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MAE deve rispettare CEDU (Corte EDU, PIrozzi, 2018)

17 aprile 2018, Corte EDU

Le modalità di creazione di uno spazio di sicurezza libertà e giustizia non possono essere in contrasto con i diritti fondamentali delle persone interessate: quando le autorità interne applicano il diritto dell'UE senza disporre di un potere discrezionale, viene in rilievo la presunzione di protezione equivalente stabilita nella sentenza Bosphorus  e sviluppata nella sentenza Michaud. Ciò si verifica quando i meccanismi di riconoscimento reciproco obbligano il giudice a presumere che un altro Stato membro rispetti in modo sufficiente i diritti fondamentali, ma la Corte deve comunque verificare che il principio del riconoscimento reciproco non sia applicato in modo automatico e meccanico, a scapito dei diritti fondamentali. 

In patibolare, se viene sottoposta alle corte nazionali una doglianza seria e motivata in cui si sostiene che vi sia una manifesta insufficienza di tutela di un diritto garantito dalla Convenzione e che il diritto dell'UE non consente di porre rimedio a tale insufficienza, non possono rinunciare a esaminare tale doglianza per il solo motivo che applicano il diritto dell'UE; ed in  tal caso spetta loro leggere e applicare le norme del diritto dell'UE in conformità con la Convenzione.

(traduzione automatica non ufficiale)

Corte europea per i diritti dell'Uomo

SEZIONE SECONDA

CASO PIROZZI CONTRO BELGIO

(Ricorso n. 21055/11)

STRASBURGO

17 aprile 2018


La presente sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44, paragrafo 2, della Convenzione. Può essere soggetta a modifiche formali.

Nella causa Pirozzi c. Belgio,

la Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Robert Spano, presidente,

Paul Lemmens,

Ledi Bianku,

Nebojša Vučinić,


Valeriu Griţco,

Jon Fridrik Kjølbro,

Stéphanie Mourou-Vikström, giudici,

e Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 20 marzo 2018,

Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 21055/11) contro il Regno del Belgio, presentato al Tribunale da un cittadino italiano, il sig. Vittorio Pirozzi (“il ricorrente”), il 22 marzo 2011 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato H. El Abouti, di Bruxelles. Il governo belga (“il Governo”) è stato rappresentato dalla sua agente, la signora I. Niedlispacher, del servizio pubblico federale della Giustizia.

3. Il ricorrente sostiene in particolare, da un lato, che il suo arresto da parte delle autorità belghe non è avvenuto secondo le vie legali e, dall'altro, che è stato consegnato alle autorità italiane in virtù di un mandato d'arresto europeo (“MAE”) basato su una condanna pronunciata dai tribunali italiani al termine di un procedimento contrario al diritto a un processo equo.

4. Il 2 febbraio 2017, le censure relative agli articoli 5 § 1 e 6 § 1 sono state comunicate al Governo e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto ai sensi dell'articolo 54 § 3 del regolamento della Corte.

5. Poiché il ricorrente è di nazionalità italiana, l'8 febbraio 2017 è stato comunicato al governo italiano che aveva la possibilità di presentare osservazioni scritte ai sensi dell'articolo 36, paragrafo 1, della Convenzione e dell'articolo 44 del regolamento della Corte. Non avendo ricevuto risposta dal governo italiano entro il termine stabilito, la Corte ritiene che quest'ultimo non intenda avvalersi del suo diritto di intervento.

IN EFFETTI

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

6. Il ricorrente è nato nel 1952 ed è attualmente detenuto nel carcere di Spoleto (Italia).

A. Il procedimento seguito in Italia

7. Il ricorrente è stato condannato il 26 giugno 1998 dal Tribunale di Brescia per traffico di stupefacenti a diciotto anni di reclusione e a 250.000 euro («EUR») di multa. Il ricorrente ha assistito al suo processo.

8. La decisione di primo grado è stata riformata con sentenza del 18 aprile 2002 della Corte d'appello di Brescia, che ha ridotto la pena detentiva a quindici anni e la multa a 80.000 EUR. La sentenza è stata emessa in contumacia, in quanto il ricorrente ha dichiarato di non aver potuto comparire per motivi di salute. Era rappresentato dall'avvocato che aveva designato e che lo aveva difeso in primo grado. La sentenza è stata notificata al ricorrente il 28 maggio 2002.

9. Poiché all'epoca il diritto italiano non offriva la possibilità di presentare opposizione, il ricorrente ha presentato ricorso in cassazione. La Corte di cassazione ha respinto il ricorso il 23 maggio 2003. Ha ritenuto che la corte d'appello, non legittimando l'impedimento del ricorrente a presenziare al processo, avesse agito in modo diligente e legale, poiché il certificato fornito non era un originale e non conteneva né una firma né altri elementi atti a dimostrare che fosse stato rilasciato dall'ospedale, e che, in assenza di indicazioni sulla gravità delle condizioni del ricorrente e sulla sua trasportabilità, non era dimostrato che la patologia, di cui si faceva menzione nel certificato, fosse tale da impedirgli di comparire. Infine, il documento riportava una data di dimissione dall'ospedale, il che indicava che l'impedimento addotto non era assoluto.

10. Il 15 gennaio 2004, l'avvocato del ricorrente ha presentato un nuovo ricorso alla Corte di Cassazione, che è stato dichiarato irricevibile con sentenza del 17 maggio 2004.

11. Con decisione del 24 gennaio 2007, il Tribunale di Brescia, investito di una richiesta di grazia, ha ridotto di un anno la pena del ricorrente.

12. Il 27 luglio 2010, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha emesso un MAE per l'esecuzione della sentenza della corte d'appello del 18 aprile 2002 per i quattordici anni di reclusione rimanenti da scontare. L'MAE è stato trasmesso alle autorità belghe il 2 agosto 2010 sulla base della presunzione che il richiedente si trovasse a Bruxelles.

B. Il procedimento seguito in Belgio

13. Il ricorrente è stato localizzato a Bruxelles il 4 agosto 2010. Dal verbale redatto in seguito alla localizzazione e all'arresto del ricorrente da parte dei servizi della polizia giudiziaria federale la sera del 4 agosto 2010 risulta che i fatti si sono svolti come segue:

«Facciamo riferimento alla rogatoria internazionale emessa dalle autorità giudiziarie italiane di Napoli, trasmessa e convalidata dal giudice istruttore L. (...) consistente in una richiesta di intercettazione e localizzazione di numeri di telefono cellulare belgi che sarebbero utilizzati dal [ricorrente] e, di conseguenza, anche nella localizzazione e intercettazione di quest'ultimo.

