La legge prevede che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo: si applica anche anche agli scritti o ai discorsi del consulente tecnico?
Secondo l'articolo 24 della Costituzione, il diritto di difesa è inviolabile.
L'Assemblea Costituente ha così inteso impartire una precisa direttiva al legislatore garantendo "in termini perentori e lapidari" la presenza e la possibilità di attivo esercizio di tale diritto in qualsiasi stato e grado del procedimento e dinanzi a qualsiasi magistratura, in modo da cancellare ogni passata limitazione.
Nel corso dei decenni, invero, si è determinata una lenta e progressiva evoluzione tendente a far maturare il concetto di difesa c.d. "tecnica" a difesa "materiale", intesa come garanzia della "possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni, con le forme ed i mezzi che assicurano la istruzione e lo svolgimento del contraddittorio" (ex multis: C. Cost. 1962 n. 69).
Sin dalle prime pronunce, la Corte Costituzionale ha evidenziato la duplicità dei profili contenuti nell'inciso inviolabilità del diritto di difesa, volto a garantire tanto il "diritto alla difesa tecnica" quanto il diritto a far valere le proprie ragioni in giudizio.
La difesa c.d. tecnica consiste nell'attribuire alla parte la facoltà di godere in giudizio dell'assistenza di un esercente la professione legale. Il diritto a far valere in giudizio le proprie ragioni sintetizza, invece, il principio del contraddittorio volto a garantire la partecipazione attiva al processo da parte delle parti.
In ossequio ai testé menzionati principi, appare evidente come l'espletamento del diritto di difesa, se inteso da un punto di vista sostanzialistico, possa estrinsecarsi in una moltitudine di differenti frangenti, purché finalizzati alla effettiva realizzazione del diritto di difesa.
L'esimente prevista dall'art. 589 c.p., in base al quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi alla autorità giudiziaria, costituisce applicazione del più generale principio posto dall'art. 51 c.p., in quanto riconducibile all'art. 24 Cost., e si fonda esclusivamente sul rapporto di strumentalità tra le frasi offensive e le tesi prospettate nell'ambito di una controversia giudiziaria, sicché non si richiede che le offese abbiano una base di veridicità o una particolare continenza espressiva.
Il "rapporto di funzionalità", nel quale la giurisprudenza ha tradotto la locuzione "offese che concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo" contenuta nell'art. 598 c.p., sta a significare, in altri termini, che le offese sono tollerate dall'ordinamento quando sono rilevanti per la esposizione delle ragioni poste a fondamento dell'attività processuale e sono utili quindi a garantire in concreto un libero esercizio del diritto difensivo.
È richiesto, affinché l'esimente sia applicabile, che quelle espressioni concorrano ad illustrare le ragioni difensive perché di esse possa dirsi che "concernono" l'oggetto della causa o, come rilevabile anche dall'art. 89 c.p.c., "riguardano" l'oggetto della causa (cassazione penale sez. V, 3 maggio 2007, n. 29373).
Si dubita peraltro che la esimente di cui si tratta non si applichi - con gli stessi presupposti - anche al consulente etnico.
Nel procedimento penale, ai sensi dell’articolo 225, primo comma, del codice di procedura penale, «disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno la facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte,a due». Dispone inoltre l’art. 233. co. 1, c.p.p., come, anche nel caso in cui non venga disposta perizia, ciascuna parte abbia comunque la facoltà di nominare, sempre in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici.
Analogamente, nel processo civile, l'art. 87 c.p.c. prevede espressamente che la parte possa "farsi assistere da uno o più avvocati e anche da un consulente tecnico", contemplando l'assistenza del c.t.p. alla parte in giudizio, affiancandola a quella dell'avvocato. Le parti possono poi nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico (art. 210 c.p.c.), che - oltre ad assistere alle operazioni del consulente del giudice - partecipa all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l'autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche
Le parti quindi, quando hanno interesse a provare un fatto in campo tecnico o scientifico utile ai fini della causa, hanno la facoltà di nominare propri esperti che espongano il loro parere al giudice sia nel processo penale che in quello civile.
