore d’ufficio al quale risultano notificati tutti gli atti del processo. E nel caso in esame è bene precisare che dalla lettura del verbale di identificazione dell’imputato risulta che lo stesso non forniva alcuna indicazione circa il difensore da nominare che in quel contesto veniva indicato dalla stessa polizia giudiziaria procedente così che non risulta alcun atto concreto dal quale potere desumere nè che il C. abbia avuto contezza del procedimento nè che abbia intrattenuto rapporti con il difensore di ufficio nominatogli dalla P.G. al momento preliminare della sua identificazione.
2.2 Nè può ritenersi che la questione sia stata tardivamente devoluta solo nella presente sede di legittimità; al proposito, infatti, si è recentemente affermato, con orientamento che si condivide, che la celebrazione del processo, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 420-bis c.p.p., commi 1 e 2, e senza che il giudice abbia disposto la sospensione ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p., determina, in virtù dell’art. 604 c.p.p., comma 5-bis, la nullità della sentenza equiparabile, quanto al regime di rilevabilità, ad una nullità assoluta, con conseguente obbligo da parte del giudice di appello di restituzione degli atti al giudice di primo grado (Sez. 5, n. 37185 del 01/07/2019, Rv. 277339); ed in motivazione la suddetta pronuncia precisa che:" ritenere che la emissione dell’ordinanza che disponga procedersi in assenza dell’imputato nell’ipotesi in cui invece il processo debba essere sospeso ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p., comma 2, integri una nullità generale a regime intermedio destinata a rimanere sanata laddove non eccepita dal difensore di ufficio (l’imputato non è comparso e la nomina di un difensore di fiducia rientra tra le ipotesi previste dall’art. 420-bis c.p.p., che rendono legittima l’emissione di detta ordinanza) immediatamente dopo l’emissione dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato significa consentire la celebrazione del processo in assenza dell’imputato pur in difetto di una consapevole e volontaria rinuncia di quest’ultimo, con conseguente lesione del diritto dell’accusato ad un processo equo. La mancata tempestiva proposizione dell’eccezione di nullità da parte del difensore di ufficio non può certo ritenersi espressione della volontà dell’imputato, sia perché il difensore di ufficio, in quanto tale, non trae i suoi poteri da una procura conferitagli dall’accusato con il quale potrebbe non avere instaurato alcun contatto, sia perché l’illegittimità dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato osta a che quest’ultimo possa ritenersi rappresentato dal suo difensore ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p., comma 3". Tale orientamento pare condivisibile poiché la tesi della natura della nullità a regime intermedio, che verrebbe sanata dalla mancata eccezione del difensore di ufficio, determinerebbe la possibilità di definizione del procedimento a carico dell’assente inconsapevole con evidente lesione dei principi stabiliti dalla Corte EDU e conseguente possibilità di condanna dell’Italia in sede Europea pur a fronte della modificazione del quadro normativo con l’introduzione delle previsioni sull’assenza volute dal legislatore del 2014 e la espressa previsione di un obbligo di sospensione del procedimento disciplinato dal più volte citato art. 420 quater c.p.p.. Peraltro, lo svolgimento del procedimento in absentia nei confronti del soggetto il cui domicilio risulti eletto al momento dell’identificazione da parte della P.G. presso il difensore di ufficio, ove l’eccezione di nullità non si ritenesse sollevabile nel corso di tutto il giudizio, comporterebbe una ulteriore e grave anomalia poiché in tali casi, pur a fronte di giudicati formalmente validi, ed anche quindi eseguibili, l’imputato avrebbe certamente diritto alla rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p. oggi art. 629 bis c.p.p. così che verrebbe a stabilirsi un sistema in cui pur essendovi certezza circa la mancata conoscenza del procedimento l’eccezione di nullità non potrebbe essere sollevata e dovrebbe attendersi la formazione del giudicato per reagire con i sistemi di impugnazione straordinari. Anche tali considerazioni, quindi, devono fare propendere per la natura sostanzialmente assoluta della nullità in esame.
Del resto, altri precedenti di questa corte di cassazione, hanno ricondotto all’ipotesi della nullità assoluta per omessa notifica analoghi casi di notificazioni presso il difensore di ufficio; in tal senso si è espressa una prima pronuncia secondo cui la notificazione all’imputato del decreto di citazione in appello eseguita presso il difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, deve considerarsi omessa e determina una nullità assoluta ed insanabile, anche quando il difensore d’ufficio partecipa al giudizio senza nulla eccepire, poiché la qualità del rapporto intercorrente tra questi e l’imputato non consente alcuna presunzione fisiologica di concreta conoscenza da parte del secondo (Sez. 6, n. 8150 del 29/02/2012, Rv. 262925); in motivazione si precisa che trattasi di "nullità assoluta e insanabile, poiché si versa sostanzialmente in ipotesi di omessa notifica. Infatti, la qualità di difensore d’ufficio non consente alcuna presunzione fisiologica di conoscenza concreta da parte dell’imputato, escludendo pertanto che possa parlarsi di mera violazione delle regole sulle modalità di esecuzione della notificazione della citazione e facendo venir meno il presupposto di legalità del ricorso al sistema di notificazione ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis". Tale principio risulta ribadito da altra sentenza più recente secondo cui la notificazione all’imputato del decreto di citazione in appello eseguita presso il difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8-bis, deve considerarsi omessa e determina una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio anche dal difensore che ha ricevuto la notifica (Sez. 2, n. 18560 del 13/03/2019, Rv. 276097) con precisazione in motivazione che "la notifica effettuata ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis al difensore di ufficio è inesistente".
Alla luce delle predette considerazioni pertanto, dovendosi operare una lettura costituzionalmente orientata delle norme sulla assenza anche alla luce della giurisprudenza CEDU la nullità deve ritenersi assoluta e rilevabile anche nella presente sede per la prima volta.
Inoltre, va ancora precisato, che trattandosi di nullità rilevabile in appello ex art. 604 c.p.p., comma 4 va pronunciata la nullità anche della sentenza di primo grado così come dedotto in ricorso con trasmissione degli atti al tribunale. Al proposito, infatti, si è affermato che in caso di annullamento con rinvio, la Corte deve disporre la trasmissione degli atti direttamente al giudice di primo grado, quando rileva che ivi si è verificata una delle ipotesi di nullità previste dall’art. 604 c.p.p., comma 4 (Sez. 6, n. 24271 del 30/05/2013, Rv. 256818). Tuttavia, nel caso in esame, essendo stata sollevata la questione di nullità per violazione della disciplina dettata dall’art. 420 quater c.p.p. solo nel presente giudizio l’annullamento va disposto senza rinvio con trasmissione degli atti al tribunale.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Monza per il giudizio.