Si espone che i risultati e l'analisi consentono di determinare che [il ricorrente] stava effettivamente utilizzando i numeri in questione nell'ambito dell'istruzione rogatoria internazionale (...)

Si espone che [il ricorrente] è inoltre oggetto di una segnalazione internazionale emessa dalle autorità italiane sulla base di un MAE emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli.

Esponiamo che durante la classica osservazione effettuata oggi a partire dalle ore 10.00 nel quartiere (...) è stato notato che una persona che presentava una forte somiglianza con [il richiedente] è entrata nell'edificio (...), alle ore 14.30.

Contattiamo oggi alle 16.00 la signora procuratrice del Re (...) della procura di Bruxelles e la informiamo dei risultati delle nostre ricerche e delle nostre osservazioni.

Esponiamo che alle 16.30 ci è stata trasmessa via fax un'apostilla che ci chiedeva di procedere all'arresto [del richiedente] e di metterlo a sua disposizione.

Il procuratore del Re (...) ci ha autorizzato, in quanto portatori della presente apostilla e del MAE, ad entrare nell'edificio sito (...).

Alle 17.55, la porta d'ingresso dell'edificio viene aperta dal fabbro (...).

Data la possibilità di fuga dal retro, tutti i piani vengono immediatamente presi d'assalto.

La serratura della porta d'ingresso dell'appartamento al secondo piano occupato da [X] è stata forzata e poi sostituita con una nuova. (...)

Esponiamo che [il ricorrente] è stato scoperto nell'appartamento situato al terzo piano in compagnia della moglie. (...)

Esponiamo che [il ricorrente] ha rivelato la sua vera identità (...).

Esponiamo che il falso documento d'identità italiano trovato nell'appartamento e in possesso [del ricorrente] (...) è stato rilasciato il 24.08.2006 (...).

Esponiamo che il commissario di polizia (...) alle ore 18.20 ha contattato il procuratore del Re (...) che ha dato istruzioni di privare [il ricorrente] della libertà e di metterlo a sua disposizione per il giorno successivo.

(...)”


14. La sera del suo arresto, il ricorrente è stato interrogato con l'aiuto di un interprete italiano e ha informato la polizia di essere arrivato in Belgio nel 2008 e di soggiornarvi illegalmente.

15. Il 5 agosto 2010, il ricorrente è stato presentato al giudice istruttore e un interrogatorio è stato condotto con un interprete italiano. Il ricorrente ha dichiarato di non acconsentire alla sua consegna alle autorità italiane, di essere a conoscenza della sua condanna ma di ignorare che questa fosse definitiva. Al termine dell'interrogatorio, il giudice ha ordinato la sua detenzione, ritenendo, alla luce dei documenti trasmessi dalle autorità italiane, che non vi fosse alcun motivo per rifiutare l'esecuzione del MAE.

16. Il 21 agosto 2010, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha redatto una nota che riepiloga il procedimento svoltosi in Italia nei confronti del ricorrente e precisa che gli articoli 175 e 670 del codice di procedura penale italiano prevedono che in caso di decisioni pronunciate in contumacia l'imputato poteva chiedere la riapertura del termine per presentare ricorso, a condizione che non avesse rinunciato a comparire e che tale richiesta fosse presentata, in caso di estradizione, entro trenta giorni dalla consegna dell'interessato. La nota è stata poi trasmessa alle autorità belghe.

17. Con ordinanza del 25 agosto 2010, la camera del consiglio del tribunale di primo grado di Bruxelles ha reso esecutivo il MAE. Dinanzi al giudice istruttore, invocando l'articolo 5 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamentava di non poter verificare la legittimità delle vie utilizzate per il suo arresto. La camera del consiglio ha risposto a questo argomento nei seguenti termini:

“Si ricorda che il giudice che decide sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo non deve valutare la legalità e la regolarità di tale mandato, ma solo la sua esecuzione in conformità con le disposizioni degli articoli da 4 a 8 della legge del 19 dicembre 2003 relativa al mandato d'arresto europeo. In caso di esecuzione, la legalità e la regolarità del mandato d'arresto europeo sono valutate dall'autorità giudiziaria che emette il mandato e alla quale la persona ricercata è consegnata, in modo tale da soddisfare l'articolo 5 [§ 4] della suddetta Convenzione. Il ricorrente ha anche sostenuto che il procedimento in contumacia italiano era stato condannato dalla Corte, poiché il diritto italiano non garantiva con sufficiente certezza la possibilità di ottenere la riapertura del processo. La camera del consiglio ha respinto tale argomento, rilevando che il codice di procedura penale italiano era stato modificato nel 2005 e prevedeva la possibilità di riaprire il procedimento, anche in caso di estradizione.


19. Su appello del ricorrente, con sentenza del 9 settembre 2010, la camera di accusa della corte d'appello di Bruxelles ha confermato l'ordinanza della camera del consiglio. Ha constatato che le condizioni di cui agli articoli 3 e 5, paragrafo 1, della legge del 19 dicembre 2003 relativa al MAE erano soddisfatte e che i fatti descritti nel MAE corrispondevano a quelli previsti dall'articolo 5, paragrafo 2, della stessa legge. Non vi era motivo di applicare uno dei motivi di rifiuto previsti dalla legge. Inoltre, ha ritenuto che l'arresto dell'interessato fosse legale in quanto il MAE e la segnalazione internazionale Schengen consentivano, come un'ordinanza di cattura, di entrare in un'abitazione allo scopo di arrestare la persona ricercata. Ha inoltre ricordato che era stata investita solo dell'esame del MAE e che non spettava a lei verificare la legittimità di una richiesta di assistenza giudiziaria dell'Italia. Ha ritenuto che l'articolo 7 della legge del 19 novembre 2003 non fosse applicabile poiché risultava dal MAE che l'interessato era stato citato personalmente o informato in altro modo della data e del luogo dell'udienza che aveva portato alla decisione pronunciata in contumacia. Ha rilevato che la sentenza della Corte d'appello di Brescia menzionava che l'interessato era stato difeso da un avvocato che era stato ascoltato dal tribunale. Ha concluso che non vi erano quindi seri motivi per ritenere che l'esecuzione del MAE avrebbe avuto l'effetto di ledere i diritti fondamentali dell'interessato.