Non può quindi negarsi che il consulente di parte svolga un ruolo che lo avvicina a quello del difensore: egli ha cioè, la funzione di assistere la parte fornendo le proprie cognizioni tecniche sui fatti, per l'accertamento dei quali, il giudice ha nominato un consulente tecnico di ufficio (Grasselli 2000, 646).
Del resto, alcune pronunce di legittimità (cfr. Corte di Cassazione, Sez. III, n. 35702/2009), riconoscono il diritto del consulente di parte nel processo penale a trattenersi in aula durante l’esame dei testimoni, nonché durante quello degli altri consulenti e del perito eventualmente designato dal giudice, risultando strumentale detta facoltà a consentire ai difensori di potere più consapevolmente svolgere l’esame e il controesame dei testi ove vengano in rilievo questioni di natura tecnica di particolare difficoltà, rispetto a cui, a ragionare diversamente, la piena esplicazione della cross examination subirebbe una ingiustificabile compressione.
È invero da ricordare come, secondo un principio affermato dalla Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1957 e poi fermamente e costantemente ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di difesa è, in primo luogo, garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico - professionale.
Il che è quanto dire che quel diritto, di regola, è assicurato nella misura "in cui si darà all'interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale" (C. Cost. n. 190 del 1970).
Queste affermazioni, riferite al difensore, vanno estese al consulente tecnico di parte, il quale - quando si tratti di risolvere nel giudizio problemi di natura tecnica e si faccia perciò luogo alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio - svolge funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e giurisprudenza, sono paragonabili a quelle dell'avvocato, limitatamente al piano tecnico.
Ciò risulta già dalle norme processuali che prevedono tale figura e ne disciplinano la facoltà (artt. 87 e 201 c.p.c.; artt. 323 e 324 c.p.p.) ed è stato riconosciuto dalla medesima Corte quando ha affermato che "l'accertamento tecnico sia nel procedimento civile sia in quello penale ha giuridica rilevanza di difesa, nei limiti segnati dalle regole tecniche che ne costituiscono l'oggetto" (C. Cost. n. 128 del 1979): affermazione, questa, che discende direttamente dall'essere la nomina del consulente tecnico di parte prevista a maggior garanzia della regolarità del contraddittorio.
Ed ancora: rimarcando nuovamente l'assoluta parificazione "tecnica" del patrocinatore e del consulente, una nota sentenza della Corte Costituzionale degli anni '80 (Corte costituzionale, 8 giugno 1983, n. 149) ha dichiarato l'illegittima costituzionale della L. dell'art. 11 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3282, nella parte in cui non prevedeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendesse alla facoltà per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici. Tale principio peraltro è tutt'oggi suggellato dalla legge n 115 del 2002 la quale, nello stabilire i limiti e le modalità di ammissione al patrocinio a spese dello stato, parifica in ogni sua disposizione il difensore ed il consulente tecnico: ciò conferma l'importanza riconosciuta dall'ordinamento al consulente di parte nonché la funzione di "patrocinatore in senso sostanziale" ricoperta dallo stesso - ai sensi dell'art. 24 Cost. - all'interno del processo. Del resto, assicurare ad un soggetto non abbiente la possibilità di avvalersi di un difensore di fiducia nonché di un consulente tecnico significa affermare che entrambi tali strumenti sono necessari e pertanto imprescindibili per ogni qualsivoglia difesa dei propri diritti e che senza tali strumenti il diritto pare essere solo una parvenza.
Non pare esservi dubbio, quindi, che l'attività svolta da un consulente tecnico di parte, nominata dalla stessa parte nominata con il fine di suffragare le proprie ragioni processuali, vada intesa quale espletamento di attività difensiva, quasi una longa manus della parte processuale stessa, e pertanto debba soggiacere ai principi costituzionalmente garantiti per il difensore quali quelli del diritto di esplicazione del proprio mandato suffragata da tutte le guarentigie costituzionali.
