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Delitti in materia di sostanze dopanti: vendita e commercio

1 aprile 2015, Nicola Canestrini

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In tema di cessione di sostanze dopanti, è punita la cessione anche occasionale verso atleti al fine di alterarne le prestazioni agonistiche (cd. eterodoping); se la cessione è rivolta verso non agonisti, è punibile solo il commercio, cioè l'attività continuativa di cessione, supportata da una elementare struttura organizzativa.

1. Introduzione

La legge 14 dicembre 2000 n. 376, rubricata ?Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping?, contiene all'articolo 9 delle disposizioni penali, che

  • puniscono "chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l?utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive" (..) "idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell?organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull?uso di tali farmaci o sostanze" (comma 1, cd eterodoping);
  • è altresì punito chi "commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive" (comma 7, commercio illegale di farmaci e sostanze ad effetto dopante). 

 

2. Il cd. eterodoping (art. 9/1 l. 367/00)

Le condotte previste dall'articolo 9, commi 1 (e 2, cd. doping autogeno) l. 367/2000 assumono quindi rilevanza penale alla condizione che l'agente si prefigga la finalità di alterare le prestazioni agonistiche.

La specifica finalizzazione della condotta ha lo scopo di restringere l'area del penalmente rilevante, selezionando all'interno di un'ampia area di illiceità, le condotte meritevoli di attrarre la stigmatizzante riprovazione del diritto penale.

Si deve quindi rilevare che l'indicazione legislativa porta ad escludere il rilievo penale delle condotte di procacciamento, somministrazione, assunzione o di favoreggiamento all'utilizzo di sostanze proibite che avvengono in ambito amatoriale.

La dottrina ha evidenziato che, nonostante la genericità del pronome utilizzato in sede di fatto tipico riguardo al destinatario delle condotte illecite (?altri?), non possa essere punito anche chi procura sostanze dopanti a soggetti che si avvicinano al doping per puro spirito di autoesaltazione personale.

 Va infatti messo in luce che la scelta di limitare l'area del rischio penale al solo settore penalistico si spiega considerando il peculiare punto di osservazione utilizzato dal legislatore nell'impostare la più adeguata strategia di controllo e repressione del doping, inteso come attentato alla salute individuale ed ai principi etici ed ai valori educativi propri dell'attività sportiva (vedi art. 1 l. 367/2000).

 Risulta dunque fondamentale comprendere che cosa si intenda per attività agonistica

 Da una lettura complessiva della legge 367/2000 è possibile inferire la sussistenza di un'equazione semantica tra agonismo ed ufficialità, con conseguente esclusione del settore amatoriale.

 In effetti, almeno rispetto alle fattispecie previste dai commi 1 e 2 del dell'art. 9, il riferimento alla competizione sportiva rappresenta la cornice situazionale dei comportamenti penalmente rilevanti: entrambe le fattispecie, infatti, prevedono il dolo specifico avente ad oggetto l?alterazione delle prestazioni agonistiche degli atleti (sul punto, per tutti, Bonini,Doping, cit., p. 264 ss.). 

Alla luce di quanto sin qui detto può sostenersi che il dolo specifico, secondo una logica comune alla previsione dell'articolo 1 l. n. 401 del 1989 (legge sul doping in vigore precedentemente), determina una contrazione dell'alea penale ai soli casi in cui le pratiche dopanti risultino finalizzate ad alterare le prestazioni in gare ufficiali organizzate e gestite da enti pubblici o da federazioni ad esse affiliate.

 Tali considerazioni risultano in parte utili per comprendere meglio la fattispecie prevista dall'articolo 9, comma 7 della l. 367/2000, che punisce il commercio di farmaci e sostanze farmacologicamente  o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all'articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente.

 Non si può infatti tralasciare la collocazione sistematica della fattispecie de qua, la quale rientra nella disciplina di una efficace ed incisiva lotta contro il doping.

 Si deve innanzitutto ricordare che la condotta del ?procurare ad altri?, prevista e punita al primo comma, si pone su una linea di continuità e contiguità rispetto a quella del ?commercio?; tale ultima condotta si discosta dalla prima (il mero procurare) per la maggior intensità dell'attività con la quale viene posta in essere, caratterizzandosi per una certa abitualità.

 Pare proprio mancare ogni ?continuità? nell?attività asseritamente delittuosa per poter sussumere le condotte ascritte sotto il concetto di ?commercio?, potendo così  riqualificare i fatti di cui al presente procedimento escludendo la condotta di cui al comma 7  per configurarla come condotta prevista al comma 1 dell?art. 9 l. cit., con le dette conseguenze anche in tema di dolo.

