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Elezione di domicilio comporta conoscenza del processo (Cass. 8460/17)

21 febbraio 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

L'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio con la disciplina dell'asssenza fonda una presunzione di conoscenza del processo, che legittima il giudice a concludere il processo anche con una sentenza di condanna idonea a passare in giudicato; nei limiti previsti dall’art. 625 ter, c.p.p., è onere del condannato di provare che il difetto di informazione non dipenda da una causa allo stesso imputato ascrivibile a titolo di colpa (imputato alloglotta che aveva eletto domicilio presso il difensorei di ufficio).

Sui possibili profili di contrarietà alla Convenzione uropea dei diritti dell'Uomo si veda N. Canestrini, Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
 Note a margine sul processo contumaciale italiano visto da Strasburgo, alla luce di Huzuneau c. Italia (CEDU, 1 settembre 2016), in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 11.

 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 dicembre 2016 – 21 febbraio 2017, n. 8460
Presidente Cammino – Relatore Aielli

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 26/7/2016 la Corte d’Appello di Brescia rigettava l’istanza di restituzione nel termine a proporre impugnazione presentata ex art. 175 c.p.p. dal difensore di P.A. avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Mantova del 19/1/2016 divenuta irrevocabile il 10/2/2016, evidenziando che l’imputato aveva avuto conoscenza effettiva del procedimento a suo carico, essendo stato arrestato ed avendo partecipato all’udienza di convalida.
2. Avverso tale provvedimento ricorre personalmente P.A. il quale deduce i vizi di violazione di legge ed illogicità e carenza di motivazione atteso che a suo avviso l’intervenuto arresto e l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, al momento della scarcerazione, non potevano ritenersi elementi idonei a far presumere la conoscenza effettiva del procedimento, ponendosi a carico del giudice l’onere di reperire negli atti l’eventuale dimostrazione del contrario, tanto più che nel caso esaminato il ricorrente era assistito da un difensore d’ufficio e. in quanto straniero, non conosceva la lingua italiana (cita a sostegno giurisprudenza della Suprema Corte).
3. Il Procuratore generale condividendo tale assunto, ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Occorre innanzi tutto premettere che nel caso di specie si impugna l’ordinanza che ha rigettato la restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso una sentenza di primo grado del 19/1/2016 della quale il ricorrente asserisce di non aver avuto conoscenza effettiva essendo stato assistito, nel processo, da un difensore d’ufficio, a nulla rilevando, a suo avviso, l’intervenuto arresto e l’elezione di domicilio effettuata nella fase delle indagini preliminari presso detto difensore d’ufficio poiché, da tali dati, non potrebbe farsi discendere la conoscenza del procedimento; a sostegno della propria tesi richiama una serie di pronunce giurisprudenziali esplicative di tale regola.
2. Ed invero, va preliminarmente osservato che l’istituto eventualmente applicabile nel caso di specie non è quello della restituzione in termine (art. 175 c.p.p.), ma quello della rescissione del giudicato (art. 625 ter c.p.p.) atteso che nel giudizio di primo grado l’imputato veniva dichiarato assente in applicazione del disposto dell’art. 420 bis c.p.p. come modificato dall’art. 9 co. 2 della L. 28 aprile 2014 n. 67 che, come è noto, innovando la disciplina in materia di costituzione del rapporto processuale, ha modificato anche il contenuto degli artt. 420 quater e 420 quinquies c.p.p., abolendo l’istituto della contumacia, previsto per l’appunto dall’art. 420 quater c.p.p. nella sua previgente formulazione.
Tanto premesso, non può condividersi la tesi del ricorrente sulla irrilevanza della indicata elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, in ordine alla pretesa incolpevole mancanza di conoscenza della celebrazione del processo a suo carico.
Ciò appare evidente ove si confronti la previsione dell’art. 175 cc, 2 c.p.p., nella sua formulazione precedente alla modifica intervenuta con l’art. 11 co. 6 L. 67/2014, con la nuova formulazione della medesima disposizione normativa e con il disposto dell’art. 625 ter c.p.p., che definisce l’istituto della rescissione del giudicato inserito nell’ordinamento penale dall’art. 11 co.5 L. 67/2014. Nel disciplinare l’istituto della restituzione nel termine l’art. 175 co. 2 c.p.p., nella sua previgente formulazione prevedeva che " se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta. nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione. A tal fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica".
L’attuale contenuto dell’art. 175 co. 2 c.p.p. prevede invece, che solo l’imputato che sia stata condannato con decreto penale, il quale non abbia avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, sia restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato.
L’eliminazione del precedente riferimento alla "sentenza contumaciale", si spiega con l’intervenuta abolizione dell’istituto della contumacia, avendo nel contempo il legislatore considerato la posizione dell’imputato condannato in assenza, attraverso l’istituto della rescissione del giudicato. Si è verificato dunque un mutamento di prospettiva che non consente di applicare i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell’art. 175 c.p.c. co. 2 nella sua previgente formulazione secondo cui, con particolare riferimento alla sentenza contumaciale, era configurabile il diritto dell’imputato alla rimessione in termini ogni qual volta non vi fosse stata una effettiva conoscenza del "processo", per tale dovendosi intendere quella che comprende l’imputazione formulata con la "vocatio in iudicium", escludendosi che una tale conoscenza potesse essere presunta quando non risultasse dimostrato che il difensore d’ufficio, destinatario delle notifiche, fosse riuscito a mettersi in contatto con l’assistito e ad instaurare un effettivo rapporto professionale (Sez. 1, 6736/2014; Sez. 6, 19781/2013 256229).
Proponendo una interpretazione dell’art. 175 co. 2 c.p.p. nella sua precedente formulazione, in termini di una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, con il conseguente onere per il giudice di reperire negli atti l’esistenza di una eventuale prova positiva da cui potesse desumersi l’effettiva conoscenza del provvedimento di condanna (onere non a caso scomparso nella nuova forma assunta dall’art. 175 c.p.p. e nel disposto dell’art. 625 c.p.p.), del tutto coerentemente la giurisprudenza di legittimità poteva affermare che la mera regolarità formale della notifica eseguita presso il difensore d’ufficio nominato dall’imputato non può essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto di condanna (Sez. 2, n. 21393 del 15/4/2015, rv. 264219).
Tuttavia, in presenza delle intervenute novità, tale approdo interpretativo non è più sostenibile, perché sono venute meno le norme di riferimento, con la creazione di un istituto, quale la rescissione del giudicato, profondamente diverso dalla restituzione nel termine per proporre impugnazione, trattandosi, come evidenziato da questa Suprema Corte, di istituti che implicano presupposti e conseguenze diverse (Sez. Unite n. 36848 del 17/07/2014, Rv. 259992; Sez. 3, 14/1/2015, n.19006, rv. 263510).
L’art. 420 bis, co. 2 e 3, c.p.p., prevede, infatti, che, salvi i casi di legittimo impedimento a comparire previsti dal successivo art. 420 ter, c.p.p., il giudice procede in assenza dell’imputato, non solo quando quest’ultimo, pur se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistere all’udienza (comma primo), ma anche nel caso in cui "nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo" (comma secondo), stabilendo, altresì, che "nei casi di cui ai commi 1 e 2, l’imputato è rappresentato dal difensore" (comma terzo).

