I termini di fase della custodia decorrono nuovamente dalla data del provvedimento di restituzione nel termine per impugnare emesso dal giudice dell'esecuzione.
Cassazione Penale
Sezione VI
Sent. Num. 38153 Anno 2021
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA
Data Udienza: 16/09/2021 deposito 25/10/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto da
CS nato in Albania il **/1977
avverso la ordinanza del 11/03/2021 del Tribunale di Bari
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Bari rigettava l'appello cautelare proposto da SC avverso il provvedimento della Corte di appello di Bari che in data 21 settembre 2020 aveva respinto la sua istanza volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare carceraria per decorrenza dei termini di fase ovvero la sostituzione della misura con quella domiciliare.
Dalla suddetta ordinanza si evince che l'istante era stato condannato in contumacia alla pena di 19 anni di reclusione ed euro 90.000 di multa per il reato di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990 con sentenza divenuta irrevocabile il 25 aprile 2017; che per l'esecuzione di tale pena era stato consegnato dalle autorità giudiziarie tedesche il 23 ottobre 2018; che il Capi con provvedimento del 23 marzo 2020 della Corte di appello di Bari era stato restituito nel termine per proporre appello avverso alla sentenza di primo grado; che avverso tale provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione dal P.M., dichiarato inammissibile con sentenza del 1 dicembre 2020; che una prima istanza del Capi volta a far valere la decorrenza dei termini di fase era stata rigettata dalla Corte di appello con provvedimento del 7 aprile 2020 sul rilievo che la sentenza di appello era ancora giuridicamente esistente.
Con la nuova istanza de liberate il C aveva dedotto che il termine di fase per la fase di appello era ampiamente decorso sin dal 5 marzo 2018 (data del suo arresto in territorio tedesco in esecuzione di un mandato di arresto europeo) e che comunque era da ritenersi adeguata la misura domiciliare, tenuto conto del cambiamento di vita e della rescissione di legami con ambienti criminali.
Il Tribunale dava atto che nelle more dell'appello cautelare era divenuta definitiva l'ordinanza che aveva restituito nel termine il condannato e che quindi il termine di fase da prendere in considerazione era quello relativo alla fase successiva all'emissione della sentenza di primo grado, non condividendo la tesi difensiva in ordine alla identificazione del dies a quo della custodia cautelare (ovvero l'inizio della custodia cautelare in Germania) e richiamando al riguardo un arresto della Suprema Corte (Sez. 6, n. 34204 del 2014), secondo cui la previsione di cui all'art. 303, comma 2, cod. proc. pen. si applica anche all'ipotesi di ripristino della misura cautelare a seguito della regressione del processo dalla fase esecutiva a quella di cognizione ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. con la conseguenza che i termini di fase della custodia decorrono nuovamente dalla data del provvedimento di restituzione nel termine per impugnare emesso dal giudice dell'esecuzione (nella specie il termine così calcolato sarebbe spirato solo il 23 settembre 2021).
Quanto all'istanza di sostituzione della misura, il Tribunale riteneva i fatti di particolare gravità ed evidenziava il comportamento processuale dell'imputato volto a sottarsi all'esecuzione della pena e quindi l'inadeguatezza della misura domiciliare.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del C, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 303, comma 1, lett. c), n. 3 cod. proc. pen. quanto alla individuazione del dies a quo del termine di fase.
Il Tribunale, pur dando atto di un diverso orientamento maggioritario, ha inteso conformarsi senza alcuna argomentazione ad un unico arresto di legittimità di segno diverso e più risalente, non considerando che in tal modo verrebbe resa vana, ai fini del computo dei termini, la carcerazione sofferta all'estero.
La questione va risolta con la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione del contrasto interpretativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato e va quindi rigettato.