20. Il ricorrente ha presentato ricorso contro la sentenza della camera dell'accusa. Ha invocato una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione in quanto l'assenza nel fascicolo dei documenti relativi alle misure di osservazione adottate nell'ambito della richiesta di assistenza giudiziaria al fine di localizzarlo e arrestarlo rendeva impossibile il controllo della legittimità di tali misure. La Corte di Cassazione, con sentenza del 22 settembre 2010, ha respinto questo motivo nei seguenti termini:


«L'esecuzione di un [MAE] è indipendente dagli obblighi eseguiti nello Stato di emissione o su rogatoria internazionale. Le misure adottate in questo contesto sono estranee alle verifiche che devono essere effettuate dai tribunali istruttori in applicazione degli articoli 16 § 1 e 17 § 4 della legge del 19 dicembre 2003.


Ai sensi dell'articolo 15, 2o della legge del 5 agosto 1992 sulla funzione di polizia, nell'esercizio dei loro compiti di polizia giudiziaria, i servizi di polizia hanno il compito di ricercare le persone la cui arresto è previsto dalla legge, di prenderle in custodia, di arrestarle e di metterle a disposizione delle autorità competenti.


Ai sensi dell'articolo 9 della legge del 19 dicembre 2003, il MAE costituisce un titolo di arresto. Ai sensi dell'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla custodia cautelare, spetta al procuratore della Repubblica prescrivere ai servizi di polizia di arrestare la persona ricercata, se necessario, entrando nel suo luogo di residenza.


Considerando che il MAE e la segnalazione internazionale Schengen consentono di entrare in un domicilio al fine di arrestare la persona ricercata, e che la corte d'appello era stata investita solo dell'esame di tale mandato senza dover esaminare la legittimità di una richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dalle autorità italiane, la sentenza non viola la disposizione convenzionale invocata. »


21. Invocando poi l'articolo 6 della Convenzione, il ricorrente sosteneva da un lato che il procedimento in contumacia italiano costituiva un motivo di rifiuto dell'estradizione per diversi paesi dell'UE, poiché la sentenza di condanna rimaneva esecutiva e non era possibile alcun ricorso, situazione che era stata peraltro condannata più volte dalla Corte. L'interessato lamentava di non aver beneficiato di un processo equo in Italia; poiché la procedura in vigore all'epoca non consentiva di adire la corte d'appello con un'opposizione, era stato costretto a rivolgersi alla Corte di cassazione italiana, che aveva statuito solo in diritto e non sulla fondatezza dell'accusa. D'altro canto, il ricorrente sosteneva che, avendo presentato ricorso e non essendosi presentato, non si trovava nella situazione prevista dagli articoli 175 e 670 del codice di procedura penale italiano, che riguardavano le condanne in contumacia in primo grado. Allo stato attuale del diritto italiano, avendo la Corte di cassazione respinto il suo ricorso, non aveva alcuna garanzia che la fondatezza della sua condanna in contumacia fosse riesaminata, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione.


22. La Corte di cassazione ha respinto il primo ramo del ricorso in quanto, criticando la valutazione della camera di accusa sul rispetto dei diritti fondamentali del ricorrente da parte delle autorità giudiziarie italiane, richiedeva una verifica di elementi di fatto per la quale la Corte di cassazione non aveva alcun potere. Sulla base dei fatti da loro accertati, i giudici d'appello avevano legittimamente motivato la loro decisione. Per quanto riguarda il secondo ramo, la Corte di cassazione lo ha respinto in quanto la preoccupazione che le autorità italiane non agissero nel rispetto dell'articolo 6 della Convenzione era puramente ipotetica.

23. Il 30 settembre 2010, il ricorrente è stato consegnato alle autorità italiane.


II. DIRITTO E PRASSI PERTINENTI

A. Il quadro decisionale 2002/584/JAI


24. Il quadro decisionale 2002/584/JAI del Consiglio del 13 giugno 2002 relativo al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri mira a migliorare e semplificare le procedure giudiziarie per la consegna di una persona ricercata per l'esercizio di un'azione penale o per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà. Si tratta di un sistema di consegna da parte dello Stato membro dell'Unione europea (“UE”) nel cui territorio si trova la persona ricercata, denominato “Stato membro di esecuzione”, allo Stato membro da cui proviene il MAE, denominato “Stato membro di emissione”.


25. Il MAE sostituisce il sistema di estradizione. Esso impone a ciascuna autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione di riconoscere ed eseguire, con controlli minimi e in tempi stretti, la richiesta di consegna di una persona formulata dall'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione. Il MAE mira all'arresto e alla consegna della persona interessata per l'esercizio dell'azione penale o per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.


26. Il quadro giuridico elenca in particolare i casi in cui il mandato è applicabile (articolo 2) e i casi in cui gli Stati possono o devono rifiutare l'esecuzione (articoli da 3 a 5, nella versione precedente alla modifica apportata dal quadro giuridico 2009/99/JAI del Consiglio del 26 febbraio 2009).


27. In una sentenza Melloni (causa C-399/11, sentenza del 26 febbraio 2013), la Corte di giustizia dell'Unione europea (“CGUE”) ha formulato le seguenti considerazioni generali in merito al quadro decisionale 2002/584/JAI, modificato dal quadro decisionale 2009/299/JAI:


«36. È opportuno ricordare che il suddetto quadro decisionale, come risulta in particolare dal suo articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché dai suoi considerando 5 e 7, ha lo scopo di sostituire il sistema di estradizione multilaterale tra Stati membri con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate ai fini dell'esecuzione delle sentenze o dell'azione penale, quest'ultimo sistema si basa sul principio del riconoscimento reciproco (v. sentenza del 29 gennaio 2013, Radu, C‑396/11, punto 33).

37. Il citato quadro decisionale 2002/584 mira quindi, attraverso l'introduzione di un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e accelerare la cooperazione giudiziaria al fine di contribuire alla realizzazione dell'obiettivo assegnato all'Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia basato sull'elevato grado di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri (sentenza Radu, citata, punto 34).


38. Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, del citato quadro decisionale 2002/584, gli Stati membri sono tenuti, in linea di principio, a dare seguito a un mandato d'arresto europeo. Infatti, secondo le disposizioni di tale decisione quadro, gli Stati membri possono rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo solo nei casi di non esecuzione obbligatoria previsti dall'articolo 3 della stessa, nonché nei casi di non esecuzione facoltativa elencati negli articoli 4 e 4 bis. Inoltre, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può subordinare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo solo alle condizioni definite all'articolo 5 di detto quadro decisionale (sentenza Radu, punti 35 e 36).

(...)


