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Diffamazione vs. diritto di critica: il diritto di critica sindacale

11 marzo 2013, Nicola Canestrini

Il nostro ordinamento ha uno dei propri capisaldi nel principio della libera manifestazione del pensiero, "pietra angolare del sistema democratico" (Corte Costituzionale 19.02.1965, n.9; 17.4.1969, n.84) ), "fondamento della democrazia" (Corte cost. n. 172 del 1972), "il più alto, forse dei diritti fondamentali" (Corte cost. n. 138 del 1985).

La libertà di espressione è definita un diritto al contempo individuale e sociale: diritto fondamentale del singolo "perché - secondo la celebre definizione di Esposito - l'uomo possa unirsi all'altro uomo nel pensiero e col pensiero" (La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958), ma anche diritto sociale, vale a dire pretesa di un comportamento attivo dello Stato, affinché, attraverso la formazione di un'opinione pubblica consapevole, sia garantita "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3/2, Cost.).

Dal messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 23 luglio 2002:

(..) Il diritto di manifestare il proprio pensiero trova infatti il suo primo compiuto riconoscimento nello Stato liberale ed è ad esso tanto connaturato da divenirne il simbolo: l'abolizione della censura preventiva e l'affermazione della libertà di stampa rappresentano infatti conquiste tra le più significative del periodo liberale e lasciti fondamentali per gli ordinamenti democratici del XX secolo. Il pensiero liberale riconosce che la libera circolazione delle idee è indispensabile per la formazione di un'opinione pubblica consapevole; tuttavia, il ristretto numero delle élites intellettuali, la tendenziale coincidenza tra operatori e destinatari delle informazioni ed i costi relativamente bassi della stampa consentono al legislatore ottocentesco di lasciare che le opinioni politiche (almeno quelle non considerate sovversive) si divulghino spontaneamente e di non intervenire nella disciplina della concorrenza tra i mezzi di comunicazione. Con l'evoluzione della forma di Stato in senso democratico non si assiste ad un ribaltamento dei principi e dei valori del modello liberale, ma ad un processo di espansione e di rielaborazione della libertà di espressione, per coniugarla con i nuovi fini che l'ordinamento si pone. La classica concezione della libertà di manifestazione del pensiero come diritto fondamentale dell'individuo, come libertà da difendere contro indebite interferenze dei pubblici poteri, permane e si rafforza nelle Costituzioni democratiche del Novecento all'interno delle quali si afferma il principio generale che i limiti alla libertà di espressione debbono essere rigorosamente preordinati alla tutela di altri beni costituzionalmente protetti. Accanto alla visione individualista emerge, quindi, anche la dimensione partecipativa e democratica della libertà di espressione e la necessità di un processo continuo di informazione e formazione dell'opinione pubblica, con l'intera cittadinanza. (..)".

Anche sul piano internazionale la concreta possibilità delle diverse idee di esprimersi (e circolare) diviene un indice fondamentale per misurare il grado di democraticità di un sistema politico (cfr. l'art. 10 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 novembre 1950): la stessa Corte Europea dei diritti dell'uomo ha definito la libertà d'espressione quale fondamento della società democratica (cfr. Kokkinakis v. Greece of 25 May 1993, Series A no. 260-A, p. 17, para. 31).

Con riguardo al diritto di critica, ed in particolare a quella sindacale, derivante dai più ampi diritti di libertà sindacale e manifestazione del pensiero ex artt. 21 e 39 Cost., la giurisprudenza è costantemente concorde ad ammettere la possibilità di esprimersi con toni e modi di disapprovazione e riprovazione anche particolarmente aspri.

E', infatti, noto che il diritto di critica, garantito dall'art. 21 Cost., si concretizza nella espressione di un giudizio, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti ed i limiti scriminanti sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione, dovendosi considerare superati tali limiti ove l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale, penalmente protetta, del soggetto criticato. In tale ambito, nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti - il diritto di critica di cui all'art. 21 Cost. e quello alla dignità personale di cui agli artt. 2 e 3 Cost. - , si deve dare la prevalenza alla libertà di parola, necessaria per una dialettica democratica altrimenti irrealizzabile, salvo tuttavia che la critica trasmodi in un attacco personale con cui si intenda colpire la sfera privata dell'offeso, senza alcuna finalità di pubblico interesse.