Non si disconosce peraltro l'orientamento giurisdizionale in ossequio del quale l'esimente di cui all'art. 589 c.p., non opererebbe con riguardo alle dichiarazioni contenute nella consulenza di parte, in quanto il c.t.p. non risulterebbe parte processuale: preme, tuttavia, rilevare come tale orientamento sia limitato ad una sentenza della Corte di Cassazione del 2007, in avvallo di una pronuncia della Cassazione del 1975 nonché ad una pronuncia della Corte Costituzionale del 1979.
Peraltro, la condanna della Corte di Cassazione del 2007 (che viene richiamata, qualificandola come "pacifica", per una condanna ad un CT di anche del 2016) prendeva le mosse da un consulente che aveva esorbitato dal mandato ricevuto, allegando notizie pacificamente false (riferite solo per averle apprese dalla committente), senza esame diretto degli interessati o riscontro di alcuna documentazione sanitaria, mostrando, con questo, assai scarsa deontologia professionale.
Come il difensore, il consulente è necessariamente un soggetto non neutrale rispetto alla parte che assiste, con cui collabora in vista di una strategia difensiva il più efficace possibile: gli artt. 391-bis e 391-sexies c.p.p. riconoscono al consulente tecnico - come al difensore! - il potere di conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini nonché di accedere ai luoghi per svolgere attività di documentazione.
Che i consulenti tecnici delle parti private svolgano un’attività sostanzialmente defensionale è dimostrato dalla equiparazione al difensore sul piano delle garanzie di cui all’art. 103 c.p.p., che vieta sequestri ed intercettazioni anche del consulente tecnico, nonché in tema di segreto professionale ai sensi dell’art. 200 c.p.p., che stabilisce che anche i consulenti tecnici non possono essere obbligati a deporre.
Non è un caso, peraltro, che il consulente tecnico di parte non soggiaccia alla disciplina sull'imparzialità e terzietà del perito/consulente tecnico di ufficio: va intanto registrato che gli articoli 226/1 e 497/2 c. p. p. contengono solo per il perito e il testimone una formula di impegno alla veridicità, nulla di analogo ha dettato per il consulente tecnico. Quanto all'irrisolto problema del giuramento del consulente di parte privata come testimone, si evidenzia come il consulente che rendesse nel processo dichiarazioni pregiudizievoli per gli interessi dell'assistito potrebbe realizzare il reato di consulenza infedele di cui all'art. 380 c. p.: ne discenderebbe che essi non hanno un obbligo di verità durante l'esame, salvi ovviamente i limiti segnati dai delitti di favoreggiamento personale e frode processuale. Nella prospettiva di verifica e contro-verifica dell’esame, le opinioni espresse dall’esperto contano più per il loro valore intrinseco, e cioè per quanto di esse resiste alle confutazioni del controesame (cfr. KOSTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Giuffrè, 1993).
La stessa Corte Costituzionale equipara il consulente tecnico a quel del difensore "in quanto integra la difesa tecnica mediante l'apporto delle sue conoscenze scientifiche in discipline diverse da quelle giuridiche" (sentenza 498/1989 che giudica non illegittima costituzionalmente il mancato potere del giudice di nominare d'ufficio un CT di parte).
Pare quindi potersi affermare la applicabilità dell'esimente dei cui all'articolo 598 c.p.p., che prevede che "non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi a un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo" anche agli scritti del consulente tecnico, sempre che ovviamente di giudizi anche critici rispondenti alla continenza, contenuti nell'oggetto della vertenza e fondati su dati veri.
(Il contributo ha perso spunto da un articolo di Nicola Canestrini e Lara Battisti, "Il giudizio sfavorevole contenuto in una consulenza tecnica di parte è sanzionabile penalmente? Riflessioni sull'esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 Costituzione e sul diritto di difesa sia esso legale o materiale", Diritto e giustizia, Giuffrè editore, 2010, in commento ad una sentenza di assoluzione del Giudice di Pace di Rovereto).