Per quanto riguarda la portata del diritto a un ricorso effettivo e a un processo equo previsto dall'articolo 47 della Carta, nonché dei diritti della difesa garantiti dall'articolo 48, paragrafo 2, della stessa, occorre precisare che, sebbene il diritto dell'imputato di comparire personalmente al processo costituisca un elemento essenziale del diritto a un processo equo, tale diritto non è assoluto (cfr., in particolare, sentenza del 6 settembre 2012, Trade Agency, C 619/10, punti 52 e 55). L'imputato può rinunciarvi, di sua spontanea volontà, in modo esplicito o tacito, a condizione che la rinuncia sia stabilita in modo inequivocabile, che sia accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua gravità e che non sia in contrasto con alcun interesse pubblico rilevante. In particolare, la violazione del diritto a un processo equo non è accertata, anche se l'imputato non è comparso di persona, se è stato informato della data e del luogo del processo o è stato difeso da un consulente legale, al quale ha conferito mandato a tal fine.


(...)

Alla luce di quanto precede, si deve constatare che l'articolo 4 bis, paragrafo 1, del quadro decisionale 2002/584 non viola né il diritto a un ricorso effettivo e a un processo equo né i diritti della difesa garantiti rispettivamente dagli articoli 47 e 48, paragrafo 2, della Carta. »


Considerazioni dello stesso tipo sono state espresse nella sentenza Dworzecki (causa C-108/16 PPU, sentenza del 24 maggio 2016, punti 26-27 e 42).


28. In una sentenza Lanigan (causa C-237/15 PPU, sentenza del 2 luglio 2015), la CGUE ha precisato che, poiché il quadro decisionale non può avere l'effetto di modificare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE e in particolare dall'articolo 6, che prevede che ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza, l' articolo 12 del quadro decisionale doveva essere letto in conformità con esso. La CGUE ha ricordato che, ai sensi dell'articolo 52 § 1 della Carta, le limitazioni all'articolo 6 della Carta dovevano necessariamente essere previste dalla legge, rispettare il contenuto essenziale dei diritti previsti in tale articolo, rispettare il principio di proporzionalità, cioè essere necessarie e rispondere a obiettivi di interesse generale noti. Inoltre, dall'articolo 52, paragrafo 3, della Carta risultava che, nella misura in cui quest'ultima conteneva diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione, il loro significato e la loro portata erano gli stessi di quelli conferiti dalla Convenzione. Inoltre, ai sensi dell'articolo 53 della Carta, nessuna disposizione della Carta può avere l'effetto di limitare o di pregiudicare i diritti riconosciuti dalla Convenzione. Facendo riferimento alla sentenza della Corte Quinn c. Francia (22 marzo 1995, serie A n. 311), la CGUE conclude che, alla scadenza dei termini previsti dall'articolo 17 della decisione quadro, il mantenimento della detenzione poteva essere conforme all'articolo 6 della Carta solo se il procedimento di esecuzione del MAE era stato condotto con sufficiente diligenza e non presentava un carattere eccessivo, il che rientrava nella valutazione del giudice nazionale.


29. In una sentenza Aranyosi e Căldăraru (cause riunite C-404/15 e C-659/15, sentenza del 12 aprile 2016), la CGUE ha stabilito che se, alla luce delle informazioni fornite o di qualsiasi altra informazione di cui dispone, l'autorità responsabile dell'esecuzione del MAE constata che esiste, , nei confronti della persona oggetto del mandato, sussista un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi, in particolare, dell'articolo 3 della Convenzione, a causa delle condizioni di detenzione nel paese di emissione, l'esecuzione del mandato deve essere rinviata fino all'ottenimento di ulteriori informazioni che consentano di escludere l'esistenza di tale rischio. Se l'esistenza di tale rischio non può essere esclusa entro un termine ragionevole, tale autorità deve decidere se sia opportuno porre fine alla procedura di consegna.


B. La legge del 19 dicembre 2003 relativa al MAE

30. In Belgio, il suddetto quadro decisionale è stato recepito dalla legge del 19 dicembre 2003 relativa al MAE, le cui disposizioni rilevanti nel caso di specie sono le seguenti:


«Art. 2. § 1. Il presente decreto disciplina l'arresto e la consegna tra il Belgio e gli altri Stati membri dell'Unione europea di persone ricercate per l'esercizio di un'azione penale o per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.


§ 2. L'arresto e la consegna avvengono sulla base di un mandato d'arresto europeo.

§ 3. Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa dalla competente autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea, denominata autorità giudiziaria emittente, ai fini dell'arresto e della consegna da parte della competente autorità giudiziaria di un altro Stato membro, denominata autorità di esecuzione, di una persona ricercata per l'esercizio di un'azione penale o per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.

(...)

Art. 3. Un mandato d'arresto europeo può essere emesso per fatti puniti dalla legge dello Stato membro di emissione con una pena privativa della libertà o una misura di sicurezza privativa della libertà della durata massima di almeno dodici mesi o, qualora sia stata pronunciata una condanna a una pena o sia stata inflitta una misura di sicurezza, purché esse abbiano una durata di almeno quattro mesi.


Art. 4. L'esecuzione di un mandato d'arresto europeo è rifiutata nei seguenti casi:

1o se il reato alla base del mandato d'arresto è coperto da una legge di amnistia in Belgio, a condizione che i fatti possano essere perseguiti in Belgio in base alla legge belga;


2o se dalle informazioni a disposizione del giudice risulta che la persona ricercata è stata definitivamente giudicata per gli stessi fatti in Belgio o in un altro Stato membro, a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata scontata o sia attualmente in corso di esecuzione o non possa più essere eseguita secondo le leggi dello Stato membro di condanna, oppure quando la persona interessata è stata oggetto in Belgio o in un altro Stato membro di un'altra decisione definitiva per gli stessi fatti che impedisce l'esercizio di ulteriori azioni penali;

3o se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo non può ancora essere, in base al diritto belga, ritenuta penalmente responsabile dei fatti all'origine del mandato d'arresto europeo a causa della sua età;


4o quando l'azione penale o la pena sono prescritte ai sensi della legge belga e i fatti rientrano nella competenza dei tribunali belgi;

5o se sussistono seri motivi di ritenere che l'esecuzione del mandato d'arresto europeo possa ledere i diritti fondamentali della persona interessata, quali sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea.


Art. 5. § 1. L'esecuzione è rifiutata se il fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo non costituisce un reato ai sensi del diritto belga.

§ 2. Il paragrafo precedente non si applica se il fatto costituisce uno dei seguenti reati, purché sia punito nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà di durata massima non inferiore a tre anni:

(...)


5o traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope;

(...)