 Ciò premesso, si potrebbe invece ipotizzare come le fattispecie di cui all?art. 9 siano accomunate dal tipo di destinatari; detta ipotesi risulta peraltro contrastata dalla giurisprudenza, dato che secondo la Cassazione penale "la mancata previsione del fine specifico, previsto invece per le altre ipotesi delittuose, consente di estendere l'ambito della fattispecie anche oltre i ristretti limiti delle competizioni agonistiche, per punire il commercio clandestino destinato agli sportivi "non atleti", con particolare riferimento ai frequentatori di palestre (vds. sul punto Sez. 3A Ord. 18.4.2013 n. 32963, Grasso, Rv. 257263)." (Sez. III, Sent., (ud. 27/03/2014) 03-09-2014, n. 36700)

Se dunque, come affermato pacificamente dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza, i destinatari del ?procurare? devono essere atleti, ?competitori?, cioè soggetti che svolgono una specifica attività agonistica, ciò pare possa valere anche per la condotta più grave del commercio. Anch'esso dunque deve rivolgersi a professionisti, e non certo ad ogni cittadino che svolga una qualsivoglia attività sportiva, pena altrimenti un utilizzo ipertrofico del diritto penale, non in linea con la lettera della legge oltre che con i principi di extrema ratio e di responsabilità penale.

 La dottrina si è così interrogata su una corretta definizione di atleta, dal momento che le sanzioni penali previste dall'articolo  9 possono trovare applicazione solo nella certezza dei destinatari della condotta illecita.

 L'articolo 1 della legge, rubricato ?Tutela sanitaria delle attività sportive. Divieto di doping? che è comunque richiamato in via mediata dall'articolo 9, comma sette, fa continuo riferimento all'atleta quale soggetto destinatario di tutela: al primo comma si afferma che

 ?L?attività sportiva (?.) non può essere svolta con l?ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l?integrità psicofisica degli atleti?, al secondo comma si fa riferimento alla somministrazione o assunzione di farmaci idonei a ?modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell?organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti?, infine il quarto comma  dispone che ?in presenza di condizioni patologiche dell?atleta documentate e certificate dal medico, all?atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento purchè sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche?.

 Lo stesso articolo 1 richiama espressamente la Convenzione contro il doping fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 29 novembre 1995, n.522, la quale identifica l'atleta in ?chiunque partecipa regolarmente ad attività sportive organizzate?. Si tratterebbe quindi di attività caratterizzate da un elemento di carattere cronologico  legato all'abitualità (?regolarmente?) e da un attributo di carattere modale connesso con l'organizzazione (?organizzate?).

 Ora, non si può certo affermare che le attività ginniche di palestra  (come quelle di body building) possano dirsi caratterizzate da tali attributi.

 Se poi si volesse eventualmente richiamare, sempre ai fini di una corretta definizione del termine atleta, l'accezione che di tale termine è contenuta nella legislazione sportiva internazionale (codice antidoping del CIO), si dovrebbe pervenire alla stessa conclusione. In base ad essa, infatti, è atleta la ?persona che partecipa o si prepara per una competizione sportiva olimpica o alla quale il CIO abbia concesso il patrocinio o organizzata sotto la autorità di una Federazione Internazionale?.

 Concludendo, in punto di diritto, si deve dunque rilevare che, se anche si volesse ritenere la fattispecie a dolo generico e non specifico, così come prospettato dal pubblico ministero, sarebbe comunque necessario delimitare correttamente il fatto tipico. Fatto tipico che, come supra evidenziato, richiede necessariamente una continuità qui assente e la presenza di destinatari professionisti, di atleti, e non meri sportivi a livello amatoriale, o ?frequentatori di palestre?.

3. Il commercio illegale di farmaci e sostanze ad effetto dopante (art. 9/7 l. 367/00)

Va premesso, in linea generale, che la L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, della prevede che "Chiunque commercia i tarmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all'art. 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle altre strutture che detengono farmaci, direttamente destinati all'utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468".

Detta ipotesi si distingue - per quanto qui può rilevare - dal comma 1 del medesimo articolo sotto il duplice profilo della condotta (attività di commercio nel comma 7 e procacciamento a terzi nel comma 1) e del trattamento sanzionatorio (più grave quello previsto dal comma 7 rispetto a quello previsto dal comma 1).

In particolare, per quanto riguarda il primo dei due profili cennati, che più rileva nel caso in esame, la condotta vietata dal comma 7 consiste nello svolgimento di un'attività di commercio avente per oggetto farmaci e sostanze proibite, comprese nelle classi ministeriali, al di fuori dei canali ufficiali, rappresentati da farmacie o altre strutture autorizzate, e quindi illegalmente.

Trattasi di reato comune, e non proprio, attesa l'espressione adoperata dal legislatore ("chiunque").

Quanto all'elemento psicologico, è richiesto il dolo generico consistente nella volontà da parte dell'agente di realizzare la condotta descritta, unitamente alla consapevolezza di agire in assenza delle prescritte autorizzazioni ed abilitazioni, nonchè della natura proibita delle sostanze e dei farmaci commercializzati.