Dalla elezione di domicilio deriva, pertanto, una presunzione di conoscenza del processo, che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato e, pertanto, a concludere il processo anche con una sentenza di condanna idonea a passare in giudicato, contro la quale il condannato potrà far valere l’eventuale mancata conoscenza della celebrazione del giudizio a suo carico solo nei limiti previsti dall’art. 625 ter, c.p.p., gravando su quest’ultimo l’onere di provare che il difetto di informazione non dipenda da una causa allo stesso imputato ascrivibile a titolo di colpa.

Se ciò è vero, come è vero, non appare revocabile in dubbio che nel caso in cui, come quello in esame, l’imputato sia stato consapevole dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico e di essere assistito da un difensore di ufficio, il quale ha partecipato regolarmente al processo conclusosi con la sentenza di condanna passata in giudicato oggetto di ricorso, non sia possibile invocare, al fine di ottenere la restituzione nel termine, la mancata conoscenza della celebrazione del processo a suo carico. Nel momento in cui ha scelto di non nominare un difensore di fiducia e di avvalersi del difensore di ufficio nominato dalla polizia giudiziaria, P. ha chiaramente manifestato la volontà di essere assistito solo da quest’ultimo e, quindi, di assicurarsi la conoscenza dell’ulteriore sviluppo del procedimento, attraverso la notifica degli atti al suddetto difensore di ufficio, che, giova ricordarlo, ai sensi del disposto dell’art. 420 bis, co. 3, c.p.p.,aveva il potere di rappresentarlo nel processo, non operando, tale disposizione normativa, nessuna differenza tra difensore di fiducia e difensore d’ufficio.
Sarebbe stato, pertanto, onere dell’imputato, rispondente ad un criterio di ordinaria diligenza, attivarsi autonomamente per mantenere con il difensore d’ufficio i contatti periodici essenziali per essere informato dello sviluppo del procedimento il cui mancato adempimento configura un’ipotesi di colpa nella mancata conoscenza della celebrazione del processo. (Sez. 6, n. 15932/2015, rv. 263084).
Ne deriva che nel caso esaminato, lamentando il ricorrente vizi relativi alla sua partecipazione al processo, invero ritualmente verificata secondo i parametri di cui all’art. 420 bis c.p.p. (essendo stato tratto in arresto ed avendo eletto domicilio, ai fini della notifica degli atti del procedimento, al momento della scarcerazione, presso il difensore d’ufficio il quale assolveva al proprio mandato difensivo assistendo P. nel giudizio di primo di primo grado), non si ravvisa la violazione di legge prospettata, essendovi stato da parte del giudice riscontro in ordine alla effettiva conoscenza del procedimento, sulla base dei parametri legali di cui all’art. 420 bis c.p.p. che il ricorrente si limita a censurare genericamente, invocando un regime (art. 175 c.p.p.), non più applicabile.
Alla luce di quanto complessivamente esposto deve dichiarasi l’inammissibilità del ricorso con conseguente condanna del ricorrente che lo ha proposto, al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di millecinquecento Euro a favore della Cassa delle ammende.