Art. 7. Quando il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o misura di sicurezza pronunciata con una decisione pronunciata in contumacia, e se la persona interessata non è stata citata personalmente né informata altrimenti della data e del luogo dell' udienza che ha portato alla decisione pronunciata in contumacia, la consegna può essere subordinata alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisca garanzie ritenute sufficienti per assicurare alla persona oggetto del mandato d'arresto europeo la possibilità di chiedere un nuovo processo nello Stato emittente e di essere giudicata in sua presenza.


Art. 9. § 1. Una segnalazione effettuata in conformità alle disposizioni dell'articolo 95 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni del 19 giugno 1990 vale come mandato d'arresto europeo.


§ 2. Finché la segnalazione non contiene tutte le informazioni richieste dal mandato d'arresto europeo, alla segnalazione dovrà seguire la trasmissione dell'originale del mandato d'arresto europeo di cui agli articoli 2 e 3 o di una copia autenticata.


Art. 10. La persona ricercata può essere arrestata sulla base della segnalazione di cui all'articolo 9 o dietro esibizione di un mandato d'arresto europeo. L'arresto è soggetto alle condizioni di cui all'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla custodia cautelare.


Art. 11. § 1. Entro ventiquattro ore dall'effettiva privazione della libertà, la persona interessata è presentata al giudice istruttore, che la informa: 1o dell'esistenza e del contenuto del mandato d'arresto europeo; 2o della possibilità che le è offerta di acconsentire alla sua consegna all'autorità giudiziaria emittente; 3o del diritto di scegliere un avvocato e un interprete.


Di queste informazioni viene fatta menzione nel verbale dell'audizione.

(...)”

31. L'articolo 7 della legge relativa al MAE è stato sostituito dalla legge del 24 aprile 2014. D'ora in poi recita come segue:

“Art. 7. § 1. L'esecuzione del mandato d'arresto europeo ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà può essere rifiutata anche se l'interessato non è comparso personalmente al processo che ha portato a una sentenza in contumacia, a meno che il mandato d'arresto europeo indichi che l'interessato, in conformità con gli altri requisiti procedurali definiti nella legislazione nazionale dello Stato membro di emissione:


1o è stato citato personalmente in tempo utile e quindi informato della data e del luogo fissati per il processo che ha portato alla sentenza in contumacia, oppure è stato informato ufficialmente ed effettivamente con altri mezzi della data e del luogo fissati per tale processo, in modo tale che è stato stabilito inequivocabilmente che era a conoscenza del processo previsto, e che è stato informato che una decisione poteva essere presa in caso di mancata comparizione; o

2o avendo avuto conoscenza del processo previsto, ha conferito un mandato a un consulente legale, che è stato designato dall'interessato o dallo Stato, per difenderlo in giudizio, ed è stato effettivamente difeso da tale consulente durante il processo; o


3o dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del suo diritto a un nuovo processo o a un procedimento di appello, al quale l'interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, tenendo conto di nuovi elementi di prova, e può condurre a un annullamento della decisione iniziale:

a) ha espressamente dichiarato di non opporsi alla decisione; o


b) non ha chiesto un nuovo processo di merito o un processo d'appello entro il termine stabilito; o

4o non ha ricevuto personalmente la notifica della decisione, ma:


a) la riceverà personalmente senza indugio dopo la consegna e sarà espressamente informato del suo diritto a un nuovo processo di giudizio o a un processo di appello, al quale l'interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, tenendo conto di nuovi elementi di prova, e può portare a un annullamento della decisione iniziale; e


b) sarà informato del termine entro il quale deve chiedere un nuovo processo di giudizio o un procedimento di appello, come indicato nel mandato d'arresto europeo in questione.

§ 2. Se il mandato d'arresto europeo è emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà ai sensi delle disposizioni del paragrafo 1, 4o, e se l' interessato non sia stato precedentemente informato ufficialmente dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, detto interessato può, nel momento in cui viene informato del contenuto del mandato d'arresto europeo, chiedere di ricevere una copia della sentenza prima di essere consegnato. Non appena informata di tale richiesta, l'autorità di emissione fornisce la copia della sentenza all'interessato tramite l'autorità di esecuzione. La richiesta dell'interessato non ritarda né la procedura di consegna né la decisione di eseguire il mandato d'arresto europeo. La sentenza è comunicata all'interessato solo a titolo informativo e tale comunicazione non è considerata una notifica ufficiale della sentenza e non fa decorrere alcuna delle scadenze applicabili per richiedere un nuovo processo o un procedimento di appello.


§ 3. Se la persona è consegnata ai sensi delle disposizioni del paragrafo 1, punto 4, e se ha chiesto un nuovo processo o un procedimento di appello, il suo mantenimento in custodia fino alla fine di tale processo o appello è esaminato, conformemente al diritto dello Stato membro di emissione, periodicamente o su sua richiesta. Tale esame riguarda in particolare la possibilità di sospendere o interrompere la custodia. Il nuovo procedimento di giudizio o di appello inizia tempestivamente dopo la consegna.

C. Codice di procedura penale italiano

32. La validità di una sentenza di condanna può essere contestata sollevando un incidente di esecuzione, come previsto dall'articolo 670 § 1 del codice di procedura penale (“CPP”), che dispone, nelle sue parti rilevanti:


«Quando il giudice dell'esecuzione stabilisce che l'atto non è valido o non è diventato esecutivo, [dopo aver] valutato anche nel merito [nel merito] il rispetto delle garanzie previste per il caso in cui il condannato non sia rintracciabile, (...) sospende l'esecuzione e ordina, se necessario, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notifica che era stata irregolare. In tal caso, il termine per l'appello ricomincia a decorrere.

33. Il 22 aprile 2005, il Parlamento ha approvato la legge n. 60 del 2005, che ha convertito in legge il decreto legge n. 17 del 21 febbraio 2005. La legge n. 60 del 2005 è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 94 del 23 aprile 2005. Il decreto legge n. 17 ha modificato l'articolo 175 del codice di procedura penale, il cui nuovo comma 2 recita:


«In caso di condanna in contumacia (...), il termine per impugnare la sentenza è riaperto, su richiesta dell'imputato, a meno che quest'ultimo non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento [avviato nei suoi confronti] o della sentenza e abbia volontariamente rinunciato a comparire o ad impugnare la sentenza. Le autorità giudiziarie effettuano tutte le verifiche necessarie a tal fine».


34. Il decreto legge n. 17 ha inoltre introdotto nell'articolo 175 del CPP un paragrafo 2 bis, così formulato:


«La richiesta di cui al comma 2 è presentata, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza della sentenza. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dal momento in cui l'imputato è consegnato [alle autorità italiane] (...)».