Tale elemento permette di distinguere la condotta in esame da quella prevista nel comma 1 caratterizzata, invece, dal dolo specifico (finalità da parte dell'agente di alterare le prestazioni agonistiche ovvero i risultati dei controlli effettuati): nell'ipotesi disciplinata dal comma 7 la previsione incriminatrice risponde unicamente all'esigenza di evitare che le sostanze vietate possano essere immesse sul mercato al di fuori delle rigorose prescrizioni di cui all'art. 9 della legge in esame.

Uno degli elementi cardine che caratterizza la condotta di commercio di sostanze dopanti, come delineata dal ricordato art. 9, comma 7, è rappresentato dalla "professionalità", che ricomprende soltanto quelle condotte contrassegnate dalla predisposizione di un minimo di organizzazione e/o dalla continuità della condotta delittuosa.

Tale elemento, non presente, invece, nel comma 1, consente di includere la condotta singola di cessione, consegna o procacciamento della sostanza volta ad un suo consumo immediato da parte del terzo, nell'alveo del predetto comma 1 che prevede, come già osservato, una pena meno grave.

E' questa la ragione di fondo per la quale come, del resto, osservato dalla maggioritaria dottrina penalistica, la giurisprudenza della Suprema Corte si è allineata nel senso di ritenere l'ipotesi criminosa contemplata dal comma 7 come delitto caratterizzato - oltre che dalla professionalità - dal requisito della abitualità che presuppone, quindi, una reiterazione della condotta protratta nel tempo, tale da far apparire i singoli episodi che la compongono come momenti di una più ampia attività. D'altro canto l'uso del verbo "commerciare", in luogo del termine "vendere" riporta allo svolgimento di un'attività di scambio prolungata nel tempo.

Altro elemento che segna il termine "commercio" è la patrimonialità che connota il reato: per commercio si intende, comunemente, una attività economica basata sullo scambio di beni in cambio di denaro o di altri prodotti. Ne consegue che il termine sopra menzionato è inscindibilmente legato, se non proprio al guadagno, quanto meno al profitto, inteso nella sua accezione più ampia anche non strettamente economica. Ed è, per l'appunto, il profitto a segnare la linea di confine tra le due fattispecie di reato previste, rispettivamente, dalla L. n. 376 del 2000, art. 9, commi 7 e 1: infatti la condotta di "procurare ad altri" sostanze dopanti, prevista e punita dal comma 1, si distingue dal "commercio" proprio in ragione del profitto, che solo chi pratica il commercio persegue e consegue.

Trattasi di reato di pericolo che si realizza semplicemente con il porre in essere una attività di commercio illegale di tali sostanze, a nulla rilevando il fatto che le sostanze non siano poi impiegate per alterare le prestazioni agonistiche degli atleti o i controlli antidoping.  

Come accennato in precedenza, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si colloca nel solco di tali principi, essendo stato affermato, oltre alla natura di reato di pericolo, una serie di regole interpretative fondamentali (cfr. sempre Sez. III, Sent., (ud. 27/03/2014) 03-09-2014, n. 36700).

 In particolare, per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è stata ribadita la non necessità del dolo specifico in quanto il commercio clandestino di sostanze ad effetto dopante viene sanzionato penalmente in relazione al fine specifico perseguito dal soggetto agente e configura un reato di pericolo, diretto a prevenire il rischio derivante dalla messa in circolazione di tali farmaci, al di fuori delle prescrizioni imposte dalla legge, per la tutela sanitaria delle attività sportive (Sez. 2A 15.11.2011 n. 43328, Giorgini e altri, Rv. 251377).

 E' stato, ancora, ribadito il concetto che il reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, è volto a salvaguardare la salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive, anche se non sono mancate affermazioni ancora più estese secondo le quali non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico, il che induce a ricomprendere nell'alveo della condotta penalmente rilevante anche quella di chi pone in pericolo la salute di chi pratica lo sport a qualsiasi livello, anche amatoriale e indipendentemente da una manifestazione avente carattere agonistico (Sez. 3A Ord. 32963/13 cit.).

 Ed infine, particolarmente importante è il principio affermato ripetutamente dalla Corte Suprema, in forza del quale la fattispecie in esame risulta caratterizzata da una articolata e connessa condotta di acquisti e rivendite illeciti di sostanze "dopanti", in cui l'approvvigionamento è finalizzato alla cessione a titolo oneroso.

Ma soprattutto è stato ribadito in più decisioni, anche risalenti, che la condotta di commercio clandestino di sostanze anabolizzanti deve possedere i caratteri "di un'attività continuativa, supportata da una elementare struttura organizzativa" (Sez. 6A 20.2.2003 n. 17322, Frisinghelli, Rv. 224957, in cui viene sottolineato, come ricordato da S.U. 3087/05 cit., che la parola "commercio" rimanda a concetti tipicamente civilistici, dovendo, quindi, intendersi nel senso di un'attività di intermediazione nella circolazione dei beni connotata dal carattere della continuità, oltre che da una organizzazione anche di tipo rudimentale; conforme Sez. 3A 23.10.2013 n. 46246, Dasic e altro, Rv. 257857).