2. La questione di diritto sollevata con il ricorso è stata affrontata con un recente arresto di questa Corte, che ha affermato che la previsione di cui all'art. 303, comma 2, cod. proc. pen. si applica anche all'ipotesi di ripristino della misura cautelare a seguito della regressione del processo dalla fase esecutiva a quella di cognizione ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. con la conseguenza che i termini di fase della custodia decorrono nuovamente dalla data del provvedimento di restituzione nel termine per impugnare emesso dal giudice dell'esecuzione (Sez. 1, n. 29821 del 25/06/2021, Rv. 281756).
A tale ultima decisione nel panorama giurisprudenziale di legittimità, che ha esaminato e superato l'esegesi prescelta dal ricorrente, il Collegio ritiene, condividendone le argomentazioni, di dare continuità.
2.1. Secondo l'orientamento invocato dalla difesa, il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero in esecuzione di un mandato d'arresto europeo deve essere computato nella determinazione dei termini di fase, e, nell'ipotesi che il procedimento, già pendente davanti al giudice dell'esecuzione, regredisce in sede di cognizione in conseguenza dell'accoglimento dell'istanza di restituzione in termini per l'impugnazione della sentenza contumaciale, va imputato alla fase successiva alla pronuncia di tale sentenza con decorrenza dalla data dell'arresto effettuato in forza del titolo esecutivo riconosciuto in sede europea (Sez. 1, n. 15892 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263204; in precedenza Sez. 1, n. 33121 del 14/07/2011, Rv. 250671 e da ultimo Sez. 4, n. 25954 del 12/05/2021, Rv. 281496).
Tale filone si basa sull'interpretazione restrittiva dell'art. 303, comma 2, cod. proc. pen. quanto ai casi di regressione del processo ricadenti sotto la previsione del suddetto articolo: nella espressione "o per altra causa" doveva ritenersi escluso il caso della riapertura del processo già definito con sentenza irrevocabile di condanna e quindi la ipotesi della regressione dalla fase esecutiva alla fase compresa tra le sentenze di primo e di secondo grado.
2.2. Con l'arresto n. 29821 del 2021 sopra indicato, la Corte di legittimità, aderendo all'orientamento inaugurato dalla sentenza Sez. 6, n. 34204 del 02/07/2014, Rv. 260592, ha sottoposto ad articolata critica questa lettura della citata disposizione, ribadendo e sviluppando le ragioni già esposte in precedenza a favore di una diversa esegesi dell'art. 303, comma 2, cod. proc. pen. ed in particolare basandosi sulle seguenti argomentazioni:
- la formulazione letterale della norma contiene un'elencazione di tipo esemplificativo delle situazioni processuali che danno luogo al passaggio del processo ad un grado o ad una fase diversa, poiché, accomuna le ipotesi dell'annullamento con rinvio disposto dalla corte di cassazione e della declaratoria di nullità delle sentenze, ad ogni ulteriore "causa" che investa "altro giudice"; la scelta lessicale da parte del legislatore di termini generici ed onnicomprensivi quali appunto quelli da ultimo citati, nonché il riferimento ad una fase o ad un grado di giudizio diversi da quello cui il rapporto processuale era già approdato giustificano l'opinione, già espressa dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale l'art. 303, comma 2, riguarda «qualunque altra decisione in grado di determinare il regresso del processo a fase o grado di giudizio diversi, senza alcuna distinzione, compresa la sentenza del giudice di appello nelle ipotesi di cui all'art. 604 c.p.p., o nel caso in cui rileva l'incompetenza del giudice di primo grado, nei casi di cui all'art. 23 c.p.p.» (Sez. 6, n. 76 del 14/01/1993, Mascolo, Rv. 193545); in altri termini, «il meccanismo della nuova decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare va ricollegato a tutti i casi di regressione o di rinvio del procedimento ad altro giudice, anche se questi ne ha avuto già cognizione», come si verifica nel caso in cui la Corte di cassazione, risolvendo un conflitto di giurisdizione o di competenza, rinvii il processo a un giudice diverso da quello che ha avuto cognizione del procedimento (Sez. 1, n. 4221 del 19/06/1997, Rv. 208584; Sez. 1, n. 3972 del 05/06/1997, Rv. 208584);
- sul piano teleologico, per l'applicazione della disciplina della nuova decorrenza del termine di fase della misura custodiale, rileva "l'oggettiva regressione" del processo che potrebbe determinare la scadenza dei termini di custodia e la scarcerazione dell'imputato con frustrazione delle esigenze che ne avevano imposto la sottoposizione a limitazione della libertà personale; la regolamentazione dettata dall'art. 303, comma 2, persegue l'obiettivo di impedire la scadenza del termine di fase e, nel contemperare gli interessi individuali dell'imputato e quelli di tutela della collettività, ha stabilito il nuovo decorso del termine di fase dal momento della decisione che comporta il regresso ed al tempo stesso ha anche imposto il duplice limite del mancato superamento del doppio di tale termine, secondo la previsione dell'art. 304, comma 6, cod. proc. pen. e del termine massimo complessivo.