IN DIRITTO


I. SULLA RICEVIBILITÀ

A. Rispetto del termine di sei mesi

35. Il Governo solleva un'eccezione basata sul mancato rispetto del termine di sei mesi. Sostiene che il timbro della Corte sul modulo di ricorso è datato 29 marzo 2011, mentre la sentenza della Corte di cassazione belga è datata 22 settembre 2010.


36. La Corte ricorda che nella sua giurisprudenza relativa al rispetto del termine di sei mesi dalla decisione definitiva per la presentazione delle domande (Edwards c. Regno Unito (dec.), n. 46477/99, 7 giugno 2001), affinché la data riportata sui documenti della prima comunicazione fosse considerata come la data di presentazione della domanda, la lettera doveva essere stata spedita al più tardi il giorno successivo a tale data. In caso contrario, la data di presentazione della domanda era quella del timbro postale e non quella che figurava nella lettera o nel modulo di domanda (Arslan c. Turchia(dec.), n. 36747/02, CEDU 2002-X (estratti)).


37. Nel caso di specie, la Corte constata che il timbro postale indica il 22 marzo 2010. Poiché questo fa fede, si deve ritenere che il termine di sei mesi sia stato rispettato e quindi respingere l'eccezione sollevata dal Governo.

B. Mancato esaurimento dei rimedi interni


38. Poiché il ricorso riguarda l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il Governo rimprovera al ricorrente di non aver presentato una richiesta di riapertura del procedimento seguito in Italia entro trenta giorni dalla sua consegna alle autorità belghe, come previsto dal codice di procedura penale italiano.


39. La Corte osserva che tale eccezione riguarda il procedimento svoltosi in Italia e non i ricorsi relativi alle decisioni prese dalle autorità belghe. Questa constatazione è sufficiente per respingere l'eccezione.

C. Conclusione


40. Constatando che i motivi sottoposti al suo esame non sono manifestamente infondati ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non si scontrano con nessun altro motivo di irricevibilità, la Corte li dichiara ricevibili.

II. SUL FONDAMENTO

A. Sulla presunta violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione


41. Il ricorrente lamenta che l'esecuzione del MAE da parte delle autorità belghe ha violato l'articolo 5 § 1 in quanto il suo arresto non ha rispettato le vie legali. Questa disposizione, nei suoi passaggi rilevanti, è così formulata:


«1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:

(...)

f) se si tratta dell'arresto o della detenzione regolare di una persona (...) contro la quale è in corso un procedimento (...) di estradizione».

1. Tesi delle parti


42. Il ricorrente lamenta il fatto che i documenti relativi ai mezzi utilizzati dalla polizia belga per localizzarlo e arrestarlo non sono stati inseriti nel fascicolo della procura e che ciò ha reso impossibile il controllo della legalità e della regolarità delle operazioni precedenti al suo arresto. Ne deduce che, per questo motivo, il suo arresto non è stato effettuato secondo le vie legali ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.


43. Il Governo sostiene che, come hanno ritenuto i tribunali belgi, l'arresto è avvenuto nel rispetto delle garanzie procedurali che disciplinano il lavoro investigativo e gli arresti da effettuare nell'ambito dell'esecuzione di un MAE. Il fatto che né la rogatoria internazionale né l'ordinanza di ricerca e localizzazione delle conversazioni telefoniche figurassero nel fascicolo della procura è giustificato dal fatto che potevano contenere informazioni la cui comunicazione avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di terzi.

2. Valutazione della Corte


44. La Corte constata che l'individuazione e l'arresto del ricorrente in Belgio sono avvenuti in esecuzione di un MAE emesso dalle autorità giudiziarie italiane e trasmesso tramite segnalazione internazionale Schengen.


45. La Corte rileva poi che non è contestato tra le parti che l'arresto controverso sia avvenuto al fine di consegnare il ricorrente alle autorità italiane, cosicché l'articolo 5 § 1 f) della Convenzione è applicabile nel caso di specie. Ricorda che in materia di “regolarità” di una detenzione, compresa l'osservanza delle “vie legali”, la Convenzione rinvia essenzialmente all'obbligo di osservare le norme sostanziali e procedurali della legislazione nazionale, ma richiede inoltre che ogni privazione della libertà sia conforme allo scopo dell'articolo 5: proteggere l'individuo dall'arbitrio (Saadi c.Regno Unito [GC], n. 13229/03, §§ 67-74, CEDU 2008).

46. Nel caso di specie, ai sensi degli articoli 9 e 10 della legge del 19 dicembre 2003, il MAE emesso dalle autorità giudiziarie italiane e trasmesso tramite segnalazione internazionale Schengen costituiva un titolo di arresto. La Corte rileva poi, come risulta dal verbale del 4 agosto 2010, che il mandato di perquisizione internazionale emesso da tali autorità e convalidato dal giudice istruttore belga richiedeva alle forze di polizia l'individuazione di numeri di cellulare e l'intercettazione del ricorrente. Come ricordato dalla Corte di cassazione nella sua sentenza del 22 settembre 2010, la legge belga conferisce alle forze di polizia il compito di ricercare le persone la cui arresto è previsto dalla legge, di prenderle in custodia, di arrestarle e di metterle a disposizione delle autorità competenti.


47. La Corte rileva inoltre che, come previsto dall'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla custodia cautelare, il procuratore del Re ha ordinato ai servizi di polizia, mediante apostille, di procedere all'arresto del ricorrente e di prenderlo in custodia entrando nel suo luogo di residenza.


48. La Corte ritiene che questi elementi siano sufficienti per considerare che l'arresto del ricorrente ai fini della sua detenzione e della sua consegna alle autorità italiane sia stato effettuato secondo le vie legali ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.


49. È vero che i tribunali belgi si sono ritenuti incompetenti a esaminare, nell'ambito dell'esecuzione del MAE (vedi paragrafi 19 e 20, sopra), gli obblighi di indagine eseguiti su rogatoria internazionale, al fine di localizzare e arrestare il ricorrente. La Corte osserva tuttavia che il ricorso del ricorrente non è supportato da indizi fattuali che attestino il comportamento scorretto da parte delle forze di polizia (cfr. Čonka c. Belgio, n. 51564/99, §§ 41-42, CEDU 2002-I). Ritiene inoltre che, se sono state adottate misure di osservazione, tali misure sono estranee all'arresto del ricorrente che ne sarebbe derivato. Ne consegue che la legalità della privazione della libertà del ricorrente non dipendeva, in assenza di indicazioni di arbitrarietà della stessa, dalla legalità delle operazioni preliminari volte a localizzare e arrestare il ricorrente.