La critica pertanto, viepiù quella in materia sindacale - che deriva la sua natura dal fatto che nasce da un gruppo di professionisti o di lavoratori della stessa categoria, o anche da uno solo di essi, ed ha per oggetto un argomento di carattere corporativo, attinente cioè agli scopi ed interessi della categoria - può assumere talora anche caratterizzazioni esagerate o aggressive, esplicandosi con l'uso di toni oggettivamente aspri e polemici, senza che possa così essere interessata la sfera penale, salvo il limite all'esercizio di tale diritto che deve ritenersi superato allorché l'agente miri a colpire l'altrui dignità morale, trascendendo nel campo dell'aggressione alla sfera morale penalmente protetta.

Sulla scia dei menzionati precedenti si sono successivamente mosse le pronunce in materia.

A tal riguardo si è asserito che la critica sindacale, quale esplicazione del più generale diritto critica, può assumere, in ragione dell'inquadramento professionale della categoria rappresentata, ulteriori specifici contorni tali da giustificare anche il ricorso a modalità esplicative particolarmente aspre e pungenti e sulla scorta di tali rilievi il Tribunale ha ritenuto che i toni fortemente polemici e mordaci, utilizzati dal rappresentante sindacale di un sindacato di Polizia, per promuovere al questore gravi addebiti di negligenza e imprudenza organizzativa nell'espletamento di un servizio avente pubblico interesse, fossero da considerare espressione del diritto di critica sindacale esercitato in conformità ai canoni della continenza della forma espositiva e della rilevanza sociale dell'argomento.

Così, si è affermato che "non esula dai limiti del diritto di critica sindacale, e non è quindi suscettibile di dar luogo a penale responsabilità per il reato di diffamazione, l'affermazione, contenuta in un comunicato affisso alla bacheca esistente nel luogo di lavoro secondo cui la mancata promozione di un dipendente al ruolo dirigenziale sarebbe stata "una vera mascalzonata" imputabile a soggetti nominativamente indicati, per non avere essi pubblicizzato, in violazione degli accordi sindacali, la disponibilità del posto in questione e per non avere tenuto, uno di essi, un comportamento definito "intimidatorio" nei confronti del suddetto dipendente, al quale era stata prospettata la convenienza di non coltivare ulteriori vane speranze di avanzamento di carriera, ma di accettare piuttosto una proposta di prepensionamento onde evitare un progressivo depauperamento del previsto premio di buona uscita".

Ancora, si è esclusa la configurabilità del reato di diffamazione a carico di un sindaco il quale, a fronte del mancato sgombero delle strade dall'accumulo di neve, abbia affermato, in una missiva diretta al presidente della provincia, che il soggetto cui, dall'amministrazione provinciale, era stato affidato il relativo servizio, lo svolgeva con "menefreghismo e scarsa professionalità".

Allo stesso modo si è ritenuto che "le espressioni "compagni di merenda" e "di brigata" non appaiono idonee al superamento del limite della continenza, poiché il diritto di critica presenta una sua necessaria elasticità e non è necessariamente escluso dall'uso di un epiteto infamante, dovendo la valutazione del giudice di merito soppesare se il ricorso ad aggettivi o frasi particolarmente aspri sia o meno funzionale all'eventuale assoluta gravità oggettiva della situazione rappresentata".

Del resto, non appare peregrino richiamare quell'insegnamento della giurisprudenza che afferma "quando la critica consiste in varie espressioni di dissenso, queste devono essere intese nel senso che più presumibilmente l'autore a esse conferisce e non possono essere interpretate forzatamente nel modo offensivo che appare al querelante".

 

Nota di aggiornamento

Ciò che distingue la critica dall'invettiva (o dall'insulto) è il fatto che la prima è argomentata, il secondo è gratuito. Per ritenersi validamente (e non solo formalmente) argomentato, un giudizio critico deve essere corredato da una "spiegazione" che renda manifesta al destinatario del messaggio la ragione della censura. Come è ovvio, non è necessario che tale destinatario (e, dunque, l'interprete e, dunque, il giudicante) condivida l'iter argomentativo e/o le conclusioni del criticante, essendo sufficiente che l'uno e le altre presentino un carattere minimo di logicità e non contrastino col senso comune. Insomma il diritto di critica presuppone un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (ASN 200220474-RV 221904), essendo poi l'agente libero, entro i limiti sopra indicati, di trarre le conclusioni che ritiene corrette.(Cassazione penale sez. V, Data: 06 febbraio 2007, Numero: n. 11662)

 

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