- le Sezioni Unite di questa Corte si sono espresse in termini conformi; assume rilievo quanto argomentato dalla sentenza n. 13 del 1991, Morabito, Rv. 187923, per la quale «"regredire" significa retrocedere, tornare indietro, al punto di partenza, ritornare in situazione tale da dover rifare un percorso già fatto»; secondo tale arresto quindi non è il contenuto oggettivo della legge e neppure la logica che consentono di distinguere i casi di regressione; «quel che rileva non è la conclusione che il giudizio di appello abbia attinto, bensì la circostanza che questo grado sia stato vanamente esperito e debba, quindi, essere nuovamente effettuato»; in seguito le Sezioni Unite con la sentenza n. 4 del 2000, Musitano, Rv. 215214, si sono nuovamente espresse, affermando che «la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente attribuito alla disposizione ex art. 303, comma 2, l'effetto di far decorrere un nuovo termine di fase del tutto svincolato da quello già trascorso nella fase o nel grado in cui il processo è regredito, nel senso che non è stato mai posto in dubbio che la predetta norma ha la specifica funzione di far derivare dal provvedimento di annullamento o di regresso il decorso ex novo di un distinto termine, privo di qualsiasi connessione con quello della fase o del grado corrispondente, e, dunque, a questo non cumulabile»;
- il contemperamento di contrapposti interessi, realizzato dalla disposizione di cui all'art. 303, comma 2, ritenuto ragionevole e coerente con i principi dell'ordinamento processuale, ha giustificato anche il giudizio sulla sua piena conformità ai precetti costituzionali dettati dagli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost. (Sez. 5, n. 3286 del 26/05/1998, Rv. 211613; Sez. 1, n. 3677 del 19/06/1998, Rv. 211157; Sez. 6, n. 915 del 30/03/1993, Rv. 195641);
- questi arresti danno conto della legittima possibilità di interpretare il disposto dell'art. 303, comma 2, come applicabile anche nei casi in cui la ripetizione della fase processuale comporti la riapertura del giudizio di cognizione dopo la formazione del giudicato di condanna e la declaratoria della sua ineseguibilità ai sensi del combinato disposto degli artt. 670, comma 3, cod. proc. pen. e 175, comma 2, cod. proc. pen. nel testo previgente;
- l'opposto orientamento pretermette la finalità perseguita dalla norma ed ignora come la stessa disciplini ogni situazione effettuale verificatasi a seguito del regresso del procedimento, fenomeno da intendersi secondo l'ampia nozione dettata da Sezioni Unite n. 13 del 1991, Morabito, sopra citata;
- per tali ragioni non sono state ravvisati i presupposti per la rimessione del processo alla decisione delle Sezioni Unite.
3. Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 16/09/2021.
Il Consigliere estensore Il Presidente
Ersilia Calvanese Anna Petruzzellis