50. La Corte constata infine che non è stato contestato dinanzi ad essa che il seguito degli eventi – l'audizione da parte dei servizi di polizia e l'interrogatorio da parte del giudice istruttore – si è svolto secondo le norme prescritte dal diritto belga.

51. Pertanto, la Corte conclude che non vi è stata violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.


B. Sulla presunta violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione

52. Il ricorrente lamenta che la sua consegna da parte delle autorità belghe alle autorità italiane in esecuzione del MAE abbia comportato una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, che è così formulato nelle sue parti rilevanti:


«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia equamente esaminata (...) da un tribunale (...) che deciderà (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti».

1. Tesi delle parti


53. Il ricorrente lamenta che le autorità belghe lo abbiano consegnato alle autorità italiane senza aver verificato la legittimità e la regolarità del MAE, che si basava su una condanna pronunciata dai tribunali italiani al termine di un procedimento in contumacia contrario all'articolo 6 della Convenzione. Sostiene che il procedimento in contumacia italiano costituiva un motivo di rifiuto dell'estradizione per diversi paesi dell'UE, in quanto la persona arrestata non poteva più scontare la pena in contumacia, vale a dire che la decisione rimaneva esecutiva e non era possibile alcun ricorso. La Corte ha inoltre ritenuto che il rifiuto di riaprire un procedimento che si è svolto in contumacia in assenza, come nel caso di specie, di qualsiasi indicazione che l'imputato abbia rinunciato al suo diritto di comparire, debba essere considerato come una “flagrante negazione di giustizia”, che corrisponde al concetto di procedimento ” manifestamente contrario alle disposizioni dell'articolo 6 o ai principi in esso sanciti” (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 84, CEDU 2006-II).


54. Il Governo ritiene che, alla luce degli elementi presi in considerazione dalla Corte di cassazione italiana per ritenere che la Corte d'appello di Brescia avesse legittimamente respinto le scuse fornite dal ricorrente e sapendo che il ricorrente era rappresentato dinanzi a tale giurisdizione da un avvocato, nulla autorizzi a ritenere che la sentenza pronunciata contro il ricorrente dalla Corte d'appello di Brescia avrebbe violato l'articolo 6 § 1 alla luce della giurisprudenza della Corte nelle cause Medenica c. Svizzera (n. 20491/92, §§ 56-58, CEDU 2001-VI) e Sejdovic (citata, § 88).


55. Inoltre, nel caso di specie, il giudice belga non aveva alcun margine di manovra per rifiutare la consegna del ricorrente o subordinarla alla concessione di garanzie che il ricorrente condannato in contumacia avrebbe la possibilità di richiedere un nuovo processo. Come confermato successivamente dalla giurisprudenza della CGUE (causa Melloni), tale margine è limitato alle situazioni in cui la persona interessata non è stata citata né altrimenti informata della data e del luogo dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in contumacia o non è stata difesa da un legale da essa incaricato a tal fine.


56. Infine, diversi elementi erano tali da indurre i tribunali belgi a ritenere che i diritti fondamentali del ricorrente sarebbero stati rispettati in caso di trasferimento: il procedimento in Italia era stato completato sei anni prima e non era stato contestato dinanzi alla Corte; nella nota del 21 agosto 2010 redatta dalle autorità giudiziarie italiane, si faceva riferimento ai mezzi di ricorso a disposizione del richiedente ai sensi degli articoli 175 e 670 del codice di procedura penale italiano, qualora volesse contestare lo svolgimento del processo o la pena, nonché al termine previsto in caso di estradizione; l'Italia è parte della Convenzione e, in quanto tale, è tenuta ad applicarla.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali


57. È stabilito nella giurisprudenza della Corte che una decisione di espulsione o di estradizione può eccezionalmente sollevare una questione ai sensi dell'articolo 6 quando il fuggitivo ha subito o rischia di subire una flagrante negazione di giustizia nello Stato richiedente. Questo principio è stato enunciato per la prima volta nella sentenza Soering c. Regno Unito (7 luglio 1989, § 113, serie A n. 161) e successivamente confermato in diverse altre cause (si veda ad esempio Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], n. 46827/99 e 46951/99, §§ 90-91, CEDU 2005-I, Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, n. 61498/08, § 149, CEDU 2010, e Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, n. 8139/09, § 258, CEDU 2012 (estratti)). Nella fattispecie, tale principio deve essere applicato nel contesto particolare dell'esecuzione da parte di uno Stato membro dell'UE di un MAE emesso dalle autorità di un altro Stato membro dell'UE.


58. A questo proposito, la Corte osserva che il quadro decisionale relativo al MAE si basa su un meccanismo di riconoscimento reciproco fondato a sua volta sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell'UE (vedi paragrafi 24-29, sopra).


59. La Corte è consapevole dell'importanza dei meccanismi di riconoscimento reciproco per la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e del reciproco affidamento che essi richiedono. Il MAE previsto dal quadro di riferimento è una concretizzazione di questo principio di riconoscimento reciproco, nel settore il cui obiettivo è assicurare la libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il MAE è un titolo di arresto che risulta da una decisione giudiziaria emessa dalla competente autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'UE, ai fini dell'arresto e della consegna da parte della competente autorità giudiziaria di un altro Stato membro, di una persona ricercata per l'esercizio di un'azione penale o per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.

60. La Corte ha dichiarato il suo impegno a favore della cooperazione internazionale ed europea. Ritiene pienamente legittimi, alla luce della Convenzione, in linea di principio, la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in Europa e l'adozione dei mezzi necessari a tal fine (si veda, in particolare, Avotiņš c. Lettonia [GC], n. 17502/07, § 113, CEDU 2016). Di conseguenza, ritiene che il sistema del MAE non sia di per sé in contrasto con la Convenzione.

61. Ciò detto, la Corte ha anche precisato che le modalità di creazione di questo spazio non possono essere in contrasto con i diritti fondamentali delle persone interessate (idem, § 114).

62. A questo proposito, la Corte ha ricordato che quando le autorità interne applicano il diritto dell'UE senza disporre di un potere discrezionale, la presunzione di protezione equivalente stabilita nella sentenza Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi c. Irlanda [GC] (n. 45036/98, CEDU 2005-VI) e sviluppata nella sentenza Michaud c. Francia(n. 12323/11, CEDU 2012). Ciò si verifica quando i meccanismi di riconoscimento reciproco obbligano il giudice a presumere che un altro Stato membro rispetti in modo sufficiente i diritti fondamentali. Come previsto dal quadro decisionale relativo al MAE, il giudice nazionale verrebbe quindi privato del suo potere di valutazione, il che comporterebbe un'applicazione automatica della presunzione di equivalenza (Avotiņš, citato, § 115). Tuttavia, tale presunzione può essere confutata nel contesto di una determinata causa (Bosphorus, cit., § 456, e Michaud, cit., § 103). Anche se intende tenere conto, in uno spirito di complementarità, del funzionamento dei meccanismi di riconoscimento reciproco e in particolare del loro obiettivo di efficacia, la Corte deve verificare che il principio del riconoscimento reciproco non sia applicato in modo automatico e meccanico, a scapito dei diritti fondamentali (Avotiņš, citato, § 116).

63. In questo spirito, quando i tribunali degli Stati che sono al contempo parti della Convenzione e membri dell'UE sono chiamati ad applicare un meccanismo di riconoscimento reciproco stabilito dal diritto dell'UE, come quello previsto per l'esecuzione di un MAE emesso da un altro Stato europeo, è in assenza di qualsiasi manifesta insufficienza dei diritti protetti dalla Convenzione che essi conferiscono a tale meccanismo la sua piena efficacia (idem, § 116).

64. Per contro, se viene loro sottoposta una doglianza seria e motivata in cui si sostiene che vi sia una manifesta insufficienza di tutela di un diritto garantito dalla Convenzione e che il diritto dell'UE non consente di porre rimedio a tale insufficienza, non possono rinunciare a esaminare tale doglianza per il solo motivo che applicano il diritto dell'UE (idem, § 116). In tal caso spetta loro leggere e applicare le norme del diritto dell'UE in conformità con la Convenzione.

b) Applicazione nel caso di specie

65. Nel caso di specie, il ricorrente è stato detenuto sulla base di un MAE emesso dalle autorità italiane il 27 luglio 2010 in vista dell'esecuzione di una pena detentiva alla quale era stato condannato al termine di un procedimento conclusosi con una sentenza della Corte di cassazione italiana del 23 maggio 2003.

66. In conformità al sistema istituito dalla decisione quadro sul MAE e, come ricordato dai tribunali belgi, spettava all'autorità giudiziaria che aveva emesso il mandato e alla quale il ricorrente doveva essere consegnato, nella fattispecie le autorità giudiziarie italiane, valutare la legittimità e la regolarità del MAE. Per quanto riguarda il Belgio, il pubblico ministero belga non aveva alcun potere discrezionale in merito all'opportunità dell'arresto e i tribunali belgi competenti potevano rifiutarne l'esecuzione solo per i motivi stabiliti dalla legge belga del 19 dicembre 2003 relativa al MAE (vedi paragrafo 30, sopra).

67. Alla luce dei principi generali sopra ricordati, la Corte ritiene che il controllo effettuato dalle autorità belghe, così limitato, non sia di per sé in contrasto con la Convenzione, poiché i giudici belgi hanno esaminato la fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente in base alla Convenzione. Hanno quindi verificato se l'esecuzione del MAE non comportasse, nel caso del ricorrente, una manifesta insufficienza di tutela dei diritti garantiti dalla Convenzione.

68. Il ricorrente sostiene che, consegnandolo alle autorità italiane, nonostante fosse stato condannato in contumacia e che il sistema giuridico italiano all'epoca non gli garantisse, con un grado sufficiente di certezza, la possibilità di difendersi in un nuovo processo, le autorità belghe hanno avallato una situazione contraria alla Convenzione.

69. La Corte ricorda che nella causa Sejdovic, citata, a cui fanno riferimento le due parti, anche il ricorrente era stato giudicato in contumacia e non aveva ricevuto alcuna informazione ufficiale in merito alle accuse o alla data del processo. Inoltre, era stato giudicato da una corte d'assise davanti alla quale non era rappresentato. Tutti questi elementi hanno portato la Corte a esaminare se il ricorrente avesse deciso di rinunciare al suo diritto di comparire o di sottrarsi alla giustizia, e a verificare se il diritto interno gli offrisse, con un grado sufficiente di certezza, la possibilità di ottenere che un tribunale si pronunciasse nuovamente, in sua presenza dopo averlo ascoltato nel rispetto dei diritti della difesa, sulla fondatezza delle accuse mosse nei suoi confronti. Avendo concluso in senso negativo, la Corte conclude per la violazione dell'articolo 6 della Convenzione (idem, §§ 105-106).

70. La Corte constata che l'articolo 7 della legge belga del 19 dicembre 2003 relativa al MAE, in conformità all'articolo 5, 1) del quadro di riferimento 2002/584/JAI prima della sua modifica da parte del quadro di riferimento 2009/299/JAI, prevedeva la possibilità per il giudice belga di rifiutare l'esecuzione del MAE se il richiedente si fosse trovato nella situazione che la Corte ha condannato nella causa Sejdovic. Tuttavia, come rilevato dalla camera dell'accusa della corte d'appello di Bruxelles nella sua sentenza del 9 settembre 2010 (cfr. paragrafo 19, sopra), ciò non era avvenuto nel caso di specie. Il ricorrente era stato ufficialmente informato della data e del luogo del processo dinanzi alla Corte d'appello di Brescia. Inoltre, era stato assistito dinanzi alla Corte d'appello e difeso da un avvocato da lui stesso designato, che lo aveva difeso anche in primo grado e la cui difesa si è rivelata efficace, in quanto ha portato a una riduzione della pena (vedi paragrafo 8, sopra).

71. Questi elementi sono sufficienti per la Corte per constatare che, nel caso di specie, l'attuazione del MAE da parte dei tribunali belgi non era viziata da un'insufficienza manifesta tale da ribaltare la presunzione di protezione equivalente di cui beneficiano sia il sistema del MAE, come definito dal quadro decisionale e precisato dalla giurisprudenza della CGUE, sia la sua attuazione da parte del diritto belga e nel caso specifico del ricorrente. Per gli stessi motivi, la Corte conclude che la consegna del ricorrente alle autorità italiane non può essere considerata basata su un processo che costituisce una flagrante negazione di giustizia.

72. Pertanto, la consegna del ricorrente non è avvenuta in violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

PER TALI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

1. Dichiara ricevibile il ricorso;

2. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione;

3. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 17 aprile 2017, in applicazione dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del regolamento della Corte.

Stanley Naismith Robert Spano

Cancelliere Presidente

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